L’allarme del 2007 sul rischio coronavirus in wet market e laboratori

Nell'ottobre del 2007, lo scienziato Kwok Yung Yuen definiva i coronavirus una bomba a orologeria. Citando animali e laboratori come possibili fonti di contagio. Un avvertimento che oggi suona come una drammatica premonizione caduta nel vuoto.

«I coronavirus sono una bomba a orologeria». Così, nell’ottobre del 2007, scriveva lo scienziato Kwok Yung Yuen, microbiologo a capo del Dipartimento di malattie infettive emergenti presso l’università di Hong Kongin uno studio post-Sars. L’articolo, frutto di un lavoro effettuato con altri tre ricercatori e pubblicato sulla rivista scientifica Clinical Microbiology Reviews, parlava chiaro: «I coronavirus sono ben noti per le ricombinazioni genetiche che possono portare a nuovi genotipi ed epidemie. La presenza di una larga riserva di coronavirus nei pipistrelli ferro di cavallo e la cultura di mangiare mammiferi esotici nel sud della Cina creano una “bomba a orologeria”. La possibilità che si ripresenti la Sars o nuovi altri virus da animali o da laboratori, e dunque la necessità di essere pronti, non dovrebbe essere ignorata». Un avvertimento che oggi suona come una drammatica premonizione caduta nel vuoto. Già, perché il professore cinese citava proprio le due possibili fonti di contagio sul tavolo anche per l’attuale pandemia: animali o laboratori. Come mai?

LA NECESSITÀ DI RAFFORZARE LE MISURE DI BIOSICUREZZA

Se la maggioranza degli scienziati propende per l’origine naturale del Sars-CoV-2 (di nuovo un salto di specie da pipistrello a uomo attraverso un ospite intermedio, in un primo momento identificato nel pangolino poi scagionato), il presidente americano Donald Trump ha accusato più volte Pechino sostenendo di avere le prove – in realtà, senza mai fornirle – che questo coronavirus è frutto di ingegneria genetica. Nel mirino, l’istituto di virologia di Wuhan (WTV), una struttura che rivendica di avere laboratori con il massimo livello di biosicurezza internazionale (Bsl-4) ma che una recente inchiesta del Washington Post ha rivelato essere al centro di grossi timori dell’ambasciata degli Stati Uniti a Pechino (che, per questo, aveva inviato ripetutamente diplomatici scientifici statunitensi nel centro di ricerca) fin dal 2018. È un fatto che una relazione della Commissione europea nel 2004 riferiva che, sebbene dal 5 luglio 2003 l’Organizzazione mondiale della sanità non avesse registrato nuovi casi di Sars, i contagi erano riapparsi in almeno quattro occasioni fra la fine di agosto 2003 e il 2004: una volta nella città di Guangzhou – ancora nel sud della Cina – nella provincia di Guangdong (un’infezione trasmessa da un animale ma contenuta ad appena quattro contagi), altre tre volte a Singapore, Taipei e Pechino. In tutti questi casi, si trattava di incidenti di laboratorio che avevano coinvolto 13 persone: sei mentre conducevano esperimenti sul virus della Sars (Sars CoV), i restanti sette per esposizione a uno dei contagiati. I servizi di Bruxelles annotavano la necessità di prepararsi a un possibile ritorno dell’epidemia e di rafforzare le misure di biosicurezza dei centri di ricerca. Ma che cosa era successo?

LE INDAGINI DELL’OMS A SINGAPORE

Un team internazionale dell’Oms si recò a Singapore per un’indagine sul campo su uno dei nuovi casi registrati, quello di un ventisettenne al suo terzo anno di dottorato in microbiologia presso l’università nazionale di Singapore. Gli 11 esperti, guidati dal virologo Antony Della-Porta, giunsero alla conclusione che la contaminazione era avvenuta probabilmente in modo accidentale per un mancato rispetto delle regole. In pratica, l’esperimento avrebbe dovuto svolgersi in un laboratorio diverso ma, un giorno, lo specializzando era stato lasciato solo dal suo tutor perché era sabato mattina (il giorno delle riunioni dello staff). Le rilevazioni mostrarono che mancavano standard e linee guida di biosicurezza adeguati, un’idonea formazione dei ricercatori e l’istituto necessitava di svariati interventi strutturali. A Taipei, invece, l’incidente si era verificato in un laboratorio di massima sicurezza perché lo scienziato (in questo caso di grande esperienza) non aveva seguito la procedura per la decontaminazione della strumentazione e aveva effettuato la pulizia senza idonee protezioni per le vie aeree. Ma, una volta accusati i sintomi di crisi respiratoria, incredibilmente, l’uomo non era stato visitato e monitorato nei giorni di assenza per malattia con il rischio di contagiare altre persone. Ad aprile 2004, infine, due ricercatori dello staff del Centro per il controllo e la prevenzione delle malattie di Pechino avevano contratto la Sars, contagiando sette persone esterne (una delle quali morì). Eppure, nessuno di loro lavorava sul virus della Sars (probabilmente, c’era stata una contaminazione in uno dei laboratori poi usati dagli altri).

LA “MORATORIA” DI OBAMA DEL 2014

Nel 2014 è la volta degli Stati Uniti. Nei centri per la prevenzione e il controllo delle malattie di Atlanta – uno dei luoghi strategici per la lotta a contagi ed epidemie – si verificano vari incidenti gravi che coinvolgono il laboratorio dove si studia l’antrace e quello del virus H5N1, l’influenza aviaria. Il direttore, Thomas Frieden, è costretto ad ammettere che gli errori avrebbero potuto, in teoria, uccidere sia i ricercatori dello staff sia persone comuni fuori dal centro. In un episodio, almeno 62 tecnici risultano a rischio, essendo stati esposti al batterio dell’antrace privi dell’adeguato equipaggiamento. Le strutture vengono chiuse e il presidente Barack Obama decide di imporre una “moratoria” di un anno a questo tipo di esperimenti (i cosiddetti «Gain-of-Function» ovvero quelli finalizzati ad accrescere la virulenza o trasmissibilità dei patogeni), tagliando i fondi alla ricerca su Sars, Mers e altri coronavirus o virus influenzali. Obama invita gli scienziati americani a una pausa volontaria da studi del genere finché non si stabiliranno regole di biosicurezza più stringenti ma nella comunità scientifica riprende quota l’annoso (e, in realtà, mai sopito) dibattito: i ricercatori si dividono fra chi ritiene che creare patogeni in laboratorio in grado di scatenare potenziali pandemie è troppo rischioso per la salute umana e chi, viceversa, lo giudica indispensabile proprio per trovare nuove terapie. Così è. Ma, alla fine, l’errore non si può mai escludere.

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Libertà di movimento tra Regioni dal 3 giugno

La fine delle restrizioni prevista nella bozza del decreto del governo. Il governo potrà intervenire se si saranno nuovi focolai. Per il resto autonomia agli enti locali. Che mostrano tutti basso rischio. Tranne la Lombardia.

Libertà di movimento all’interno della propria regione senza limiti dal 18 maggio e tra le regioni dal 3 giugno. Secondo il quotidiano La Stampa è quanto prevede la nuova bozza del decreto voluto dal governo che dovrebbe essere presentato oggi e poi avere il vaglio del parlamento. La grande novità, secondo quanto riporta il quotidiano di Torino, è che saranno le Regioni a decidere eventuali restrizioni o istituzione di zone rosse.

A woman wearing a protective face mask walks at Piazza Affari where Palazzo Mezzanotte, headquarters of the Italian Stock Exchange, is located, in Milan, Italy, 25 February 2020. So far seven people with the coronavirus have died in Italy – all of them over 60 and several with pre-existing conditions. ANSA / MATTEO BAZZI

I POSSIBILI INTERVENTI DEL GOVERNO

Tuttavia il governo dovrà essere informato dell’andamento epidemiologico dei contagi e potrà intervenire se veranno individuati dei focolai.

L’ECCEZIONE LOMBARDA

La decisione dell‘esecutivo è stata presa dopo che tutte le regioni hanno mostrato di aver raggiunto un basso rischio di diffusione dell‘epidemia, tutte con l’eccezione della Lombardia.

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Risale il numero delle vittime da Covid-19: i dati del 14 maggio

In 24 ore registrate 262 vittime, 111 solo in Lombardia. I nuovi casi sono 992, contro gli 888 del 13 maggio. I numeri.

Tornano a crescere le vittime da coronavirus in Italia. Dopo i dati positivi del 13 maggio, 24 ore dopo si registra una pur lieve inversione di tendenza. I morti in un giorno sono 262 (111 soltanto in Lombardia), contro i 195 di mercoledì. Il totale arriva così a 31.368. Risale anche l’incremento dei nuovi casi, che passa da 888 a 992, con la Lombardia (522) che da sola vale oltre il 50% del dato nazionale. Il totale delle persone che hanno contratto il coronavirus è 223.096. Tra le persone attualmente positive, 855 sono in cura presso le terapie intensive, con una decrescita di 38 pazienti rispetto al 13 maggio.

EFFETTUATI 14 MILA TAMPONI IN LOMBARDIA

In Lombardia, ha detto l’assessore al Welfare Giulio Gallera, «i guariti completamente dal Covid-19, con il doppio tampone negativo, hanno superato quota 30.000, ben 653 in un giorno solo. Calano in modo costante anche i pazienti ricoverati – ha aggiunto – quelli in terapia intensiva sono 297, mentre nei reparti di medicina e pneumologia sono rimasti 4.818 pazienti, 189 in meno rispetto a ieri. Più di 14 mila i tamponi effettuati».

Gli strumenti che abbiamo in messo in atto in modo strutturale accompagneranno tutti i lombardi verso una “nuova normalità” anche in ambito sanitario

Giulio Gallera, assessore al Welfare della Regione Lombardia

«I nostri medici, infermieri e operatori – ha sottolineato l’assessore – stanno svolgendo un grande lavoro, sia all’interno delle strutture ospedaliere che sul territorio. Gli strumenti che abbiamo in messo in atto in modo strutturale accompagneranno tutti i lombardi verso una “nuova normalità” anche in ambito sanitario».

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Cosa prevede il decreto Rilancio approvato dal Cdm

Gli aiuti per famiglie e imprese. La semplificazione della cassa integrazione. Il bonus vacanze. Gli investimenti a sostegno di sanità e ricerca. Le novità del testo presentato da Conte dopo tanti rinvii.

Il Consiglio dei ministri ha dato il via libera al decreto Rilancio. Il premier Giuseppe Conte ha commentato: «Vi posso assicurare che ogni ora di lavoro pesava perché sapevamo di dover intervenire quanto prima. Abbiamo impiegato un po’ di tempo ma posso assicurarvi che non abbiamo impiegato un minuto di più di quello strettamente necessario per un testo cosi complesso». Il premier, in conferenza stampa, ha spiegato: «Introduciamo misure di rilancio e sostegno alle imprese per una pronta ripartenza. Aiutiamo le famiglie che hanno figli, abbiamo un reddito di emergenza. Per i lavoratori le risorse sono cospicue, sono pari a 25,6 miliardi di euro».

ALMENO 15 MILIARDI PER LE IMPRESE

Ci sono 15-16 miliardi alle imprese, «che verranno erogati in varie forme dalle più piccole fino alla possibilità di capitalizzare le più grandi. Tagliamo in pratica 4 miliardi di tasse per tutte le imprese fino a 250 milioni di fatturato».

BONUS VACANZE FINO A 500 EURO

Il pacchetto turismo prevede un tax credit «fino a 500 euro per tutte le famiglie con Isee inferiore a 40 mila euro. Ristoranti e bar potranno occupare suolo pubblico non pagando la Tosap anche grazie alla collaborazione con Anci». Via la prima rata Imu per gli alberghi e gli stabilimenti balneari.

MODIFICHE ALLA CIG

Capitolo cassa integrazione. «Dobbiamo semplificare e fare in modo che arrivino in modo semplice, rapido, veloce» le risorse stanziate, ha detto Conte. «Abbiamo pagato l’85% di cassa integrazione, quasi 80% di bonus autonomi, misure per 4,6 milioni di lavoratori. Abbiamo lavorato per rendere meno farraginosi i passaggi e confidiamo di recuperare il tempo perduto, avendo snellito la procedura». L’autorizzazione della cassa integrazione in deroga spetterà ora all’Inps, e non più alle Regioni (ma solo per le nuove domande). L’impresa farà domanda direttamente all’Inps che, in 15 giorni dall’arrivo dell’istanza, erogherà un anticipo dell’assegno del 40%.

AGLI AUTONOMI 600 EURO SUBITO, POI (FORSE) 1.000

Per gli autonomi e i professionisti iscritti alle gestioni separate Inps, ha detto Conte, «arriveranno 600 euro subito, perché saranno dati a chi ne ha già beneficiato. Spero possano arrivare nelle prossime ore, quando il decreto andrà in Gazzetta ufficiale, poi ci riserviamo di integrarli con un ristoro fino a 1.000 euro».

UN MILIARDO PER LA FILIERA AGRICOLA

La ministra per le Politiche agricole Teresa Bellanova ha aggiunto: «Il settore agroalimentare ha una dotazione specifica: abbiamo destinato 1 miliardo e 150 milioni di euro per sostenere la filiera agricola. Gli interventi saranno finalizzati ai settori che hanno più sofferto, il florovivaismo, gli agriturismi, la filiera del vino». Nel pomeriggio era già stata annunciata l’intesa sulla regolarizzazione di colf e braccianti.

ASSUNZIONE DI 4 MILA RICERCATORI

Il testo prevede inoltre 1,4 miliardi per università e ricerca e l’assunzione di 4 mila nuovi ricercatori. Per la sanità, invece, Conte ha parlato di un intervento pari a 3 miliardi e 250 milioni. Sono previste altre 4.200 borse per le scuole di specializzazione in medicina, in collaborazione con il ministero dell’Università.

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Serve un governo e questo non lo è

Basta chiacchiere su migranti, Mes e mascherine. Se Conte non è capace di fare un salto di qualità, deve saltare e lasciare il posto.

L’Italia, sempre ma soprattutto nel tempo del Covid, ha bisogno di un governo. Quali caratteristiche deve avere questo governo? Deve essere innanzitutto autorevole. L’autorevolezza non significa il consenso bulgaro, ma che il governo sappia comandare la macchina dello stato, sappia prendere decisioni tempestive, indichi ai cittadini i comportamenti che in fase di emergenza si possono temere o no, sappia guidare il sistema regionale, dia agli imprenditori prospettive serie in tempi stabiliti, sappia alleviare le sofferenze dei più poveri.

BASTA CON LE CHIACCHIERE

Queste cose le può fare un governo di sinistra o di destra. A scelta vostra, io ovviamente ho la mia scelta. Non è necessario che questo governo abbia applausi o like sui social, l’importante è che faccia. Una volta Cuore fece l’elenco delle correnti del Pci, che ufficialmente non esistevano, e ne indicò una a guida Gerardo Chiaromonte, storico leader riformista, che aveva come nome “Basta con le chiacchiere”. Ecco: basta con le chiacchiere. Con quelle sui migranti, sul Mes, sulle mascherine ecc. ecc.

UNA SITUAZIONE DI PERICOLO, A PARTIRE DA SILVIA ROMANO

Senza un governo con queste caratteristiche diventa difficile anche la cosa più semplice e si discute di stupidaggini ogni giorno che dio manda in terra. I giornali di destra stanno massacrando la povera Silvia creando attorno a lei una situazione di pericolo che merita di essere vigilata. Un governo serio, in via informale, suggerisce alla prefettura di Milano di non perdere tempo nel darle la tutela. Magari il conto lo mandiamo a Feltri.

SULLE MASCHERINE SI MUOVA IL MINISTRO DEGLI INTERNI

Mancano la mascherine? Oppure ci sono nei depositi delle regioni? Il ministro degli Interni scateni l’inferno e trovi le mascherine e se 0,50 non è remunerativo per i farmacisti (e non lo è) si stabilisca un prezzo equo.

Il Mes, basta con le chiacchiere appunto, chissenefrega delle opinioni dei 5 stelle. Più parlano, più l’Italia appare un debitore inaffidabile.

ORGANIZZAZIONI CRIMINALI IN PIENA FASE 3

E poi occhio a quel che succede nel grande mondo della piccola e media distribuzione: usurai, finanziamenti fasulli ad esercizi per riciclare denaro sporco. Anche le organizzazioni criminali sono uscite dal letargo della Fase 1 e sono in piena Fase 3.

Queste cose ed altre le può fare un governo vero.

Soprattutto una deve fare. Abbiamo sempre saputo qual era la collocazione internazionale dell’Italia. Ora invece c’è chi tira per Putin e chi per la Cina. L’innamoramento cinese è trasversale. Dovremmo essere, invece, europeisti e atlantisti. Invece siamo tornati una Italietta che si è messa sul mercato. Uno squallore prima che un errore.

O CONTE FA IL SALTO DI QUALITÁ O DEVE SALTARE

Questo governo che servirebbe con tutta evidenza non è il governo Conte. Penso che il premier abbia fatto cose che altri suoi sodali giallo verdi non avrebbero mai fatto. Ha avuto alle spalle un partito generoso, il Pd. Ora non basta più. Ora serve un salto di qualità, o lui fa il salto o deve saltare e lasciare il posto a un altro.

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I dati sui contagi del coronavirus del 12 maggio

Sono 172 i morti nelle ultime 24 ore. Il numero complessivo dei malati in calo di 1.222 unità. Continuano a svuotarsi le tarapie intensive. Il bollettino.

Sono salite complessivamente a 30.911 le vittime del coronavirus in Italia, con un incremento di 172 in un giorno. Ieri l’aumento dei morti era stato di 179. Dopo giorni in calo, torna a crescere l’incremento dei contagiati totali, vale a dire gli attualmente positivi, le vittime e i guariti. Attualmente sono 221.216, con una crescita rispetto a ieri di 1.402. L’11 maggio l’aumento era stato di 744 unità. Nell’aumento vanno però considerati 419 casi della Lombardia che, sottolinea il Dipartimento della Protezione civile, «ha comunicato trattarsi di casi riferiti alle settimane precedenti e non alle ultime 24 ore».

PROSEGUE IL CALO DEI MALATI

Sono, invece, 81.266 i malati in Italia, in calo rispetto a ieri di 1.222. Nella giornata precedente la diminuzione era stata di 836. Continuano a diminuire anche i ricoverati in terapia intensiva: sono 952 i pazienti, 47 in meno rispetto a ieri, quando il calo era stato di 28. Di questi, 322 sono in Lombardia, 19 meno di ieri. Le persone ricoverate con sintomi sono invece 12.865, con un decremento di 674 rispetto a ieri. Sono 67.449 le persone in isolamento domiciliare, 501 in meno rispetto a ieri. I pazienti guariti dal Covid-19 in Italia, infine sono 109.039, con un incremento di 2.452 rispetto a ieri.

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Tre semplici domande sul Mes a un sovranista tipo

Cosa accadrebbe all'Italia se fosse l'unico Paese Ue a non accedere al Meccanismo Salva Stati? Ci sono vie alternative per trovare i 36 miliardi che ci spetterebbero? E, infine, gli aiuti non equivarrebbero a mezzo Piano Marshall? Sono quesiti a cui solo un "euroscettico" potrebbe rispondere. Se solo avesse qualcosa da dire.

Bloccare l’accesso dell’Italia ai fondi del Mes è diventata la linea del Piave degli anti-Ue italiani, che mai accetterebbero il titolo di anti-Ue preferendo di gran lunga quello di euroscettici, che fa così tanto pensoso.

Detestano in particolare le intrusioni di Bruxelles sulle questioni del bilancio e del debito, che vanno diritte al cuore delle autonomie nazionali. Sul Mes si prepara una battaglia in parlamento: sì o no?

LA STORIA DEL MECCANISMO EUROPEO DI STABILITÀ

Ci sono tre domande che si potrebbero porre agli euroscettici. Prima di farlo, ricordiamo che cos’è il Mes e che cosa oggi, per la pandemia, potrebbe fare, a che costi e a che rischi. L’acrononimo Mes sta per Meccanismo europeo di stabilità (Esm l’acronimo in inglese) ed è un fondo finanziario intergovernativo creato nel 2012 con sede a Lussemburgo sulla base di un fondo preesistente per dare sostegno ai Paesi dell’euro in caso di difficoltà dei conti pubblici, sostenibili ma in difficoltà, o quando comunque ne fanno richiesta. Le quote versate dai 19 Paesi membri, tutti quelli dell’euro, sono il capitale. Su questa base il Mes colloca obbligazioni sui mercati e ha oggi una potenza di fuoco di circa 500 miliardi. Le condizioni di un intervento, da definire in un memorandum caso per caso, sono diverse e più stringenti se si tratta di un prestito, meno se di una linea di credito. La Banca d’Italia ha preparato una semplice guida che si può utilmente leggere (Il Meccanismo europeo di stabilità e la sua riforma: domande frequenti e risposte), che parla anche dei progetti di riforma, approvati in principio a dicembre 2019 dai 19 ministri dell’Eurogruppo – l’organo decisionale del Mes – ma non ancora attuati. Il Mes non rientra nel sistema giuridico della Commissione, e opera parallelamente a essa. L’Italia a differenza di Spagna, Portogallo, Irlanda e Cipro (la Grecia fu il maggiore beneficiario con oltre 200 miliardi di euro, ma negoziati con il predecessore del Mes) non ha mai fatto finora ricorso al Mes.

L’ACCORDO SUL 2% DEL PIL

Con la pandemia, il Mes ha annunciato e il Consiglio Ue confermato l’8 maggio che ci saranno presto a disposizione di ogni Paese fondi pari al 2% del Pil, fino a circa 36 miliardi per l’Italia, per un prestito speciale e con un’unica condizione: che serva direttamente o indirettamente alla difesa dalla pandemia, quindi per la spesa sanitaria di ogni tipo, da mascherine e farmici a ristrutturazioni ospedaliere e nuovi ospedali o reparti e altro. Non più memorandum di intesa né interventi su bilancio e debito. Ovviamente quando l’Unione dichiarerà la fine dell’emergenza rientreranno in vigore i criteri di Maastricht del 1992 e il Patto di stabilità del 1997. E questo preoccupa gli euroscettici. Sostengono che la regola unica del Mes in versione pandemia non è affidabile perché, a fine emergenza, potrebbe restare sempre la minaccia delle vecchie regole, sospese ma non abolite, con forti intrusioni nella gestione del debito e perdita temporanea di sovranità. Così hanno parlato Giorgia Meloni e Matteo Salvini. I costi di un debito “pandemia” con il Mes sarebbero minimi, non oltre lo 0,1% annuo indica un’analisi italiana condotta da Luca Fava e Carlo Stagnaro per l’Istituto Bruno Leoni, a fronte di un costo per le ultime emissioni del Tesoro arrivato per titoli decennali attorno all’1,8% l’anno. Su 36 miliardi per 10 anni ci sarebbe quindi un risparmio di circa 5,7 miliardi di euro, pari – dato importante da ricordare come si vedrà fra poco – a 6,20 miliardi di dollari. È troppo sostenere che con un finanziamento Mes, alle condizioni “pandemia”, l’Italia riceverebbe l’equivalente di un aiuto a fondo perduto pari a 5,7 miliardi di euro? Se non vogliamo chiamarlo “prezzo di favore”, come lo chiamiamo? E ora passiamo alle domande, e a una ipotesi di risposta, ovviamente quest’ultima a puro titolo indicativo – e senza impegno – perché solo un vero sovranista sarebbe titolato a rispondere.

1. COSA SUCCEDE SE SIAMO L’UNICO PAESE UE A NON ACCEDERE AGLI AIUTI?

DOMANDA. Che cosa succede se vari altri Paesi tra cui forse anche la Francia, secondo quanto il ministro delle Finanze Bruno Le Maire ha anticipato, accedono al prestito Mes stile “pandemia” e l’Italia, l’unico Paese tra l’altro spaccato da un acceso dibattito sulla questione, non lo fa? In che posizione ci troveremmo?
RISPOSTA. «In quella», potrebbe essere la risposta, «di un Paese che sa fare i propri interessi e non accetta ricatti». Il che implicherebbe che gli altri non sanno fare i propri interessi. Oppure varie variazioni sul tema, ad esempio «gli altri non hanno valutato con sufficiente attenzione le vere clausole del Mes, noi siamo attenti e lo abbiamo fatto». Comunque, una risposta non facile.

2. DOVE TROVIAMO I 36 MILIARDI SE DICIAMO NO AL MES?

DOMANDA. Visto che non si tratta di cifre di cui possiamo fare a meno con un debito pubblico destinato a passare da circa 2.400 a circa 2.600 miliardi di euro causa pandemia, e con emissioni 2020 valutate per i titoli a medio e lungo (Bot esclusi quindi) a 202 miliardi per copertura di titoli in scadenza e a 45 miliardi di nuovo fabbisogno, dove troviamo i 36 che avrebbe potuto darci il Mes, e a che costi?
RISPOSTA. Qui è molto difficile ipotizzare una risposta, tutta affidata all’abilità dialettica del sovranista incaricato. Sulla base dell’analisi Fava-Stagnaro, e non cambierebbe molto con qualsiasi altra analisi, c’è tra i costi Mes e i costi di mercato una differenza superiore ai 5 miliardi di euro, in 10 anni. Direbbero forse qualcosa del genere: «L’onore nazionale non ha prezzo», in linea con una visione sovranista. Più probabilmente ricorderebbero che non sono soldi del Mes ma soldi nostri, visto che la quota versata dall’Italia è di 14 miliardi, il che è vero in senso contabile e non vero in senso politico, perché il Mes è una forma di assicurazione collettiva alla quale si contribuisce nella speranza di non averne mai bisogno. A questo si potrebbe rispondere che i 36 di prestito, e i 5,7 di “favore” sarebbero comunque una buona occasione per riavere indietro un po’ di quei 14 versati. Ma potrebbero uscire risposte impensate e impensabili, perché i sovranisti sul Mes si trovano con le spalle al muro e difendono la loro stessa ragion d’essere politica. Come del resto, in una posizione però più sostenibile perché inserita in un quadro europeo più ampio e coerente, fa il fronte opposto degli “europeisti”. Nazionalismo vuol dire, per definizione, essere soli. «Meglio soli che male accompagnati» è la classica risposta sovranista.

3. IL MES VALE PER NOI MEZZO PIANO MARSHALL?

DOMANDA. Terzo e ultimo quesito. Se il prestito Mes alle condizioni “pandemia” equivale a uno sconto di costi finanziari pari a circa 6,2 miliardi di dollari in 10 anni, e visto che all’Italia andarono nel 1948-52 circa 1,4 miliardi di dollari del Piano Marshall in gran parte a fondo perduto, pari a 14 miliardi di dollari oggi, e sia pure considerando il fatto che 1,4 miliardi di allora avevano sull’Italia di allora un peso più alto di 14 miliardi di oggi sull’Italia, non si può forse dire che il Mes da solo, e prima di altri interventi Ue, vale per l’Italia mezzo Piano Marshall?
RISPOSTA. Difficilissmo ipotizzare una risposta. Probabilmente si cercherebbe di ribadire che quello del Mes non è affatto un “dono” ma un cavallo di Troia.

QUELLO CHE NON SI DICE SUGLI EUROBOND

Conclusione. Aspettiamo il dibattito parlamentare. Si sentiranno alti toni patriottici e accuse agli avversari di svendita dell’onore nazionale. Il peggior armamentario del vecchio nazionalismo, che da sempre cerca di togliere al fronte opposto la dignità del libero pensiero. Naturalmente i sovranisti diranno che non sono contro l’Europa ma contro “questaEuropa. Il problema è che l’Europa giusta che va bene a loro non si trova mai. Messi alle strette, sostengono in genere che sarebbero per una vera Europa unita che corre in soccorso di ogni nazione così come negli Stati Uniti Washington fa con il Minnesota piuttosto che l’Arizona o il Tenneesee, ma non per “questa” Europa. Ancor più alle strette, invocano sempre gli eurobond, la cui assenza prova la perfidia europea da cui dobbiamo difenderci. Ma in genere non sanno che dire a chi ricordaloro che gli eurobond, come mutualizzazione di un debito nazionale che diventa comune, hanno per logica necessità e conseguenza la creazione di un superministro delle Finanze che, affiancato dal Parlamento europeo, controlla le spese degli Stati approvate dai rispettivi parlamenti. Gli eurobond implicano quindi una nuova consistente cessione di sovranità. A questo punto in genere i sovranisti cambiano discorso. Salvo continuare a imprecare, come ha scritto Mattia Feltri, contro «…quel popolo che noi chiamiamo gli egoisti del Nord, e dal quale pretendiamo i denari con le vene gonfie al collo». Ma non i denari del Mes. Quello, come tanti Nennillo nel Natale in casa Cupiello di Eduardo, «nun ce piace».

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Cosa prevedono le ipotesi sulla mobilità tra Regioni nella Fase 2

Toti anticipa che il governo starebbe ragionevolmente pensando al primo giugno come data utile per aprire agli spostamenti. Ma arriva la frenata di Boccia.

L’ipotesi non è ancora confermata, ma rischia di aprire un nuovo fronte tra Regioni e governo. Secondo il presidente della Liguria Giovanni Toti è verosimile che la mobilità tra regioni possa essere ripristinata a partire dal primo giugno. «Sulla riapertura della mobilità interregionale», ha spiegato Toti, «il ministro Boccia ci ha detto ‘prendiamoci ancora una settimana prima di cominciare una valutazione‘, certamente non riaprirà il 18 maggio, forse il 25 maggio, più probabile il primo giugno».

«LA LIGURIA PRONTA A RIPARTIRE»

«Il 18 maggio», ha proseguito Toti, «il governo suggerirà la riapertura del commercio al dettaglio in tutto il Paese, molte Regioni compresa la Liguria annunceranno la riapertura di parrucchieri, estetisti e in parte anche della ristorazione, la Liguria auspico sia tra queste».

BOCCIA: «PRESTO PER PARLARE DI DATE, MECCANISMO VA DEFINITO»

Boccia, da parte sua, ha preferito mantenere una certa cautela, e a Repubblica.it ha chiarito: «Dipenderà dai dati del monitoraggio delle singole regioni che a partire da giovedì vedremo ogni settimana e saranno sempre pubblici. Due regioni a basso rischio, a maggior ragione se limitrofe, sarà naturale che potranno avere mobilità interregionale. Ma se una regione è ad alto rischio e una a basso rischio ci saranno inevitabili limitazioni automatiche. Questo meccanismo non è stato ancora definito perché è il più complesso e andrà deciso insieme».

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Tamponi e mascherine di Stato: polemiche su Arcuri

Ritardi nella gara per acquistare i reagenti per i tamponi e carenza di dispositivi di Stato. il commissario nell'occhio del ciclone. «Nei magazzini delle regioni ce ne sono 55 milioni e il prezzo resterà a 61 centesimi», assicura. «Gli speculatori se ne facciano una ragione».

Domenico Arcuri nell’occhio del ciclone. Prima per la carenza delle cosiddette mascherine di Stato (o di comunità) poi per il ritardo con cui ha avviato la gara per acquistare i reagenti per i tamponi fondamentali per il tracciamento dei positivi nella fase 2, cominciata il 4 maggio.

Il commissario straordinario lunedì sera al Tg1 aveva infatti annunciato: «Martedì mattina faremo una richiesta di offerta per chiedere alle imprese italiane e internazionali di darci il numero massimo di reagenti che ci servono a fare 5 milioni di tamponi, che abbiamo già acquisito, ai cittadini italiani». Finora dunque il governo cosa ha fatto? Perché non è stata avviata una gara prima della riapertura? «Bisogna considerare che la situazione è molto complessa per le diversità tra le Regioni», ha spiegato la sottosegretaria alla Salute Sandra Zampa. Esistono, ha aggiunto, «molti tipi di reagenti e le Regioni ne stanno utilizzano tipi diversi, quindi ci sono reagenti e macchinari collegati diversi. Per questo la situazione è complessa».

L’ATTACCO DI CALENDA

Complessa o meno, il ritardo con cui il governo e le Regioni si sono mosse fa pensare. Per questo Carlo Calenda su Twitter ha chiesto la rimozione di Arcuri. «Il governo dovrebbe riconoscere di aver scelto la persona sbagliata», ha scritto l’ex ministro allo Sviluppo economico, «e rimuovere il Commissario #Arcuri. Rapidamente».

Critiche anche dal sindaco di Bergamo Giorgio Gori. «Tre mesi dopo l’inizio dell’emergenza Covid il commissario Arcuri avvia una gara per l’acquisto di reagenti da aziende nazionali e internazionali. Quindi è vero: i 5 milioni di tamponi che il governo si accingeva a spedire alle Regioni erano solo bastoncini».

NEI MAGAZZINI DELLE REGIONI CI SONO 55 MILIONI DI MASCHERINE

Ma quello dei reagenti non è l’unico fronte per Arcuri. Altro tasto dolente sono le mascherine a 50 centesimi praticamente introvabili. «Lavoriamo nell’esclusivo interesse dei cittadini al fine di tutelare al meglio la loro salute. Qualche volta faccio degli errori, per i quali mi aspetto critiche e se serve reprimende», ha detto Arcuri nel corso della conferenza stampa del 12 maggio, ma «solo dai cittadini». Da inizio emergenza, ha sottolineato, «sono stati distribuiti 208 milioni di mascherine, una quantità sufficiente. Nei magazzini delle regioni ce ne sono 55 milioni». Il prezzo delle mascherine chirurgiche fissato a 50 centesimi più Iva è e resterà quello, ha quindi assicurato Arcuri. «Gli speculatori dovranno farsene una ragione». Il manager insomma non ci sta ad addossarsi le responsabilità di uno stallo che dura da giorni, con farmacie ancora a secco di mascherine e approvvigionamenti a singhiozzo, distributori quasi fermi e importatori a corto di venditori dall’estero «per il prezzo», dicono, «troppo basso delle ‘calmierate’ in Italia».

IN ARRIVO L’ACCORDO CON I TABACCAI

Nelle prossime settimane, ha aggiunto il commissario, le mascherine a 50 centesimi si troveranno anche nei tabaccai. Nei prossimi giorni sarà firmato un accordo con l’associazione di categoria che ha 50 mila punti vendita nel Paese.

LE RICHIESTE DEI DISTRIBUTORI

Dal canto loro i distributori hanno invocato lo ‘sblocco’ di milioni di mascherine sequestrate durante i controlli delle forze dell’ordine: «La maggior parte di queste sono nei depositi giudiziari solo per cavilli tecnici, ma sarebbero utilizzabili come ‘chirurgiche’ da vendere a 50 centesimi più Iva». Ma anche qui Arcuri ha fatto intendere che non ci sarà alcuna apertura: «Vengo accusato di non voler ‘sanare’ mascherine prive di autorizzazioni che gli attori della distribuzione avrebbero voluto mettere in commercio con la copertura della struttura commissariale». La partita al tavolo dell’Emergenza si gioca ancora una volta sui prezzi. Da una parte i distributori, che secondo l’ultimo accordo dovrebbero vendere i dispositivi a 40 centesimi ai farmacisti, parlano di «mancanza di appetibilità» del mercato italiano sulle importazioni a causa della ‘vendita popolare’ a 50 centesimi, dall’altra il commissario sottolinea che «sempre più negozi della grande distribuzione vendono le mascherine a 50 centesimi, più Iva» e, riferendosi soprattutto ai farmacisti, aggiunge: «Non sono io a dover rifornire i farmacisti. Il commissario rifornisce Regioni, sanità, servizi pubblici essenziali e, dal 4 maggio, anche i trasporti pubblici locali e le Rsa, pubbliche e private. Tutto a titolo gratuito».

SI MOLTIPLICA LA RICHIESTA DI DISPOSITIVI

Nel frattempo la domanda dei dispositivi si moltiplica. Finora l’ultimo stock di mascherine di comunità è arrivato a Roma e in qualche altra città, ma nella quasi totalità delle farmacie dove sono state consegnate risultano già finite. Mancano ancora in altre grandi città come Milano e Torino, dove sono attese a breve. Da sabato scorso sono in distribuzione 3 milioni di dispositivi, un lotto della Protezione Civile, a fronte di un fabbisogno stimato in Italia di 10 milioni al giorno. Se i farmacisti gridano al sold out sulle mascherine, i distributori a loro volta denunciano «la mancanza di un fornitore» che riesca a importare grossi numeri, nonostante i patti. «La società italiana di Perugia importatrice di mascherine dalla Cina, che ci aveva garantito a regime la fornitura di 10 milioni di dispositivi a settimana, pare non sia più in grado di farlo», ha spiegato Antonello Mirone, presidente di Federfarma Servizi, l’Associazione nazionale dei Distributori di farmaci e dpi. E, in attesa che a giugno le aziende italiane riconvertite vadano a regime, il governo punta a facilitare le regole per gli altri tipi di mascherine, sulla carta meno protettive. L’ultima ipotesi del governo in questo senso è di semplificare le normative, magari con interventi che possano essere inseriti nel decreto Rilancio. Le modifiche avrebbero l’obiettivo di semplificare e velocizzare l’iter per la certificazione anche delle mascherine non chirurgiche – ma che rispondano ad alcuni requisiti tecnici – e consentirne l’utilizzo in alcuni ambiti lavorativi.

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I nodi da sciogliere nel decreto Rilancio

Regolarizzazione dei lavoratori immigrati, bonus vacanze, tutela delle banche. La maggioranza è ancora divisa su alcune delle misure.

Manca ancora un accordo di fondo sul tanto atteso decreto Rilancio, già decreto aprile e decreto maggio. Le misure che valgono 55 miliardi di euro devono essere ancora “limate” visto che tra i partiti di maggioranza restano distanze su alcuni nodi.

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IL BRACCIO DI FERRO SULLA REGOLARIZZAZIONE

Il primo riguarda la regolarizzazione degli immigrati che lavorano come braccianti, colf e badanti (circa 500 mila persone) su cui si sta consumando il braccio di ferro tra M5s e Pd. I pentastellati hanno alzato le barricate contro ogni tipo di sanatoria. Nella serata di lunedì il ministro all’Economia Roberto Gualtieri e fonti del Pd avevano assicurato che la norma arriverà in cdm, come concordato già domenica notte. Nel testo, spiegano i dem, «sono stati inseriti una serie di vincoli per accogliere le obiezioni M5s, inclusa l’esclusione di ogni sanatoria per chi sia stato condannato per reati come il caporalato: non si può continuare a discutere all’infinito». Al premier Giuseppe Conte, dicono le stesse fonti, spetterà una mediazione.

CRIMI: «NO A SANATORIA DEI REATI PER CHI DENUNCIA LAVORO IRREGOLARE»

Mediazione che si prospetta tutta in salita visto che il capo politico del M5s Vito Crimi ha ribadito: «Purtroppo l’ultima bozza visionata ieri sera riporta ancora la sanatoria dei reati per chi denuncia un rapporto di lavoro irregolare. L’auspicio di trovare una soluzione positiva rimane, continuiamo a lavorare con spirito collaborativo per questo obiettivo. Ma resta fermo che sul punto non arretreremo di un millimetro». E ha aggiunto: «Chi ha sfruttato le persone e ha drogato i mercati usando manodopera in nero a basso costo eludendo contributi e tasse, non può farla franca». Anche Conte tira diritto per la sua strada: «Regolarizzare per un periodo determinato immigrati che già lavorano sul nostro territorio significa spuntare le armi al caporalato, contrastare il lavoro nero, effettuare controlli sanitari e proteggere la loro e la nostra salute tanto più in questa fase di emergenza sanitaria».

BANCHE E BONUS VACANZE

Ma non è finita qui. Ad agitare il percorso del decreto in casa M5s anche il tema della tutela delle banche, norma che prevede garanzie statali per sei mesi dal valore di 15 miliardi. Italia viva invece punta i piedi sul bonus vacanze riservato, nei piani, alle famiglie con un Isee fino a 50 mila euro. I renziani sarebbero per destinare i 2 miliardi direttamente agli imprenditori che, invece, sarebbero costretti ad anticipare il bonus ai clienti in cambio di un credito di imposta a fine anno.

LEGGI ANCHE: Il governo dà l’ok alle Regioni: riaperture differenziate dal 18 maggio

LE REGIONI CHIEDONO 5,4 MILIARDI

Infine resta il nodo degli enti locali. I presidenti di Regione hanno chiesto un impegno economico maggiore degli 1,5 miliardi stanziati nel decreto: ne servono 5,4.

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Il governo dà l’ok alle Regioni: riaperture differenziate dal 18 maggio

Bar, ristoranti, parrucchieri ed estetisti potranno rialzare le serrande secondo modalità e tempi ancora da chiarire, in base alle diverse situazioni del contagio. Le linee guida attese entro venerdì.

Tra giovedì e venerdì, sulla base dei dati del monitoraggio, arriveranno le linee guida per consentire alle Regioni di riaprire dal 18 maggio commercio al dettaglio, bar e ristoranti, estetisti e parrucchieri. È quanto emerso, secondo quanto si è appreso, nel corso dell’incontro tra governo e Regioni. Le linee guida e i protocolli di sicurezza saranno indicati per ogni attività, viene spiegato, perché possano riaprire nella massima sicurezza.

TOTI: «CONTE HA ACCOLTO LE RICHIESTE DELLE REGIONI»

«Il premier Conte ha accolto la richiesta di autonomia delle Regioni nella gestione della Fase 2, avanzata nei giorni scorsi con una lettera dei governatori indirizzata al premier», ha scritto su Twitter il presidente della Liguria Giovanni Toti. «Dal 18 maggio si potranno quindi aprire le attività sotto la nostra responsabilità e in base alle esigenze del territorio. Il governo farà le sue proposte che verranno integrate da quelle degli enti locali e insieme porteremo avanti il monitoraggio della situazione. Avanti con buon senso! Ripartiamo insieme».

«Ora inizia la fase della responsabilità per le Regioni», ha sottolineato il ministro delle Autonomie Francesco Boccia. Il governo, tuttavia, si riserva la possibilità di intervenire nel caso in cui, in base all’andamento dei dati sulla curva del contagio e dei criteri definiti dalla circolare del ministero della Salute, fosse necessario bloccare una nuova diffusione del virus. Gli interventi saranno tempestivi, viene spiegato, in stretto contatto tra governo e regioni. «Se tutto sarà confermato» – ha commentato il governatore del Veneto Luca Zaia – «considero proficuo per i veneti l’esito dell’incontro. Il Veneto, con estrema coerenza, presenterà in settimana la ripartenza totale».

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Meno di mille in terapia intensiva, ma ancora 179 morti

Reparti mai così vuoti dal 10 marzo. Lieve aumento del numero di vittime nelle ultime 24 ore. Ma prosegue il calo dei contagiati e aumenta il numero dei guariti. Il bollettino.

Continuano a diminuire i ricoveri in terapia intensiva per coronavirus in Italia: sono 999, 28 in meno rispetto a ieri, quando il calo era stato di sette unità. Per la prima volta dal 10 marzo le terapie intensive scendono sotto il muro dei mille ricoverati. In Lombardia sono 341, sette in meno di ieri.

PROSEGUE IL CALO DEI CONTAGIATI TOTALI

Prosegue il calo dei contagiati totali, vale a dire gli attualmente positivi, le vittime e i guariti. Sono 219.814, con un incremento minimo di 744 rispetto a ieri. Leggero aumento, purtroppo, del numero di vittime dalla giornata precedente. Il numero complessivo dei morti per Covid-19 è salito a 30.739, con un incremento di 179 in un giorno. Ieri la crescita dei decessi era stata di 165.

CRESCONO ANCORA I GUARITI

Sono complessivamente 82.488 i malati di coronavirus, in calo di 836 rispetto a ieri, quando la diminuzione era stata di 1.518. I pazienti guariti sono, invece, 106.587, con un incremento di 1.401 rispetto a domenica 10 maggio.

LA LOMBARDIA SUPERA I 15 MILA DECESSI

Con i 68 decessi registrati oggi la Lombardia supera la soglia dei 15 mila morti dall’inizio dell’epidemia di Covid-19, arrivando a 15.054. In lieve aumento i nuovi positivi con +364 (ieri 282) per un totale di 81.871. I ricoverati in terapia intensiva sono 341, sette in meno di ieri quando invece erano aumentati di 18 pazienti mentre i ricoverati in reparto sono 5.397, -31. Ieri erano stati 107 in meno. I tamponi eseguiti sono stati 7.508, ieri 7.369.

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Mes, Dombrovskis: «In Italia narrative ingannevoli»

Così il vicepresidente della Commissione Ue ha definito le preoccupazioni espresse da una parte della politica italiana.

«Narrative ingannevoli». Così il vicepresidente della Commissione Ue Valdis Dombrovskis ha commentato le preoccupazioni espresse da alcuni politici italiani sul debito e sul Mes. «Vediamo invece cosa sta accadendo in realtà», ha detto Dombrovskis facendo riferimento alla sospensione del Patto di stabilità, alla maggiore flessibilità per i bilanci degli Stati membri Ue in termini di deficit e sul fatto che per il Mes, come deciso dall’Eurogruppo l’unica condizione è che le spese vadano per la sanità

Nel formulario con cui accedere alla nuova linea di credito, che dovrà essere siglato dal Paese interessato e dalla Commissione Ue e che sostituisce il vecchio Memorandum, vanno dettagliate le spese sanitarie fino al 2% del Pil. «Possono includere la parte della spesa pubblica destinata alla sanità direttamente o indirettamente legata all’impatto del Covid sul sistema, nel 2020 e nel 2021», specifica il modulo.

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Mascherine a 50 centesimi esaurite: per Federfarma è stallo totale

I dispositivi sono sold out. L'Associazione: «Le uniche che stiamo distribuendo sono i 3 milioni provenienti dalla Protezione civile ed entro domani saranno già finite». Latitano anche guanti e alcol.

Le mascherine a 50 centesimi sono esaurite. E anche guanti e alcol latitano. «Nella quasi totalità delle farmacie dove sono state consegnate a prezzo calmierato, per esempio a Roma, le mascherine chirurgiche sono già finite», ha detto Marco Cossolo, presidente di Federfarma. Mentre «non sono state ancora consegnate in altre grandi città, come Milano e Torino,e c’è ancora stallo». I farmacisti, ha aggiunto, «sono disponibili alla vendita, ma le ingenti quantità promesse purtroppo non sono arrivate. Su questo siamo punto e a capo».

MILIONI DI MASCHERINE BLOCCATE E SEQUESTRATE DURANTE I CONTROLLI

«Le uniche che stiamo distribuendo sono quei 3 milioni provenienti dalla Protezione civile ed entro domani saranno già finite a fronte di un fabbisogno di 10 milioni al giorno», ha aggiunto Antonello Mirone, presidente di Federfarma Servizi, l’Associazione nazionale dei distributori di farmaci e Dpi. «Siamo subissati di richieste e purtroppo ci sono diversi milioni di mascherine bloccate e sequestrate durante i controlli, spesso per intoppi burocratici: bisognerebbe eliminare questo corto circuito».

«GUANTI E ALCOL SONO INTROVABILI»

Come se non bastasse, c’è una fortissima carenza di guanti e di alcol per disinfettare. «Sono introvabili nelle farmacie italiane», secondo Roberto Tobia, segretario nazionale di Federfarma. «Il prezzo dei guanti, in lattice o nitrile, si è triplicato o quadruplicato negli ultimi mesi dopo l’emergenza Covid-19» Questo, prosegue, «deriva dall’altissimo costo di acquisto pagato dalla farmacia ai fornitori, per il fatto che le materie prime sono aumentate, la richiesta si è moltiplicata per mille e le giacenze di magazzino
sono ormai finite».

LA CINA VENDE A SPAGNA E FRANCIA

«La società italiana di Perugia importatrice di mascherine dalla Cina, che ci aveva garantito la fornitura nell’accordo chiuso giovedì scorso, pare non sia più in grado di farlo», ha ricordato Mirone. «In effetti, poiché c’è un fabbisogno mondiale, anche i produttori cinesi hanno interessi verso altri mercati: in Spagna e Francia, per esempio, le mascherine calmierate sono a 96 centesimi al netto dell’Iva. Tutto ciò orienta i produttori verso altri Paesi». E, ancora: «Cinque aziende italiane che hanno cominciato a produrre le mascherine non hanno ancora, invece, i quantitativi disponibili».

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Riapertura a macchia di leopardo: il fronte delle Regioni

Il ministro Boccia propone a partire dal 18 maggio una differenziazione a seconda dell'andamento dei contagi. La formula piace al toscano Enrico Rossi. Mentre Toti, presidente della Liguria, annuncia l'avvio anche della stagione balneare. Oggi videoconferenza con il governo.

Si avvicina la data del 18 maggio quando potrebbero riaprire bar, ristoranti e parrucchieri, ma con «le necessarie differenze tra regioni», ha spiegato il ministro degli Affari regionali Francesco Boccia ad Agorà, a seconda dell’andamento dei contagi. Occhio dunque ai dati che saranno diffusi giovedì prossimo.

FONDAMENTALE L’ANDAMENTO DEI CONTAGI

La differenziazione permetterebbe almeno ad alcune aree del Paese di riacquistare una maggiore libertà. «Poi sarà responsabilità delle singole Regioni avere il quadro dei dati: se i contagi andranno giù potranno riaprire anche altre attività, se i contagi saliranno dovranno restringere», ha precisato Boccia.

SALVINI: «GIUSTO CHIEDERE REGOLE CHIARE»

La formula a macchia di leopardo piace a Matteo Salvini. «Mi sembra giusto, ci sono interi pezzi di Italia dove non ci sono morti e contagiati da giorni e giorni, ci sono altre zone, come la mia Milano, dove bisogna avere più attenzione», ha detto il segretario della Lega a Rtl 102.5 «Penso che sia giusto da parte degli italiani chiedere allo Stato e al governo regole chiare».

ROSSI: «IN TOSCANA SIA RIAPERTO IL PIÙ ALTO NUMERO DI ATTIVITÀ»

Anche Enrico Rossi, presidente della Toscana, ha apprezzato la proposta. «Oggi pomeriggio, nel confronto con il governo», ha scritto Rossi in una nota, «mi batterò perché la Toscana sia trattata come merita e sia riaperto in sicurezza il più largo numero possibile di attività». La Regione Toscana «rispettando sostanzialmente gli indirizzi del governo, ha in molti casi adottato misure anche più prudenziali, pur avendo un quadro epidemiologico nettamente migliore rispetto ad altre Regioni e alle medie nazionali», ha continuato il governatore. «Sono convinto che le riaperture dovranno essere graduali e organizzate al fine di impedire concentrazioni di persone e assembramenti e per consentire ai cittadini e agli operatori economici di abituarsi con gradualità, come già sta avvenendo, a misure appropriate nei comportamenti, nel distanziamento e nella protezione individuale».

TOTI: «DAL 18 APRIAMO TUTTO, SPIAGGE COMPRESE»

Sulla riapertura non ha dubbi il presidente della Regione Liguria Giovanni Toti. «Dal 18 maggio riapriamo tutto, spiagge comprese», ha annunciato in un’intervista al Corriere della sera dando il via di fatto alla stagione balneare. «Ho sentito il ministro Francesco Boccia e credo che alla fine ci sarà il via libera. Noi chiediamo due cose: che ci conceda di riaprire le attività dal 18 e che torni alle Regioni l’autonomia concessa dal Titolo V e che ci è stata sottratta dal dpcm. Arrivati alla fase 2, il governo ha tolto il piede dal freno un attimo in ritardo».

LEGGI ANCHE: Braccio di ferro tra Stato e Regioni: cosa dice la Costituzione

I ristoranti apriranno dal 18, spiega ancora Toti, «con i protocolli nazionali dell’Inail, che sono in ritardo. Altrimenti con le nostre regole. Daremo la concessione di suolo pubblico gratuito e più tavoli all’aperto». La preoccupazione maggiore riguarda il comparto turistico che «dà lavoro a 100 mila persone e se si viaggerà tra le Regioni potremmo salvare il 70% della stagione. Basterà la distanza sociale». La Regione Liguria, ha ribadito Toti, sta «sperimentando un braccialetto volontario da mare: se ti avvicini a meno di un metro vibra. Una cosa giocosa. Chissà, magari diventa una moda. Per le spiagge libere decideremo con i Comuni: potrebbero esserci steward per la moral suasion. Sotto lo stesso ombrellone chi vive insieme».

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Decreto Rilancio, Franceschini: «Due miliardi per il turismo»

Secondo il ministro ai Beni culturali Dario Franceschini il decreto Rilancio garantirà fino a 500 euro a famiglia. Una norma che vale 2 miliardi. E che aiuterà il settore turismo a rialzarsi.

La norma del decreto Rilancio «che aiuterà le persone a poter fare le vacanze vale oltre 2 miliardi di euro per il turismo».

Lo ha detto il ministro dei Beni culturali Dario Franceschini in un’intervista al Corriere della Sera, in cui fa presente che «saranno vacanze diverse; avremo dei limiti con cui convivere, dal distanziamento alle mascherine, alla prudenza. Sarà l’anno delle ‘vacanze italiane’ perché il turismo internazionale, extraeuropeo, difficilmente potrà ripartire».

Poi spiega: «La misura che aiuterà famiglie e imprese è il tax credit vacanze, un bonus da spendere entro il 2020 in alberghi e strutture ricettive per persone sotto un reddito Isee di 40 o 50 mila euro, stiamo definendo. Parliamo di 150 euro per un single e di una somma fino a 500 euro per coppie con figli». Un sostegno, continua Franceschini, che non solo aiuterà le famiglie ma «porterà nel comparto turismo oltre 2 miliardi di euro diretti, perché questo costa la norma, oltre all’indotto che creerà. Un intervento straordinario, tra i più importanti dell’intera manovra».

Sulla riapertura delle frontiere con l’estero, Franceschini spera che la Commissione europea si pronunci già la prossima settimana. Per le spiagge, dice il ministro, «penso che poi andrà lasciato spazio di scelta alle singole Regioni, perché le spiagge italiane sono profondamente diverse tra loro. Le prescrizioni devono arrivare molto in fretta, perché le imprese devono programmare interventi e bilanci». Inoltre, fa presente che «dal 18 maggio potranno riaprire musei e mostre in grado di rispettare le prescrizioni di sicurezza». Per bar e ristoranti, «approveremo una norma temporanea, per questa estate, che esenterà dal pagamento della tassa di occupazione di suolo pubblico e dai permessi delle soprintendenze».

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Confcommercio: 270 mila imprese a rischio chiusura

Sono le stime dell'Ufficio studi nel caso non ci fosse una riapertura piena entro ottobre. Tra i settori più colpiti l'alberghiero, la ristorazione e gli ambulanti.

Sono circa 270 mila le imprese del commercio e dei servizi che rischiano la chiusura definitiva se le condizioni economiche non dovessero migliorare rapidamente, con una riapertura piena a ottobre. È la stima dell’Ufficio Studi Confcommercio.

Quella di Confcommercio è «una stima prudenziale che potrebbe essere anche più elevata perché, oltre agli effetti economici derivanti dalla sospensione delle attività, va considerato anche il rischio, molto probabile, dell’azzeramento dei ricavi a causa della mancanza di domanda e dell’elevata incidenza dei costi fissi sui costi di esercizio totali che, per alcune imprese, arriva a sfiorare il 54%. Un rischio che incombe anche sulle imprese dei settori non sottoposti a lockdown».

TRA I PIÙ COLPITI GLI AMBULANTI E GLI ALBERGHI

Su un totale di oltre 2,7 milioni di imprese del commercio al dettaglio non alimentare, dell’ingrosso e dei servizi, viene spiegato nel rapporto, quasi il 10% è, dunque, soggetto a una potenziale chiusura definitiva. I settori più colpiti sarebbero gli ambulanti, i negozi di abbigliamento, gli alberghi, i bar e i ristoranti e le imprese legate alle attività di intrattenimento e alla cura della persona. Mentre, in assoluto, le perdite più consistenti si registrerebbero tra le professioni (-49 mila attività) e la ristorazione (- 45 mila imprese).

A RISCHIO SOPRATTUTTO LE MICRO IMPRESE

Per quanto riguarda la dimensione aziendale, il segmento più colpito sarebbe quello delle micro imprese – con 1 solo addetto e senza dipendenti – per le quali basterebbe solo una riduzione del 10% dei ricavi per determinarne la cessazione dell’attività.

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Cosa contiene la bozza del decreto Rilancio

Gualtieri assicura lo scioglimento di tutti i nodi politici. Si va verso un taglio dell'Irap per le imprese fino a 250 milioni di fatturato. Sconto Imu per gli alberghi. E stabilizzazione per 16 mila insegnanti.

Calo dell’Irap ma non per tutte le imprese. Via la prima rata dell’Imu per alberghi e stabilimenti balneari. Più fondi per gli ammortizzatori e stabilizzazione di altri 16 mila insegnanti che saranno in cattedra da settembre. Si avvicina a tagliare il traguardo il tanto atteso decreto Rilancio, con le nuove misure per attutire l’impatto economico dell’epidemia del coronavirus. Un provvedimento «molto consistente» ha ribadito il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri spiegando che i nodi politici sono stati superati – tranne a quanto si apprende la regolarizzazione dei lavoratori immigrati su cui il M5s ha alzato le barricate – e ora si tratta solo di chiudere le norme nei dettagli.

BONUS DI 500 EURO PER LE VACANZE IN ITALIA

Tra questi, nelle ultime bozze, ne spuntano diversi che vanno dall’ampliamento di chi potrà usare il 730 per fare la dichiarazione dei redditi, a un aumento delle famiglie che potranno sfruttare il bonus per andare in vacanza in Italia. Il tetto di Isee infatti sale da 35 mila a 50 mila euro per un tax credit che si potrà spendere in strutture ricettive e b&b a fronte di pagamenti registrati (fattura elettronica o documenti con codice fiscale del destinatario dello sconto). Il bonus rimane di massimo 500 euro a famiglia (300 euro in due e 150 euro per una persona sola).

TAGLIO DELL’IRAP DA QUASI 2 MILIARDI

Per aiutare il turismo, il settore più martoriato, ci saranno anche sconti per gli affitti (previsti anche per tutti quelli che hanno avuto perdite ma solo fino al 60%) e ora anche l’abolizione della prima rata dell’Imu (con una copertura di circa 120 milioni), a patto che alberghi e pensioni siano gestiti dai proprietari. La cancellazione dell’Imu vale anche per le strutture turistiche di laghi e fiumi. Il pacchetto per le imprese, comunque, resta uno dei più corposi del provvedimento: confermati contributi a fondo perduto per micro-aziende, commercianti, artigiani e autonomi sotto i 5 milioni di ricavi, mentre si sta ancora lavorando agli aiuti per le imprese di medie dimensioni. La novità è quella del taglio dell’Irap che potrebbe valere circa 1,5-2 miliardi. La platea al momento sarebbe quella delle attività tra 5 e 250 milioni di ricavi, come ha confermato Gualtieri: si tratterebbe di circa 54 mila imprese su un totale di 1,8 milioni di attività produttive, artigianali e commerciali sottoposte all’Irap. Ma si starebbe ancora cercando di allargarla anche alle imprese più piccole.

AL VAGLIO MISURE PER LE RICAPITALIZZAZIONI

Le coperture arriverebbero dai 10 miliardi già previsti per gli aiuti a fondo perduto. Difficile indicare comunque sia la platea sia il risparmio effettivo per le imprese che non andranno alla cassa entro il 16 giugno per pagare saldo e acconto dell’imposta, sia perché l’acconto si potrà calcolare tenendo conto dell’andamento reale della propria attività (secondo norme introdotte con i precedenti decreti), sia perché al momento è previsto un paletto legato alle perdite di fatturato legate al Covid (almeno due terzi nel confronto tra aprile 2019 e aprile 2020). Ancora in valutazione anche le misure a sostegno delle ricapitalizzazioni, nelle prime ipotesi un mix tra sconti fiscali e intervento dello Stato attraverso Invitalia, mentre per le grandi imprese dovrebbe essere confermato il coinvolgimento di Cdp con un fondo apposito.

FONDI PER SANIFICAZIONE E DISPOSITIVI DI PROTEZIONE

Per le imprese sono in arrivo anche altri fondi per rendere più sicuri i luoghi di lavoro e ridurre il rischio contagio. I primi 50 milioni messi a disposizione di Invitalia con il programma Imprese sicure sono finiti il primo giorno, davanti a un boom di domande per oltre un miliardo di richieste di rimborsi per i soli acquisti di mascherine e dispositivi di protezione. Ora dovrebbero esserci altri 600 milioni tra credito d’imposta per le sanificazioni e i dispositivi e aiuti a fondo perduto sempre per adeguare i posti di lavoro: le imprese fino a nove dipendenti potranno avere massimo 15 mila euro, 50 mila euro fino a 50 dipendenti e quelle più grandi massimo 100mila euro.

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Disabili dimenticati: quando l’emergenza è cronica

Nessuna task force se ne occupa. Gli aiuti non arrivano. E le associazioni sono ormai allo stremo. Il peso di tutto grava sulle spalle dei congiunti. Come sempre. Mentre chi è portatore di un handicap cognitivo è condannato a un lockdown costituzionale. E senza fine.

Si preoccupano di tutto e per tutti, a parole, ma dall’agenda restano fuori i reclusi in se stessi, prigionieri della loro debolezza.

In una comunicazione logorroica, a suon di decreti annunciati, verbosi, dirigibili di retorica, i diversamente abili, i disabili, le persone con handicap, chiamale come vuoi, non sono contemplati, il che vuol dire che non esistono.

Ma esistono invece. Esistono per i loro congiunti, affetti stabili che non sanno più come arginare.

ASSOCIAZIONI SENZA SOSTEGNO

Scrive su Facebook un avvocato di Ancona: «Penso a mio fratello che è privato del centro diurno che costituisce la base e la gioia della sua vita sociale quotidiana, non io. Mi si stringe il cuore per Lui (…). Questi soggetti non mi sembra siano trattati come una delle priorità dell’agenda politica (per usare un eufemismo) (…). Ma non si può stare zitti e fare finta che vada tutto bene. Forse “andrà tutto bene”, ma adesso non ne va bene una. La vita delle persone diversamente abili andrebbe diversamente tutelata, ma forse questa è un’idea solo mia». L’avvocato non è uno del qualunquismo populista, è un progressista, impegnato in attività culturali di matrice progressista. Però è uno che ragiona.

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E ragiona la madre di Roma, anch’ella progressista, col figlio recluso insieme a lei, e invece avrebbe bisogno di aria, di sole, di primavera come un fiore, un albero. Ma hanno chiamato una associazione e l’associazione ha spiegato: nessun aiuto è previsto, perché gli aiuti (che, peraltro, arrivano a chiunque col contagocce, ammesso che arrivino) il governo li ha tarati su una condizione di eccezionalità, di emergenza, nella quale i disabili psichici non rientrano.

SE L’EVASIONE SORVEGLIATA È UNA NECESSITÀ

Ah, no? Certo, queste persone la loro emergenza la vivono ogni giorno; l’eccezionalità è la loro unica normalità. Però farne una discriminazione in punta di cavillo, è proprio una porcata. Quindici task force, 500 componenti, nessuno che si sia posto il problema dei fiori malati, di chi ha ancora più bisogno di una evasione sorvegliata. Di chi, nella camicia di forza di quattro mura, impazzisce ancora di più, e rende insano chi gli sta a fianco. E il cronista è sommerso di questi appelli disperatamente inutili, che intercetta in Rete o lo raggiungono al telefono; seppellito di messaggi in bottiglia, che non arrivano da nessuna parte, galleggiano all’infinito nel mare delle parole.

L’UNICO MONDO POSSIBILE È IL LOCKDOWN

Bambini autistici, adulti con sindromi gravi, persone private di un appuntamento quotidiano: non pervenute, tanto il loro lockdown è già infinito, è costituzionale, l’unico dei mondi possibili per loro. Quanti sono? Non si sa, il governo, la comunicazione ufficiale si guardano bene dal farlo sapere. Sono dati a perdere, inghiottiti dall’omertà. Scontano la colpa di essere infortunati; non servono, attualmente, alla propaganda, anzi sono un peso, un problema di più. Se la vedano i congiunti. Gli affetti stabili. Però senza aiuti, senza sostegni, senza attenzione. Ha predicato, da Londra, il supermanager Vittorio Colao: tornare alla bicicletta, tornare a una società più naturale. Lo dicevano meglio le nonne in vernacolo: hai voluto la bicicletta, adesso pedala. Ma c’è chi nemmeno in bicicletta può salire, peccato che Colao coi suoi 17 superesperti non se ne accorga, peccato che nessuno dei 500 competenti sparsi per commissioni ne abbia sospetto.

MANCANO ANCORA I PRESIDI SANITARI

Ha denunciato lo scorso 14 aprile Alberto Fontana, presidente Centri clinici Nemo: «Oggi molte attività di assistenza domiciliare non ci sono più. Mancano dispostivi come le mascherine e talvolta gli assistenti vanno a casa dei malati e sono totalmente vulnerabili». L’Anffas-Auser stima in 800 mila il numero di disabili e non autosufficienti a vario titolo ospitati in strutture residenziali; restano fuori dal computo i soggetti che vivono con i familiari. Gli alunni disabili sono 272 mila e «l’85% non ha la tecnologia necessaria per seguire le lezioni». Quanto ai lavoratori, «sono tantissimi quelli che non possono continuare a essere operativi da casa». Hanno chiesto tamponi e aiuti ad hoc: trovatevi le mascherine, ha risposto il governo.

ECCO COME SI MISURA IL LIVELLO DI UN PAESE

Se la vita condizionata dalla disabilità è già sfibrante, in regime di isolamento da pandemia diventa insostenibile. I “congiunti”, i genitori tengono duro, perché altro non possono fare, ma crolleranno domani, se e quando tutti torneranno alla normalità possibile. Per questi, la normalità possibile è un impossibile vivere: i costi, fisici, mentali, non sono contemplati. Ma è la sensazione di isolamento nell’isolamento, di abbandono nell’isolamento, a consumare di più. È da queste cose che si misura il livello di un Paese, dal livello di attenzione per gli ultimi veri, abbandonati come sassi in fondo a un fiume. Cari disabili, non avete voluto la bicicletta, pedalate lo stesso.

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Coronavirus: solo 802 i nuovi contagi, 165 i decessi

Scendono anche se di poco i ricoveri in terapia intensiva. Lombardia in controtendenza. I guariti sono 105.186 con un incremento di 2.155 nelle ultime 24 ore. In Germania l'indice R0 sale a 1,1.

Calano i nuovi contagi – 802 – e il numero di vittime – 165. Sono numeri incoraggianti quelli relativi alla pandemia di Covid-19 diffusi dalla Protezione civile domenica 10 maggio. Per il 28esimo giorno consecutivo calano i ricoveri in terapia intensiva: in totale ora sono 1.027, sette in meno rispetto a sabato quando il calo era stato di 134. In controtendenza la Lombardia in cui i ricoveri sono ora 348, 18 in più di ieri.

I malati in Italia sono 83.324, in calo di 1.518 unità rispetto a ieri. I pazienti guariti salgono a 105.186 con un incremento di 2.155 nelle ultime 24 ore. Sono ricoverate con sintomi 13.618 persone, 216 meno di sabato mentre 68.679 si trovano in isolamento domiciliare (-1295 rispetto a sabato).

Attualmente i contagiati totali dal coronavirus (attualmente positivi, vittime e guariti) sono 219.070, con un incremento di 802 unità rispetto a ieri quando l’aumento era stato di 1.083.

IN GERMANIA L’INDICE R0 SALE A 1,1

Se i dati italiani oggi sono abbastanza rassicuranti, preoccupa invece la Germania dove la diffusione del coronavirus potrebbe registrare un’accelerazione dal momento che gli ultimi dati ufficiali dall’Istituto Koch indicano che l’indice R0 – che misura la capacità di contagio – è salito a 1,1, ciò vuol dire che una persona positiva al Covid-19 ne contagia in media 1,1. Perché l’epidemia sia considerata sotto controllo l’indice R0 deve rimanere sotto l’1. Solo lo scorso mercoledì il R0 in Germania si era assestato allo 0,65, inducendo la cancelliera Angela Merkel ad affermare che il Paese si era lasciato alle spalle la ‘fase uno’.

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