I nuovi emendamenti alla manovra in commissione Bilancio la Senato

Nuova giornata di voti a Palazzo Madama. Più fondi per la violenza contro le donne, via libera a monopattini elettrici e più poteri alla Consob. Le novità.

La manovra, scoglio da superare, poi il programma. Mentre al Senato va in scena un’altra giornata campale di presentazione degli emendamenti sulla manovra, e alla vigilia del voto più delicato, quello dell’informativa sul Mes, il leader del M5s Di Maio ha dichiarato: «Sul contratto di governo, che vogliamo fare dal prossimo anno, è arrivato il momento di mettere nero su bianco tempi e temi. Siamo tutti d’accordo di lavorarci appena si approva la legge di bilancio». «Credo che sia utile che, subito dopo, il premier convochi i capi delegazione del governo. Ci facciamo una giornata di pianificazione e poi mettiamo i gruppi parlamentari a lavorare per dire come, quando e dove faremo le cose nei prossimi 3 anni». Intanto alle 9 del 10 dicembre la commissione Bilancio del Senato ha ripreso i lavori sulla finanziaria. E le novità non mancano: ecco le ultime modifiche.

12 MILIONI IN PIÙ IN TRE ANNI CONTRO LA VIOLENZA SULLE DONNE

Quattro milioni di euro in più per ogni anno dal 2020 al 2022 per il piano straordinario “contro la violenza sessuale e di genere“.

SALE AL 40% LA QUOTA ROSA IN SOCIETÀ QUOTATE

Un altro emendamento ha previsto di portare al 40% la ‘quota rosa‘ nelle società quotate. La richiesta, prima firmataria Donatella Conzatti (Iv), ha ottenuto un consenso trasversale. L’emendamento di fatto estende quanto previsto dalle legge del 2011 Golfo-Mosca che introduceva una quota rosa per consigli di amministrazione e di controllo delle società quotate.

PIÙ POTERE ALLA CONSOB CONTRO LE TRUFFE ONLINE

Più potere alla Consob contro le truffe on line. L’organo di controllo potrà chiedere l’inibizione dei siti web che svolgano attività truffaldine legate, fra l’altro, al trading finanziario o alla pubblicità.

RICOMPENSE PER GLI UTENTI VITTIMA DI BOLLETTE PAZZE

Chi riceva bollette ‘pazze’ per la fornitura di energia elettrica, gas, acqua, servizi telefonici, televisivi e internet, «oltre al rimborso delle somme eventualmente versate» e non dovute, ha diritto a ricevere anche una somma «pari al 10% dell’ammontare contestato e non dovuto e, comunque, per un importo non inferiore a 100 euro». Il rimborso può avvenire o con lo «storno nelle fatturazioni successive» o con «un apposito versamento».

VIA LIBERA A 25 ASSUNZIONI PER LA CORTE DEI CONTI

Tra le varie proposte è arrivato un emendamento per la Corte dei Conti che per il triennio 2020-2022 potrà bandire un concorso per 25 assunzioni in modo da incrementare «l’attuale dotazione organica» che è «di 611 unità». Lo scopo è «rafforzare il presidio a tutela della legalità dell’intero sistema di finanza pubblica». Ha ottenuto il via libera anche un altro emendamento che autorizza il Consiglio di Stato a «conferire, nell’ambito della dotazione organica vigente, a persona dotata di alte competenze informatiche, un incarico dirigenziale di livello generale, in deroga ai limiti percentuali previsti».

6,5 MILIONI ALLE FONDAZIONI PER LA RICERCA

I finanziamenti destinati alle fondazioni, associazioni e agli altri enti che fanno capo al ministero dei Beni culturali sono stati incrementati di 6,5 milioni di euro per il 2020 per sostenere «le attività di ricerca, innovazione e formazione e per incentivare la promozione e la fruizione del patrimonio culturale».

1 MILIONE L’ANNO PER PROMUOVERE L’ITALIANO ALL’ESTERO

Dal 2020 ci sarà a disposizione un milione di euro per la promozione della cultura e la lingua italiana all’estero e in particolare, tra le varie finalità, per puntare sulla mobilità internazionale e il reclutamento di talenti. Un emendamento alla manovra ha stanziato risorse per «il sostegno del sistema italiano di formazione superiore e del sistema educativo italiano» che si aggiungono, nel 2020, ai 50 milioni già stanziati nel 2016 in un fondo ad hoc.

15 MILIONI PER LA SALVAGUARDIA DELLE ALPI IN VALLE D’AOSTA

Arrivano 5 milioni l’anno per tre anni per gli investimenti per contrastare i rischi idrogeologici «dell’ambiente alpino» in Valle d’Aosta.

SALTA LA PROROGA PER LA CEDOLARE SECCA DEI NEGOZI

Niente proroga per la cedolare sui negozi. La cedolare secca al 21% introdotta lo scorso anno sugli affitti di immobili commerciali, nonostante le diverse proposte di maggioranza e opposizione, non sarà confermata anche per il 2020. Nella serata del 9 dicembre in commissione sono stati bocciati gli emendamenti delle opposizioni sul tema, il Pd ha ritirato la sua proposta mentre quelle analoghe di M5S e Iv sono state trasformate in ordini del giorno.

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Cosa si nasconde sotto il mondo scintillante del K-pop

Suicidi, abusi, violenze. Lo showbiz sudcoreano è malato. E racconta molto di una società ipercompetitiva e piena di contraddizioni.

Cosa sta accadendo nel mondo luccicante e apparentemente leggero del Korean-pop o K-pop come lo conoscono e lo seguono, elettrizzati ed entusiasti, tantissimi adolescenti anche in Italia?

Sembra qualcosa di terribile a giudicare dall’inquietante record di suicidi che si riscontra in Corea del Sud tra le star del genere: quattro morti in due anni. L’ultimo a togliersi la vita, martedì, è stato Cha In Ha, membro del gruppo Surprise U, che è stato trovato senza vita nella sua abitazione di Seul.

Al momento sono ancora in corso le indagini per comprendere quali siano state esattamente le cause della morte. Nel frattempo la sua casa di produzione ha diffuso un comunicato nel quale ha confermato il decesso: «Siamo devastati», hanno scritto. Cha aveva solo 27 anni.

LA DRAMMATICA SCIA DI SUICIDI NEL K-POP

Il suo suicidio segue di poco quello della cantante Goo Hara, 28 anni, trovata morta nella sua casa di Seul solo sei mesi dopo essere sopravvissuta a un precedente tentativo di suicidio. E a sua volta la morte di Goo è arrivata sei settimane dopo che Sulli, un’altra star del K-pop e amica intima di Goo, si era tolta la vita a ottobre a 25 anni, dopo una lunga battaglia contro il bullismo online.

UN GENERE DIVENTATO FENOMENO GLOBALE

Ormai divenuto un fenomeno musicale globale, il K-pop, con l’aura di tragedia che sembra accompagnarlo, rischia di mettere a nudo i problemi ben più ampi di cui soffrono la gioventù e l’intera società sudcoreana. Il genere è diventato famoso a partire dal 1996 grazie alle boyband. Dopo una fase di recessione, nel 2003 è stato rilanciato a livello internazionale dai successi di gruppi come i TVXQ e i BoA. Negli ultimi due anni, soprattutto grazie ai social media, il K-Pop è riuscito a sfondare anche nelle classifiche degli Stati Uniti con i BTS, la prima band sudcorerana a vincere un Billboard Music Award.

Il funerale della star del K-Pop Goo Hara (Getty).

LE GIOVANI STAR SONO SOTTOPOSTE A UNA INCREDIBILE PRESSIONE

L’ondata di suicidi del K-pop è iniziata quasi due anni fa quando Kim Jong-hyun, meglio noto come Jonghyun della band Shinee, si uccise nel dicembre del 2017, anche lui a soli 27 anni. Naturalmente i suicidi nel mondo della musica non sono una novità: il frontman dei Nirvana, Kurt Cobain, si suicidò nel 1994, e recentemente si sono tolte la vita due icone pop molto conosciute, con schiere di fan al loro seguito, Keith Flint dei Prodigy e Chester Bennington dei Linkin Park.

LEGGI ANCHE:In Corea del Sud c’è una prigione per le persone stressate

Ma ben quattro celebrità dello stesso settore, nello stesso Paese, che si tolgono la vita, giovanissime, in meno di due anni, indicano che probabilmente qualcosa è andato tragicamente storto nel K-pop. La pressione che il sistema esercita sulle sue stelle – in particolare le donne – è fortissima. Inizia nel momento in cui entrano nelle scuole di formazione da adolescenti: i telefoni cellulari vengono confiscati, sono tagliati fuori dalla famiglia e dagli amici ed è loro vietato di intrattenere normali relazioni giovanili. Le scuole proiettano un’immagine bizzarra e conflittuale, eternamente in bilico tra innocenza e disponibilità sessuale.

Il pubblico del K-pop World Festival a Changwon (Getty).

IL CYBERBULLISMO CONTRO SULLI E GOO

Sulli e Goo, per esempio, si sono dovute sottoporre a un esame continuo e impietoso delle loro vite private ed entrambe hanno dovuto affrontare dure critiche, attacchi e offese online: Sulli è stata messa alla gogna sui social, poco prima della sua morte, per aver postato su Instagram foto di un festino alcolico a casa sua, mentre Goo era stata coinvolta in una brutta storia di revenge-porn: un suo ex aveva postato online un filmato in cui facevano sesso.

LE ACCUSE DI ABUSI E VIOLENZE

I doppi standard che si applicano in Corea del Sud, ma non solo, alle stelle del K-pop, a seconda se siano maschi o femmine, sono evidenti. Mentre Sulli e Goo venivano prese di mira dal bullismo online, chiamate senza mezzi termini «troie» ed esortate a «vergognarsi» per i loro comportamenti, gli stessi fan in un evidente eccesso di misoginia non facevano una piega, invece, di fronte ad atteggiamenti a dir poco terrificanti di altre star maschili come Jung Joon-young e Choi Jong-hoon. I due ragazzi si sentivano così intoccabili e al di sopra della legge da arrivare a gestire una chat room dove condividevano filmati in cui facevano sesso con donne che sembravano in stato di incoscienza, molto probabilmente drogate. Con commenti del tipo: «Aspetta. È svenuta. Voglio vederla viva». «L’hai violentata, bravo», accompagnato da una faccina che ride.

Il gruppo di K-Pop BTS (Getty).

LE INCHIESTE DELLA MAGISTRATURA

Il primo tentativo di suicidio di Goo, a maggio, avrebbe dovuto rappresentare un serio campanello d’allarme per le case discografiche di K-pop. Invece nessuno nel settore sembra essersi reso conto della tragedia che si stava consumando.

LEGGI ANCHE: #NoMarriageMovement, le coreane dicono no a figli e matrimonio

Le autorità di Seul, invece, sembrano aver preso sul serio questa crisi nel K-pop: i pubblici ministeri hanno incriminato Jung con l’accusa di violenza sessuale che potrebbe portarlo in carcere per un minimo di sette anni, mentre la “Legge di Sulli” contro il cyberbullismo verrà presentata il mese prossimo all’Assemblea nazionale.

Lee Seung-hyun in tribunale (Getty).

L’UNICA PRIORITÀ È FARE SOLDI

Forse non sapremo mai quale sostegno è stato offerto a Goo dopo il suo primo tentativo di suicidio a maggio, se qualcuno ha cercato di aiutarla. Di certo l’unica notizia che, negli ultimi sei mesi, i fan di K-pop nel mondo hanno avuto della giovanissima star è stata quella diffusa due settimane fa, quando il suo manager ha tentato di rilanciarne la carriera attraverso un mini-tour che comprendeva una sola data in Giappone. Nemmeno una parola sulle difficoltà e il disagio che stava attraversando la giovane stellina; il che suggerisce con ogni evidenza che la massima priorità era quella di riportarla sul palco e fare soldi, non certo risolvere i problemi che l’avevano spinta una prima volta a provare di togliersi la vita. Tentativo alla fine riuscito.

UNO SHOWBIZ MALATO

Considerando le voci che circolano da tempo sugli abusi sessuali subiti dalle giovani star dello showbiz locale, è sorprendente che il bilancio delle vittime non sia addirittura più alto. Nel 2009 l’attrice 29enne Jang Ja-yeon si è tolta la vita lasciando un biglietto in cui affermava di essere stata costretta a fare sesso con più di 30 uomini famosi. E nel 2013, il Ceo di Open World Entertainment, Jang Seok-woo, è stato processato e incarcerato per aver violentato 11 studentesse.

LE CONTRADDIZIONI DELLA SOCIETÀ SUDCOREANA

Si potrebbe anche sostenere che molti fan di K-pop hanno una parte di responsabilità in questa ondata di suicidi. Attraverso l’odio e gli attacchi rivolti ai loro beniamini sui social, infatti, hanno finito per minare il fragile equilibrio di questi protagonisti-bambini cresciuti troppo in fretta. Ma le tragiche morti di ragazzi e ragazze troppo giovani, troppo famosi e alla fine troppo insicuri e soli, fanno emergere tutte le contraddizioni di una società ipercompetitiva, dove un diploma universitario è considerato un prerequisito anche per trovare un lavoro comune. Una società che rischia di pagare un prezzo devastante non solo nel mondo luccicante dello spettacolo, ma in ogni settore per la mancanza delle politiche sociali necessarie a combattere il fenomeno dilagante della depressione, in un Paese che ha il più alto tasso di suicidi tra le nazioni ricche del Pianeta.

LEGGI ANCHE: Per cosa combattono le sudcoreane di Escape the Corset

E fino a quando l’industria del K-pop, in una Corea del Sud per molti versi ancora patriarcale e misogina, non smetterà di trattare le sue giovani star come oggetti di consumo per guadagnare denaro, continuerà ad avere le mani sporche del loro sangue.

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Cosa si nasconde sotto il mondo scintillante del K-pop

Suicidi, abusi, violenze. Lo showbiz sudcoreano è malato. E racconta molto di una società ipercompetitiva e piena di contraddizioni.

Cosa sta accadendo nel mondo luccicante e apparentemente leggero del Korean-pop o K-pop come lo conoscono e lo seguono, elettrizzati ed entusiasti, tantissimi adolescenti anche in Italia?

Sembra qualcosa di terribile a giudicare dall’inquietante record di suicidi che si riscontra in Corea del Sud tra le star del genere: quattro morti in due anni. L’ultimo a togliersi la vita, martedì, è stato Cha In Ha, membro del gruppo Surprise U, che è stato trovato senza vita nella sua abitazione di Seul.

Al momento sono ancora in corso le indagini per comprendere quali siano state esattamente le cause della morte. Nel frattempo la sua casa di produzione ha diffuso un comunicato nel quale ha confermato il decesso: «Siamo devastati», hanno scritto. Cha aveva solo 27 anni.

LA DRAMMATICA SCIA DI SUICIDI NEL K-POP

Il suo suicidio segue di poco quello della cantante Goo Hara, 28 anni, trovata morta nella sua casa di Seul solo sei mesi dopo essere sopravvissuta a un precedente tentativo di suicidio. E a sua volta la morte di Goo è arrivata sei settimane dopo che Sulli, un’altra star del K-pop e amica intima di Goo, si era tolta la vita a ottobre a 25 anni, dopo una lunga battaglia contro il bullismo online.

UN GENERE DIVENTATO FENOMENO GLOBALE

Ormai divenuto un fenomeno musicale globale, il K-pop, con l’aura di tragedia che sembra accompagnarlo, rischia di mettere a nudo i problemi ben più ampi di cui soffrono la gioventù e l’intera società sudcoreana. Il genere è diventato famoso a partire dal 1996 grazie alle boyband. Dopo una fase di recessione, nel 2003 è stato rilanciato a livello internazionale dai successi di gruppi come i TVXQ e i BoA. Negli ultimi due anni, soprattutto grazie ai social media, il K-Pop è riuscito a sfondare anche nelle classifiche degli Stati Uniti con i BTS, la prima band sudcorerana a vincere un Billboard Music Award.

Il funerale della star del K-Pop Goo Hara (Getty).

LE GIOVANI STAR SONO SOTTOPOSTE A UNA INCREDIBILE PRESSIONE

L’ondata di suicidi del K-pop è iniziata quasi due anni fa quando Kim Jong-hyun, meglio noto come Jonghyun della band Shinee, si uccise nel dicembre del 2017, anche lui a soli 27 anni. Naturalmente i suicidi nel mondo della musica non sono una novità: il frontman dei Nirvana, Kurt Cobain, si suicidò nel 1994, e recentemente si sono tolte la vita due icone pop molto conosciute, con schiere di fan al loro seguito, Keith Flint dei Prodigy e Chester Bennington dei Linkin Park.

LEGGI ANCHE:In Corea del Sud c’è una prigione per le persone stressate

Ma ben quattro celebrità dello stesso settore, nello stesso Paese, che si tolgono la vita, giovanissime, in meno di due anni, indicano che probabilmente qualcosa è andato tragicamente storto nel K-pop. La pressione che il sistema esercita sulle sue stelle – in particolare le donne – è fortissima. Inizia nel momento in cui entrano nelle scuole di formazione da adolescenti: i telefoni cellulari vengono confiscati, sono tagliati fuori dalla famiglia e dagli amici ed è loro vietato di intrattenere normali relazioni giovanili. Le scuole proiettano un’immagine bizzarra e conflittuale, eternamente in bilico tra innocenza e disponibilità sessuale.

Il pubblico del K-pop World Festival a Changwon (Getty).

IL CYBERBULLISMO CONTRO SULLI E GOO

Sulli e Goo, per esempio, si sono dovute sottoporre a un esame continuo e impietoso delle loro vite private ed entrambe hanno dovuto affrontare dure critiche, attacchi e offese online: Sulli è stata messa alla gogna sui social, poco prima della sua morte, per aver postato su Instagram foto di un festino alcolico a casa sua, mentre Goo era stata coinvolta in una brutta storia di revenge-porn: un suo ex aveva postato online un filmato in cui facevano sesso.

LE ACCUSE DI ABUSI E VIOLENZE

I doppi standard che si applicano in Corea del Sud, ma non solo, alle stelle del K-pop, a seconda se siano maschi o femmine, sono evidenti. Mentre Sulli e Goo venivano prese di mira dal bullismo online, chiamate senza mezzi termini «troie» ed esortate a «vergognarsi» per i loro comportamenti, gli stessi fan in un evidente eccesso di misoginia non facevano una piega, invece, di fronte ad atteggiamenti a dir poco terrificanti di altre star maschili come Jung Joon-young e Choi Jong-hoon. I due ragazzi si sentivano così intoccabili e al di sopra della legge da arrivare a gestire una chat room dove condividevano filmati in cui facevano sesso con donne che sembravano in stato di incoscienza, molto probabilmente drogate. Con commenti del tipo: «Aspetta. È svenuta. Voglio vederla viva». «L’hai violentata, bravo», accompagnato da una faccina che ride.

Il gruppo di K-Pop BTS (Getty).

LE INCHIESTE DELLA MAGISTRATURA

Il primo tentativo di suicidio di Goo, a maggio, avrebbe dovuto rappresentare un serio campanello d’allarme per le case discografiche di K-pop. Invece nessuno nel settore sembra essersi reso conto della tragedia che si stava consumando.

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Le autorità di Seul, invece, sembrano aver preso sul serio questa crisi nel K-pop: i pubblici ministeri hanno incriminato Jung con l’accusa di violenza sessuale che potrebbe portarlo in carcere per un minimo di sette anni, mentre la “Legge di Sulli” contro il cyberbullismo verrà presentata il mese prossimo all’Assemblea nazionale.

Lee Seung-hyun in tribunale (Getty).

L’UNICA PRIORITÀ È FARE SOLDI

Forse non sapremo mai quale sostegno è stato offerto a Goo dopo il suo primo tentativo di suicidio a maggio, se qualcuno ha cercato di aiutarla. Di certo l’unica notizia che, negli ultimi sei mesi, i fan di K-pop nel mondo hanno avuto della giovanissima star è stata quella diffusa due settimane fa, quando il suo manager ha tentato di rilanciarne la carriera attraverso un mini-tour che comprendeva una sola data in Giappone. Nemmeno una parola sulle difficoltà e il disagio che stava attraversando la giovane stellina; il che suggerisce con ogni evidenza che la massima priorità era quella di riportarla sul palco e fare soldi, non certo risolvere i problemi che l’avevano spinta una prima volta a provare di togliersi la vita. Tentativo alla fine riuscito.

UNO SHOWBIZ MALATO

Considerando le voci che circolano da tempo sugli abusi sessuali subiti dalle giovani star dello showbiz locale, è sorprendente che il bilancio delle vittime non sia addirittura più alto. Nel 2009 l’attrice 29enne Jang Ja-yeon si è tolta la vita lasciando un biglietto in cui affermava di essere stata costretta a fare sesso con più di 30 uomini famosi. E nel 2013, il Ceo di Open World Entertainment, Jang Seok-woo, è stato processato e incarcerato per aver violentato 11 studentesse.

LE CONTRADDIZIONI DELLA SOCIETÀ SUDCOREANA

Si potrebbe anche sostenere che molti fan di K-pop hanno una parte di responsabilità in questa ondata di suicidi. Attraverso l’odio e gli attacchi rivolti ai loro beniamini sui social, infatti, hanno finito per minare il fragile equilibrio di questi protagonisti-bambini cresciuti troppo in fretta. Ma le tragiche morti di ragazzi e ragazze troppo giovani, troppo famosi e alla fine troppo insicuri e soli, fanno emergere tutte le contraddizioni di una società ipercompetitiva, dove un diploma universitario è considerato un prerequisito anche per trovare un lavoro comune. Una società che rischia di pagare un prezzo devastante non solo nel mondo luccicante dello spettacolo, ma in ogni settore per la mancanza delle politiche sociali necessarie a combattere il fenomeno dilagante della depressione, in un Paese che ha il più alto tasso di suicidi tra le nazioni ricche del Pianeta.

LEGGI ANCHE: Per cosa combattono le sudcoreane di Escape the Corset

E fino a quando l’industria del K-pop, in una Corea del Sud per molti versi ancora patriarcale e misogina, non smetterà di trattare le sue giovani star come oggetti di consumo per guadagnare denaro, continuerà ad avere le mani sporche del loro sangue.

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L’intervista di Tavares che non è piaciuta a Torino

L'amministratore delegato di Psa ha scelto per il suo primo colloquio con un giornalista italiano Luca Ciferri. Firma indigesta a Fca e corrispondente del settimanale Automotive News. Che a inizio dicembre aveva premiato Manley dando uno schiaffo alla buon'anima di Marchionne.

Luca Ciferri è stato il primo giornalista italiano a pubblicare una lunga intervista con Carlos Tavares, l’amministratore delegato di Psa (Peugeot Citroen), da quando è in atto una trattativa che dovrebbe concludersi con l’acquisto da parte dei francesi del costruttore anglo-olandese Fca. D’accordo, Ciferri è da anni Associate Publisher & Editor del mensile di lingua inglese Automotive News Europe che dirige dalla periferia di Torino, e da decenni è il corrispondente del settimanale Automotive News, autorevole e temuta bibbia dell’industria dell’auto con sede a Detroit. Ma la scelta di Tavares ha lasciato di stucco molti addetti ai lavori perché Ciferri è notoriamente in cima alla lista nera di Mirafiori-Lingotto. Vero che non è il solo giornalista non invitato a conferenze stampa della casa anglo-olandese, comprese quelle finanziarie, nonostante le azioni di Fca siano quotate presso le borse di New York e Milano e, quindi, tutto ciò che è price sensitive va divulgato urbi et orbi e allo stesso tempo. Anche giornalisti di importanti testate finanziarie americane affermano che è stato riservato loro lo stesso trattamento.

NESSUN VOLTO DI FCA NELLO SPECIALE TALK FROM THE TOP

Plausibile ipotizzare che Torino non abbia per niente apprezzato la decisione del dirigente portoghese che, salvo imprevisti, sta per diventare il capo del quarto gruppo auto del mondo. Per esempio, la dice lunga l’assenza di un rappresentante di Fca nello speciale titolato Talk from the Top, allegato al numero di dicembre di Automotive News Europe, che raccoglie interviste con ben 20 ceo o capi brand (tra questi, Tavares, Luca de Meo, Seat, Stefano Domenicali, Lamborghini). Il love affair di Tavares con le testate dell’importante gruppo editoriale ha attraversato l’Atlantico. Lunedì 2 dicembre, a Detroit, sono state premiate le All Stars (a Roma direbbero i meio) dell’industria dell’automobile nel 2019. È l’evento più significativo di Automotive News. Il premio più prestigioso e ambito (Industry leader of the year) è stato consegnato a Tavares al suo debutto nella capitale americana dell’auto nella veste di quasi ad di Psa con in pancia Fca.

QUEL PREMIO A MANLEY CHE SA DI SCHIAFFO A MARCHIONNE

L’effetto Tavares ha consentito agli editori di Automotive News di premiare anche rappresentanti di Fca dopo alcuni anni di incomunicabilità anche nel Michigan. E così l’ad Mike Manley si è visto premiato per Talent acquisition, cioè per l’aver cercato e trovato specialisti e dirigenti fuori dall’azienda. La motivazione elenca quattro acquisti fatti sul mercato: Mark Stewart, capo del Nordamerica di provenienza Amazon; Christian Meunier, che dirige Jeep avendo alle spalle esperienze presso Ford, Land Rover e Infiniti; Davide Grasso, messo a capo di Maserati venendo da Nike; il responsabile della comunicazione Niel Golightly già in Shell. Difficile non leggere nella scelta di Automotive News un sonoro ceffone alla buon’anima di Sergio Marchionne. Il defunto ceo italo-canadese ci teneva a ribadire quanto tempo dedicava (oltre due mesi all’anno) allo sviluppo delle carriere dei manager Fca. Sembra chiaro che Manley non abbia trovato in casa le professionalità di cui Fca aveva necessità. E così, sotto gli occhi di Tavares, Manley ha ritirato un riconoscimento che odora di perfidia nei riguardi di Marchionne del quale è stato stretto collaboratore.

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Quali sono i piani di Erdogan e della Turchia in Libia

Il presidente turco ha difeso il memorandum con il governo di Serraj aprendo anche a trivellazioni congiunte in mare. E sulla guerra dice: «Pronti a intervenire se Tripoli lo chiederà».

L’attivismo del presidente turco Recep Tayyip Erdogan in Libia è sempre più alto. Recentemente il sultano ha ribadito che «nel caso di un invito» da parte del governo libico di Fayez al-Sarraj a compiere un intervento militare, «la Turchia deciderà autonomamente che tipo di iniziativa prendere». Erdogan ha criticato anche il sostegno di Russia, Emirati Arabi Uniti ed Egitto al generale Khalifa Haftar e aggiungendo di volerne discutere in una telefonata con Vladimir Putin. Erdogan ha inoltre accusato i Paesi che sostengono l’uomo forte della Cirenaica di violare l’embargo alla vendita di armi imposto dalle Nazioni Unite. La Turchia è stata a sua volta accusata in passato di fornire armi alle milizie fedeli a Tripoli. Le affermazioni del leader di Ankara sono arrivate dopo il memorandum d’intesa sulla demarcazione dei confini marittimi siglato il 27 novembre scorso a Istanbul con il governo di accordo nazionale (Gna) di Tripoli.

IL PESO DELL’ACCORTO TRIPOLI-ANKARA

«Con questo accordo» sulla demarcazione dei confini marittimi con la Libia, ha detto ancora Erdogan, «abbiamo fatto un passo legittimo nel quadro del diritto internazionale contro gli approcci che la Grecia e l’amministrazione greco-cipriota hanno cercato di imporre e le rivendicazioni di confini marittimi che miravano a confinare il nostro Paese al Golfo di Antalya». Il presidente, intervistato dalla tv di stato Trt, ha così difeso l’intesa soprattutto dalle critiche di Grecia, Cipro ed Egitto. Il leader di Ankara ha anche ipotizzato possibili «esplorazioni congiunte» con la Libia alla ricerca di idrocarburi offshore nelle aree delimitate dal memorandum. Atene, Nicosia e Il Cairo temono rischi di interferenze nelle loro attività di perforazione in mare. Solo 24 ore prima, Erdogan era intervenuto ancora una volta contro l’Occidente sia in funzioni anti israeliana che direttamente bacchettando la Francia di Macron.

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Strage in un ospedale della Repubblica Ceca: sei persone uccise in una sparatoria

Diversi feriti in un edificio di Ostrava, nel Nord del Paese. Le circostanze dell'accaduto sono poco chiare, con il killer che è ancora in fuga.

Strage in un ospedale universitario di Ostrava, nel Nord della Repubblica Ceca, dove sei persone sono rimaste uccise e diverse ferite in seguito a una sparatoria. A fornire il bilancio delle vittime è stato il ministro dell’interno Jan Hamacek, mentre non è ancora chiara la dinamica dell’accaduto. Quel che è certo è che il killer, un uomo alto un metro e 80 con un giubbotto rosso è in fuga. L’ospedale è stato evacuato.

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Strage in un ospedale della Repubblica Ceca: sei persone uccise in una sparatoria

Diversi feriti in un edificio di Ostrava, nel Nord del Paese. Le circostanze dell'accaduto sono poco chiare, con il killer che è ancora in fuga.

Strage in un ospedale universitario di Ostrava, nel Nord della Repubblica Ceca, dove sei persone sono rimaste uccise e diverse ferite in seguito a una sparatoria. A fornire il bilancio delle vittime è stato il ministro dell’interno Jan Hamacek, mentre non è ancora chiara la dinamica dell’accaduto. Quel che è certo è che il killer, un uomo alto un metro e 80 con un giubbotto rosso è in fuga. L’ospedale è stato evacuato.

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Sull’intelligenza artificiale Violante è prigioniero del passato

Il suo approccio pedagogico è anti-moderno. Figlio di una vecchia cultura organicistica che non fa i conti col presente né tantomeno col futuro.

Può capitare di non condividere le idee di persone con le quali lavori ovvero che vivono nel tuo stesso luogo di lavoro. Il 9 dicembre mi sono imbattuto in una auto-intervista dell’onorevole Luciano Violante, presidente della Fondazione Leonardo (che è altra cosa dalla rivista “Civiltà delle Macchine” che gode di una sua autonomia tutelata dalle leggi sulla stampa e dalla lungimiranza del vertice dell’azienda Leonardo) in cui si riproponevano i temi del convegno svoltosi recentemente alla Camera e promosso da Violante sull’intelligenza artificiale. La materia va molti di moda. Ci sono convegni bisettimanali. La novità e persino l’oscurità della prospettiva sollecitano pareri informati e un nugolo di pensieri approssimativi.

NON È UNA GARA A CHI COSTRUISCE LA GABBIA MIGLIORE

Il tema che si pone Violante, e che si pongono altri, è se mettere un limite all’invadenza dell’intelligenza artificiale e se, e come, va difeso l’umanesimo, chiamato anch’esso digitale, in questa fase storica. Il tema vede molteplici aspetti soprattutto se chiamiamo in campo scienziati che già vivono nel “dopodomani”. Spesso noi, invece, viviamo ancora all’interno di “ieri”, alla storia dei dati privati di cui si impadroniscono aziende e Stati. È un problema serio ma temo che il suggerimento di Violante «pedagogia per arrivare a regole» sia quanto di più anti-moderno si possa proporre ed è prigioniero di una vecchia cultura organicistica. Il tema vero è un altro: è quello di accelerare lo sviluppo dell’intelligenza artificiale in tutti i campi per verificare come e dove nascono, se nascono, i problemi di un nuovo umanesimo. È una sfida di intelligenze e di sapere, non una gara a chi costruisce la gabbia migliore.

PEDAGOGHI E GIURISTI NON SERVONO

Ogni rivoluzione tecnologica ha posto problemi di compatibilità con la natura, con l’umanesimo e con l’antropologia. Non si possono tuttavia stabilire regole e pedagogia, tantomeno regole pedagogiche. Si tratta viceversa di mettere a disposizione di grandi masse umane le risorse che il nuovo mondo ipertecnologico, che viaggia nella Rete e nello Spazio, può suggerire. Non ci servono pedagoghi e giuristi. È del tutto evidente che il tema vero è che gli Stati saranno lentamente logorati dallo sviluppo della conoscenza a disposizione dei singoli. Ci porremo il problema dell’umanesimo quando arriveremo su Marte? No, valuteremo ciò che avremo trovato e come combinare quello che sappiamo con quello che apprendiamo immergendoci nel domani e se quello che sappiamo è in grado di farci apprendere nuove cose e far fare un salto alla nostra umanità.

LE SARDINE E QUEL POPOLO DI INFORMATI CONSAPEVOLI

Il ruolo delle grandi aziende è fondamentale in questa rottura culturale che tende a ricomporre un più alto compromesso. Si parla di imprese che vivono nella società, che di questa si occupano, che danno vita a esperienze, anche attraverso fondazioni e giornali, non al servizio dell’accademia e della casta, ma di quel popolo che oggi si fa chiamare “delle sardine“, domani in altro modo, ma è il mondo degli informati consapevoli che non sanno che farsene di pedagogia e regole. E di giuristi.

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Sull’intelligenza artificiale Violante è prigioniero del passato

Il suo approccio pedagogico è anti-moderno. Figlio di una vecchia cultura organicistica che non fa i conti col presente né tantomeno col futuro.

Può capitare di non condividere le idee di persone con le quali lavori ovvero che vivono nel tuo stesso luogo di lavoro. Il 9 dicembre mi sono imbattuto in una auto-intervista dell’onorevole Luciano Violante, presidente della Fondazione Leonardo (che è altra cosa dalla rivista “Civiltà delle Macchine” che gode di una sua autonomia tutelata dalle leggi sulla stampa e dalla lungimiranza del vertice dell’azienda Leonardo) in cui si riproponevano i temi del convegno svoltosi recentemente alla Camera e promosso da Violante sull’intelligenza artificiale. La materia va molti di moda. Ci sono convegni bisettimanali. La novità e persino l’oscurità della prospettiva sollecitano pareri informati e un nugolo di pensieri approssimativi.

NON È UNA GARA A CHI COSTRUISCE LA GABBIA MIGLIORE

Il tema che si pone Violante, e che si pongono altri, è se mettere un limite all’invadenza dell’intelligenza artificiale e se, e come, va difeso l’umanesimo, chiamato anch’esso digitale, in questa fase storica. Il tema vede molteplici aspetti soprattutto se chiamiamo in campo scienziati che già vivono nel “dopodomani”. Spesso noi, invece, viviamo ancora all’interno di “ieri”, alla storia dei dati privati di cui si impadroniscono aziende e Stati. È un problema serio ma temo che il suggerimento di Violante «pedagogia per arrivare a regole» sia quanto di più anti-moderno si possa proporre ed è prigioniero di una vecchia cultura organicistica. Il tema vero è un altro: è quello di accelerare lo sviluppo dell’intelligenza artificiale in tutti i campi per verificare come e dove nascono, se nascono, i problemi di un nuovo umanesimo. È una sfida di intelligenze e di sapere, non una gara a chi costruisce la gabbia migliore.

PEDAGOGHI E GIURISTI NON SERVONO

Ogni rivoluzione tecnologica ha posto problemi di compatibilità con la natura, con l’umanesimo e con l’antropologia. Non si possono tuttavia stabilire regole e pedagogia, tantomeno regole pedagogiche. Si tratta viceversa di mettere a disposizione di grandi masse umane le risorse che il nuovo mondo ipertecnologico, che viaggia nella Rete e nello Spazio, può suggerire. Non ci servono pedagoghi e giuristi. È del tutto evidente che il tema vero è che gli Stati saranno lentamente logorati dallo sviluppo della conoscenza a disposizione dei singoli. Ci porremo il problema dell’umanesimo quando arriveremo su Marte? No, valuteremo ciò che avremo trovato e come combinare quello che sappiamo con quello che apprendiamo immergendoci nel domani e se quello che sappiamo è in grado di farci apprendere nuove cose e far fare un salto alla nostra umanità.

LE SARDINE E QUEL POPOLO DI INFORMATI CONSAPEVOLI

Il ruolo delle grandi aziende è fondamentale in questa rottura culturale che tende a ricomporre un più alto compromesso. Si parla di imprese che vivono nella società, che di questa si occupano, che danno vita a esperienze, anche attraverso fondazioni e giornali, non al servizio dell’accademia e della casta, ma di quel popolo che oggi si fa chiamare “delle sardine“, domani in altro modo, ma è il mondo degli informati consapevoli che non sanno che farsene di pedagogia e regole. E di giuristi.

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Lo scontro infinito tra Renzi e Formigli

Il leader di Italia viva torna all'attacco dopo il botta e risposta a distanza col conduttore di La7. E dice: «Sui giornali invocano la privacy solo per gli amici: così è doppia morale».

Prosegue il botta e risposta a distanza tra Matteo Renzi e Corrado Formigli, alimentato dalle polemiche nate dopo la pubblicazione online delle informazioni sulla casa del conduttore dai parte di diversi seguaci dell’ex premier. Nella giornata del 9 dicembre Renzi aveva definito una «porcheria» la diffusione delle immagini, invitando i suoi sostenitori a interrompere quella che aveva tutti i crismi di una shitstorming nei confronti di Formigli. Il quale, da parte sua, si era detto, per usare un eufemismo, poco convinto dalle parole del leader di Italia viva, accusato di una difesa strumentale solo per «proseguire la propria battaglia politica».

«DOPPIA MORALE DA CHI INVOCA LA PRIVACY PER GLI AMICI»

Non si è fatto attendere il contrattacco di Renzi. «Chi difende le nostre idee in Rete è stato massacrato per anni dalle #FakeNews», ha scritto di buon mattino su Twitter. «E oggi dalla doppia morale di chi invoca sui giornali la privacy solo per gli amici. Ne parliamo giovedì in Senato, abbiamo molto da dire».

«Vorrei mandare un abbraccio a tutti coloro che lottano sulla Rete per difendere le nostre idee», ha anche scritto il leader di Italia viva in un post su Facebook. «Il colmo è che siete stati massacrati da troll per anni con fake news e adesso vi attaccano persino sui giornali, solo perché difendete la verità e le vostre idee. Vi abbraccio forte forte. E vi garantisco che non ci fermeremo. Anzi: vi do appuntamento a giovedì quando interverrò in Senato su questa incredibile vicenda, facendo sentire la vostra voce».

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«DOPPIA MORALE DA CHI INVOCA LA PRIVACY PER GLI AMICI»

Non si è fatto attendere il contrattacco di Renzi. «Chi difende le nostre idee in Rete è stato massacrato per anni dalle #FakeNews», ha scritto di buon mattino su Twitter. «E oggi dalla doppia morale di chi invoca sui giornali la privacy solo per gli amici. Ne parliamo giovedì in Senato, abbiamo molto da dire».

«Vorrei mandare un abbraccio a tutti coloro che lottano sulla Rete per difendere le nostre idee», ha anche scritto il leader di Italia viva in un post su Facebook. «Il colmo è che siete stati massacrati da troll per anni con fake news e adesso vi attaccano persino sui giornali, solo perché difendete la verità e le vostre idee. Vi abbraccio forte forte. E vi garantisco che non ci fermeremo. Anzi: vi do appuntamento a giovedì quando interverrò in Senato su questa incredibile vicenda, facendo sentire la vostra voce».

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Conte tra rilancio della maggioranza e agenda per il 2023

Intervistato dal Corriere il premier torna sull'agenda di governo e sulla necessità di mettere a punto un cronoprogramma. «Dobbiamo correre insieme».

«Stare appeso non è nel mio carattere e la forza ci viene dai risultati. Più che di una verifica si tratterà di un rilancio». Così il premier Conte al Corriere della sera dopo la proposta di un “cronoprogramma” di governo fino al 2023. «Il dibattito pubblico di queste settimane non ci ha fatto bene perché ha restituito l’immagine di una maggioranza in cui sono tanti i tentativi di appuntare bandierine. Dobbiamo correre insieme». «Inviterò tutti», ha spiegato, «ad abbracciare questo spirito e pretenderò da tutti un chiaro impegno».

I PROGRAMMI PER IL 2020

«Abbiamo idee e gambe», ha affermato il premier, «per portare a compimento questa stagione riformatrice. Dobbiamo lavorare per tagliare ancor più le tasse. Occorre una decisa riforma dell’Irpef e della giustizia tributaria. Dobbiamo abbreviare i tempi dei processi penali e civili. Dobbiamo rilanciare il piano degli investimenti, con razionalizzazione delle risorse pubbliche, più efficace partenariato pubblico privato, riduzione dei lacci burocratici, semplificazione del quadro normativo, sostegno alle piccole e medie imprese. E accelerare la digitalizzazione della pubblica amministrazione».

LA CACCIA ALLE RISORSE PER IL 2021

Alla domanda su quali siano le risorse (almeno 18 miliardi servono per sterilizzre l’Iva per il 2021), Conte ha poi risposto: «Sono fiducioso. Se in 100 giorni abbiamo trovato risorse per 23 miliardi ed evitato un salasso di 540 euro di tasse a famiglia, in 365 giorni riusciremo a fare molto di più». Sull’evasione il capo del governo ha detto di voler seguire le parole del presidente della Repubblica Mattarella: «Dobbiamo perseverare nella lotta all’evasione, che insieme alla fiducia dei mercati finanziari ci consentirà di recuperare maggiori risorse».

PRONTO A LAVORARE CON RENZI

«Con Luigi Di Maio», ha spiegato ancora il premier, «ci conosciamo meglio e abbiamo buoni rapporti personali. Mi interessa rilanciare il lavoro di squadra, per governare nell’interesse degli italiani». «Con Renzi», ha poi spiegato, «non ho avuto molte occasioni, ma mi farà piacere incontrarlo presto. Io non ho problemi con nessuno, il dialogo è il principio metodologico della mia azione». Per quanto riguarda il Fondo Salva-Stati, osserva: «Sul Mes non ha aiutato l’Italia l’insieme di falsità della coppia Salvini-Borghi. La Lega che ho conosciuto io aveva respinto le pulsioni antieuropeiste».

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Com’è andato il vertice di Parigi tra Putin e Zelensky sull’Ucraina

Incontro positivo nella giornata di lavoro in Francia. Kiev e Mosca trovano nuove intese su prigionieri e cessate il fuoco. Nuovo appuntamento a Berlino nel 2020.

Da incontro quasi simbolico a vertice fiume. A Parigi il summit del formato Normandia sul futuro dell’Ucraina ha frantumato ogni scaletta prevista e i quattro leader, in una girandola di bilaterali, negoziati e cene di lavoro, hanno fatto le ore piccole. Ma l’esito sembra essere stato positivo. Il presidente russo Vladimir Putin, in una battuta strappata dai giornalisti, si è detto «soddisfatto» del suo faccia a faccia con l’omologo ucraino Volodymyr Zelensky. Che a sua volta, attraverso il portavoce, ha definito i negoziati «un successo». Tanto che tra quattro mesi le parti si rivedranno in Germania, a Berlino.

LA GIRANGOLA DI VERTICI E BILATERALI

Certo, il diavolo sta nei dettagli e resta da capire la misura di tanto ottimismo. Zelensky, l’ultimo arrivato al ‘grande gioco’ dei vertici internazionali, è sembrato a tratti spaesato ed è stato aiutato dal padrone di casa, Emmanuel Macron, a trovare il suo posto alla tavola rotonda, piazzata in una saletta dell’Eliseo, in cui i quattro si sono seduti per il vertice vero e proprio. Prima il programma prevedeva i bilaterali Zelensky-Macron e Putin-Merkel, poi il cambio di coppia (Putin-Macron, Zelensky-Merkel). Quindi i negoziati a quattro, seguiti dal primo incontro privato tra Putin e Zelensky (durato a quanto pare 15 minuti).

PRIGIONIERI, CESSATE IL FUOCO ED ELEZIONI: I PUNTI DI ZELENSKY

I leader si sono poi rivisti alla cena di lavoro, proseguita ben oltre le iniziali previsioni. Ed è qui che sembrerebbe essere iniziato il lavoro vero, per limare le parole da includere nel comunicato congiunto prima della conferenza stampa (quattro le domande ammesse, una per Paese). Il presidente ucraino ha potuto contare su una folta schiera di consiglieri ad assisterlo nei vari punti in programma (tra cui il capo dei servizi di sicurezza, il capo dell’esercito, il numero uno della compagnia nazionale del gas, la Naftogaz, e il ministro dell’Energia). Zelensky aveva evidenziato tre argomenti chiave del vertice: un ulteriore scambio di prigionieri (poi confermato), un cessate il fuoco e le elezioni locali nel Donbass.

IL NODO DEGLI ACCORDI SUL GAS

L’Ucraina attende con ansia l’esito di questo vertice e non manca, in Patria, l’opposizione per quella che viene giudicata come una linea di ‘appeasement’ con Mosca. Ovvero mettere fine, senza se e senza ma, alla guerra nel Donbass. E dunque è cruciale capire se vi sono passi avanti chiari sull’attuazione degli accordi di Minsk – fondamentali anche per togliere le sanzioni alla Russia – oppure se si tratta solo di intenzioni. L’altro tema caldo è quello del rinnovo del contratto di fornitura del gas a Kiev, che scade il 31 dicembre 2019. Trovare un’intesa per rinnovarlo è interesse sia di Zelensky che di Putin (che pure a Parigi poteva contare sulla presenza dell’ad di Gazprom, Alexei Miller, e il ministro dell’Energia Alexander Novak, i ‘signori del gas’). Anche su questo fronte qualcosa è trapelato. E cioè che serviranno ulteriori negoziati in diversi formati – bilaterali e trilaterali con la Commissione Europea – per arrivare a un accordo.

I PUNTI SALIENTI DELL’INTESA

  • Un nuovo scambio di prigionieri sulla base del principio ‘tutti per tutti’, ovvero la restituzione di tutti i noti detenuti di entrambe le parti. La data stabilita, ha detto il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, è quella del 24 dicembre.
  • Le parti si impegnano a una piena e completa attuazione del cessate il fuoco, rafforzato dall’attuazione di tutte le necessarie misure di sostegno alla tregua, prima della fine del 2019.
  • Le parti sosterranno un accordo all’interno del Gruppo di contatto trilaterale su tre ulteriori aree di disimpegno dal fronte, con l’obiettivo di smobilitare forze e mezzi entro la fine di marzo 2020.
  • Le parti sosterranno un accordo all’interno del Gruppo di contatto trilaterale, entro 30 giorni, su nuovi punti di attraversamento lungo la linea del fronte, basati principalmente su criteri umanitari.
  • Le parti ritengono necessario integrare la “formula di Steinmeier” nella legislazione ucraina, in conformità con la versione concordata nell’ambito del Formato Normandia e del Gruppo di contatto trilaterale.
  • Un nuovo vertice del Formato Normandia verrà organizzato fra quattro mesi per verificare l’avanzamento degli accordi e continuare la discussione per trovare “punti di compromesso” sulle questioni ancora non risolte

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Cosa c’è dietro l’abuso di colpi di fiducia del governo

Lavori in Aula compressi e parlamentari ridotti a spettatori votanti delle leggi. Così il Conte II reagisce all'aumento di attriti in maggioranza fra Pd, M5s e Italia viva. Ma anche gli esecutivi precedenti hanno fatto allo stesso modo. Rischio di esercizio provvisorio e proteste delle opposizioni: il quadro.

In attesa del chiarimento tra le forze di maggioranza e del conseguente cronoprogramma di legislatura, il governo va avanti a colpi di fiducia. A conferma che il livello di scontro politico tra i partiti è molto alto e bisogna mettere un freno alle liti. L’esito è sotto gli occhi di tutti: i lavori in Aula vengono compressi sempre di più e i parlamentari sono spesso ridotti a spettatori votanti dei provvedimenti. La fiducia infatti, solitamente usata per compattare la maggioranza ed evitare l’ostruzionismo dell’opposizione, fa decadere tutte le proposte di modifica alla legge che deve essere quindi votata così come è stata presentata.

GIÀ OTTO QUESTIONI DI FIDUCIA IN QUATTRO MESI

Entro fine 2019, infatti, potrebbero salire a otto le questioni di fiducia poste fin dal giuramento del Conte II. Una media di due al mese. Ufficialmente sono già cinque, ma «ne arriveranno altre», ha previsto il navigato parlamentare di Forza Italia, Simone Baldelli. E per le «altre» si intende la doppia fiducia sulla legge di bilancio, prima al Senato e poi alla Camera, e quella sul decreto fiscale, che entro Natale deve essere licenziato da Palazzo Madama, pena la decadenza.

IL FRENO DI FICO: «SONO TROPPE»

Il presidente della Camera, Roberto Fico, si è sentito in dovere di sollevare la questione: «Ci sono troppe fiducie», ha scandito, ricordando di aver già scritto al presidente del Consiglio per rimarcare questo problema. La tendenza è addirittura peggiorata rispetto al precedente esecutivo: anche in quel caso si era arrivati a fine anno con otto fiducie, ma il giuramento c’era stato a giugno, tre mesi prima. E soprattutto è la sequenza a destare perplessità: da fine ottobre in poi, il Conte II ha fatto ricorso a questo strumento in maniera sistematica, a partire dall’approvazione del dl imprese. Un segnale dell’aumento degli attriti tra Movimento 5 stelle, Partito democratico e Italia viva.

SI RISCHIA L’ESERCIZIO PROVVISORIO

Dopo la fiducia posta sul decreto fiscale è toccato al dl clima il 9 dicembre. In entrambi i casi alla Camera. E il numero, come preconizzato dalle opposizioni, è destinato a salire, altrimenti si rischia l’esercizio provvisorio. Da qui la necessità di contingentare i tempi. Sempre che per la manovra si riesca a evitare una terza lettura: c’è il pericolo di qualche lieve modifica, leggasi incidente, nel percorso a Montecitorio. A quel punto il testo dovrebbe per forza tornare a Palazzo Madama: l’approvazione slitterebbe tra le festività natalizie e il Capodanno (come è avvenuto nel 2018) con fiducia aggiuntiva.

L’OBIETTIVO: CHIUDERE ENTRO NATALE

L’obiettivo del governo è comunque quello di evitare ulteriori rallentamenti, chiudendo la partita in due letture e quindi prima di Natale. È una necessità tecnica, ma soprattutto politica: prima del vertice del nuovo anno, fondamentale per stabilire l’agenda, si punta a evitare inciampi. Che potrebbero risultare fatali. Un cosa è comunque certa: «Sulla manovra non toccheremo palla», ammettono i deputati, senza peraltro grosse sorprese.

TENSIONI CHE HANNO FRENATO I LAVORI

Le tensioni a mezzo stampa alla fine si sono riversate sui lavori in parlamento. Nonostante i tentativi di confronto costruttivo in Commissione, le forze di maggioranza hanno dovuto prendere atto delle divisioni interne, allungando i tempi per la preparazione dei provvedimenti più attesi. L’iter della legge di bilancio è stato accidentato, per usare un eufemismo.

GIOVEDÌ IL TESTO NELL’AULA DEL SENATO

Non da meno, però, è stato il decreto fiscale con continui vertici e mediazioni. Le cronache hanno riportato le lacerazioni. E anche nelle ultime ore si è andati a avanti a fatica. Solo giovedì il testo arriva nell’Aula al Senato per essere approvato venerdì, come ha riferito il capogruppo del Partito democratico, Andrea Marcucci.

I PRECEDENTI: HA FATTO PEGGIO GENTILONI

Il tema della fiducia ha sempre surriscaldato gli animi. Il primo governo Conte vi ha fatto ricorso in totale 15 volte in poco più di 14 mesi di vita. L’ultimo caso è stato il voto sul decreto sicurezza. Un percorso decisamente migliore, finora, rispetto al Conte II. La magra consolazione è che c’è chi ha fatto di peggio: l’esecutivo guidato da Paolo Gentiloni, l’ultimo della precedente legislatura, ha chiesto in totale 28 volte la fiducia con la media 2,5 volte al mese.

PER MONTI TRE FIDUCIE AL MESE

Mentre il dato dell’attuale governo è in linea con quello presieduto da Matteo Renzi, che ha fatto ricorso a questo strumento in 66 casi con una media di circa due al mese. E per trovare ancora di peggio bisogna tornare all’esperienza di Mario Monti a Palazzo Chigi: il suo governo aveva posto la questione di fiducia, in media, tre volte al mese.

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La Borsa italiana e il valore dello spread del 10 dicembre 2019

Apertura in calo per Piazza Affari. Il differenziale Btp-Bund riparte da quota 158 punti base. I mercati in diretta.

Apertura debole per la Borsa italiana nella seduta del 10 dicembre 2019. Piazza Affari ha avviato le contrattazioni con l’indice Ftse Mib a -0,09% a quota 22.935 punti. La giornata precedente è terminata con un -0,97%. In flessione anche i principali listini europei: Parigi -0,06%, Francoforte -0,3% e Londra -0,25%.

Il 9 dicembre a Piazza Affari hanno sofferto in particolare Azimut (-3,61%), Recordati (-3,01%), Prysmian (-2,43%) e Leonardo (-2,2%). Prese di beneficio anche sul lusso, con Ferragamo che ha ceduto il 3,78%. Sotto pressione Fineco (-2,03%) e Ubi (-1,73%), mentre ha tenuto Unicredit (-0,05%). Buon passo per Mps (+1,64%), positiva Stm (+0,44%), sulla parità Atlantia.

SPREAD INTORNO A QUOTA 158 PUNTI

Lo spread tra Btp e Bund è sostanzialmente stabile in avvio di giornata a quota 158 punti, come alla chiusura in netto calo del 9 dicembre. Il rendimento del titolo decennale italiano è pari all’1,27%.

BORSE ASIATICHE DEBOLI IN ATTENSA DELLA TRATTATIVA SUI DAZI

Seduta fiacca per le Borse di Asia e Pacifico con il listini che scontano la debolezza di Wall Street e l’assenza di segnali sull’accordo commerciale tra Stati Uniti e Cina mentre si avvicina la scadenza del 15 dicembre per la possibile stretta ai dazi da parte americana. Cede Tokyo con un marginale -0,09% e lo stesso fa Hong Kong (-0,11%) con l’ondata di proteste che non trova soluzione. Poco mosse anche Shanghai (+0,10%) e Shenzhen (+0,38%) mentre l’inflazione cinese a novembre segna i massimi da gennaio 2012. Positiva Seul (+0,45%), in flessione Sydney (-0,34%). Attese in flessione anche le Piazze europee mentre il petrolio è poco mosso 58,9 dollari al barile. Tra i macro previsti la produzione industriale di Italia, Francia e Regno Unito. E sempre da Londra il dato sul Pil. Sotto la lente anche lo stato di salute dell’economia tedesca con l’indice Zew.

GLI AGGIORNAMENTI DEI MERCATI IN DIRETTA

9.21 – HONG KONG CHIUDE IN NEGATIVO

La Borsa di Hong Kong chiude la seduta in territorio negativo: l’indice Hang Seng cede lo 0,22%, scivolando a quota 26.436,62, con una perdita di 58,11 punti.

9.07 – APERTURA BORSA DI MILANO IN CALO

Piazza Affari apre debole. Il Ftse Mib segna un -0,09% a quota 22.935 punti

8.32 – SHANGHAI CHIUDE IN POSITIVO

Le Borse cinesi chiudono gli scambi in rialzo grazie al rally della seconda parte della seduta: l’indice Composite di Shanghai sale dello 0,10%, a 2.917,32 punti, mentre quello di Shenzhen registra un progresso dello 0,38%, a quota 1.646,82. L’inflazione ha registrato a novembre un aumento annuo del 4,5%, ai massimi da gennaio 2012, scontando ancora il balzo dei prezzi della carne di maiale per l’epidemia di peste suina che ha decimato gli allevamenti. Il dato, diffuso dall’Ufficio nazionale di statistica, si misura con il +3,8% di ottobre e il +4,2% atteso alla vigilia dagli analisti. Lo yuan si rafforza di appena 5 punti base sul dollaro dopo che la Banca centrale cinese ha fissato la parità bilaterale a quota 7,0400: a ridosso della chiusura dei listini, il renminbi segna uno spot rate di 7,0373 (-0,02%).

7.44 – CHIUSURA BORSA DI TOKYO POCO VARIATA

La Borsa di Tokyo termina poco variata con gli investitori che guardano a nuovi sviluppi sulle trattative del commercio internazionale tra le delegazioni Cina e Stati Uniti mentre si avvicina la scadenza per l’applicazione di nuove tariffe sulle merci cinesi da parte di Washington. Il Nikkei segna una variazione appena negativa dello 0,09% a quota 23.410,19, con una perdita di 20 punti. Sul fronte valutario lo yen è stabile sul dollaro a 108,60, e sull’euro a 120,10.

3.10 – HONG KONG DEBOLE IN AVVIO

La Borsa di Hong Kong apre la seduta in calo scontando la debolezza di Wall Street e l’assenza di segnali sull’accordo commerciale tra Usa e Cina, mentre si avvicina la scadenza del 15 dicembre per la possibile stretta ai dazi da parte americana sull’import di oltre 100 miliardi di dollari di beni made in China. L’Hang Seng cede nelle prime battute lo 0,44%, a 26.378,99 punti. Scivolano anche Shanghai e Shenzhen, i cui indici Composite cedono, rispettivamente, lo 0,19% (a 2.908,94 punti) e lo 0,23%, a quota 1.636,66.

1.21 – APERTURA BORSA DI TOKYO IN CALO

La Borsa di Tokyo apre all’insegna della cautela con gli investitori che attendono il dato sull’inflazione in Cina, e guardano a nuovi sviluppi sulle trattative del commercio internazionale tra le delegazioni di Pechino e Washington. Il Nikkei mette a segno una variazione appena negativa dello 0,17% a quota 23.371,41, con una perdita di 40 punti. Sul fronte valutario lo yen si apprezza sul dollaro a 108,50, ed è stabile sull’euro a 120,10.

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