Gian Micalessin spiega come è cambiato il giornalismo di guerra

L'inviato del Giornale racconta 30 anni di reportage. Ma anche la paura e la perdita di amici come Almerigo Grilz. E mette in guardia dall'informazione mordi e fuggi sui social. L'intervista.

Raccontare i conflitti del mondo. Quelli lontani, dimenticati, sconosciuti. E quelli più vicini. Dall’Afghanistan alla Birmania, dall’Ucraina alla ex Jugoslavia. Dall’Africa fino al Medio Oriente. Al seguito di guerriglie, eserciti e soldati di ventura. Nel deserto o nella giungla. Tra speranze, violenze e sogni. È quello che da più di 30 anni fanno Gian Micalessin e Fausto Biloslavo che hanno raccolto molti dei loro lavori nel libro Guerra, guerra, guerra, uscito per Mondadori nell’aprile del 2018 e ora in edicola con Il Giornale.

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UN’AVVENTURA COMINCIATA IN AFGHANISTAN NEL 1983

Quello scelto dagli autori è un titolo con due significati ben precisi. «Guerra tre volte perché attraverso i reportage raccontiamo i cambiamenti intercorsi nell’arco di tre decenni», spiega a Lettera43.it Gian Micalessin. Il lavoro dei due reporter, infatti, inizia al seguito dei mujaheddin nell’Afghanistan del 1983 invaso quattro anni prima dall’Unione Sovietica. «Il mondo era ancora diviso tra Usa e Urss, l’Italia si affacciava sulla scena internazionale con la missione in Libano, internet e telefoni cellulari appartenevano alla fantascienza e noi eravamo dei ragazzini poco più che ventenni», racconta il giornalista. «Sotto i nostri occhi, mentre corriamo da una guerra all’altra, si susseguono i grandi cambiamenti politici e tecnologici che modificheranno la nostra vita e il mondo. Tutto questo si  riflette, inevitabilmente, anche nelle guerre e nel nostro modo di raccontarle»

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IL RICORDO DI ALMERIGO GRILZ

Nei racconti scritti nel libro, con Micalessin e Biloslavo continua a viaggiare e vivere anche il ricordo di Almerigo Grilz, «l’amico e compagno di viaggi con cui iniziammo questa lunga avventura». Il reporter ucciso e il 19 maggio 1987 mentre raccontava la guerra civile in Mozambico, è stato il primo giornalista italiano a cadere dopo la Seconda Guerra mondiale. Ma è anche il più ignorato dagli ambienti  giornalistici del nostro Paese. «Questo libro», precisa Micalessin, «è anche un modo per contribuire al suo ricordo e a quello di altri amici persi lungo la strada».

QUELLA PAURA CHE NON SCOMPARE MAI

A distanza di oltre 30 anni, la vicinanza con la morte continua a fare paura. «La paura c’è sempre. C’è prima di partire, quando ti dici non può andare sempre bene. C’è prima di andare in battaglia perché sai che non ci sono garanzie», mette in chiaro Micalessin. «In due occasioni ho avuto più paura del solito, in Congo nel 1995 e in Iraq nel 2016.  In Congo perché andai a raccontare non una guerra, ma la seconda grande epidemia di Ebola. E lo feci direttamente dall’epicentro del contagio a Kikwit. Qui l’incubo maggiore fu ignorare, per oltre 20 giorni dopo il ritorno a casa, se il virus aveva colpito anche me». E poi nel 2016, in Iraq, quando il reporter era insieme alle milizie sciite che andavano all’attacco dell’aeroporto di Tal Afar sotto scacco dello Stato Islamico. «Alle tre di notte mia moglie, che era incinta, mi mandò l’immagine della prima ecografia in cui si vedevano i 23 millimetri di mio figlio Almerigo. Andare in battaglia alle sei di mattina con quell’immagine negli occhi non fu per niente facile». 

IL VIAGGIO INDIMENTICABILE IN BIRMANIA

Uno dei reportage a cui Micalessin è più affezionato e che viene raccontato anche su Guerra Guerra Guerra, è un lungo viaggio nel Sud-Est dell’Asia. «Nel 1985 io e Almerigo tornammo nelle terre dei Karen in Birmania per realizzare uno speciale di Jonathan, la trasmissione condotta da Ambrogio Fogar sul giornalismo di guerra. Viaggiammo per un mese seguendo una colonna di combattenti che prima risalì il fiume Salween e poi con gli elefanti attraversò le giungle e le montagne del Paese spingendosi ai limiti estremi dei territori controllati da questa minoranza dimenticata ancora in guerra». Un viaggio avventuroso in una terra fuori dal tempo e dalla civiltà che Micalessin sogna di rifare. «Ancora oggi sogno di tornare a inseguire quelle lunghe colonne di elefanti e uomini immergendomi in un reportage lontano dalle frenesie dei collegamenti via satellite e degli articoli quotidiani».

INTERNET E I SOCIAL HANNO SOSTITUITO IL “VECCHIO” GIORNALISMO

Già, perché il giornalismo è cambiato. E purtroppo lo spazio per raccontare le guerre dimenticate è sempre di meno. «Al tempo stavamo via mesi e quando tornavamo vendevamo le nostre storie alle grandi reti televisive che le mandavano in onda come se fossero state girate qualche ora prima. Oggi sarebbe impossibile, i telefonini e internet ci raccontano quel che succede anche nei posti dove i giornalisti non arrivano», spiega il reporter. Questo, però, diffonde solo la sensazione di sapere tutto e conoscere tutto anche senza il tramite dei professionisti, perché «quel che vediamo e conosciamo è solo un post o un tweet, non certo un racconto giornalistico vissuto in prima persona». 

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Busta con minacce e un proiettile indirizzata ad Antonio Conte

Minacce e una busta con all’interno un proiettile hanno fatto scattare la ‘vigilanza dinamica‘ (il livello più basso di tutela)..

Minacce e una busta con all’interno un proiettile hanno fatto scattare la ‘vigilanza dinamica‘ (il livello più basso di tutela) per l’allenatore dell’Inter Antonio Conte. Lo riportano sabato 16 novembre il Corriere della Sera e Il Giorno. Dopo la misura decisa dalla Prefettura di Milano, pattuglie di polizia e carabinieri passeranno in strada con più frequenza intorno allo stabile di Milano dove vive l’allenatore salentino, e agli uffici della società nerazzurra. Al momento l’ipotesi prevalente sarebbe «l’azione di un mitomane». Uno squilibrato che avrebbe preso di mira Conte per la sua esposizione mediatica.

REPERTI SOTTOPOSTI AD ACCERTAMENTI SCIENTIFICI

La busta e le minacce, secondo quanto riportato dai due quotidiani, sarebbero giunte qualche giorno fa. Al momento tutti i reperti sono stati sottoposti al vaglio di accertamenti scientifici. A chiamare le forze dell’ordine è stato lo stesso Conte che ha sporto denuncia contro ignoti. Da quanto riportato non esisterebbe alcuna frase, nelle minacce, che faccia pensare «a qualche ambiente di spessore criminale» o a «qualche frangia del tifo organizzato». Il livello di rischio verrebbe per questi motivi ritenuto «molto basso»

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Attacco hacker all’account bancario di Sigfrido Ranucci

L'attività di spionaggio partita da un Paese dell'Est sarebbe stata finalizzata ad acquisire dati personali. La redazione di Report aveva ricevuto minacce dopo le inchieste relative alle multinazionali delle fake news.

Attacco hacker all’account bancario di Sigfrido Ranucci, conduttore di Report. «La banca di Sigfrido Ranucci ha informato il conduttore di Report che il suo account bancario è stato violato da un hacker operante in un Paese dell’Est europeo. L’attività di spionaggio sarebbe stata finalizzata ad acquisire dati personali relativi all’identità, alla residenza, ai familiari. Tra i dati violati anche quelli aziendali, in particolare mail e cellulare». Lo affermano, in una nota, la Federazione nazionale della Stampa italiana (fasi) e l’Usigrai.

"La banca di Sigfrido #Ranucci ha informato il conduttore di #Report che il suo account bancario e' stato violato da un…

Posted by Report on Friday, November 15, 2019

«Elementi preoccupanti», continua la nota, «che appaiono ancora più inquietanti se collegati alle polemiche e alle minacce ricevute dalla redazione di Report dopo le documentate inchieste relative proprio alle fabbriche dell’odio e alle multinazionali delle fake news che, non casualmente, hanno la loro sede anche nei Paesi dell’Est. Siamo certi che gli apparati di sicurezza individueranno mandanti ed esecutori e li segnaleranno alle autorità competenti, chiunque essi siano e ovunque operino. Fnsi ed Usigrai condivideranno e sosterranno tutte le iniziative che Sigfrido Ranucci e la redazione di Report decideranno di promuovere in tutte le sedi, compresa quella giudiziaria».

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Maltempo: la situazione di sabato 16 novembre

Abbondanti nevicate in tutto l'Alto Adige, bloccata la linea del Brennero, quattro valli isolate e 13 mila utenze senza elettricità. Situazione critica anche in Piemonte. A Saturnia una piena ha travolto le cascate termali.

Il maltempo continua a flagellare l’Italia. Mentre a Venezia la marea ha toccato una nuova punta massima di 115 centimetri sul medio mare poco dopo la mezzanotte di venerdì 15 novembre (per sabato il picco di 120 centimetri è atteso per le 11 e 55), in Alto Adige è emergenza neve. Ancora 13 mila utenze sono senza corrente elettrica. A Brunico invece nella notte è tornata la luce.

ALTO ADIGE: INTERROTTA LA FERROVIA DEL BRENNERO

La linea ferroviaria del Brennero è ancora interrotta all’altezza di Bolzano per una frana, è stato istituito un servizio di bus sostitutivi tra la stazione di Bolzano e quella di Bronzolo. Risultano isolate cinque valli: la val Gardena, la val Badia, la val d’Ega, la val Senales, la val Martello. Sono in tutto 70 le strade chiuse per motivi di sicurezza.

IN PIEMONTE DISAGI PER LA NEVE

Situazione simile in Piemonte dove da venerdì si registrano black-out e disagi nella viabilità. La ferrovia ‘Vigezzina’ è ferma nella tratta italiana, fra Domodossola e il confine di ponte Ribellasca; sospesa la circolazione fra Acqui (Alessandria) e San Giuseppe di Cairo (Savona). Alcuni abitanti della frazione Roncaccio di Cravagliana, in Alta Valsesia (Vercelli) sono rimasti isolati per alcune ore a causa di alberi appesantiti e piegati sulla strada. Uncem (Unione dei comuni montani) segnala «migliaia di distacchi»” nell’erogazione di energia elettrica in provincia di Torino, Cuneo, Verbano-Cusio-Ossola. La neve è caduta fino a 400-500 nella provincia di Cuneo, nelle vallate ossolane fino a 70-100 cm. Oltre il mezzo metro lo spessore a Limone Piemonte (Cuneo), 76 a Sauze d’Oulx (Torino).

Un’ondata di piena ha travolto le cascate termali di Saturnia (Grosseto).

PIENA A SATURNIA

Nel Centro Italia, un’ondata di piena venerdì sera ha travolto le cascate termali di Saturnia (Grosseto).

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Perché investire nelle biblioteche è un vero atto rivoluzionario

Questi luoghi sono da sempre infrastrutture sociali fondamentali. Ma sono le prime vittime dei cronici e bipartisan tagli alla Cultura. Eppure formare cittadini consapevoli non dovrebbe avere prezzo.

Cinque miliardi in più ci vorrebbero. Ma si accontenterebbe di 3, il ministro dell’Istruzione e Università Lorenzo Fioramonti. Finirà, dopo il confronto parlamentare sulla legge di Bilancio, per avere niente. Se gli andrà bene, anzi di lusso, manterrà il bilancio che ha. Senza tagli.

L’ALLERGIA BIPARTISAN PER GLI INVESTIMENTI IN CULTURA

È da 20 anni, infatti, da quando l’allora governo Berlusconi lanciò il famoso proclama «non metteremo le mani in tasca agli italiani» che le vittime sacrificali del malgoverno nazionale, di destra, sinistra e centro più o meno allo stesso modo, sono la scuola, l’università e la cultura. L’unica differenza è che i governi di sinistra lo hanno fatto con un po’ di magone e leggero atto di contrizione, mentre quelli di destra con una dichiarata soddisfazione e un malcelato senso di liberazione.

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Se infatti Paolo Gentiloni, come premier dichiarò timidamente, fra il disappunto dell’editore Giuseppe Laterza, di essere troppo impegnato per leggere libri, Lucia Borgonzoni, allora sottosegretaria leghista ai Beni culturali del governo gialloverde, ammise candidamente di non avere letto un libro negli ultimi tre anni. In linea, peraltro, con il suo elettorato e il suo leader. Se è vero che Matteo Salvini ha fatto selfie ovunque, si è esibito sulla ruspa e più recentemente alla Fiera dei cavalli di Verona e al November Porc di Polesine Parmense, non lo si è mai visto in una biblioteca, in un museo e con un libro in mano.

Le biblioteche sono infatti infrastrutture sociali, ovvero luoghi e occasioni di incontro, fra persone di diversa estrazione sociale, ma anche di sesso, età, orientamenti ideali e convinzioni politiche

Ma aggiunto che Borgonzoni è ora candidata per la prossima sfida elettorale in Emilia-Romagna, segnaleremo che in questa regione c’è un’efficiente rete di biblioteche pubbliche. Arriviamo così al tema di oggi: le biblioteche, appunto, una delle espressioni delle istituzioni culturali più importanti, anche dal punto di vista sociale, ma fra le più colpite dai tagli economici. Perché, evidentemente fra le meno considerate come fattore essenziale di formazione della persona, del cittadino e per estensione di una comunità aperta, consapevole, solidale.

La nuova biblioteca di Helsinki costata 98 milioni.

UN DEGRADO DIMENTICATO

Le biblioteche sono infatti “infrastrutture sociali”, ovvero luoghi e occasioni di incontro, fra persone di diversa estrazione sociale, ma anche di sesso, età, orientamenti ideali e convinzioni politiche. Che per ragioni contingenti entrano in relazione, dunque imparano a conoscersi, dovendo condividere uno spazio comune secondo precise regole: minime e banali, ma da tutti rispettate. Come stare in silenzio e concentrarsi, aspettare che si liberi un posto di lettura o una postazione internet, mettersi in fila per richiedere un libro. Ce lo ricorda uno splendido articolo del sociologo Eric Klinenberg della New York University, recentemente riproposto dall’aggregatore civico City Lab: «Preoccupati di meno delle buche nelle strade e di più del degrado delle biblioteche». 

VIVERE SENZA LIBRI: I NUMERI DELL’ITALIA

Certo il titolo è paradossale nel momento in cui Venezia va sott’acqua, a Napoli s’aprono voragini nelle strade e le buche di Roma continuano a fare notizia. Ma che nulla toglie, anzi sottolinea i danni sociali generati dalla trascuratezza dei luoghi fisici deputati alla formazione culturale e allo sviluppo di legami e relazioni sociali. Certo il degrado di ponti, viadotti e scuole pubbliche è visibile, i danni cognitivi e formativi di chi vive in assenza di libri no. Solo in apparenza però e se lo sguardo è distratto. Perché la povertà educativa, che è effetto ma anche causa della povertà economica e lavorativa, è figlia diretta di chi non legge e di chi, pur essendo gratuite, non frequenta biblioteche. Nel 2016, il 52,8% dei ragazzi italiani non aveva letto nemmeno un libro nell’anno precedente. Solo il 15% delle persone con più di 6 anni ne ha frequentata una nell’ultimo anno.

La povertà educativa, effetto ma anche causa della povertà economica e lavorativa, è figlia diretta di chi non legge e di chi, pur essendo gratuite, non frequenta biblioteche

La riflessione di Klinenberg ci sollecita a riconsiderare il ruolo fondamentale che hanno avuto e che non hanno più da 20-30 anni le biblioteche. Negli Usa come nel nostro Paese e un po’ in tutt’Europa si è addirittura disinvestito lasciando deperire la rete e le strutture bibliotecarie. E forse non è casuale che questo abbandono si sia accompagnato al crollo delle vendite di libri e giornali, di contro all’ascesa del consumo televisivo e di una programmazione sempre più commerciale. Con esito ulteriore di un ancor più drammatico ridursi della partecipazione politica e civica e del contatto, anche fisico, fra persone di età, condizione sociale e professionale diverse.

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Le biblioteche sono infrastrutture sociali allo stesso modo di numerosi altri luoghi in cui avviene questo fondamentale scambio relazionale. Come scuole e campi da gioco e sportivi. Anche le chiese e le associazioni culturali fungono da infrastruttura sociale, quando sono aperte. Allo stesso modo dei mercati e degli esercizi commerciali (caffè e bar) che però consentano alle persone di stare insieme indipendentemente da ciò che devono comperare o consumare. Sono cioè “spazi terzi”, secondo la definizione del sociologo Ray Oldenburg, che favoriscono i legami sociali, offrono spazio di interazioni, incoraggiano relazioni più durature.  Innumerevoli amicizie strette tra genitori, e poi intere famiglie, iniziano perché due bambini usano la stessa altalena… Praticare regolarmente uno sport di squadra favorisce, scrive Klinenberg, «l’amicizia fra persone con diverse preferenze politiche o diverso status etnico, religioso o di classe, esponendole a idee che probabilmente non incontrerebbero fuori dal campo».

LE LIBRERIE ITINERANTI E L’ALFABETIZZAZIONE

Tuttavia le biblioteche hanno un di più, un valore aggiunto, rispetto alle altre infrastrutture sociali. Promuovono la voglia di sapere, conoscere e dunque comprendere altri mondi, altre vite, altre storie. E questo è ciò che le rende cruciali per la formazione di cittadini consapevoli e responsabili. Sono strumenti di promozione ma anche sistemi di sicurezza.

Questi luoghi promuovono la voglia di sapere, conoscere, comprendere altri mondi, altre vite, altre storie. E questo è ciò che le rende cruciali per la formazione di cittadini consapevoli e responsabili

Eppure un gran numero di cittadini, con in testa politici e governanti, non ne ha consapevolezza. Ignari e ignoranti, ignorano che la democrazia, l’emancipazione delle classi lavoratrici, lo sviluppo dei partiti di massa hanno avuto nelle biblioteche e nelle librerie popolari itineranti uno strumento fondamentale di alfabetizzazione culturale e consapevolezza politica.

SEGUIAMO L’ESEMPIO DI HELSINKI

È quasi incredibile – ma vero – che ci sia stato un tempo, fra 800 e 900 in Inghilterra, dove capi sindacali ed educatori della working class, nel momento in cui promuovevano scuole domenicali e cattedre ambulanti, auspicavano la lettura dei classici per le masse. Ma ancor più incredibile però altrettanto vero è che ci sia oggi un città europea, Helsinki, dove è stata inaugurata l’anno scorso una biblioteca costata 98 milioni di euro. Un paradiso del libro, ma anche una “fabbrica di cittadinanza”, perché nei suoi tre piani e in un contesto di raffinato design, oltre a 100 mila libri, ci sono caffè, teatro, sale per la musica e i videogiochi, postazioni internet e stampanti 3D, laboratori e spazi per riunioni ed eventi. Un luogo come ha detto il suo direttore Tommi Laitio, rispondendo anche alle critiche sul costo eccessivo della struttura, dove «puoi essere la tua persona migliore…e costruire il tuo futuro». E questo è impagabile.

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I Gilet gialli cercano il rilancio nel primo anniversario

Il movimento nato 12 mesi fa promette un fine settimana di proteste a Parigi e in Francia. In un anno 2.400 manifestanti e 1.800 agenti feriti. Ma le concessioni di Macron e il "Grand Debat National" hanno ridimensionato le proteste.

Correva il novembre 2018. Infuriati per l’aumento delle accise sul carburante, migliaia di francesi con indosso i Gilet gialli, simbolo di chi rimane fermo sul ciglio della strada, cominciarono a bloccare arterie e rotatorie di Francia, salendo fino a Parigi per chiedere al presidente Emmanuel Macron il ritiro di quella tassa e invocare maggiore potere d’acquisto. Cominciò così, nell’uggioso autunno d’Oltralpe, un’inedita mobilitazione nata su Facebook e cresciuta grazie al tam tam dei social, al di fuori di ogni quadro politico o sindacale. A un anno dall’inizio delle proteste, con il cosiddetto ‘Atto primo‘ del 17 novembre, i gilet gialli oggi decimati anche per effetto delle concessioni miliardarie fatte da Macron cercano un rilancio.

GLI CHAMPS-ELYSÉES BLINDATI PER IL FINE SETTIMANA AD ALTA TENSIONE

Sperando di essere nuovamente tantissimi a manifestare questo fine settimana, per le mobilitazioni-anniversario indette tra Parigi e la provincia. Il prefetto di Parigi ha firmato un’ordinanza per il divieto di manifestare nel fine settimana sugli Champs-Elysées. Un appello a tornare proprio nella zona dove più danni fecero le prime manifestazioni, la celebre avenue parigina, circola da giorni su Facebook. Per alcuni duri e puri la ricorrenza sarà anche l’occasione di dire che i gialli «non sono morti», anche se forse dovranno trovare altre formule per tornare ad esistere per davvero.

DA MACRON CONCESSIONI PER 17 MILIARDI

Secondo un sondaggio Elabe per Bfm-Tv, oltre metà dei francesi, il 55%, dice di approvare la mobilitazione, ma il 63% si oppone all’eventualità che possa riprendere. Rispetto all’inverno scorso, il movimento si è fortemente ridimensionato. Oltre alle concessioni da 17 miliardi di euro fatte da Macron (sacrificando gli impegni sui conti pubblici assunti con Bruxelles) anche il Grand Débat National che per mesi ha cercato di far dibattere i cittadini su problemi e soluzioni del Paese sembra aver sortito qualche effetto.

L’IPOTESI DELLA CREAZIONE DI UN PARTITO

Privo di un vero leader, il movimento francese potrebbe ora passare dalle piazze alle urne, con la creazione di diverse liste di gilet gialli in vista del voto municipale di marzo. Ex portavoce della frangia moderata, Jacline Mouraud punta addirittura alla corsa all’Eliseo del 2022. Intanto, per scongiurare una nuova rivolta sociale, Macron si è recato oggi nella regione della Marna, per illustrare i meriti delle sue riforme che, giunto a metà mandato, porta avanti con maggior cautela rispetto ai primi anni a tambur battente. In contemporanea, migliaia di camici bianchi hanno protestato a Parigi per la crisi degli ospedali e l’Eliseo teme la manifestazione indetta per il 5 dicembre contro l’annunciata riforma previdenziale. Per l’Atto Primo dei gilet gialli, il 17 novembre 2018, furono 282 mila persone a rispondere all’appello sui social. Un rito che da quel momento in poi è continuato quasi per un anno, ogni sabato, tra Parigi e la Francia profonda.

IL BILANCIO: 2.400 MANIFESTANTI E 1.800 AGENTI FERITI

Dodici mesi vissuti al cardiopalma, talvolta segnati dalle violenze, con 2.400 manifestanti e 1.800 agenti feriti. Tra l’altro, 24 persone hanno perso un occhio a causa dei lanciatori Lbd, l’arma non letale data in dotazione alle forze dell’ordine francesi divenuta il simbolo delle «violenze della polizia» denunciate dai manifestanti. Undici le persone morte per incidenti a margine dei cortei. Nel picco della crisi, l’inverno scorso, si paventò anche il rischio di tenuta democratica del Paese, come quando uno dei leader più agguerriti del movimento, Eric Drouet, annunciò l’intenzione di entrare all’Eliseo. O quando, a dicembre, venne lanciato l’assalto all’Arco di Trionfo, con opere d’arte e vetrine andate in frantumi.

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