Tosca, una porta sull’oscurità umana

La storia nell'opera di Puccini che inaugura la stagione della Scala è poco più di un pretesto. In realtà si tratta di un viaggio nelle passioni. Il trionfo dell'artificialità teatrale.

Con la Tosca del 7 dicembre, Davide Livermore entra in un club ristrettissimo, quello dei registi che hanno firmato almeno due inaugurazioni di stagione alla Scala.

Lui peraltro, i suoi due spettacoli di apertura li ha realizzati in rapida successione: l’anno scorso Attila, quest’anno il capolavoro pucciniano, dalla quasi rarità a una delle opere più popolari di sempre.

LIVERMORE OPTERÀ PER UNA NARRAZIONE CINEMATOGRAFICA

Non ci saranno spostamenti di epoca, a differenza di quanto era accaduto con l’opera giovanile di Verdi portata dal V secolo agli anni della Seconda Guerra mondiale. Ma ci sarà un altro tipo di attualizzazione, quella che passa per la scelta di una sorta di narrazione cinematografica, linguaggio con il quale il regista torinese ha già dimostrato di avere efficace dimestichezza. E del resto, la storia di Tosca al cinema è molto lunga e comincia pochi anni dopo il debutto dell’opera.

BARONE SCARPIA, ASSOLUTO PROTAGONISTA

Il più cinematografico dei personaggi è il barone Scarpia, capo della polizia. Quando lo spettatore ne sente parlare per la prima volta – atto I, scena VI – capisce subito, anche se non lo ha ancora visto, che si tratta del vero, assoluto protagonista di Tosca. È Cavaradossi a descriverlo, con versi memorabili: «Scarpia?! Bigotto satiro che affina / colle devote pratiche / la foia libertina / e strumento al lascivo talento / fa il confessore e il boia!».

Maria Callas e Tito Gobbi nella Tosca di Zeffirelli al Covent Garden di Londra (Getty Images).

Ecco già squadernato il nucleo drammaturgico del capolavoro noir di Puccini: brama di sesso e ipocrita devozione sul piano personale, potere (di vita e di morte) e Chiesa alleati contro il vento impetuoso della storia, che soffia dalla Francia napoleonica, sul piano generale.

UN SINISTRO PRODIGIO DI ARMONIA

Mentre riecheggia sinistramente l’inquietante motivo ricorrente di Scarpia (è un semplice prodigio di armonia: tre accordi maggiori perfetti ma di tonalità molto lontane fra loro, soluzione che qualche decennio più tardi sarà fatta propria dalla musica per il cinema e per sempre collegata all’apparizione dei malvagi), gli eventi della fatale giornata-nottata nella Roma del giugno 1800 si avvitano inesorabilmente su queste pulsioni nella cornice di uno storico sfacelo. Il tempo della narrazione e quello della rappresentazione quasi si sovrappongono. Non sopravvivrà nessuno.

LA CORNICE STORICA È SOLO UN PRETESTO

La cornice storica, peraltro, è niente più che un pretesto, nell’opera di Puccini, Illica e Giacosa. E la dimensione politica – in fondo, Cavaradossi diventa un attivista politico quasi per caso – sbiadisce al contatto con la devastante profondità psicologica di un melodramma la cui struttura a duetti è funzionale proprio a questo percorso nella passione, nell’abiezione e nella perdizione.

Maria Callas con il regista Franco Zeffirelli dopo il successo di Tosca al Convent Garden (Getty).

STALKING E VIOLENZA IN SCENA

Al centro, nel secondo atto, naturalmente c’è il terribile confronto fra il sadico Scarpia e la sua vittima predestinata, concupita lungamente e morbosamente: la più lunga, dettagliata, terrificante scena di stalking e di violenza sessuale nella storia dell’opera. Lui vuole a tutti i costi aggiungere la bella “cantatrice” all’elenco delle sue conquiste, ma non vuole il mellifluo consenso, si eccita con la conquista violenta. Del resto, è uno che in chiesa invece di pregare si accende pensando al momento in cui riuscirà a possedere la donna che desidera (atto I, Te Deum). Prima e dopo, sono i due appassionati amanti a costruire il percorso della tragedia e la temperatura emotiva dell’opera. Nel primo atto, amore incrinato dalla gelosia e poi rinsaldato, ma già inquinato da Scarpia, che alla fine potrà cantare: «Va’, Tosca, nel tuo cuor si annida Scarpia». Nel terzo atto, amore illuso e disperato, che viene distrutto e si autodistrugge. Sipario.

UN’OPERA CHE È CONFRONTO DI PSICOLOGIE

Tosca però è ben altro che un feuilleton tutto sangue e violenza, colpi di scena e amori disperati. È soprattutto un gigantesco, drammatico, devastante confronto di psicologie. La violenza è pervasiva, quasi una presenza ossessiva, tanto più lancinante in quanto materialmente il più delle volte resta fuori scena. E dunque, lungi dal rappresentare, come ancora talvolta si sostiene, il punto di maggiore avvicinamento di Puccini alla poetica del Verismo, che nell’ultimo decennio dell’Ottocento ha avuto in Italia la sua in fondo effimera ma vigorosa stagione, quest’opera costituisce il trionfo di una straordinaria e molto moderna artificialità teatrale.

Una foto di scena di Tosca a La Scala con la direzione di Lorin Mazel e la regia di Luca Ronconi (2006).

Il suo meccanismo drammatico non racconta qualche tranche de vie, possibilmente popolare, con naturalistica evidenza, ma inventa il vero, a partire dal plot creato da Sardou. È un gioco che va molto oltre la ricerca dell’effetto esteriore. La morbosità sadica di Scarpia è meccanismo drammaturgico ma anche struttura psicologica e scandalosa decorazione di gusto ormai prossimo al floreale: così, Tosca non è solo un frutto particolare del Decadentismo, ma realizza una modernità spesso sottovalutata proprio per la perfezione della sua artificialità.

SCELTE ARMONICHE INNOVATIVE E UNA SCRITTURA SONTUOSA

Ne è gran maestro un Puccini mai fino a quel momento così efficace nel costruire una partitura in grado di piegare idee musicali e logiche formali al graticcio letterario. Ciò avviene in virtù di scelte armoniche innovative, di una scrittura orchestrale sontuosa e mai di maniera, fra perorazioni di inedita spettacolarità e dettagli di minuziosa eleganza. Domina nella partitura una magistrale duttilità espressiva, che coinvolge anche la sempre seducente vena melodica del compositore lucchese, ma la riconduce alle esigenze drammaturgiche con straordinaria e a volte perfino ruvida efficacia, grazie alla complessa trama delle reminiscenze motiviche, di cui tutta l’opera è intessuta.

Il compositore Giacomo Puccini (1858 – 1924) (Getty Images).

UN ESEMPIO SCINTILLANTE DI TEATRO MUSICALE A OROLOGERIA

Il risultato è un melodramma che sembra ammiccare alla tradizione ma in realtà ne contrae violentemente i presupposti formali ed espressivi e arriva vicino a scardinarli senza però dare mai l’impressione di farlo davvero. Per questo, Tosca può sembrare un ennesimo trionfo della civiltà della Romanza. In realtà non per questo ci commuove e ci impressiona ogni volta, infallibilmente, ma perché è uno scintillante esempio di teatro musicale a orologeria: un meccanismo perfetto che certo offre anche una rassicurante dose di sentimentalismo, ma soprattutto schiude allo spettatore – in maniera mai prima così diretta e inquietante nel melodramma italiano – i recessi più oscuri dell’anima umana. Nel giro di un paio di decenni arriveranno Richard Strauss e Alban Berg, arriveranno Salome, Elektra e Wozzeck. Ma Tosca a buon diritto, come la critica più avvertita ha da tempo riconosciuto, può considerarsi la prima tappa di questo percorso nella modernità.

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