Motori per estrazione fumi: un dispositivo di sicurezza essenziale

I motori per estrazioni fumi si inseriscono sia nell’ambito privato sia nei contesti pubblici. Primeggia ovviamente negli ambienti pubblici e affollati, laddove servono delle misure di sicurezza più stringenti. 

Non a caso, nei centri commerciali, negli aeroporti o negli stadi è necessario e disporre di sistemi efficaci volti ad aspirare l’aria ed estrarne i fumi. La soluzione è da ricercarsi nei motori per estrazione fumi, dei dispositivi progettati appositamente per assolvere a questo compito.

Grazie alla loro presenza, l’ambiente può considerarsi sano e sicuro per le persone che lo frequentano. Ciononostante, per comprendere la sua importanza è necessario conoscere la sua funzionalità e la sua destinazione finale.

A cosa servono i motori per estrazione fumi?

Questa tipologia di motori viene progettata per fornire una ventilazione efficiente, continuativa e regolarizzata, nonché per garantire il benessere delle persone in questi ambienti, siano essi pubblici o privati.

Dobbiamo considerare il sistema di aspirazione dell’aria come il primo responsabile dell’immissione di aria fresca nell’edificio o nello spazio. Può facilitare la comprensione visualizzare il suo luogo di destinazione, il quale coincide con le aree pubbliche al chiuso che presentano un’alta concentrazione di persone.

In un tale contesto, cresce la necessità di far circolare aria e di reintegrarla, così da bilanciare la qualità affinché l’equilibrio tra aria interna ed esterna sia costantemente monitorata.

Per svolgere un lavoro di questo tipo, si devono adottare dei sistemi motorizzati studiati per gestire i grandi volumi d’aria richiesti in questi spazi. Pertanto, si utilizzano dei motori per estrazione fumi potenti e affidabili, in grado di erogare un’elevata portata d’aria per un tempo stabilito.

Circolo dell’aria ed estrazione dei fumi: il duplice scopo dei sistemi motorizzati

Oltre a fornire aria fresca negli ambienti pubblici o privati affollati, il motore deve disporre di un efficace sistema di estrazione dei fumi. In caso di incendio o di qualsiasi altra situazione di emergenza che generi fumo, questi sistemi si attivano fin da subito per eliminare i fumi pericolosi dall’area.

Grazie alla loro elevata potenza di aspirazione rimuovono con rapidità il fumo e ne impediscono la diffusione. In questo modo, l’ambiente vanta un sistema di sicurezza superiore che interviene prima dell’arrivo delle autorità.

In questo modo, le operazioni di sgombero possono essere svolte senza intoppi e con ordine, riducendo drasticamente il rischio di pericoli maggiori, ferimenti o danni alle persone presenti.

Certificazioni e risparmio energetico

I sistemi integrativi di sicurezza presi in considerazione vantano un corredo di certificazioni in grado di rispettare i più severi standard e regolamenti di sicurezza. Difatti, i motori sono sottoposti a test rigorosi, i quali vengono strutturati per garantire l’affidabilità e le prestazioni in diverse condizioni.

Ciò significa, una forma di garanzia implementata con l’obiettivo di funzionare senza intoppi anche in situazioni di forte stress, come per esempio durante un’evacuazione di emergenza o la fuoriuscita improvvisa di gas nocivi per la salute.

Il meccanismo è provvisto anche di una studiata e predisposta efficienza energetica. Considerando gli spazi in cui i motori si trovano a operare, devono per forza ridurre il consumo di energia elettrica. In caso contrario, potrebbero creare dei black out o interrompere la loro funzionalità, andando a compromettere le loro prestazioni o la sicurezza del locale.

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DPI: quali usare e chi li sceglie

L’acronimo DPI indica i Dispositivi di Protezione Individuale; contrariamente a quanto avviene per i Dispositivi di Protezione Collettivi, quelli di tipo individuale vanno assegnati a ogni singolo lavoratore, per lo svolgimento di una o più attività durante il suo turno lavorativo. 

Esistono in Europa precise norme dedicate alla sicurezza sul posto di lavoro, che indicano in maniera inequivocabile le modalità per la scelta dei DPI da utilizzare in ambito lavorativo, così come chi siano i responsabili della scelta, dell’acquisto e della consegna ai dipendenti di qualsiasi tipo di DPI si debba utilizzare in azienda.

Chi sceglie i DPI

Questo è un punto molto importante, perché indica con precisione chi sia il soggetto su cui cade la responsabilità di selezionare i corretti DPI utilizzati durante un turno lavorativo. Che si tratti di guanti da lavoro, di elmetti o di altre tipologie di DPI, è sempre il datore di lavoro il responsabile della scelta.

È un obbligo del datore di lavoro valutare quali siano i DPI più adatti da sfruttare da parte di ogni singolo dipendente, così come lo è acquistarli. Non solo, il datore di lavoro ha anche l’obbligo di formare i propri dipendenti a un utilizzo corretto dei DPI e quello di verificare che i diversi dispositivi siano usati in maniera corretta.

Queste norme valgono anche per i dispositivi di protezione collettivi. Per agevolare i datori di lavoro sono disponibili apposite guide, che indicano per ogni tipologia di attività lavorativa quali siano i DPI più adatti e indicati; inoltre il datore di lavoro si può avvalere del consiglio di esperti e consulenti esterni all’azienda. Fermo restando che la responsabilità della scelta rimane sempre sua.

Chi compra i DPI

Anche per quanto riguarda l’acquisto dei dispositivi di protezione, è sempre il datore di lavoro il principale responsabile. Ha infatti l’obbligo di acquistare DPI certificati e a norma di legge e di fornirli ai propri dipendenti. In alcune specifiche situazioni il datore di lavoro può consentire ai propri dipendenti di acquistare il singolo DPI da usare durante il turno lavorativo, stabilendo eventualmente una somma massima che l’azienda è pronta a rimborsare al dipendente.

Chiaramente i DPI acquistati dal dipendente devono essere della tipologia prevista per il lavoro che svolge e conformi alle normative. Può accadere, ad esempio, con dispositivi indossabili le cui misure vanno scelte in modo preciso, come ad esempio accade per le scarpe antinfortunistiche. In nessun caso il lavoratore può acquistare accessori di protezione che siano di tipologia diversa da quella prevista per la sua attività lavorativa.

La formazione specifica

I lavoratori hanno a loro volta l’obbligo di utilizzare correttamente i DPI di cui sono muniti. A tale scopo saranno sottoposti ad apposito addestramento che, per specifici DPI, dovrà essere somministrato come formazione specifica.

È il caso di lavoratori che usano qualsiasi tipologia di DPI di categoria 3, quelli che riparano il lavoratore da rischi importanti, quali morte, lesioni gravi e potenzialmente permanenti. Serve una formazione specifica anche per l’utilizzo corretto di dispositivi di protezione per l’udito. Tale formazione può avvenire sia con classici corsi frontali, sia utilizzando materiale informativo di vario genere, fornito direttamente al lavoratore.

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Decreto Trasparenza: obblighi informativi e privacy dei dipendenti

Le nuove disposizioni, in vigore dal 13 agosto 2022, con l’obiettivo di innalzare le tutele dei lavoratori, ampliano il corredo informativo da rendere agli stessi al momento dell’instaurazione del rapporto di lavoro, in maniera tale da informarli dei diritti e doveri che ne conseguono in relazione agli aspetti principali del contratto

Con la Circolare n. 19 del 20 settembre 2022, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali (d’ora in avanti, per brevità, “ML”) ha fornito indicazioni interpretative su taluni specifici profili degli obblighi informativi introdotti dal Decreto Legislativo n. 104 del 27 giugno 2022 di attuazione della direttiva (UE) 2019/1152 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 giugno 2019, relativa a condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili nell’Unione europea (cosiddetto “Decreto Trasparenza”).

Tali indicazioni fanno seguito a quelle già contenute nella circolare dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro n. 4 del 10 agosto 2022 e hanno l’obiettivo di approfondire le modifiche maggiormente innovative del quadro regolatorio preesistente che, non a caso, sono state destinatarie di molteplici richieste di chiarimento. Le nuove disposizioni, in vigore dal 13 agosto 2022, avendo l’obiettivo di innalzare le tutele dei lavoratori, vanno principalmente ad ampliare, seguendo il dettato della normativa europea, il corredo informativo da rendere agli stessi al momento dell’instaurazione del rapporto di lavoro, in maniera tale che essi siano informati dei diritti e doveri che ne conseguono in relazione agli aspetti principali del contratto. L’intervento normativo contiene, inoltre, alcune prescrizioni minime relative alle condizioni di lavoro come stabilito dalla normativa precedente. La circolare del ML si sofferma su diversi profili specifici: retribuzione, orario di lavoro programmato, previdenza ed assistenza, durata massima del periodo di prova e gli ulteriori obblighi informativi nel caso che il datore di lavoro utilizzi sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati.

Questi ultimi sono previsti dall’articolo 1-bis del d.lgs. n. 152/1997, inserito dall’articolo 4, lett. b), del Decreto Trasparenza. Il comma 1, in particolare, prevede che «Il datore di lavoro o il committente pubblico e privato è tenuto ad informare il lavoratore dell’utilizzo di sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati deputati a fornire indicazioni rilevanti ai fini della assunzione o del conferimento dell’incarico, della gestione o della cessazione del rapporto di lavoro, dell’assegnazione di compiti o mansioni nonché indicazioni incidenti sulla sorveglianza, la valutazione, le prestazioni e l’adempimento delle obbligazioni contrattuali dei lavoratori. Resta fermo quanto disposto dall’articolo 4 della legge 20 maggio 1970, n. 300».

Preme ricordare che, già in virtù dell’art. 13 del Regolamento europeo per la protezione dei dati personali (Reg. UE 679/16 – cd. GDPR), il datore di lavoro (Titolare del trattamento) è tenuto a fornire al dipendente (“interessato”) informazioni circa «l’esistenza di un processo decisionale automatizzato, compresa la profilazione di cui all’articolo 22, paragrafi 1 e 4, e, almeno in tali casi, informazioni significative sulla logica utilizzata, nonché l’importanza e le conseguenze previste di tale trattamento per l’interessato».

Il «quid novi», introdotto dal Decreto Trasparenza, riguarda l’obbligo per il datore di lavoro di informare il lavoratore sull’adozione di sistemi decisionali e di monitoraggio automatizzati durante tutto il rapporto di lavoro.

Nello specifico, il datore di lavoro o il committente è tenuto a fornire al lavoratore, prima dell’inizio dell’attività lavorativa, le seguenti ulteriori informazioni: gli aspetti del rapporto di lavoro sui quali incide l’utilizzo dei sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati; gli scopi, la logica, il funzionamento, dei citati sistemi, le categorie di dati e i parametri utilizzati per programmare o addestrare i medesimi sistemi, inclusi i meccanismi di valutazione delle prestazioni, le misure di controllo adottate per le decisioni automatizzate, gli eventuali processi di correzione e il responsabile del sistema di gestione della qualità, nonché, infine, il livello di accuratezza, robustezza e cybersicurezza degli strumenti di cui trattasi, unitamente alle metriche utilizzate per misurare tali parametri, nonché gli impatti potenzialmente discriminatori delle metriche stesse (art. 1 bis, comma 2).

È previsto, inoltre, l’obbligo del datore di lavoro o del committente di integrare l’informativa con le istruzioni per il lavoratore in merito alla sicurezza dei dati e l’aggiornamento del registro dei trattamenti riguardanti le attività per le quali sono utilizzati i sistemi decisionali e di monitoraggio automatizzati (art. 1 bis, comma 4). Tali obblighi informativi, chiarisce la circolare ML, sorgono a carico del datore di lavoro che utilizza i sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati sostanzialmente in due ipotesi: 1. quando i sistemi di cui trattasi realizzano un procedimento decisionale in grado di incidere sul rapporto di lavoro; 2. quando tali strumenti incidono sulla sorveglianza, la valutazione, le prestazioni e l’adempimento delle obbligazioni contrattuali dei lavoratori (ad es. tablet, dispositivi digitali e wearables, gps e geolocalizzatori, sistemi per il riconoscimento facciale, sistemi di rating e ranking).

La prima ipotesi sussiste anche nel caso di intervento umano meramente accessorio e riguarda, ad esempio, i casi di assunzione o conferimento dell’incarico tramite l’utilizzo di chatbots durante il colloquio, la profilazione automatizzata dei candidati, lo screening dei curricula, l’utilizzo di software per il riconoscimento emotivo e test psicoattitudinali. Altri casi esemplificativi riguardano la gestione o cessazione del rapporto di lavoro con assegnazione o revoca automatizzata di compiti, mansioni o turni, definizione dell’orario di lavoro, analisi di produttività, determinazione della retribuzione, promozioni, etc., attraverso analisi statistiche, strumenti di data analytics o machine learning, rete neurali, deep-learning. In tutti i casi citati, il Decreto Trasparenza richiede che il datore di lavoro rilasci idonea e completa informativa.

Diversamente, chiarisce la circolare, non sarà necessario procedere all’informativa nel caso, ad esempio, di sistemi automatizzati deputati alla rilevazione delle presenze in ingresso e in uscita, cui non consegua un’attività interamente automatizzata finalizzata ad una decisione datoriale. Il comma 3 dell’art. 1 bis in esame stabilisce, inoltre, la possibilità per il lavoratore di accedere ai dati, direttamente o per il tramite delle rappresentanze sindacali aziendali o territoriali, nonché di richiedere ulteriori informazioni concernenti gli obblighi di informativa precisati al comma 2, sui quali il datore di lavoro o il committente sono tenuti a rispondere per iscritto entro trenta giorni. Il successivo comma 6 chiarisce che «le informazioni e i dati di cui ai commi da 1 a 5 del presente articolo devono essere comunicati dal datore di lavoro o dal committente ai lavoratori in modo trasparente, in formato strutturato, di uso comune e leggibile da dispositivo automatico. La comunicazione delle medesime informazioni e dati deve essere effettuata anche alle rappresentanze sindacali aziendali ovvero alla rappresentanza sindacale unitaria e, in assenza delle predette rappresentanze, alle sedi territoriali delle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e l’Ispettorato nazionale del lavoro possono richiedere la comunicazione delle medesime informazioni e dati e l’accesso agli stessi».

Quanto al trattamento sanzionatorio, lo stesso è rinvenibile nel nuovo art. 4 del D.Lgs. n. 152/1997, secondo il quale «il lavoratore denuncia il mancato, ritardato, incompleto o inesatto assolvimento degli obblighi di cui agli articoli 1, 1-bis, 2, e 3, e 5, comma 2, all’Ispettorato nazionale del lavoro che, compiuti i necessari accertamenti di cui alla legge 24 novembre 1981, n. 689, applica la sanzione prevista all’articolo 19, comma 2, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276», cd. “Legge Biagi”. Tale ultima disposizione, anch’essa novellata dall’art. 5, comma 4, del D.Lgs. n. 104/2022, prevede una sanzione amministrativa pecuniaria da 100 a 750 euro “per ciascun mese di riferimento”, soggetta alla procedura di diffida ex art. 13 D.Lgs. n. 124/2004. La sanzione va quindi applicata per ciascun mese in cui il lavoratore svolga la propria attività in violazione degli obblighi informativi in esame da parte del datore di lavoro o del committente. La circolare ML precisa che si tratta di una sanzione “per fasce” cosicché, ferma restando la sua applicazione per ciascun mese di riferimento, se la violazione si riferisce a più di cinque lavoratori la sanzione amministrativa è da 400 a 1.500 euro. Se invece la violazione si riferisce a più di dieci lavoratori, la sanzione va da 400 a 5.000 euro e non è ammesso il pagamento in misura ridotta e pertanto neanche la procedura di diffida ex art. 13 del D.Lgs. n. 124/2004.

Da ultimo, se la comunicazione delle medesime informazioni e dati non viene effettuata anche alle rappresentanze sindacali aziendali ovvero alla rappresentanza sindacale unitaria o, in loro assenza, alle sedi territoriali delle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, trova applicazione una sanzione amministrativa pecuniaria, anch’essa diffidabile, da 400 a 1.500 euro per ciascun mese in cui si verifica l’omissione.

Al netto delle indicazioni interpretative fornite, la circolare del ML pare non aver, in realtà, chiarito i dubbi e dissipato le critiche formulate circa la contraddittorietà e incertezza delle disposizioni del Decreto Trasparenza e la fase applicativa non potrà che rivelare la necessità di ulteriori apporti correttivi e chiarificatori.

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Come potrebbero cambiare i dl sicurezza col nuovo governo

A breve la ministra Lamorgese presenterà in Cdm le modifiche ai pacchetti voluti di Salvini. Sul tavolo ritocchi alle maxi multe per le ong e alle disposizioni in materia di oltraggio a pubblico ufficiale. I dettagli.

È uno dei temi divisivi del governo M5s-Pd. Per il momento è stato accantonato dando priorità alla manovra ed alle altre urgenze. Ma entro la fine dell’anno un nuovo decreto cambierà i dl sicurezza voluti dall’ex ministro Matteo Salvini e diventati legge.

«È già pronto», ha annunciato la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese, «uno schema di provvedimento, ne devo parlare in Consiglio dei ministri. Posso già dire che nel testo saranno inserite modifiche connesse alle osservazioni pervenute dal presidente della Repubblica». Illustrando le sue linee programmatiche in commissione Affari costituzionali della Camera, Lamorgese non si è sbottonata sui contenuti del provvedimento.

Ma ha fatto sapere di aver messo al lavoro gli uffici legislativi del Viminale, che hanno già prodotto un primo testo di decreto. Naturalmente, prima di essere portato in Consiglio dei ministri, dovrà essere condiviso dagli alleati di governo e dal premier Giuseppe Conte. E qui la ministra dovrà fare ricorso alle capacità di mediazione sviluppate nella sua carriera da prefetto per trovare una formulazione che stia bene al Pd, che chiede un segnale netto di discontinuità rispetto al precedente Governo ed ai Cinquestelle e Conte, che invece sono per mantenere comunque una linea di rigore sull’immigrazione.

LE MODIFICHE AL PRIMO DL

La stella polare della ministra nell’opera di revisione dei due dl è rappresentata dalle osservazioni vergate da Mattarella al momento di firmare i provvedimenti. Quello è il perimetro entro cui si muoverà il nuovo testo. Col primo decreto Salvini ha sostanzialmente cancellato la protezione umanitaria ed il capo dello Stato ha tenuto a sottolineare che, in materia, «restano fermi gli obblighi costituzionali e internazionali dello Stato e, in particolare, quanto direttamente disposto dall’articolo 10 della Costituzione e quanto discende dagli impegni internazionali assunti dall’Italia». Proprio la formula «restano fermi gli obblighi costituzionali e internazionali dello Stato», a quanto si apprende, sarà inserita nel nuovo decreto. Ad indicare una gerarchia delle leggi cui anche questa norma deve sottostare.

INTERNVENTI SULLE MAXI MULTE ALLE ONG

Più articolate e circostanziate le critiche di Mattarella al secondo dl sicurezza, quello che conteneva la stretta contro le navi ong che fanno soccorso nel Mediterraneo. La revisione messa a punto dai tecnici del Viminale interviene così in particolare sulla maxi-multa da un milione di euro alla nave che viola il divieto di ingresso nelle acque italiane e sulla confisca della stessa, non subordinata alla reiterazione della condotta. Nella nuova formulazione la sanzione torna quella compresa tra 10mila e 50mila euro prima dell’emendamento che ne ha innalzato l’importo e la confisca può scattare solo se la violazione viene reiterata. In ossequio al principio della necessaria proporzionalità tra sanzioni e comportamenti. Per l’applicazione delle multe, inoltre, si farà distinzione tra le diverse tipologie di natanti.

IL CASO DELLA RESISTENZA A PUBBLICO UFFICIALE

L’altra modifica riguarda l’articolo che ha tolto la causa di non punibilità per la «particolare tenuità del fatto» alle ipotesi di resistenza, oltraggio, violenza e minaccia a pubblico ufficiale. Col nuovo testo sarà ripristinata la discrezionalità del magistrato in merito alla valutazione se il fatto è tenue o meno. Dopo l’approvazione da parte del Consiglio dei ministri il decreto sarà all’esame del parlamento per l’ok definitivo entro due mesi. La Lega ha già annunciato battaglia: «Lamorgese non si preoccupa di trovare i fondi per le Forze dell’Ordine ma annuncia di modificare i Decreti Salvini che così diventeranno Decreti insicurezza, filo-ong e contro le donne e gli uomini in divisa. Siamo pronti alle barricate, in Aula e nelle piazze», hanno fanno sapere Stefano Candiani e Nicola Molteni.

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Il punto sulla sicurezza a bordo dei treni e nelle stazioni ferroviarie

Ogni giorno su rotaia si spostano più di 5 milioni di passeggeri. Sotto lo sguardo di 4.400 agenti PolFer. Per i sindacati ancora troppo pochi. Il punto.

Una donna in fin di vita, colpita con 15 coltellate, un viaggiatore ferito in modo più lieve e i passeggeri che alla fine riescono a bloccare l’aggressore arrestato a Bologna. Quanto avvenuto il 7 novembre a bordo del Frecciarossa Torino-Roma riporta all’attenzione il tema della sicurezza sui treni, un contesto operativo e di viaggio certamente particolare per gli spazi ridotti e il grande numero di persone a bordo. 

LEGGI ANCHE: Salvini al Viminale non ha cambiato nulla per la polizia di Stato

Che i treni possano essere obiettivi sensibili, lo dice anche la cronaca. Senza andare lontano, e solo per citarne alcuni, il 21 agosto 2015 veniva divulgata la notizia del tentativo di attentato a bordo del convoglio Thalys, in viaggio da Amsterdam a Parigi: un foreign fighter marocchino, di ritorno dalla Siria e armato di pistole e fucile da assalto, tentò di compiere una strage ma venne fermato da un gruppo di soldati americani liberi dal servizio e da alcuni passeggeri. Mentre – restando nel nostro Paese – nel 2001 un anarchico torinese lanciò una molotov a bordo dell’Eurostar Roma-Milano, poco fuori la stazione di Modena: per miracolo non ci furono morti. Ci sono poi le manomissioni agli impianti di navigazione dei treni (l’ultimo è avvenuto questa estate, sullo snodo di Rovezzano, nel Ffiorentino) o eventi di “ordinaria” delinquenza come le aggressioni nei confronti del personale delle Ferrovie e dei passeggeri. 

donna accoltellata frecciarossa
La stazione di Bologna dopo l’accoltellamento sul Frecciarossa del 7 novembre.

A VIGILARE SU TRENI E STAZIONI 4.400 AGENTI POLFER

Nel nostro Paese ogni giorno viaggiano 9 mila treni passeggeri e 800 convogli merci, su oltre 16.700 chilometri di linea, per più di 5 milioni di passeggeri. A vigilare su treni, passeggeri e stazioni, a oggi ci sono 4.400 agenti della Polizia Ferroviaria (PolFer). Non abbastanza. All’appello, secondo i sindacati, mancano infatti circa 800 agenti

SAP: «AGIAMO IN UN CONTESTO DI ISOLAMENTO»

«Il treno è un ambiente operativo certamente complesso», spiega a Lettera43.it Stefano Paolone, segretario generale del sindacato autonomo di Polizia (Sap), «perché qualsiasi cosa accada, la pattuglia a bordo non può ricevere rinforzi nella tratta di viaggio tra due stazioni ed è costretta a operare con le sole risorse a bordo, in un contesto di isolamento fino alla stazione successiva». Sul treno, aggiunge Paolone, «non è possibile utilizzare neanche lo spray al peperoncino, come PolFer chiediamo che ci venga fornito quello in gel, utilizzabile in ambienti chiusi». A breve, dice il sindacalista, in dotazione dovrebbero arrivare anche 1800 teaser, «una soluzione ottimale in un contesto come quello del treno considerando che, secondo le statistiche, su 15 interventi in cui viene estratto il teaser, 14 volte vi è desistenza da parte di chi delinque alla sola vista dello strumento». Ma all’appello secondo il Sap mancano anche i giubbetti sottocamicia di protezione, più facilmente indossabili in un contesto operativo come quello ferroviario, rispetto al più pesante giubbotto antiproiettile, e dotazioni come i guanti antitaglio.

Controlli in stazione.

I PRIMI RINFORZI IN ARRIVO A DICEMBRE

A dicembre, intanto, dovrebbero arrivare ulteriori rinforzi, ma si tratta di un incremento parziale. «A dicembre di quest’anno» conferma Paolone, «saranno assegnati a livello nazionale 35 uomini alla PolFer. La città che riceverà più agenti sarà Milano perché ha avuto l’inaugurazione della stazione di Milano Rogoredo. Un ulteriore incremento avverrà poi nell’aprile 2020, con 80 uomini: di questi, 10 andranno a Roma». All’appello a quel punto ne mancheranno però ancora quasi 700 per coprire in modo adeguato treni e posti di vigilanza.

LEGGI ANCHE: I problemi dei vigili del fuoco, dalla carenza d’organico ai mezzi inadeguati

SILP: «ANCHE LA POLFER SOFFRE LA CARENZA DI ORGANICO»

Vero è che l’episodio del Frecciarossa, spiega Daniele Tassone, segretario generale del sindacato di polizia Silp Cgil, poteva accadere in qualsiasi contesto: in una discoteca o un supermercato. «Non ha senso dal nostro punto di vista dire che quel treno avesse una particolare criticità», dice a Lettera43.it. «Alcuni treni più di altri sono presidiati dalle scorte della polizia ferroviaria: la scelta è legata a variabili come il numero di viaggiatori presenti, gli orari, le denunce di reati segnalati in quella tratta. I numeri, aggiunge Tassone, «dicono che a oggi non ci può essere una pattuglia a bordo di ogni treno o un presidio PolFer in ognuna delle 2.700 stazioni ferroviarie italiane». Questo perché la polizia ferroviaria «soffre delle carenze di organico di tutta la polizia e delle forze dell’ordine». Come ha denunciato recentemente e più volte anche il prefetto Franco Gabrielli, la polizia ha oggi poco meno di 99 mila uomini rispetto ai 117 mila previsti e ai 106 mila che poi la legge Madia ha certificato. «Nello specifico», conclude il rappresentante Silp, «occorre implementare gli uffici della PolFer nelle stazioni e nelle tratte ove il numero di viaggiatori è maggiore, tenendo conto che si tratta di una situazione in mutamento perché una tratta ferroviaria oggi frequentata domani può diventare secondaria e viceversa».

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Assegnata la scorta a Liliana Segre

Dopo i continui messaggi d'odio sui social, le autorità hanno deciso di garantire la protezione alla senatrice a vita. Salvini: «Anch'io ricevo minacce ogni giorno».

I carabinieri del Comando provinciale di Milano garantiranno la scorta alla senatrice a vita Liliana Segre, deportata nel gennaio del 1944 dal binario 21 della stazione Centrale al campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau, e sopravvissuta all’Olocausto. Lo fa sapere il Corriere della Sera. La misura di protezione, da tempo sotto esame, è stata disposta nel pomeriggio di mercoledì, durante il Comitato per la sicurezza e l’ordine pubblico presieduto dal prefetto Renato Saccone e con al tavolo i vertici cittadini delle forze dell’ordine.

SALVINI: «ANCH’IO RICEVO MINACCE OGNI GIORNO»

«Le minacce contro Segre, contro Salvini, contro chiunque sono gravissime», ha detto il leader della Lega Matteo Salvini lasciando una manifestazione di Coldiretti in corso in piazza Montecitorio. «Anche io ne ricevo quotidianamente», ha aggiunto.

LA COMUNITÀ EBRAICA: «L’ANTISEMITISMO C’È»

«Il fatto che una senatrice sopravvissuta ad Auschwitz abbia bisogno della scorta indica che il Paese ha fallito e che l’antisemitismo c’è. Dopo l’attentato nell’82 a Roma le comunità ebraiche hanno iniziato ad essere sorvegliate, esigenza che non è mai venuta meno. Il rabbino Toaff era scortato, il rabbino Di Segni è scortato, come le presidenti di Roma, Dureghello, dell’Ucei, Di Segni. I nostri bambini entrano nelle nostre scuole scortati», ha dichiarato il vicepresidente della comunità di Roma Ruben Della Rocca.

SOLIDARIETÀ DAL PD

«A Liliana Segre, una delle ultime sopravvissute italiane alle camere a gas di Auschwitz-Birkenau, oggi lo Stato assegna una scorta perché la deve difendere da nuove minacce. È un terribile segnale, è un mondo che corre all’indietro. Difendere oggi chi ha attraversato l’inferno ieri è un dovere ma è anche una sconfitta»: così in una nota il deputato Pd Emanuele Fiano. Per la sottosegretaria ai rapporti con il parlamento Simona Malpezzi, «la decisione di mettere sotto tutela la senatrice Segre, per le continue minacce che riceve, rende l’idea del pericolo che corrono tutte le persone civili e democratiche nel nostro Paese. C’è un clima sociale e politico pesante in Italia che viene spesso sottovalutato, da oggi non deve essere più possibile tollerare qualsiasi manifestazione o cedimento verso posizioni razziste e fasciste. È un impegno che tutti i gruppi parlamentari devono assumere con chiarezza. Lo dobbiamo a Lilliana Segre, lo dobbiamo alla democrazia che va difesa senza alcuna ambiguità».

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