Quel giorno di 20 anni fa in cui Macao tornò in mano alla Cina

Il 20 dicembre 1999 il Portogallo restituiva alla Cina Macao. Agli antipodi della ribelle Hong Kong per identità e rapporti con Pechino. Il ricordo di un momento storico.

A Macao l’orologio della storia si è resettato esattamente 20 anni fa, la notte del 20 dicembre 1999. Due anni dopo Hong Kong, anche quell’ultimo avamposto d’Occidente in Asia, dopo più di quattro secoli di dominio portoghese, tornava «nell’abbraccio della Madrepatria cinese», come dicevano e tuttora dicono pomposamente a Pechino. Secondo gli accordi firmati tra Cina e Portogallo circa 10 anni prima di quella data, nel 1987, questo piccolissimo territorio, prima colonia e poi, ufficialmente, “Territorio cinese sotto amministrazione portoghese”, passava alla Cina seguendo gli stessi criteri della ex colonia britannica, comprese (in teoria) tutte le libertà fondamentali esistenti sotto il Portogallo.

UN RIFUGIO CONTRO LA NOSTALGIA

Nei tanti anni vissuti a Hong Kong il mio rifugio contro la nostalgia si chiamava proprio Macao. Quando l’Occidente cristiano nel quale comunque sono nato mi riafferrava, e la nostalgia mi prendeva alle spalle, saltavo sul primo aliscafo da Central e mi mettevo in viaggio per quella che allora era ancora una enclave portoghese in Cina. Per un giorno, o anche solo un pomeriggio, staccavo da tutto e da tutti e mi sottoponevo alla mia personale terapia contro la nostalgia. Mi sorprendevo a girare per le vie del centro, a sfiorare con le mani le antiche pietre degli edifici coloniali, a intenerirmi leggendo le targhe con i nomi delle strade in portoghese (e sotto in cinese, ovviamente, ma era meglio di niente). Uno dei miei angoli preferiti era il vecchio cimitero degli stranieri, con le sue tombe consumate dal tempo, sprofondate nel terreno, con sopra incise le storie di mercanti portoghesi, marinai olandesi e capitani inglesi morti per il colera o la febbre gialla, all’epoca dei bastimenti a vela o a vapore. La nostalgia si poteva toccare con mano a Macao. E poi, i portoghesi di saudade se ne intendono forse più di chiunque altro.

Fu una libera scelta del Portogallo, una piccola nazione, a quei tempi una delle più povere in Europa

A Macao ci andavo quasi sempre da solo. Erano momenti tutti miei quelli, di cui avevo bisogno come di una personale e intima ricarica dal caos, dalla volgarità e dall’orgia perenne di cemento e acciaio di Hong Kong. Ma in quel fine anno del 1999 il tempo stava per scadere anche per questo fazzoletto di terra portoghese in Cina. Dopo più di 400 anni, Lisbona l’avrebbe restituita a Pechino. Non si trattava questa volta, come quasi tre anni prima per Hong Kong, della scadenza di un contratto. Fu una libera scelta del Portogallo, una piccola nazione, a quei tempi una delle più povere in Europa e che non aveva ancora visto la ripresa odierna, ben lontana da quella potenza economica globale che possedeva un impero coloniale in grado di rivaleggiare con quelli di Spagna o Inghilterra.

I fuochi d’artificio a Macao in occasione dell’anniversario del ritorno alla Cina.

I portoghesi avevano già abbastanza preoccupazioni a sbarcare il lunario ogni giorno a casa loro per potersi permettere di mantenere un presidio coloniale dall’altra parte della terra, che gli costava uno sproposito. Per questo quando Pechino gli chiese se volessero ridargliela, si decise per un ritorno “soft” di Macao, firmando qualche anno prima un accordo articolato con i cinesi. Quel giorno di 20 anni fa, salendo sull’aliscafo, cercai di prepararmi a dire addio alla Macao portoghese che avevo conosciuto, e profondamente amato: dovevo scrivere un articolo di cronaca sul giorno del ritorno alla Cina. Ne venne fuori una vera e propria dichiarazione d’amore. Quasi postuma, oramai.

UNA ENCLAVE NATA E SVILUPPATASI SUL COMMERCIO

Nata e sviluppatasi sul commercio, Macao, a 70 chilometri di mare dalla modernissima Hong Kong, ebbe origine per un reciproco tornaconto. I portoghesi, all’apice del loro potere e della loro espansione sui mari del mondo, volevano un punto d’appoggio sulla costa cinese per le navi che da Goa, in India, facevano rotta verso il Giappone. I cinesi cercavano qualcuno che li liberasse dalle bande di feroci pirati che imperversavano su quelle coste. Era l’anno 1557: Lisbona, con i suoi cannoni, distrusse i pirati, e Pechino le concesse il permesso di installarsi a Macao. Da allora la storia dei rapporti sino-portoghesi fu una storia pressoché unica nel suo genere, di serene e idilliache cortesie reciproche. E prosegue così ancora oggi, perché Pechino resta molto orgogliosa di questa sua “figlia prediletta e fedele”, contrapponendola con forza alla “ribelle Hong Kong”. Ma in una sorta di provocazione tardiva, proprio in quel giorno fatidico di 20 anni fa, a Macao si erano dati appuntamento tutti i principali protagonisti del dissenso anti-cinese del tempo.

GLI INTELLETTUALI ESILIATI DALLA CINA

Incontrandoli mi sembrò di trovarmi di colpo catapultato sul set di un film sulla Cina di inizio secolo, quando gli intellettuali, esiliati dal Dragone come lo sono ancora oggi, cospiravano per rovesciare l’impero in stanzette buie immerse nel fumo. A Macao quel giorno erano in 60: 60 tra i maggiori dissidenti che da anni stavano cercando di far sentire all’estero una voce ormai da tempo messa a tacere in patria. C’era Yan Jiaqi, il sociologo consigliere dell’ex segretario generale del Partito Zhao Ziyang. E c’era Wang Xizhe, l’autore dell’unico manifesto democratico dell’era di Mao Zedong di cui si sia avuta notizia. Non c’era invece Wei Jingsheng, il più famoso di tutti. Invitato, mi dissero gli organizzatori, «si è rifiutato perché non vuole associarsi. Ci sono diversità tra noi, ma non dovremmo accentuarle», mi spiegò Yan Jiaqi. «Abbiamo scelto Macao, perché e il posto più vicino alla nostra terra, dove tutti vogliamo tornare. L’anno prossimo, dopo che anche Macao sarà tornata alla Cina, non sapremo più dove andare», concluse sconsolato Yan, a cui pochi giorni prima era stato proibito anche l’ingresso a Hong Kong.

I porto-macaensi si riuniscono ancora oggi ogni sera nell’antico e solenne palazzo rosa del Club militar in Avenida da Praja Grande, dove li incontrai

Ma chi non poteva e soprattutto non voleva scappare, invece, erano quel manipolo di “mezzosangue”, i porto-macaensi che si riuniscono ancora oggi ogni sera nell’antico e solenne palazzo rosa del Club militar in Avenida da Praja Grande, dove li incontrai. Per loro non esiste altra patria che Macao. «Possiamo sopravvivere soltanto qui, sulle acque basse e torbide di questa baia», mi disse melanconico l’avvocato Manuel Oporto Fernandez. «Siamo nati tutti da una vecchia storia d’amore tra Oriente e Occidente. Quando l’Europa se ne sarà andata cosa ne sarà di noi?». L’avvocato Oporto si ritrovava, ogni mese, in una vecchia villa dell’isola di Coloane, con molti di quegli “esuli della storia”, per ricordare il passato e la magia di questo posto straordinario «dove gli uomini potevano discutere in pace, e i poeti sognare».

TESTIMONI DI UNA STORIA CHE STAVA PER COMPIERSI

Poi venne la sera di quel giorno fatidico, e io andai con una moltitudine di gente, di colleghi della stampa internazionale, di fotografi e cineoperatori, fino al vicino confine con la Cina dove, esattamente allo scoccare della mezzanotte del 20 dicembre 1999, vedemmo il Pla, l’Esercito Popolare di Liberazione cinese, entrare a Macao. La gente li osservava sfilare in silenzio. Nessuno applaudì. La storia si era compiuta, e noi ne eravamo stati testimoni. Dopo più di quattro secoli, il vecchio Portogallo, e con lui, così ci sembrò, l’intero Occidente, si ritirava in buon ordine e quella che – già allora lo intuivamo – sarebbe stata la nuova Cina protagonista del nuovo millennio che stava per cominciare si faceva largo. Prepotentemente.

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Viaggio a Macao tra casinò, gondolieri di Venezia e kitsch

Finte calli, finti canali e professionisti importati dalla Laguna. Gli studios di Los Angeles in cartapesta. Ma anche la riproduzione della Tour Eiffel e, a breve, la Londra di Beckham che qui aprirà un nuovo resort casinò. Benvenuti a Cotai strip.

Il piccolo bus n. 15 della Sociedade de Transportes Urbanos saltella tra i dossi e le curve della tortuosa strada costiera lungo l’isola di Coloane che, insieme all’isolotto di Taipa e alla penisola di Macao, forma il territorio di questa antica colonia portoghese che tra un mese, il 20 dicembre, “festeggerà” il ventennale del ritorno alla Cina, dopo quasi 500 anni di dominio lusitano.  

La meta è la Cotai strip una striscia di terra tra Taipa e Coloane. In realtà l’ennesimo, e mastodontico, sbancamento o reclamation (per dirla all’inglese) che ha sottratto al mare un’area incredibilmente vasta, unendo quelle che erano state per secoli due distinte isolette in un unico mostruoso territorio artificiale.

E su questa vasta area è sorto, a partire dal 2007, uno dei più incredibili e allucinanti megaprogetti della nuova Macao cinese.

The Parisian Macao (foto Marco Lupis).

PARISIAN E VENETIAN MACAU: IL TRIONFO DEL KITSCH

Una volta scesi dall’autobus, lo choc lascia letteralmente senza fiato. Non è un sogno né un’allucinazione: ci si trova di fronte a un’incredibile e pacchianissima Tour Eiffel. Siamo a Parisian Macau che con Venetian Macau e la City of Dreams forma il più grande complesso al mondo di casinò, centri commerciali, hotel di extralusso e boutique. 

LA PICCOLA LONDRA DI DAVID BECKHAM

E proprio di fronte a questa Tour Eiffel sorgerà il nuovo mega resort voluto da David Beckham: questa volta sarà una finta Londra a vedere la luce. E a completamento del quadro surreale di questa metropoli del gioco d’azzardo e della finzione, la nuova creatura alberghiera dell’ex stella del calcio britannico esibirà una facciata simil Westminster e persino una grande replica del Big Ben. Gli ospiti verranno letteralmente “avvolti” da una profusione di decorazioni in oro e marmo; Beckham progetterà in prima persona delle concept suite e due piani saranno interamente dedicati alla sartoria su misura. «Avremo di tutto», ha dichiarato il calciatore, «dai nostri taxi neri all’esterno fino alla replica fedele di alcune delle strade più famose di Londra all’interno, come Bond Street e Saville Row».

Macao sta per festeggiare il ventennale del passaggio alla Cina (foto Marco Lupis).

LA RIPRODUZIONE DEGLI STUDIOS

Attualmente le tre strutture esistenti riproducono le vie e i monumenti di Parigi, ma anche le calli e i ponti di Venezia, con i canali pieni di acqua vera e solcati da autentiche gondole, costruite nella città lagunare e spedite a Macao insieme a gondolieri doc. Nella City of Dreams, poi, si può gironzolare in una perfetta riproduzione dei favolosi Studios di Los Angeles, un’area che occupa altre migliaia e migliaia di metri quadri. Un vero e proprio trionfo di “cartapesta” e di cattivo gusto, pieno di finti Ponti di Rialto, finte stradine veneziane, finti bistrot parigini. E poi decine di casinò, dove un esercito di ludopatici giocano ai tavoli verdi e fanno girare le roulette H24, tra una miriade di negozi di ogni genere, lusso e varietà da far sembrare, al paragone, una botteguccia di periferia il più grande dei nostri centri commerciali.

Turisti a Cotai Strip a Macao (foto Marco Lupis).

I NUMERI DA RECORD DI UN SOGNO CHE SEMBRA UN INCUBO

I numeri, del resto, parlano da soli. E mettono paura. Tutto è di proprietà della Las Vegas Sands con la quale anche Beckham è entrato in società per realizzare il suo progetto. L’azionista di maggioranza è il miliardario americano Sheldon Adelson, titolare di un patrimonio personale che la rivista Forbes ha stimato in quasi 34 miliardi di dollari nel 2018. La sola Venetian Macau (senza contare le finte Parigi e Hollywood) occupa un immobile alto 39 piani sulla striscia Cotai. Esteso su un’area di 980 mila metri quadrati, il complesso rappresenta attualmente il più grande casinò al mondo, il più grande hotel a edificio unico in Asia e anche il settimo più grande edificio del Pianeta per superficie.

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La torre principale del complesso è stata terminata nel luglio 2007 e il resort è stato ufficialmente inaugurato il 28 agosto dello stesso anno. Attualmente dispone di 3 mila suite, 110 mila metri quadri di spazio per le convention, 150 mila metri quadri di negozi, 51 mila metri quadri di spazio casinò (con 3.400 slot machine e 800 tavoli da gioco aperti 24 ore su 24) e persino un’arena-stadio coperta da 15 mila posti, per ospitare eventi musicali e sportivi. Tutt’attorno a questo mostruoso complesso si estendono a perdita d’occhio – su quella che fino a meno di 15 anni fa era un’area marina che separava le isolette di Taipa e Coloane – altri giganteschi hotel, case da gioco, centri commerciali, in un continuum che lascia senza parole e senza fiato.

La replica di alcuni monumenti di Parigi a Macao (foto Marco Lupis).

UN PRODIGIO, MA SOLO DELLA TECNICA

Se si riesce a mettere da parte per un attimo l’orrore causato dalla sovrabbondanza di qualsiasi cosa e dal kitsch bisogna ammettere che il complesso, specie la finta Venezia, è incredibile, dal punto di vista della pura realizzazione tecnica e tecnologica.

Venezia riprodotta nei minimi dettagli nell’area di Cotai Strip a Macao (foto Marco Lupis).

Tutto è perfettamente climatizzato e un finto cielo svetta sopra le facciate dei palazzi veneziani in cartongesso, illuminato con un sistema di proiettori dotato di finte nuvole, effetti luminosi e sonori gestiti da un sofisticato software, che simulano in modo incredibilmente realistico il susseguirsi delle ore della giornata e il variare della luce dall’alba al tramonto, fino alla notte. Piogge e temporali compresi.

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I GONDOLIERI IMPORTATI DA VENEZIA

Ci si può facilmente perdere tra le calli di questa finta Venezia. E saltando da un negozio all’altro, capita di mettersi a chiacchierare con i gondolieri, venetissimi e abbigliati in perfetto stile veneziano che rispondono volentieri a qualche domanda.

In quest’area di Macao sorgerà il nuovo resort in stile londinese di Beckham (foto Marco Lupis).

«Còssa vole che el disi, dotór», sussurra un ragazzone alto e pieno di muscoli. «I sghei, se i sghei!», i soldi. «Quando al nostro sindacato a Venezia ci han detto che c’erano i cinesi pronti a pagare un sacco di soldi di stipendio, compreso viaggio, alloggio di lusso e benefit per tutta la famiglia, per venire qui a fare sta pagliacciata…Bè, con la crisi che c’è in Italia, còssa gaveria fà ti al me post? Lei che avrebbe fatto al mio posto?».


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