Il sindaco di Cosenza Occhiuto si ritira dalla corsa alle Regionali in Calabria

L'annuncio è arrivato in un post su Facebook col quale il primo cittadino ha raccolto l'invito di Silvio Berlusconi. Via libera a Jole Santelli per il centrodestra,

Mario Occhiuto ritira la propria candidatura alla presidenza della Regione Calabria, accogliendo l’invito che gli era stato rivolto dal leader di Forza Italia Silvio Berlusconi. «Sono abituato a costruire, non a distruggere», ha scritto il sindaco di Cosenza in un post su Facebook.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Aereo si schianta in Kazakistan: almeno 14 morti

A bordo dal velivolo partito da Almaty e precipitato poco dopo il decollo c'erano 98 persone: 60 i feriti.

Tragedia in Kazakistan, dove un aereo con 98 persone a bordo è precipitato vicino alla città di Almaty. Un primo bilancio parla di di almeno 14 morti e 60 feriti. Secondo funzionari dell’aeroporto, il velivolo della Bek Air sarebbe precipitato poco dopo il decollo dallo scalo. Il personale dei servizi di emergenza si è immediatamente precipitato sul luogo dello schianto. L’aereo era in rotta da Almaty alla capitale del Paese Nursultan (ex Astana).

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

La spesa militare non sta diminuendo neanche col governo Pd-M5s

I tagli erano un cavallo di battaglia dei due partiti. Ma ora il ministro della Difesa Guerini porta avanti i progetti degli F-35. Rischiando persino un ingorgo di acquisti in campo aeronautico. Così l'Italia è pronta a sborsare 3,5 miliardi nei prossimi anni. Sotto il pressing della Nato. Il quadro.

Cacciabombardieri di tutti i tipi. Con un’accelerazione sui programmi militari registrata nelle ultime settimane del 2019. E addirittura il rischio di creare un ingorgo di acquisti in campo aeronautico. Sulla spesa militare, insomma, il “governo della svolta” non ha affatto svoltato: è in continuità rispetto a quanto fatto (o non fatto) nelle ultime legislature.

DIREZIONE GIÀ PRESA CON LA MINISTRA TRENTA

Un deputato del Movimento 5 stelle con cui Lettera43.it ha interloquito sorride amaro: «Già con la ministra della Difesa Elisabetta Trenta si stava andando in quella direzione, ma ora col suo successore Lorenzo Guerini è meglio non parlarne proprio degli ideali di una volta…». Una spia del malumore celato in Transatlantico. Sì, perché tra i tanti temi scomodi sul tavolo c’è il capitolo della spesa militare. La cui riduzione un tempo era cavallo di battaglia del M5s e della sinistra, almeno quella più radicale.

ANCORA GLI F-35: VIA LIBERA DELLA CAMERA

L’ultimo tassello è arrivato con l’approvazione dell’esecutivo alla seconda fase del programma degli F-35, i caccia della Lockheed osteggiati da tutti a parole. Ma nei fatti mai bloccati dai vari governi che si sono susseguiti. Anche Matteo Renzi, quando soggiornava a Palazzo Chigi, era orientato a dimezzare il programma. Ma dietro le buone intenzioni non c’è stato nulla, né allora né adesso. Le avvisaglie c’erano state già a ottobre 2019, a sole poche settimane dall’insediamento di Guerini: il ministro della Difesa, in un’intervista, aveva scandito: «Avanti con gli F-35» perché c’è un «bisogno oggettivo e non rinviabile» e soprattutto «va garantita efficienza operativa dello strumento militare». Messaggio chiaro, seguito dalla prudente mozione proposta alla Camera dalla maggioranza. Che di fatto ha concesso il via libera, seppure con un giro di parole improntato alla cautela.

L’ESBORSO: 3,5 MILIARDI, 130 MILIONI PER AEREO

L’iter degli F-35 è diviso in tre fasi: la prima è stata una sorta di pre-serie e ha portato l’Italia ad acquistare 28 caccia (sui quali, come si sa, non possiamo tornare indietro); la seconda è la prima parte della produzione di serie; la terza è la ultima fase della full-rate production. Il sì alla seconda fase vuol dire acquistare il “blocco” di 27 aerei previsti per questo step: in totale saranno 55 gli F-35 acquistati. Insomma, nonostante i dubbi e le battaglie politiche, l’Italia spenderà nei prossimi anni oltre 3,5 miliardi di euro con un costo medio per aereo di 130 milioni.

ALTERNATIVA NAUFRAGATA: ED ERA MADE IN ITALY

Ma non è l’unico paradosso. Qualche strada alternativa, durante il Conte I gialloverde, era stata pure tentata dal M5s. Ma, a quanto pare, ogni ipotesi è naufragata. Nei mesi precedenti alla conferma della fase 2, secondo quanto risulta a Lettera43.it, sarebbe stato realizzato dai pentastellati un documento sottoposto al ministero della Difesa in cui si ragionava sull’opportunità di optare sui caccia M-346FA (Fighter Attack) al posto degli F-35. Le ragioni, a detta dei tecnici, sono molteplici: risultato più affidabili degli F-35, costano un quinto e sono già a disposizione perché non bisogna svilupparli. Con un altro “piccolo” particolare: essendo totalmente Made in Italy, ci sarebbero stati benefici esclusivi per le casse italiane.

CHE ATTIVISMO DI GUERINI: ALTRI 2,3 MILIARDI IMPEGNATI

Il progetto, però, non è andato avanti. Anzi, se ne sono aggiunti altri, ma orientati altrove. L’attivismo strategico di Guerini è stato visibile ancor prima dell’okay agli F-35. A pochi giorni dal suo insediamento al ministero, infatti, è arrivata l’adesione definitiva al programma per il Tempest britannico, il caccia di sesta generazione: il neo ministro ha apposto la firma sul progetto, dando seguito a quanto già tracciato dalla Trenta. Difficile stabilire, oggi, quale sarà l’impegno economico per l’Italia. Le stime più plausibili (ma che, ovviamente, non tengono conto dei costi indiretti) parlano di un impegno iniziale, quantificato dai britannici, in 2 miliardi di sterline, circa 2,3 miliardi di euro. Il processo è ancora lungo e mira a rendere i nuovi aerei militari operativi non prima del 2035.

guerini spesa militare italiana 2019
Il ministro della Difesa Lorenzo Guerini in visita alla base militare di Shamaa, nel Sud del Libano. (Ansa)

INCOGNITE SUI CACCIA: RISORSE ANCHE PER I “CONCORRENTI”

Restano numerosi interrogativi. Perché avviare un nuovo programma militare, nonostante per mesi abbia tenuto banco l’idea di bloccare gli F-35? È quello che si chiede, tra gli altri, il portavoce della Rete per il disarmo, Francesco Vignarca, che al di là dell’opportunità “militare”, ragiona anche su questioni prettamente economiche: «L’Italia si troverà tra qualche anno, inspiegabilmente e illogicamente, ad avere più di tre programmi militari in campo aeronautico: l’Eurofighter, l’F-35 e ora il Tempest». Con un particolare ulteriore e non secondario: «Il nostro Paese partecipa anche al programma dell’eurodrone (progetto sponsorizzato direttamente dall’Unione europea, ndr). Ma alcuni elementi di questo progetto confluiranno nel Fcas (Future Air Combat System), il caccia franco-tedesco, che è competitor diretto del Tempest. Insomma, pagheremo indirettamente anche il concorrente del nostro nuovo progetto», spiega ancora il portavoce della Rete disarmo. A conti fatti, dunque, c’è l’adesione a un programma militare, nonostante siano in piedi altri due “concorrenti” e mentre c’è la partecipazione, indiretta, allo sviluppo del competitor naturale dello stesso Tempest.

FATTORE NATO: PRESSING PER INVESTIRE IL 2% DEL PIL

Sulla spesa militare la linea è chiara: Guerini è pronto a soddisfare il “fattore Nato”. La spinta agli investimenti potrebbe rispondere anche agli impegni assunti nel 2014 in Galles, in particolare al 2% del Pil da spendere nella Difesa entro il 2024, come richiesto dall’Alleanza atlantica. Del resto «la quantità di risorse investite è oggetto di costante e sempre più attento monitoraggio» da parte della Nato, viene riferito. Finora, ha ricordato il titolare della Difesa, essere il secondo contributore alle missioni comuni «ci ha posto al riparo da più severe osservazioni». Ma con l’attenzione dell’amministrazione Trump la cosa potrebbe cambiare. La quota «dell’1,22% ci vede ancor lontani dagli obiettivi fissati», però proprio per questo, ha assicurato Guerini, «intraprenderemo tutti gli sforzi per un percorso teso a incrementare gradualmente gli investimenti con l’obiettivo di allineare il rapporto budget Difesa e Pil ad altri partner europei». Una strategia contestata dalla Rete disarmo: «Non c’è alcun documento scritto, alcuna direttiva che obbliga i Paesi a destinare alla difesa il 2% del Pil. Mi piacerebbe avere un governo che dica questo invece di cedere per accontentare i desiderata di Trump», commenta Vignarca.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it