Cari ex compagni, è il momento di riabilitare Craxi

Il leader socialista era figlio del riformismo italiano e interprete della sua idea più aggressiva con una visione che tuttora è legittimo non condividere. Ma sarebbe un gesto esemplare chiedere rispetto per la sua figura. E se Davigo non è d’accordo, pazienza.

Fra qualche settimana, comunque all’inizio del nuovo anno, vedremo nelle sale il film di Gianni Amelio dedicato a Bettino Craxi.

Chi l’ha visto ne parla molto bene ed elogia l’interpretazione di Pierfrancesco Favino, già straordinario interprete di tanti film, fra cui Il Traditore di Marco Bellocchio che racconta la storia di Masino Buscetta.

Fra qualche mese è anche l‘anniversario, 20 anni, della morte di Craxi quindi è normale e positivo che alcuni organi di stampa, in primo luogo il Corriere della Sera se ne occupino, diffusamente. Il Corriere lo ha fatto ieri con un articolo di Pigi Battista e un dibattito fra storici, Giovanni Scirocco, Silvio PonsRoberto Chiarini. Chi ha letto questi testi ha trovato sicuramente riflessioni di grande interesse.

IL DIBATTITO PIENO DI LUOGHI COMUNI SU CRAXI

C’è un doppio tema che accende la discussione sulla figura di Craxi ed è da un lato la sua demonizzazione criminale e dall’altro, non slegato da esso, il riproporsi delle ragioni della contrapposizione fra Craxi e il Pci e ancora oggi fra il socialismo che si richiama al suo leader e i post comunisti.

La riforma radicale di politica e istituzioni è l’unica salvezza contro la destra che dilaga sia nelle forme del sovranismo leghista sia nelle idee della destra tradizionale di Giorgia Meloni

È una discussione difficile, ancora piena di acrimonie, di luoghi comuni, di incapacità di guardare lontano, sia all’indietro, sia, soprattutto, davanti. Ovviamente non è possibile un giudizio definitivo che metta pace fra i contraddittori. Per tanti Craxi resta un innovatore vittima del giustizialismo, per altri il simbolo della corruzione della politica. Né è facile rasserenare gli animi fra la componente comunista e quella socialista che negli anni di Craxi e Berlinguer si divisero in modo irrevocabile.

PER LA SINISTRA LA SOCIALDEMOCRAZIA ERA L’UNICA PROSPETTIVA

La beffa della storia è che oggi molte di quelle ragioni di divisione sono irrilevanti. La socialdemocrazia, ancorché cadente, era l’unica prospettiva  per la sinistra di fronte a un comunismo fallimentare  e persino di fronte all’italo-comunismo. È chiaro a tutti che dopo il 2008 si è fatta strada l’idea socialista che non c’è salvezza fuori da una logica che porti la sinistra a fare a cazzotti con il capitalismo (idea di Lombardi) senza aspirare alla fuoriuscita.

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È chiaro davanti a noi che la riforma radicale di politica e istituzioni è l’unica salvezza contro la destra che dilaga sia nelle forme del sovranismo leghista sia nelle idee della destra tradizionale di Giorgia Meloni che sembra destinata a grandi successi elettorali. Infine, come dato saliente e clamoroso, appare sempre più chiaro che nella lettura ex post delle vicende che portarono l’Italia al fascismo una  responsabilità cade sulla testa dei comunisti che si scissero dal Psi. Quella scissione è storicamente spiegabile ma oggi nessuno che si dica comunista la farebbe.

CRAXI NON È UNA PAGINA DI STORIA CRIMINALE

Craxi in questo contesto che cosa è stato? Non è stato il malandrino politico che ha preso il potere. Prima e dopo di lui altre figure meritano questa definizione, soprattutto in questi anni recenti. Craxi è stato un grande leader della sinistra che ha intuito come pochi la crisi della politica e delle istituzioni, che ha capito il grado di sofferenza del sistema economico, che ha colto come il movimento sindacale dovesse rinnovarsi anche a prezzo di durissime lacerazioni. È stato un leader socialdemocratico occidentale, più encomiabile per aver accettato dal cancelliere Helmut Schmidt la proposta di mettere i missili di quando venne elogiato per aver consentito a Sigonella di impedire l’arresto di terroristi palestinesi. Comunque ognuno la pensi come vuole.

Craxi è stato un grande leader della sinistra che ha intuito la crisi della politica e delle istituzioni, che ha capito il grado di sofferenza del sistema economico, che ha colto come il movimento sindacale dovesse rinnovarsi anche a prezzo di durissime lacerazioni

Il tema di oggi non è la classifica dei meriti e dei demeriti. Il tema di oggi è che dobbiamo farla finita con questa discussione primordiale e primitiva. Craxi non è un pezzo di storia criminale. Questo giudizio non riguarda solo lui, riguarda l’intera Prima Repubblica. La vittoria del “mostri” che da anni invadono le stanze del potere nasce dall’aver accettato questa lettura della storia italiana.

IL GIUSTIZIALISMO NON HA GRANDI PADRI

I magistrati sono diventati storici, maestri di morale, leader di massa. Prevalentemente sono gli stessi che hanno tradito Giovanni Falcone quando aspirava a diventare, legittimamente, capo della Procura antimafia. Il giustizialismo non ha grandi padri. Non lo era Falcone, basta leggere tutti i suoi scritti, non lo era neppure Paolo Borsellino, uomo d’ordine ma non uomo da guerra civile strisciante.

LE DUE IDEE SBAGLIATE DEGLI EX COMUNISTI

Gli ex comunisti hanno pensato due idee sbagliate. Ne hanno, ne abbiamo avute tante, ma le prime due sono queste: l’idea che la fine del comunismo fosse anche merito nostro e fosse una gioia e che la fine di Craxi liberasse il campo dal nemico interno. Il comunismo è caduto malgrado i comunisti italiani, che erano cosa diversa ma che non avevano mai intaccato quel sistema.

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Craxi era figlio del riformismo italiano e interprete della sua idea più aggressiva, con una visione che è legittimo tuttora non condividere. È per questo che io penso che che un gesto esemplare che riguardi la “riabilitazione” sia Craxi sia necessario. Immagino che alcuni dirigenti ex Pci scrivano un breve documento e dicano che Craxi era un nostro compagno da cui abbiamo dissentito ma che chiediamo a tutti di rispettare e ammirare per le sue idee. Se Davigo non è d’accordo, chissenefrega.

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Dal 730 all’Iva sugli assorbenti: gli emendamenti al dl fisco

Le modifiche al calendario fiscale. L'abrogazione delle multe ai negozianti senza Pos. I 180 milioni per polizia e vigili del fuoco. Gli interventi approvati dalla commissione Finanze.

Abrogazione delle multe per i negozianti che non hanno il Pos, calo dell’Iva sugli assorbenti, slittamento a settembre della scadenza per il 730. Sono alcuni degli interventi previsti dagli emendamenti al decreto fiscale, approvati dalla commissione Finanze della Camera in una seduta che ha superato le 14 ore. Il testo, in prima lettura a Montecitorio, è atteso in Aula per la discussione generale la sera del 2 dicembre ma non si esclude che l’avvio dell’esame da parte dell’Assemblea possa slittare di 24 ore. Ecco gli emendamenti più importanti, nel dettaglio.

ABROGATE LE MULTE PER I NEGOZIANTI SENZA POS

Vengono abrogate le sanzioni per i negozianti che non hanno il Pos per i pagamenti con carta di credito e debito. Ad annunciarlo è stato il sottosegretario al Mef, Alessio Villarosa: «Pensavate passasse la norma senza la riduzione delle commissioni… invece no. Come promesso, non c’è il protocollo per ridurre i costi delle transazioni alle imprese? E allora non ci saranno neanche le sanzioni a chi non ha il Pos. Ogni promessa è debito».

SLITTANO LE SANZIONI SUI SEGGIOLINI PER BAMBINI

Vengono rinviate al 6 marzo le multe per chi non si adegua alle nuove norme sui seggiolini auto per i bambini. Salgono inoltre da uno a 5 milioni gli stanziamenti previsti nel 2020 per le agevolazioni sotto forma di credito di imposta.

L’IVA SUGLI ASSORBENTI SCENDE AL 5%

L’Iva passa dal 22% al 5% per gli assorbenti compostabili o lavabili. Villarosa ha spiegato che «c’è un impegno del governo per intervenire totalmente» sulla questione, in modo da allargare lo spettro delle tipologie di prodotti igienici femminili per i quali sarà abbassata l’Iva.

LA SCADENZA PER IL 730 SLITTA AL 30 SETTEMBRE

Si riscrive il calendario fiscale, con la scadenza del 730 che passa dal 23 luglio al 30 settembre. Cresce anche la platea dei contribuenti che possono usare il 730: oltre ai dipendenti e ai pensionati, possono presentarlo anche i titolari di redditi assimilati a quello di lavoro dipendente e i titolari di redditi di lavoro autonomo occasionale.

IN ARRIVO 180 MILIONI PER POLIZIA E VIGILI DEL FUOCO

In arrivo 180 milioni di euro per gli straordinari delle forze di polizia e dei Vigili del fuoco. Il testo riguarda compensi non ancora liquidati e riferiti a prima del 2019. Per le forze di polizia vengono stanziati 175 milioni mentre cinque milioni vengono stanziati per i Vigili del fuoco.

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Com’è andato il vertice di governo sul Mes

Sul fondo salva-Stati tutto viene rinviato all'11 dicembre. Dopo le comunicazioni di Conte in parlamento, la maggioranza sarà chiamata a varare una risoluzione comune. Strappo di Renzi. A Gualtieri il mandato di trattare.

Quattro ore lunghe e tese non hanno portato a un accordo, ma a una fumata grigia sul Mes. Il vertice di governo convocato dal premier Giuseppe Conte a poche ore dal nuovo redde rationem con Matteo Salvini in parlamento, non ha chiuso la partita del fondo salva-Stati all’interno della maggioranza. Le posizioni di M5s e Pd «sono diverse», ha ammesso Luigi Di Maio. E Conte ha scelto di affidare alle Camere la decisione definitiva sull’ok alla riforma del Meccanismo. La data da tenere d’occhio è l’11 dicembre: dopo le comunicazioni del premier al Senato in vista del Consiglio Ue, la maggioranza sarà chiamata a varare una risoluzione comune. Ed è lì che il governo rischia il baratro.

A Palazzo Chigi, presenti al vertice andato in scena nella notte tra l’1 e il 2 dicembre, il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, i capi delegazione di Pd, M5s e Leu, Dario Franceschini, Luigi Di Maio e Roberto Speranza, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Riccardo Fraccaro e il ministro per gli Affari Ue Enzo Amendola. C’era anche il titolare dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli, visto che nella riunione si è parlato anche di un nuovo prestito-ponte per Alitalia.

A chiamarsi fuori è stata Italia viva. «Non abbiamo nulla su cui litigare, se la vedessero tra di loro. Gli italiani sono stanchi di questi vertici, vogliono risposte», ha spiegato Matteo Renzi. Ma una risposta definitiva, sul Mes, ancora non c’è. «In vista dell’Eurogruppo del 4 dicembre il governo affronterà il negoziato riguardante l’Unione economica e monetaria (completamento della riforma del Mes, strumento di bilancio per la competitività e la convergenza e definizione della roadmap sull’unione bancaria) seguendo una logica di “pacchetto”», hanno fatto sapere fonti di Palazzo Chigi. Specificando che, sulla riforma del fondo salva-Stati, «ogni decisione diventerà definitiva solo dopo che il parlamento si sarà pronunciato».

Ovvero, dopo le risoluzioni che seguiranno alle comunicazioni di Conte in Aula dell’11 dicembre, proprio in vista del Consiglio Ue. Palazzo Chigi, in realtà, non parla di rinvio. E, dopo la riunione, è questo il punto che tiene a sottolineare Franceschini. “Bene l’incontro di stasera sul Mes. Nessuna richiesta di rinvio all’Ue ma un mandato che rafforza il ministro Gualtieri a trattare al meglio l’accordo”, spiega il ministro della Cultura specificando, anche lui, come “ovviamente” sarà il Parlamento a pronunciarsi in modo definitivo. A tarda notte, da Palazzo Chigi, escono, uno dopo l’altro, Di Maio e Franceschini. Tirando ognuno acqua al proprio mulino. “Nessuna luce verde è stata data a Gualtieri finché il Parlamento non si esprimerà”, scandisce il titolare della Farnesina anticipando che l’11 dicembre il M5S presenterà una risoluzione in cui si chiederà a Conte di chiedere il miglioramento, al Consiglio Ue di dicembre, dell’intero pacchetto di riforme dell’Unione Economica e Monetaria. Pacchetto in cui, avverte Di Maio, “c’è tanto da cambiare”.

Dieci giorni, quindi, per trovare una quadro. Dando mandato a Gualtieri di anticipare all’Eurogruppo la trincea italiana. Dieci giorni, per il leader M5S, per trovare una quadra all’interno dei gruppi sul sì ad una riforma sulla quale, in tanti pentastellati, sono disposti a tutto. Con un rischio: che la risoluzione sul Mes diventi un doppione di quella che, sulla Tav, anticipò la fine del governo. “Mi auguro che su questa impostazione emergano le differenze macroscopiche che ci sono tra il M5S e il Pd e quindi si finisca con questo Governo”, sottolinea Gianluigi Paragone. In tanti, nel Movimento, gli rispondono via facebook. A testimonianza che, dietro il Mes, la partita che si gioca tra i pentastellati è un’altra: se andare avanti con il governo giallo-rosso.

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Gli indici della Borsa italiana e lo spread del 2 dicembre 2019

Piazza Affari si prepara all'apertura dopo una seduta in calo. Il differenziale Btp Bund a quota 159 punti. I mercati in diretta.

La Borsa italiana si prepara all’apertura dopo una seduta di fine settimana in calo per Piazza Affari (-0,36%), nonostante i buoni dati sul Pil e sul lavoro. Tra le perdite maggiori quelle dei costruttori, con Buzzi (-3,1%) e Astaldi (-3,2%), mentre ha tenuto Salini Impregilo (+0,1%).

Male i petroliferi, col prezzo del greggio in calo (wti -4,1%) con le incertezze sui dazi e la riunione Opec in vista. Giù Saipem (-2,7%), Tenaris (-1,2%) e Eni (-0,6%), insieme a Pirelli (-2,1%). Perdite per Juve (-1,5%), Campari (-1,3%), Leonardo (-1,1%), Atlantia (-1,8%) dopo le notizie sulla concessione autostradale di Aspi in bilico e Mediaset (-1,6%) fallito il tentativo di conciliazione con Vivendi.

LO SPREAD A 159 PUNTI BASE

In ordine sparso le banche, con lo spread che ha chiuso a 159. Giù Ubi (-0,7%), Intesa (-0,4%) e Banco Bpm (-0,2%), meglio Bper (+0,1%) e Unicredit (+0,2%). Sofferenti Mediobanca e Moncler (-0,9%), Fca (-0,5%) come il resto del comparto in Europa, e Poste. Bene Recordati (+2%) e Nexi (+1,3%). Bene alcune utility, come Terna (+1,1%), Snam (+0,6%) e Hera (+0,5%).

I MERCATI IN DIRETTA

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