TURISMO: UN 2024 DI BELLE SPERANZE

Marina Lalli, presidente Federturismo

I dati ISNART per ENIT-Unioncamere indicano come già venduto il 40% delle camere disponibili nelle strutture ricettive italiane per tutto il primo trimestre e per la Pasqua. Nello stesso periodo si attendono, inoltre, quasi 967mila arrivi aeroportuali, di cui l’11% dagli Usa, il 5% dalla Francia e il 4,5% da Spagna e Germania con la montagna e le città d’arte che risultano prime destinazioni vendute

 

Presidente, che anno è stato il 2023 per il comparto alberghiero? La clientela estera è tornata a scegliere il nostro Paese come un tempo?

Complessivamente nel 2023 sono stati oltre 431 milioni i pernottamenti (+4.6%) nelle strutture ricettive italiane, di cui 222.6 milioni di turisti stranieri (+10.7%) e 208.5 di connazionali (-1.1%).

L’Italia, in termini di occupazione camere, ha riportato i risultati migliori a livello europeo, con gli alberghi di Roma, Milano e Firenze che hanno fatto registrare rispettivamente +10, +13 e +14%, a fronte del +4% di Parigi, +9% di Madrid e di Londra e +8% di Berlino. Un dinamismo che sembra promettere bene anche per il 2024 con prenotazioni in crescita sia a Roma (+3%), sia a Milano (+6%).

Abbiamo assistito ad un forte ritorno di una clientela straniera qualificata e alto spendente – (+14% di arrivi, +10,7% di presenze) – con americani, cinesi e francesi in testa che hanno scelto come destinazione di viaggio preferite: Milano, Roma e Firenze, città in cui si concentrano anche maggiormente gli acquisti.

E per il 2024 quali sono le aspettative? La preoccupano i riflessi di eventuali peggioramenti degli scenari geoeconomici e geopolitici internazionali?

Il 2024 si preannuncia un anno positivo anche se le incertezze politiche ed economiche sottolineano l’importanza di implementare strategie flessibili e mantenere misure di sostegno per assicurare la stabilità e la crescita duratura nel panorama turistico italiano. Per il 2024 i dati ISNART per ENIT-Unioncamere, indicano come già venduto il 40% delle camere disponibili nelle strutture ricettive italiane per tutto il primo trimestre (42,6% gennaio, 42,5% febbraio, 39,8% marzo, 41,7% aprile) e per la Pasqua. Nello stesso periodo si attendono, inoltre, quasi 967mila arrivi aeroportuali, di cui l’11% dagli Usa, il 5% dalla Francia e il 4,5% da Spagna e Germania con la montagna e le città d’arte che risultano prime destinazioni vendute.

La sostenibilità quanto sta cambiando la domanda di turismo?

Stiamo assistendo ad un cambiamento della domanda, con un consumatore sempre più orientato verso una condotta sostenibile che porta a scelte precise di destinazione, attività svolte e conseguenze socio-ambientali. Gli italiani valutano attentamente se e quanto sia sostenibile la destinazione che si accingono a visitare.

Tra gli elementi presi maggiormente in considerazione, la possibilità di alloggiare in strutture green (per oltre 3 viaggiatori su 4), raggiungere la meta con mezzi poco impattanti, muoversi in loco con biciclette. Ma questi comportamenti devono essere accompagnati anche da un cambio di passo dal lato dell’offerta e da azioni politiche in grado di gestire i flussi in modo più sostenibile. Non sono ancora molte le destinazioni e le aziende che hanno una certificazione di sostenibilità in ambito turistico.

Gentrificazione e aumento esponenziale di alloggi che sfuggono a qualsivoglia controllo: come si combattono questi due fenomeni “bui” legati al comparto turistico?

Le città di tutto il mondo si espandono, nuovi territori vengono urbanizzati e i vecchi sono riqualificati per essere destinati ad altri scopi: nasce così il fenomeno della gentrificazione al quale si accompagna la crescita incontrollata del numero di alloggi. In Italia sono oltre 600.000 gli appartamenti e le stanze proposti con la formula dell’affitto breve per scopo turistico, frutto di una totale assenza di regolamentazione del mercato che in molti centri ha creato problemi di overtourism. 

Nonostante il governo stia lavorando per mettere mano alla questione degli affitti brevi, definendo la norma che istituisce il Codice identificativo nazionale e avviando un tavolo tecnico con le Regioni sull’interoperabilità tra le banche dati regionali e nazionale, è indispensabile accelerare e facilitare il contenimento del fenomeno per ristabilire un giusto equilibrio e per restituire le città ai propri abitanti.

Quali risultati ha portato il progetto TOURISM4.0 e quale lezione ha impartito? Più in generale quali sono i primi esiti relativi agli investimenti in digitale agevolati dal PNRR?

TOURISM4.0 è stato un progetto strategico per la Federazione che ci ha visto protagonisti in Europa e che risponde all’esigenza ormai imprescindibile per le imprese turistiche di sfruttare le tecnologie digitali emergenti per migliorare le proprie performance aziendali. Siamo soddisfatti per la grande adesione manifestata dalle imprese, in particolare da quelle italiane, che hanno dimostrato di comprendere quanto sia importante aggiornarsi e agire su leve fondamentali come l’innovazione tecnologica e organizzativa, la valorizzazione delle competenze e la qualità dei servizi per poter essere sempre più competitive sul mercato.

Avere a disposizione uno standard digitale di riferimento come il Tourism Digital Hub, al quale il PNRR ha assegnato 114 milioni di euro, rappresenta un cambio di passo della promozione turistica del territorio italiano, un nuovo sistema digitale per la gestione integrata e unitaria dell’informazione, promozione e marketing dell’offerta turistica italiana, per rilanciare le economie territoriali, aumentare la visibilità dei luoghi meno conosciuti, migliorare il coordinamento delle azioni di promozione delle destinazioni turistiche e personalizzare le esperienze dei viaggiatori.

È uno strumento che può aiutare le imprese a valorizzare e promuovere l’offerta online e a sfruttarne i benefici incrementando l’attrattività e a capire insieme come, grazie alla raccolta dei dati, gli operatori del settore potranno conoscere in anticipo i flussi turistici futuri in modo tale da prepararsi al meglio a gestire la domanda e a dirottare i turisti dalle grandi città alle aree meno conosciute del Paese.

 

 

 

 

 

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GRASSI: «INDIVIDUARE LE COMPETENZE DA DECENTRARE ALLE REGIONI»

Per il Presidente del Consiglio delle Rappresentanze Regionali e per le Politiche di Coesione Territoriale di Confindustria é auspicabile una devoluzione focalizzata su “ambiti di materie” funzionali alle peculiarità territoriali e all’effettiva capacità delle rispettive amministrazioni di esercitarle

Mentre l’Europa scommette sul mettere insieme le potenzialità dei differenti paesi, nel nostro torna in agenda l’autonomia differenziata. Quali potrebbero essere gli impatti sul Mezzogiorno e, più in generale, per l’economia italiana?

Per rispondere a questa domanda è doverosa una premessa. L’autonomia differenziata costituisce un principio costituzionale, in sé meritevole di attuazione. Se ben calibrata, essa può rappresentare un’occasione per rafforzare la competitività e valorizzare le specificità dei territori. In Confindustria guardiamo quindi con interesse a un’attuazione del regionalismo differenziato che, senza aumentare i divari tra le Regioni, rafforzi i territori nel solco dei principi di sussidiarietà, unità, efficienza e solidarietà. Inoltre, il dibattito attuale potrebbe e dovrebbe essere l’occasione per riaprire il confronto sul Titolo V della nostra Costituzione, che a distanza di 22 anni dalla sua riscrittura, mostra ormai con chiarezza alcune “crepe”, tra contraddizioni e lacune normative, incertezze interpretative e inattuazioni. Si pensi soltanto, ad esempio, che solo ora sembra avviarsi il percorso per l’individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP) e che non ha ancora trovato attuazione quanto previsto dall’art. 119, vale a dire la creazione del fondo perequativo che dovrebbe compensare gli squilibri “sofferti” dai territori con minore capacità fiscale. Peraltro, il superamento di queste due lacune rappresenta, a mio avviso, una condizione necessaria per avviare il percorso verso un’autonomia differenziata “giusta”.

Quanto potrebbe rivelarsi inefficace, se non dannoso, che scelte strategiche per l’economia nazionale, come quelle nel campo dell’energia e delle infrastrutture, vengano decentralizzate? E quelle relative a sanità e istruzione?

Se da un lato il regionalismo differenziato può costituire un’opportunità per i territori, dall’altro è necessario porre grande attenzione alle materie – o agli ambiti di materie – che saranno oggetto di devoluzione. Per noi c’è un punto irrinunciabile: alcune materie strategiche, che contribuiscono a creare le condizioni per la competitività e lo sviluppo debbono essere “gestite” a livello nazionale, se non addirittura europeo, per garantire efficienza, ma anche omogeneità normativa e amministrativa e condizioni di partenza più simili, a tutela del mercato. Mi riferisco, per citare gli esempi più eclatanti, alle infrastrutture energetiche e di trasporto e, più in generale, ai servizi a rete, nonché al commercio con l’estero. Materie che necessitano di meccanismi di coordinamento, volti anche a superare veti o inerzie, che possono essere assicurati solo da una gestione unitaria, strettamente connessa, peraltro, agli orientamenti europei. Sarebbe opportuno, poi, individuare le attribuzioni devolute alle Regioni secondo un approccio graduale. Infatti, modifiche massive delle competenze legislative e amministrative potrebbero impattare in negativo sull’assetto delle organizzazioni regionali, a danno della loro stessa efficienza. In quest’ottica, sarebbe auspicabile una devoluzione focalizzata – più che su intere materie – su “ambiti di materie” (come peraltro previsto dal DDL Calderoli) funzionali alle peculiarità territoriali e all’effettiva capacità delle rispettive amministrazioni di esercitarle, individuando, quindi, specifici spazi di competenza regionali e spazi, invece, lasciati alla competenza statale.

Della rivendicazione regionale del residuo fiscale cosa ne pensa?

Credo sia un tema da ricondurre a una logica di rivendicazione politica, più che alla costruzione di un percorso equilibrato di attuazione della norma costituzionale in tema di autonomia differenziata. Si tratta, infatti, di un tema sensibile, molto discusso sia a livello politico che tra gli esperti, ma che non risulta, a oggi, all’ordine del giorno della discussione sull’autonomia, tant’è che non è richiamato, né regolato dal “DDL Calderoli” in quanto, su un piano generale, il trattenimento del residuo fiscale può rappresentare una soluzione disallineata rispetto alle esigenze e ai principi di perequazione, che a loro volta, com’è ormai chiaro a tutti, rappresentano alcuni dei criteri cui deve uniformarsi l’attuazione della norma costituzionale sul regionalismo asimmetrico.

L’attuazione del PNRR potrebbe essere ostacolata da questo processo di riforma?

Il PNRR è un piano di riforme e di investimenti caratterizzato, sin dalla sua ideazione, da un forte protagonismo del livello nazionale. Per assicurare il raggiungimento degli obiettivi del piano, quindi, ritengo che l’attuazione dell’autonomia differenziata dovrebbe tener conto anche del fatto che un passaggio di competenze dal livello centrale a quello regionale potrebbe, in questa fase storica, generare incertezze nell’attribuzione delle competenze e, di conseguenza, potenziali ritardi nell’attuazione. È uno dei motivi per cui riteniamo vada privilegiato un approccio graduale e al tempo stesso flessibile nell’individuazione delle materie, per garantire un “passaggio di consegne” fluido e coordinato, anche nell’ottica del rispetto degli impegni presi con l’Unione Europea.

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