Perché la schietta Meloni ha futuro e il soggettone Salvini no

La leader di Fratelli d'Italia, premiata dai sondaggi, va di moda. A destra appare come il ritorno alla normalità, la realizzazione del sogno di Fini. E si giova dei difetti del "ragazzo della birreria" che se non parla di immigrati è muto.

Giorgia Meloni comincia a essere di moda da quando i sondaggi la premiano. Massimo Gramellini sul Corriere della Sera la elogia per le cose dette sulla madre nigeriana di Sondrio, Fausto Bertinotti la giudica molto bene, e si potrebbero citare altri entusiasti ammiratori. Il suo successo è parallelo all’insuccesso crescente di Matteo Salvini, uomo di molti voti virtuali che sta diventando antipatico come Matteo Renzi. In Meloni, nel suo avanzare nelle simpatie popolari, confluiscono più elementi.

UNA DESTRA TOSTA, FRANCA E BRUTALE

In primo luogo non dobbiamo mai dimenticare che questo Paese ha una forte componente di destra popolare, o forse, come diceva il mio amico Massimo D’Alema per richiamare alla realtà i sognatori di sinistra, «è un Paese di destra». Una destra tostissima, nostalgica al punto giusto ma non di quelle che si fanno incastrare nelle celebrazioni del passato, che parla con una franchezza che sfiora la brutalità.

TROPPI DIFETTI EVIDENTI DI SALVINI

In verità oggi Meloni si giova degli evidenti difetti di Salvini e del fatto che quel “soggettone” leghista se non parla di immigrati è praticamente muto. Tuttavia c’è dell’altro nel successo di Meloni, oltre il riemergere di una destra di tradizione e la sua migliore immagine rispetto a quella di Salvini. La Meloni appare, a destra, come il ritorno alla normalità.

GLI ITALIANI SONO STANCHI DELLE BIZZARRIE

Cerco di spiegarmi meglio. Gli italiani sono stanchi di tutto questo ambaradan culminato nelle bizzarrie del Movimento 5 stelle e nel furore xenofobo leghista. Anche chi detesta la sinistra con tutte le proprie forze, e in Italia sono milioni di persone, cerca strade maestre e non scorciatoie inconcludenti. Dal lato opposto questo vociare razzista e con toni da guerra civile ha risvegliato le coscienze. Mi dispiace per i detrattori delle sardine che speravano di battere la destra con la vecchia lotta di classe, ma, come è sempre avvenuto nella storia, la prima fase della rivoluzione è “democratica”.

INTANTO I BUONI STANNO PROVANDO A RIBELLARSI

Le sardine, come si può leggere bene nella lettera che hanno inviato a la Repubblica, sono uno straordinario movimento civico che incrocia e contrasta lo spirito bellico di questi anni. I “buoni” si sono ribellati e hanno scoperto che la piazza non è naturaliter di destra. È probabile che in un tempo medio tutto ciò porterà a una formazione politica originale in grado di competere elettoralmente con la destra. Per ora non è così.

GIORGIA CORONA IL SOGNO DI FINI

Giorgia Meloni rappresenta l’inveramento del sogno di Gianfranco Fini. L’uomo lo abbiamo tutti dimenticato, ma ebbe un momento di celebrità che minacciò la popolarità di Silvio Berlusconi e questo segnò il suo destino. L’Italia di destra si fidava di più di questo ragazzo attempato in doppio petto, che parlava come un liberal ma che aveva solidi radici di destra. Fini era forse un po’ troppo un punto di compromesso fra passato e futuro della destra. Meloni, invece, ha talmente segnato su se stessa la sua natura di destra che non corre il rischio di apparire una che sta facendo mutare pelle al suo popolo.

PIÙ SOLIDA DEL LINGUAGGIO IMBROGLIONE SALVINIANO

La caratteristica che sembrava nuocerle, la sua romanità, anzi il suo essere donna di un quartiere bellissimo come la Garbatella, le ha dato il carattere di schiettezza che è cosa più solida del linguaggio imbroglione di Salvini.

ANCHE SE I GIORNALI NORDISTI STANNO ANCORA CON MATTEO

I giornali di destra non si sono accorti ancora di lei. Sono ancora tutti presi dal ragazzo della birreria anche perché i direttori di quei giornali sono nordisti nel profondo dell’anima. E poi Salvini sembra uno che i direttori di questi giornali possono manipolare mentre la “destra” Meloni non è gestibile.

ALLA LEGA RESTANO LE BUFFONATE DI MARIO GIORDANO

Sta di fatto che l’avanzare della Meloni è uno dei tanti segnali che la ricreazione sta finendo. Per i cinque stelle è finita tant’è che Beppe Grillo predica la buona educazione e un asse comune con la sinistra. La Lega di Salvini, che ha capito anzitempo gli umori neri del suo popolo, ora crede alle buffonate (intese come esibizioni clownesche) di Mario Giordano. Dura minga.

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Perché la schietta Meloni ha futuro e il soggettone Salvini no

La leader di Fratelli d'Italia, premiata dai sondaggi, va di moda. A destra appare come il ritorno alla normalità, la realizzazione del sogno di Fini. E si giova dei difetti del "ragazzo della birreria" che se non parla di immigrati è muto.

Giorgia Meloni comincia a essere di moda da quando i sondaggi la premiano. Massimo Gramellini sul Corriere della Sera la elogia per le cose dette sulla madre nigeriana di Sondrio, Fausto Bertinotti la giudica molto bene, e si potrebbero citare altri entusiasti ammiratori. Il suo successo è parallelo all’insuccesso crescente di Matteo Salvini, uomo di molti voti virtuali che sta diventando antipatico come Matteo Renzi. In Meloni, nel suo avanzare nelle simpatie popolari, confluiscono più elementi.

UNA DESTRA TOSTA, FRANCA E BRUTALE

In primo luogo non dobbiamo mai dimenticare che questo Paese ha una forte componente di destra popolare, o forse, come diceva il mio amico Massimo D’Alema per richiamare alla realtà i sognatori di sinistra, «è un Paese di destra». Una destra tostissima, nostalgica al punto giusto ma non di quelle che si fanno incastrare nelle celebrazioni del passato, che parla con una franchezza che sfiora la brutalità.

TROPPI DIFETTI EVIDENTI DI SALVINI

In verità oggi Meloni si giova degli evidenti difetti di Salvini e del fatto che quel “soggettone” leghista se non parla di immigrati è praticamente muto. Tuttavia c’è dell’altro nel successo di Meloni, oltre il riemergere di una destra di tradizione e la sua migliore immagine rispetto a quella di Salvini. La Meloni appare, a destra, come il ritorno alla normalità.

GLI ITALIANI SONO STANCHI DELLE BIZZARRIE

Cerco di spiegarmi meglio. Gli italiani sono stanchi di tutto questo ambaradan culminato nelle bizzarrie del Movimento 5 stelle e nel furore xenofobo leghista. Anche chi detesta la sinistra con tutte le proprie forze, e in Italia sono milioni di persone, cerca strade maestre e non scorciatoie inconcludenti. Dal lato opposto questo vociare razzista e con toni da guerra civile ha risvegliato le coscienze. Mi dispiace per i detrattori delle sardine che speravano di battere la destra con la vecchia lotta di classe, ma, come è sempre avvenuto nella storia, la prima fase della rivoluzione è “democratica”.

INTANTO I BUONI STANNO PROVANDO A RIBELLARSI

Le sardine, come si può leggere bene nella lettera che hanno inviato a la Repubblica, sono uno straordinario movimento civico che incrocia e contrasta lo spirito bellico di questi anni. I “buoni” si sono ribellati e hanno scoperto che la piazza non è naturaliter di destra. È probabile che in un tempo medio tutto ciò porterà a una formazione politica originale in grado di competere elettoralmente con la destra. Per ora non è così.

GIORGIA CORONA IL SOGNO DI FINI

Giorgia Meloni rappresenta l’inveramento del sogno di Gianfranco Fini. L’uomo lo abbiamo tutti dimenticato, ma ebbe un momento di celebrità che minacciò la popolarità di Silvio Berlusconi e questo segnò il suo destino. L’Italia di destra si fidava di più di questo ragazzo attempato in doppio petto, che parlava come un liberal ma che aveva solidi radici di destra. Fini era forse un po’ troppo un punto di compromesso fra passato e futuro della destra. Meloni, invece, ha talmente segnato su se stessa la sua natura di destra che non corre il rischio di apparire una che sta facendo mutare pelle al suo popolo.

PIÙ SOLIDA DEL LINGUAGGIO IMBROGLIONE SALVINIANO

La caratteristica che sembrava nuocerle, la sua romanità, anzi il suo essere donna di un quartiere bellissimo come la Garbatella, le ha dato il carattere di schiettezza che è cosa più solida del linguaggio imbroglione di Salvini.

ANCHE SE I GIORNALI NORDISTI STANNO ANCORA CON MATTEO

I giornali di destra non si sono accorti ancora di lei. Sono ancora tutti presi dal ragazzo della birreria anche perché i direttori di quei giornali sono nordisti nel profondo dell’anima. E poi Salvini sembra uno che i direttori di questi giornali possono manipolare mentre la “destra” Meloni non è gestibile.

ALLA LEGA RESTANO LE BUFFONATE DI MARIO GIORDANO

Sta di fatto che l’avanzare della Meloni è uno dei tanti segnali che la ricreazione sta finendo. Per i cinque stelle è finita tant’è che Beppe Grillo predica la buona educazione e un asse comune con la sinistra. La Lega di Salvini, che ha capito anzitempo gli umori neri del suo popolo, ora crede alle buffonate (intese come esibizioni clownesche) di Mario Giordano. Dura minga.

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Chi sono i cantanti di Sanremo giovani 2020

Da Leo Gasmann agli Eugenio in via di Gioia: i protagonisti che si sono aggiudicati il palco dell'Ariston. Che vedrà anche Tiziano Ferro presente tutte le sere.

I magnifici otto sono stati scelti. Il 19 dicembre i nomi dei partecipanti a Sanremo giovani 2020 sono stati finalmente svelati e così il prossimo festival targato Amadeus inizia a prendere forma. In attesa di conoscere i nomi dei Big e gli ospiti delle cinque serate in programma dal 4 all’8 febbraio – il conduttore ha già spiegato che Tiziano Ferro sarà presente tutte le sere, le porte dell’Ariston si sono spalancate agli otto cantanti che parteciperanno tra i Giovani.

DA LEO GASMANN A TECLA VINCITRICE DI SANREMO YOUNG

Leo Gassmann (con Va bene così), Fadi (Due noi), Marco Sentieri (Billy Blu), Fasma (Per sentirmi vivo), Eugenio in via di Gioia (Tsunami) sono i cinque protagonisti, in diretta tv su Rai1, si sono sfidati a colpi di duelli e musica per conquistare un posto in prima fila all’Ariston. A loro si aggiungono, da Area Sanremo, Gabriella Martinelli e Lula (Il gigante d’acciaio, dedicata a Taranto e alle vicende dell’ex Ilva) e Matteo Faustini (Nel bene e nel male). Approda di diritto all’Ariston anche la giovanissima Tecla Insolia, vincitrice di Sanremo Young.

TEMI SOCIALI E MALESSERE GENERAZIONALE

Temi sociali e malessere generazionale corrono tra i brani, gli stessi che arriveranno a febbraio. Sfide secche, dentro o fuori. Per quella che qualcuno considera l’occasione della vita, qualcuno un passaggio obbligato verso il successo. Sono emozionati i ragazzi (e si vede, dalle mani che si contorcono, dagli sguardi persi, dalle gambe che non stanno ferme), anche se molti di loro hanno già alle spalle talent e gavetta. Come Thomas che arriva da Amici, ma deve cedere il passo a Leo Gassmann, da X Factor, figlio di Alessandro – che via Twitter fa il tifo: be brave and rock on! – e nipote di Vittorio (e più di uno gli ricorda che porta un cognome “ingombrante”, mentre la rete ipotizza raccomandazioni, ma lui ribatte che «è la musica a vincere»). Gli Eugenio in via di Gioia portano una ventata di allegria e lasciano fuori il bravo Avincola (con un brano sui rider). Eliminati anche Shari e i Reclame.

I CINQUE GIUDICI SENIOR

A decidere i più meritevoli sono televoto, Commissione musicale del festival, giuria demoscopica e giuria televisiva, ovvero i cinque senatori del festival Pippo Baudo, Antonella Clerici, Carlo Conti, Gigi D’Alessio e Piero Chiambretti, alla quale spettava l’ultima parola in caso di parità. E non è mancata qualche stoccata via social, come quella di Enzo Mazza, ceo della FIMI, che in un tweet ha polemicamente sottolineato le differenze d’età tra giudicanti e giudicati. «Date di nascita super giuria #sanremogiovani: 1936, 1956, 1961, 1962, 1967. Artisti in gara secondo regolamento: non aver superato i 36 anni. Ovvero non essere nati dopo 1983. Età media utilizzatori di Spotify: 25 anni, ovvero nati nel 1994». I giudici, tutti veterani del festival, non raccolgono la provocazione, arrivata già nei giorni della loro ufficializzazione. Appuntamento, dunque, al 4 febbraio (e prima anche a Potenza con il Capodanno di Rai1, sempre condotto da Amadeus) con in testa già le canzoni

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La lettera in cui le Sardine spiegano di non voler diventare un partito

I quattro fondatori pubblicano un lungo messaggio su Repubblica. E spiegano: «Siamo un movimento pacifico, incorniciarlo sarebbe come mettere confini al mare».

«La pentola era pronta per scoppiare, le Sardine le hanno permesso semplicemente di fischiare. L’ Italia è nel mezzo di una rivolta popolare pacifica che non ha precedenti negli ultimi decenni. Chi cercherà di osteggiarla sentirà solo più acuto il fischio, chi tenterà di cavalcarla rimarrà deluso». Scrivono così i quattro fondatori delle Sardine – Andrea Garreffa, Roberto Morotti, Mattia Santori e Giulia Trappoloni – in una lettera a Repubblica in apertura di prima pagina. E aggiungono: «La forma stessa di un partito sarebbe un oltraggio a ciò che è stato e che potrebbe essere. E non perché i partiti siano sbagliati, ma perché veniamo da una pentola e non è lì che vogliamo tornare».

«CI SENTIAMO IMPREPARATI, MA LIBERI»

«Chiedere che cornice dare a una rivolta è come mettere confini al mare. Noi ci chiediamo ogni giorno come fare e ci sentiamo ridicoli, inadatti e impreparati… ma finalmente liberi», scrivono i quattro ragazzi. «L’unica certezza che abbiamo è che siamo stati sdraiati per troppo tempo. E che ora abbiamo bisogno di nuotare». I quattro trentenni raccontano il percorso che li ha portati dalla manifestazione del 14 novembre a Bologna a quella del 14 dicembre in piazza San Giovanni a Roma, fino alla riunione del giorno seguente. Oggi «siamo quattro trentenni come ce ne sono tanti in Italia. Il processo che abbiamo contribuito a creare sarà lungo, ma intanto è iniziato. E per quanto possiamo essere qualcuno all’interno delle piazze, dei nostri collettivi e dei nostri circoli, non siamo nessuno all’interno di questo processo», osservano.

«LE SARDINE SONO SOLO UN PRETESTO»

«Le Sardine non esistono, non sono mai esistite. Sono state solo un pretesto. Potevano essere storioni, salmoni o stambecchi. La verità è che la pentola era pronta per scoppiare. Poteva farlo e lasciare tutti scottati. Per fortuna le sardine le hanno permesso semplicemente di fischiare», sottolineano. «Non è stato grazie a noi, né tanto meno a chi ha organizzato le piazze dopo di noi. È stato grazie a un bisogno condiviso di tornare a sentirsi liberi. Liberi di esprimere pacificamente un pensiero e di farlo con il corpo, contro ogni tentativo di manipolazione imposto dai tunnel solipsistici dei social media. La condivisione dello stesso male ci ha resi alleati coesi, ha unito il fronte».

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In Piemonte voto di scambio con la ‘ndrangheta, arrestato l’assessore di Fdi Rosso

Responsabile dei diritti civili nella giunta di centrodestra, a lungo era stato parlamentare di Forza Italia. Eseguite altre sette misure di custodia cautelare.

Il blitz contro la ‘ndrangheta non si ferma e dopo la maxi operazione del 19 dicembre e gli arresti eseguiti in Valle D’Aosta, questa volta le indagini toccano il Piemonte. Roberto Rosso, assessore ai Diritti civili della Regione Piemonte, a lungo parlamentare di Forza Italia, per cui all’inizio degli anni ’90 è stato candidato sindaco di Torino, e ora in Fratelli d’Italia, è stato arrestato la mattina del 20 dicembre dalla guardia di di Finanza nell’ambito di un’inchiesta sulla ‘ndrangheta che ipotizza anche il voto di scambio.

ACCORDO CON I BOSS PER LE ULTIME ELEZIONI REGIONALI

Le accuse nei suoi confronti riguarderebbero le ultime elezioni regionali. «Secondo le risultanze delle indagini Roberto Rosso è sceso a patti con i mafiosi. E l’accordo ha avuto successo», ha detto Francesco Saluzzo, procuratore generale del Piemonte. Gli investigatori hanno documentato – anche con immagini – diversi incontri tra Rosso e alcuni presunti boss, tra cui Onofrio Garcea, esponente del clan Bonavota in Liguria, anche in piazza San Carlo a Torino. Oltre all’arresto di Rosso le Fiamme gialle hanno eseguito altre sette ordinanze di custodia cautelare e sequestri di beni nei confronti di soggetti legati alla ‘ndrangheta e operanti a Torino.

ALLONTANATO DAL PARTITO

Fratelli d’Italia, da parte sua, ha allontanato Rosso dal partito. Apprendiamo che stamattina è stato arrestato con l’accusa più infamante di tutte: voto di scambio politico-mafioso. Mi viene il voltastomaco», ha dichiarato Giorgia Meloni. «Mi auguro dal profondo del cuore che dimostri la sua innocenza, ma annuncio fin da ora che Fratelli d’Italia si costituirà parte civile nell’eventuale processo a suo carico. Ovviamente, fin quando questa vicenda non sarà chiarita, Rosso è da considerarsi ufficialmente fuori da Fdi».

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In Piemonte voto di scambio con la ‘ndrangheta, arrestato l’assessore di Fdi Rosso

Responsabile dei diritti civili nella giunta di centrodestra, a lungo era stato parlamentare di Forza Italia. Eseguite altre sette misure di custodia cautelare.

Il blitz contro la ‘ndrangheta non si ferma e dopo la maxi operazione del 19 dicembre e gli arresti eseguiti in Valle D’Aosta, questa volta le indagini toccano il Piemonte. Roberto Rosso, assessore ai Diritti civili della Regione Piemonte, a lungo parlamentare di Forza Italia, per cui all’inizio degli anni ’90 è stato candidato sindaco di Torino, e ora in Fratelli d’Italia, è stato arrestato la mattina del 20 dicembre dalla guardia di di Finanza nell’ambito di un’inchiesta sulla ‘ndrangheta che ipotizza anche il voto di scambio.

ACCORDO CON I BOSS PER LE ULTIME ELEZIONI REGIONALI

Le accuse nei suoi confronti riguarderebbero le ultime elezioni regionali. «Secondo le risultanze delle indagini Roberto Rosso è sceso a patti con i mafiosi. E l’accordo ha avuto successo», ha detto Francesco Saluzzo, procuratore generale del Piemonte. Gli investigatori hanno documentato – anche con immagini – diversi incontri tra Rosso e alcuni presunti boss, tra cui Onofrio Garcea, esponente del clan Bonavota in Liguria, anche in piazza San Carlo a Torino. Oltre all’arresto di Rosso le Fiamme gialle hanno eseguito altre sette ordinanze di custodia cautelare e sequestri di beni nei confronti di soggetti legati alla ‘ndrangheta e operanti a Torino.

ALLONTANATO DAL PARTITO

Fratelli d’Italia, da parte sua, ha allontanato Rosso dal partito. Apprendiamo che stamattina è stato arrestato con l’accusa più infamante di tutte: voto di scambio politico-mafioso. Mi viene il voltastomaco», ha dichiarato Giorgia Meloni. «Mi auguro dal profondo del cuore che dimostri la sua innocenza, ma annuncio fin da ora che Fratelli d’Italia si costituirà parte civile nell’eventuale processo a suo carico. Ovviamente, fin quando questa vicenda non sarà chiarita, Rosso è da considerarsi ufficialmente fuori da Fdi».

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Liguria in allerta rossa per il maltempo

Chiusi porti, scuole e la A6. Ma il codice è arancione anche per Piemonte, Emilia Romanga e Lombardia.

Allerta rossa per il maltempo il 20 dicembre in Liguria: chiusi porti e
scuole; chiusa la A6 tra Savona e Altare; è attesa una
perturbazione “molto violenta”, avverte l’assessore alla
Protezione civile Giampedrone.

ALLERTA ARANCIONE IN TRE REGIONI

Allerta arancione invece sempre in Lombardia, Piemonte ed Emilia Romagna; gialla in Sardegna, Campania, Lazio, Toscana, Umbria e Friuli Venezia Giulia.

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La narrazione distorta dello spettacolo teatrale sulle banche venete

Il Comunale di Vicenza chiude le porte a "Una Banca Popolare". Che ha debuttato a Venezia tra perplessità e indignazione. Effetto di una lettura del terremoto BpVI sbilanciata a favore di Zonin.

Al teatro Comunale di Vicenza hanno già deciso. Commenti non ne filtrano, ma la scelta è netta: Una Banca Popolare, novità di Romolo Bugaro prodotta dal Teatro Stabile del Veneto, che ha debuttato al Goldoni di Venezia a metà dicembre, non approderà nella città più ferita dal tracollo delle Popolari venete. Nessuna sorpresa. Si parla di un palcoscenico che dista meno di 100 metri da quello che fu il quartier generale della Banca Popolare di Vicenza, l’istituto di credito presieduto da Gianni Zonin, fallito trascinando nel crac oltre 100 mila soci. Le finestre dell’ultimo piano del palazzo di via Framarin, dove si trovavano gli uffici dei Vip e la sala del consiglio di amministrazione, danno proprio sul teatro progettato da Gino Valle e aperto nel 2007. BpVI era fra i soci fondatori, aveva due rappresentanti nel consiglio della Fondazione costituta ad hoc dal proprietario, il Comune di Vicenza, per la gestione. E supportava con un sostanzioso contributo – 200 mila euro all’anno – le attività di spettacolo.

BELTOTTO, DA ZAIA AL TEATRO STABILE

Sono passati due anni e mezzo dal crollo e molto è cambiato. Banca Intesa, che al prezzo di un euro ha rilevato la Popolare fallita, in consiglio non c’è e ha dimezzato il contributo. Rimane importante la presenza della Regione, più incisiva da quando l’Amministrazione comunale di Vicenza, a giugno del 2018, si è allineata a centrodestra con quella veneta. Il dettaglio non è privo di significato. La Regione ha nello Stabile l’istituzione teatrale di riferimento: fra l’altro, il presidente è Giampiero Beltotto, in passato (dopo essere stato caporedattore della Rai a Venezia) per cinque anni portavoce di Luca Zaia, inamovibile governatore. E questo fa capire che dire no allo Stabile, anche solo per la distribuzione di un allestimento, non è così semplice. Il fatto è che questo spettacolo – ampiamente pubblicizzato prima dell’andata in scena come lettura delle vicende bancarie venete “dalla parte dei cattivi” – appare decisamente sbilanciato in una prospettiva che si può definire solo come “filo-zoniniana”.

L’opera è stata prodotta dal Teatro Stabile del Veneto.

A Venezia, il debutto e le repliche sono caduti in una certa pubblica indifferenza e in varie private indignazioni. Alla prima il teatro era tutt’altro che pieno e le accoglienze non sono state propriamente entusiastiche. Devono essere bastati i resoconti molto cauti della carta stampata per indurre un gruppetto di poche persone a recarsi al Goldoni, assistere all’ultima replica, non applaudire e “aspettare fuori” l’autore e il regista, Alessandro Rossetto. Volevano “chiedere spiegazioni” si è letto in una cronaca del quotidiano Nuova Venezia, difficile che quelle avute da una aiuto-regista (gli altri asseritamente non erano presenti) siano state soddisfacenti.

Dall’8 al 12 gennaio la partita si sposterà al Verdi di Padova, città decisamente più coinvolta di Venezia nel terremoto BpVI

Passate le feste, dall’8 al 12 gennaio la partita si sposterà al Verdi di Padova, città decisamente più coinvolta di Venezia nel terremoto BpVI. E si vedrà quale accoglienza sarà riservata al debutto nella drammaturgia dell’autore di casa Bugaro, avvocato-scrittore che gode di buona notorietà per una serie di romanzi spesso ad ambientazione veneta che gli sono valsi anche due ingressi nella cinquina del premio Campiello, nel 1998 e nel 2007. La sua scrittura teatrale, però, appare sostanzialmente deludente. E la sua lettura del caso banche venete sembra andare in direzione di una narrazione che è singolarmente sovrapponibile a quella che Gianni Zonin sta portando avanti da quando ha deciso di tornare in pubblico, di rispondere ai giornalisti e di partecipare alle udienze del processo in cui è imputato.

BUGARO E «I NAZISTI DELLA BCE»

È la narrazione di una gestione bancaria che è fallita per avere voluto pervicacemente fare l’interesse dell’economia del territorio e che riconduce il crollo alla capziosità dei controlli di Bankitalia e della Bce («i nazisti della Bce» fa dire testualmente Bugaro al suo presidente della fittizia Popolare del Nordest). Scrollandosi di dosso con arrogante sicumera ogni responsabilità per qualsiasi “mala gestio”, per qualsiasi comportamento illegale. Tutto questo avviene in un lunghissimo monologo (45 minuti peraltro ben sostenuti dall’attore Fabio Sartor) che come tutti i monologhi non prevede contradditorio, prospettiva diversa, sviluppo dialettico. Il banchiere Gianfranco Carrer (così si chiama il personaggio nello spettacolo) racconta la sua verità: un singolare spot teatrale per le tesi difensive dell’ex banchiere Zonin in tribunale a Vicenza. Che in questo dovesse consistere la pur interessante scelta di portare sulla scena il grande crac del Veneto è revocabile in dubbio.

Una scena di “Una Banca Popolare”.

Bugaro si limita ad abbozzare (nella prima parte) il ruolo e le miserie del “cerchio magico” che stava intorno al presidente della Banca Popolare: imprenditori e professionisti che hanno goduto di un trattamento privilegiato, si sono prestati a operazioni poche chiare spesso (ma non sempre) risolte in cospicui rovesci finanziari e solo alla fine, quando è esplosa la crisi, hanno scaricato il loro “benefattore”. Ma il lungo monologo finale cancella anche questo pur parziale tentativo di articolare di più e meglio il discorso. Che mai accende una luce sul colossale tradimento della fiducia di decine di migliaia di risparmiatori. Altri elementi, poi, sono destinati ad alimentare le polemiche.

IL PASSATO DI BELTOTTO ALLA BPVI

Sorprende ad esempio che alla produzione di uno spettacolo così a tesi (ne è prevista una versione cinematografica) partecipi la “Jole Film” di Marco Paolini, il popolare autore-attore che completa in questo modo un inedito percorso di avvicinamento allo Stabile, già contrassegnato da una significativa presenza nei suoi cartelloni. E incuriosisce, diciamo così, il fatto che Beltotto sia stato l’ultimo responsabile della comunicazione, prima del definitivo tracollo, della Banca Popolare di Vicenza. In quei mesi, Beltotto era già vicepresidente dello Stabile e lo era anche successivamente, quando il suo predecessore, Angelo Tabaro, decise di concretizzare il progetto di Una Banca Popolare. Infine, nell’ottobre 2018 Beltotto è diventato presidente. È stato lui, quindi, a seguire la definitiva realizzazione dello spettacolo. Al limite, come testimone del crollo, avrebbe anche potuto esserne un personaggio.

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Le quotazioni di Borsa e spread del 20 dicembre 2019

Piazza Affari in rialzo nell'ultima seduta settimanale. Il differenziale Btp-Bund a 166 punti. I mercati in diretta.

Borsa italiana in rialzo nella giornata del 20 dicembre, con l’indice Ftse Mib che ha guadagnato in apertura lo 0,58% a 23.846 punti e che a metà giornata ha segnato il migliore risultato del Vecchio Continente a +0,8%. Marciano in rialzo Parigi e Francoforte (+0,5%), Londra (+0,2%) e Madrid (+0,3%). Sullo sfondo restano i nodi della brexit ed il contenuto dell’accordo tra Usa e Cina sul fronte del commercio internazionale.

LO SPREAD A 166 PUNTI BASE

In crescita lo spread tra Btp e Bund. Il differenziale tra il decennale italiano e quello tedesco si attesta a 166 punti, oltre i livelli del giorno precedente a fine seduta. Il rendimento del Btp è all’1,38%.

I MERCATI IN DIRETTA

15.22 – BORSE EUROPEE ANCORA IN CRESCITA

Positive le Borse europee, in attesa dell’apertura di Wall Street, coi future che aumentano la loro crescita dopo i dati sul Pil del terzo trimestre confermati in salita, così come i consumi. D’altra parte il parlamento Ue congela i negoziati sul bilancio 2021-2027 con gli Stati membri sul nuovo bilancio dell’Unione. La migliore è Milano (+0,8%), seguita da Francoforte e Parigi (+0,6%), Madrid (+0,3%) e Londra (+0,06%). Bene generi di prima necessità e petroliferi, col greggio in calo (wti -0,3%): guadagni per Neste Oyj (+1,9%) e Lundin (+1,3%), non Royal Dutch (-0,7%). Piatte le auto, in ordine sparso le banche, con le italiane deboli, con lo spread Btp-Bund a 166 e con segno positivo di quattro punti sulla Grecia, a dimostrare il sorpasso su Roma sul contenimento del premio di rischio, mentre il rendimento del decennale italiano è a 1,41%, sui massimi da agosto. Giù Ubi (-1,9%), Bper (-1,4%) e Banco Bpm (-1%), insieme a Virgin Money (-2%) e Barlclays (-1,9%), su Bankinter (+2%) e Swedbank (+1,5%).

14.50 – MILANO RESTA POSITIVA

Positiva la Borsa di Milano (+0,8%) a metà seduta, anche se con tendenza negativa, in una giornata in cui, secondo i dati Istat, sale la fiducia dei consumatori.

13.30 – IN RIALZO I LISTINI EUROPEI, MILANO LA MIGLIORE

Le Borse europee accelerano, spinte dalla performance positiva dei gruppi industriali. I mercati attendono l’avvio di Wall Street con i futures positivi e dopo la performance positiva di ieri. Milano (+0,9%) è maglia rosa dopo una raffica di dati macroeconomici. Prosegue stabile l’euro sul dollaro a 1,1094 a Londra. Corrono le utility (+0,9%) e l’hi tech (+0,6%) mentre sono in lieve rialzo le banche e l’energia(+0,1%).

11.20 – DEBOLI LE BORSE EUROPEE

Le Borse europee proseguono deboli dopo un timido tentativo di rialzo. I mercati guardano agli sviluppi politici nel Regno Unito sul fronte della brexit mentre si attendono alcuni dati macroeconomici dagli Stati Uniti. Resta stabile l’euro sul dollaro a 1,1121 a Londra. Nel Vecchio continente marciano in rialzo le utility (+0,4%) e l’hi-tech (+0,2%). Poco mosso il settore dell’energia con il prezzo del petrolio che resta sopra i 61 dollari al barile. Debole il comparto finanziario con le banche in calo dello 0,1%. In rosso Barclay (-1,3%), Banco Bilbao (-0,4%), Credit Agricole e Banco Santander (-0,3%) e Commerzbank (-0,2%).

10.02 – MILANO MAGLIA ROSA IN EUROPA

La Borsa di Milano prosegue la seduta con slancio e guida i listini del Vecchio Continente.

9.28 – BORSE EUROPEE DEBOLI IN APERTURA DI SEDUTA

Borse europee deboli in apertura dell’ultima seduta della settimana. Gli investitori guardano alle vicende politiche degli Stati Uniti con il via libera della Camera all’impeachment per Donald Trump. Intanto si attende il dato definitivo del Pil del terzo trimestre e altri indicatori macroeconomici. Sul fronte valutario è in lieve calo l’euro sul dollaro che passa di mano a 1,1118. La moneta unica inoltre vale 121,50 yen. In rialzo Parigi (+0,12%), piatte Londra (-0,02%), Francoforte (-0,01%) e Madrid (+0,03%).

9.07- PIAZZA AFFARI APRE IN RIALZO

La Borsa di Milano apre in rialzo. L’indice Ftse Mib guadagna lo 0,58% a 23.846 punti.

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