La svolta moderata di Salvini è solo una barzelletta

Ora il segretario leghista cerca di trattenere gli spiriti animali vestendo i panni della domenica. Ama l'Europa, si aggrappa all'euro e spera di entrare nel Ppe. Ma non è che l'ultima metamorfosi: resta un uomo di spettacolo e da battaglie brevi, incapace di reggere sulla distanza.

È nato il partito di Carlo Calenda, sta morendo quello di Luigi Di Maio, mentre il Pd non sa che farsene di un governo che sta sputtanando la nuova immagine disegnata dal convegno di Bologna.

In tutto questo film con vecchi attori, antiche promesse e tenaci delusioni ci sono i ragazzi delle Sardine che devono sorbirsi lezioncine sui social di vecchi e vecchie estremiste di sinistra che li considerano troppo borghesi e soprattutto troppo lontani dall’ideologia del momento, quella che dice che destra e sinistra non ci sono più, soprattutto che non c’è più e non ci sarà più la sinistra (che peraltro alcuni di loro hanno contribuito a distruggere). 

La destra invece c’è e si avvia a vincere la prossima prova elettorale. Giorgia Meloni sta mettendo a frutto anni e anni di esistenza marginale nelle aree di destra più periferiche, Silvio Berlusconi cerca di difendere con poca dignità una storia politica lunga riducendosi a un 6% che mette al servizio del leghista, Matteo Salvini prova a vestire i panni della domenica.

QUELLA DI SALVINI È UNA TRASFORMAZIONE POCO CREDIBILE

La storia del mutamento di Salvini è l’ultima trovata del gossip politico. Tenete presente che stiamo parlando di un uomo politico ancor giovane che ne ha fatte più di Carlo in Francia essendo stato comunista padano, legato ai centri sociali, valletto di Umberto Bossi e Roberto Maroni quindi corresponsabile di tutto ciò che la Lega ha fatto ai piani alti della politica ma che ora cerca di rappresentarsi come uomo nuovo. L’ultima sua trasformazione è quella del leader della destra moderata e un po’ razzista, ma solo un po’, che ama l’Europa, che si aggrappa all’euro, che spera di essere ammesso nel Ppe grazie a Berlusconi e Viktor Orban.

Salvini è uomo di guerra civile (nel senso di una guerra civile a bassa intensità fondata su un linguaggio annichilente l’avversario), è un Salvini interruptus non in grado di reggere sulla distanza

Può darsi che ce la faccia. Il dubbio non viene dall’incertezza sulla riuscita del suo piano. Il mio dubbio viene dal fatto che non sono fra quelli che  pensa che Salvini possa cambiare. Niente di personale, per carità, ma ogni leader politico osservato sul lungo periodo manifesta una continuità di comportamenti che lascia prevedere la sua evoluzione. Salvini è uomo di spettacolo, è uomo di guerra civile (nel senso di una guerra civile a bassa intensità fondata su un linguaggio annichilente l’avversario), è uomo di battaglie brevi, è un Salvini “interruptus” non in grado di reggere sulla distanza.

LA RECITA DEL BRAVO RAGAZZO MODERATO

La sua svolta moderata, suggerita da Giancarlo Giorgetti personaggio di ben altra levatura, lo costringe a trattenere i suoi spiriti animali, a rinchiuderli in un cassetto e a fare la “recitina” del bravo ragazzo. Non è possibile. Del resto solo una minoranza del suo mondo, penso ai leghisti che vengono dal mondo produttivo, gli chiede moderazione, gli altri no, gli chiedono di fare casino. Un po’ come i grillini residuali che al governismo di Di Maio, «Franza o Spagna purché se magna», oppongono la purezza contro tutti e soprattutto contro l’odiato Pd.

Mi divertirei a vedere un rassemblement moderato con Calenda, Renzi e Salvini perché mi ricorderebbe quella “risata che vi seppellirà” su cui abbiamo costruito un lungo sogno

Noi non siamo, in alcun partito, di fronte a una classe dirigente talmente forte culturalmente da essere capace di reggere “grandi svolte”. Nella Dc, nel Pci, nel Psi questo è stato possibile. Questi 40-50enni possono fare le “svoltine”, ma di fronte a un grande salto si spaventano, si chiedono che cosa sarà di loro nel futuro, non dimentichiamo, infatti, che sono in maggioranza senza mestiere o falliti nel proprio mestiere. Io mi divertirei molto a vedere un rassemblement moderato con Calenda, Renzi e Salvini perché mi ricorderebbe quella storia della “risata che vi seppellirà” su cui abbiamo costruito un lungo sogno.

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Abbiate più cura di Liliana Segre, per favore

La senatrice a vita è una donna straordinaria. Evitiamo di immettere il suo nome nelle baruffe locali, nelle polemichette di tanti che vogliono fare i cretini come il sindaco di Biella.

Il sindaco di Biella ha ammesso di essere un cretino e ha chiesto scusa a Liliana Segre.

C’è una sua foto in cui si inginocchia davanti a Matteo Salvini per baciargli la mano e quindi è facile immaginare che sia stato il leader della Lega, preoccupato dalla figura indecente che il suo partito stava facendo, a imporre al primo cittadino di Biella la marcia indietro con l’ammissione della propria evidente natura.

Aspettiamo ora il sindaco di Sesto San Giovanni. Ma soprattutto dobbiamo aspettarci una maggiore tutela di Liliana Segre.

LILIANA SEGRE, ESEMPIO DI SOBRIETÀ E DIGNITÀ

La senatrice a vita è una donna straordinaria, ha avuto una vita terribilmente straordinaria e un rigore successivo nel raccontarla che ha pochi precedenti. È una cultura di famiglia. Conosco da anni l’avvocato Luciano Belli Paci con cui abbiamo in comune una appartenenza alla sinistra, spesso con differenze fra di noi, e una assidua partecipazione a iniziative contro l’antisemitismo e a difesa di Israele. Fino a che non c’è stata la nomina di Liliana a senatrice a vita, non sapevo che Luciano Belli Paci avesse cotanta madre.

Le cose ignobili che vengono pubblicate sui social sono terribili testimonianze di un sempre attivo antisemitismo, che è malattia di destra e di sinistra

Discrezione quindi, sobrietà, dignità. Sono queste le cose, oltre al coraggio, che dobbiamo imparare da Liliana Segre. Ma dobbiamo soprattutto imparare a rispettarla. Voglio dire che le cose ignobili che vengono pubblicate sui social sono terribili testimonianze di un sempre attivo antisemitismo, che è malattia di destra e di sinistra. Bisogna combattere costoro. Ma io critico anche questo attivismo di sindaci o consiglieri generosi che espongono Liliana Segre nei consessi comunali alla valutazione di gruppi di cretini nel giudicare se la senatrice meriti o no la cittadinanza onoraria.

EZIO GREGGIO HA DIMOSTRATO CHE UN COMICO VALE PIÙ DI UN CRETINO

Liliana Segre ha la cittadinanza onoraria italiana. Lei è l’onore di questo Paese, la sua memoria civile, soprattutto l’orgoglio dei cittadini più giovani. Capisco che molte comunità locali vogliano farle sentire vicinanza e affetto. Ma forse è il momento di metterla al riparo. Ho criticato la “genialata” di due colleghi del gruppo Repubblica di proporla anticipatamente come futuro capo dello Stato con uno sgarbo evidente al caro presidente Sergio Mattarella. Evitiamo di immettere il nome austero e rispettato di Liliana Segre nelle baruffe locali, nelle polemichette di tanti che vogliono fare i cretini come l’autoproclamato sindaco.

Da sinistra, Liliana Segre ed Ezio Greggio.

Mettere al riparo non vuol dire dimenticarla, al contrario. Se posso dirlo retoricamente, Liliana Segre è una riserva della patria che va chiamata nel mondo della comunicazione nei momenti cruciali quando la sua storia e soprattutto il suo pensiero attuale possono offrire agli italiani parole generose e utili. La vicenda di Biella ci consegna anche la bella notizia che uno dei comici più noti ha avuto un atteggiamento dignitoso ricordando il dramma del suo papà nei lager. Ezio Greggio ha capito che il suo nome non era stato proposto per i suoi meriti e per la sua appartenenza a quel territorio ma come deminutio della figura della Segre che, hanno pensato quelli di Biella, vale meno di un comico. Invece un comico vale più di un cretino e questo è un altro bel regalo per il Paese.

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Sardine nuotate a Sud e liberate la sinistra

Il nuovo movimento nato per contrastare Salvini si sporchi le mani. E scenda anche nel Mezzogiorno per rimediare allo scempio che Pd e soci stanno facendo in Puglia e Calabria.

Il dilagare delle Sardine è una buona cosa non solo perché indica una vitalità crescente contro la politica di Matteo Salvini, ma perché dice che la società reagisce agli stimoli, brutti o buoni (in questo caso brutti), della politica.

Non è una novità nella storia recente del Paese veder scendere in piazza auto-organizzati movimenti di protesta. Si può partire dai girotondi, si può indicare un punto di svolta nelle donne di «Se non ora quando». Ancora le donne presero l’iniziativa a Torino e Roma così male amministrate e oggi abbiamo in Emilia-Romagna questo nuovo fervore ribelle che si starebbe estendendo in tutta Italia.

LE PARABOLE DEI MOVIMENTI A-PARTITICI

Il dato saliente è che si tratta di movimenti a-partitici anche se prevalentemente di sinistra. Tranne i girotondi che ebbero riferimenti in area Ds e nel sindacato, tutti gli altri si sono tenuti alla larga dalle formazioni politiche. Questo ha segnato la loro “purezza”, ma anche la loro temporaneità. Il tema che propone lo svilupparsi e il morire di movimenti di questo tipo è che non trovano mai un interlocutore politico che, rispettandone l’autonomia, sappia dialogare con loro e li aiuti a strutturarsi come componenti della società civile.

LEGGI ANCHE: Mattia Santori sulle sfide e il futuro delle Sardine di Bologna

Le Sardine si muovono di fronte alla pretesa di Salvini di «liberare l’Emilia-Romagna». È una stupidaggine troppo grande. Tutto si può capire, anche la eventuale voglia di cambiare da parte dei cittadini (fu così con Giorgio Guazzaloca che, a differenza di Lucia Borgonzoni, era un signore sveglio e preparato), ma la ridicolaggine di rappresentare Bologna e le altre città emiliano-romagnole come sentina di vizi poteva venire in mente solo ai leghisti a giornalisti ex clintoniani che in tivù sparlano di città governate dalla sinistra.

IL DISASTRO DELLA SINISTRA IN CALABRIA E PUGLIA

Le Sardine, però, estendendosi dovranno sporcarsi le mani con le crisi della sinistra. Possono essere indifferenti alla scempio di sé che sta facendo la sinistra in Calabria? Si può accettare che in Puglia si combattano il solito Michele Emiliano, una ex deputata europea ed ex assessora regionale e un consigliere regionale attuale? Siamo ormai al numero chiuso, siamo di fronte al fatto che non deve crescere un pianta. Ecco in queste regioni meridionali le Sardine devono avere un impatto forte nel dibattito nella sinistra. Devono pretendere il cambiamento. E il partito che Nicola Zingaretti vuole rifondare deve chiedere aiuto a queste forze nuove per congedare chi non si rassegna a occupare posti e ne cerca sempre altri. E basta, no?

SERVE PULIZIA E UN AIUTO A QUESTA RIVOLUZIONE

Le Sardine se sapranno nuotare senza paura dei gatti di Salvini devono anche evitare la pesca a strascico dei vecchi marpioni di sinistra. Il tema della democrazia italiana non sta solo nella minaccia che un uomo inadatto arrivi al potere, ma anche nel fatto che chi dovrebbe contrastarlo è altrettanto inadatto, anche se per ragioni  diverse. Mi piacerebbe se qualche vecchio dirigente, un po’ alla Bernie Sanders, decidesse di incoraggiare ragazze e ragazzi a fare un po’ di pulizia nella grande e ormai sbrindellata casa della sinistra. Io insito a pensare, e a scrivere, che la destra salviniana non durerà a lungo: in primo luogo perché sarà insidiata dalla destra tradizionalista di Giorgia Meloni; in seconda battuta perché a furia di madamine e di Sardine alla fine ci sarà un vero grande movimento che spazzerà via tutto. Spero che la sinistra aiuti questa “rivoluzione”.

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«Eccoci», quel vecchio titolo dell’Unità che serve al Pd

Dopo la svolta a sinistra di Zingaretti, il partito deve seminare senza avere fretta, rimanendo attento al disagio sociale, al lavoro e ai diritti civili. Solo così riconquisterà il suo popolo.

Vedremo presto se la svolta a sinistra del Pd porterà i suoi frutti nei prossimi sondaggi.

L’assemblea di Bologna ha avuto una buona stampa e univocamente è sembrato a tutti gli osservatori che il Pd di Nicola Zingaretti, ma con alla regia Gianni Cuperlo, abbia voluto lanciare un segnale forte all’Italia che ha votato a sinistra e che tuttora vota a sinistra.

Avrei aggiunto ai punti sui diritti civili – cioè l’ abolizione delle leggi Salvini e l’approvazione di quelle favorevoli agli immigrati – un bel pacchetto di misure per il lavoro, a cominciare da emendamenti che rendano più forte l’iniziativa sullo scudo fiscale. Tuttavia penso che questo accadrà.

MATTEO RENZI PUÒ RAGGIUNGERE UN 4-5% CON ITALIA VIVA

Tutto a posto, dunque? Ovviamente no, il passaggio che aspetta il Pd è quello più difficile ora. Si tratta di tradurre in iniziative sul territorio e in organizzazione di eventi politici tutto quel ben di dio di intenzioni e di ragionamenti operosi. Come si diceva una volta, ora tocca alla prassi. Le polemiche di Matteo Renzi e dei renziani contano poco. È lui che se ne è andato, e con lui che sono andati via gli e le esponenti del Pd che più sono state premiate/i dalla sua gestione, tutti loro vorrebbero fare un rassemblement di destra-sinistra.

Se a Renzi riesce di prendere un po’ di voti a destra è grasso che cola. Non accadrà

Vedo un po’ debole il fianco sinistro, ma se gli riesce di prendere un po’ di voti a destra è grasso che cola. Non accadrà. La destra ha già casa sua, ne ha addirittura tre. Il fascino renziano dovrebbe accecare l’ala più moderata della destra e quella più moderata della sinistra. A occhio e croce stiamo parlando di un 4-5% elettorale, da non buttar via, che tuttavia non cambierà la fisionomia politica del Paese.

A DESTRA SOLO ODIO, IL PD DEVE RICOSTRUIRE SENZA FRETTA

Il Pd, invece, deve radicalizzare in modo netto, senza ricorrere al stigma del fascismo, la propria contrapposizione a una destra che le uniche idee le prende dal mercato dell’usato, che è tornata a tuonare contro neri e migranti, che è piena di giornalisti che nei talk show fanno a gara a dire stronzate. È in atto la più straordinaria operazione di brutalizzazione della politica. Se non ci fossero Maurizio Crozza e altri comici a far sorridere ci sarebbe da preoccuparsi ad ascoltare un mare di menzogne e una quantità belluina di incitamenti all’odio. Credo che arriverà un tempo in cui la destra pagherà questa stagione di follia.

L’intervento del segretario nazionale del Partito democratico Nicola Zingaretti alla convention del Pd a Bologna il 17 novembre.

Il Pd deve essere tutt’altra cosa. Fermo, rigorosamente legato alle istituzioni, movimentista di fronte al disagio sociale e nelle lotte per la difesa delle fabbriche (a cominciare dall’Ilva), deve insomma seminare senza avere fretta. Non sappiamo se il raccolto toccherà al Pd che Zingaretti e Cuperlo hanno riportato a sinistra o a un altro soggetto del tutto nuovo. È fondamentale che l’impressione di questi giorni si consolidi. Vi ricordate il bellissimo titolo che fece il capo-redattore del l’Unità Carlo Ricchini nel numero del quotidiano che accolse gli operai per la grande manifestazione e che Enrico Berlinguer aveva tra le mani? Diceva semplicemente: «Eccoci». Non dimenticatelo, diceva solo «eccoci». Era tanta roba allora, lo è di più oggi.

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Al potere Salvini e i sovranisti dureranno come il Conte 1

Dopo aver abolito temi come “costruire”, “fare” “dialogare”, questa destra arriverà impreparata al governo senza neppure l’alibi dei cinque stelle. Sogna e vuole solo lo scontro frontale.

Non c’è dubbio che la destra abbia intercettato una maggioranza di italiani. È una destra divisa in tre che vede la Lega dominare, nelle singolari sembianze non più secessioniste ma sovraniste.

Al suo inseguimento, che si farà via via più asfissiante, la destra di tradizione di Giorgia Meloni che attrae gli elettori scappati dopo Gianfranco Fini. Poi si sono i resti di Silvio Berlusconi, un personaggio che si è buttato via poco dignitosamente in questo squallido suo finale d’opera.

Questa destra dice di rappresentare il popolo perché la sua campagna anti-immigrati ha sfondato nei sondaggi e nel voto reale e ha conquistato le periferie urbane. Tanti soloni di sinistra sono convinti che tutto ciò sia vero e cioè che la forza della destra, e parallelamente la debolezza della sinistra, sia rappresentata da questa identità popolare fondata su una paura da comprendere.

LA BORGHESIA RICCA E IMPRENDITORIALE HA MOLLATO LA SINISTRA

A me sembra che il dato rilevante della destra italiana sia il fatto che pezzi fondamentali di borghesia imprenditoriale e degli affari abbiano deciso di chiudere con la sinistra e soprattutto con i suoi sogni industrialisti. Antipolitica e sovranismo sono stati la miscela di un movimento, partito dall’alto e sceso verso il basso, cementato dall’idea che bisognasse rassegnarsi a Paese più piccolo (più disinvolto nelle alleanze internazionali) e fuori dal circuito dei grandi Stati industrializzati.

Il segretario del Pd Nicola Zingaretti.

Il popolo, quello che vota nelle periferie, conta poco: bisogna guardare alla sala di comando. Scriveva in modo geniale Alessandro Leogrande, analizzando il popolo infuriato che seguiva Giancarlo Cito a Taranto, che il cuore del malcontento era nella borghesia ricca della città dei due mari, la rivolta era partita da lì. La destra ha un popolo, ma non è il popolo a spiegare il successo della destra. È storia, questa.

QUESTA DESTRA NON HA IDEE PER L’ITALIA

Ho scritto più volte che trovo stupefacente le tesi di quei commentatori annunciano la vigilia di una importante vittoria elettorale della destra (molto probabile), ma soprattutto immaginano che stia per iniziare un’epoca. Stavo per scrivere un ventennio, ma vorrei evitare polemichette.
Personalmente credo che la destra che vincerà le elezioni durerà poco al governo come è accaduto con il Conte 1.

Fino a che si tratta di scassare, vanno bene Meloni, Matteo Salvini e i direttori di Libero e della Verità

C’è più di una malattia nel sangue della destra. La prima è la fragilità umana e culturale della sua leadership. Fino a che si tratta di scassare, vanno bene Meloni, Matteo Salvini e i direttori di Libero e della Verità, quando si tratterà di governare vedremo lo stesso spettacolo che conosciamo dai tempi della nipote di Mubarak.

Il segretario federale della Lega, Matteo Salvini, e la candidata a governatore dell’Emilia Romagna per la Lega Lucia Bergonzoni.

La malattia più grave della destra non è però solo la sua leadership (la sinistra ne è immune perché ha soppresso il problema). La malattia più grave è che la destra (a differenza di tutte le destre di tutti i Paesi del mondo e anche delle esperienze conservatrici italiane), non ha la minima idea di quel che deve fare con l’Italia.

CON I SOVRANISTI AL POTERE SCOPPIERANNO NUOVE PROTESTE

Mi colpiscono queste cose: ogni volta che la sinistra all’opposizione si imbatte nel tema del governo altrui, soprattutto in caso di calamità nazionali, è tutto un discutere di quel che bisogna fare, di come essere sinistra “per” e non sinistra “contro”. Poi spesso le cose restano uguali al passato, ma il dibattuto ferve e investe anche tanti intellettuali e politici di rango. La destra non si pone questo problema, non c’è un solo intellettuale di destra che sa uscire dal “diciannovismo”, parlo anche dei migliori, di quelli i cui testi commentano le vicende politiche spesso con acume.

Questa destra arriverà impreparata al governo senza neppure l’alibi dei cinque stelle

La destra ha abolito il tema “costruire”, “fare” “dialogare”. Ritiene probabilmente che il tempo del dialogo sia finito e che si avvicinino tempi cupi. È una destra che sogna e vuole solo lo scontro frontale. C’è l’illusione dei pieni poteri, frase di Salvini non sfuggitagli dal cuore perché è essa stessa il cuore di un disegno. Del resto è inquietante questo riferimento costante dello stesso Matteo Salvini al fatto di essere pronto a donare la vita per l’Italia: a cosa pensa, alla guerra civile? Credo che la sua cultura sia in quell’orizzonte spaventoso.

Questa destra arriverà impreparata al governo senza neppure l’alibi dei cinque stelle. E quel che è più grave è che quella borghesia degli affari che l’appoggia, al Nord come al Sud, non ha alcuna voglia di elaborare progetti, di fare squadra. Vuole sopravvivere nel declino, questo il filo che unisce destra e poteri forti. In mezzo c’è il popolo che li vota, che ha creduto al sogno berlusconiano, che sarà felice di cacciare un po’ di migranti ma che alla fine scoprirà che da questa Versailles sovranista e populista non verranno neppure brioches. Non so guidato da chi, ma vedremo presto sollevarsi un altro popolo infuriato contro tutto questo. Fra molto meno di vent’anni.

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L’antipolitica è finita, ora si combatta la destra anti italiana

Salvini e Meloni, vecchi rottami di governo, si sconfiggono solo con una vera svolta a sinistra radicale e riformista. Lasciamo loro il sovranismo, noi prendiamoci la Patria.

Il lento e inesorabile declino del Movimento 5 stelle testimonia che la lunga stagione dell’antipolitica e del populismo, né di destra né di sinistra, è finita.

Forse per qualche anno ancora ci sarà una pattuglia di deputati grillini, è probabile che una parte di cittadini incazzatissimi resti con i suoi capi attuali o con quelli che manderanno via Luigi Di Maio, ma la ricreazione è finita.

Arrivati al governo, cioè nel cuore della politica, i pentastellati si sono spenti e le loro idee, trasformate in proposte dell’esecutivo, si sono rivelate inquietanti dalla Tav all’Italsider.

L’ANTIPOLITICA HA CREATO UNA DESTRA ESTREMISTA

La fine dell’antipolitica restituisce la scena allo scontro fra destra e sinistra, come era prevedibile. Sono entrambe cambiate. La destra è quella che è mutata di più perdendo definitivamente ogni traccia di moderatismo e rivelandosi la componente più avventurosa ed estremista della scena italiana. È anche quella componente che ha radunato la classe dirigente più chiassosa, più indifferente di fronte ai dati della realtà, più propensa alla bugia soprattutto se clamorosa.

La stagione di Matteo Salvini e Giorgia Meloni, oggi alleati domani concorrenti, prepara il Paese per il definitivo salto nel buio

Dimentichiamo tutte le destre italiane che abbiamo combattuto noi di sinistra. La stagione di Matteo Salvini e Giorgia Meloni, oggi alleati domani concorrenti, prepara il Paese per il definitivo salto nel buio. Meloni, che è più intelligente di Salvini, lo sa e per questo dichiara di avere crisi d’ansia quando pensa a un governo fatto da loro.

MELONI E SALVINI SONO DUE ROTTAMI DELL’ANCIEN RÉGIME

Questa destra rifiuta la sua storia e usa il fascismo come un take away, prende quando e quel che serve. Stiamo parlando di una destra anti-italiana che è diventata sovranista, di una destra antimeridionale che ha i suoi dirigenti al Sud, stiamo parando di una destra che predica moralità ma è fin dal suo vertice impelagata in contese giudiziarie senza precedenti, stiamo parlando di una destra che ha governato male l’Italia per decenni e in particolare ha ucciso Venezia.

Da sinistra, Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Silvio Berlusconi (foto Roberto Monaldo / LaPresse).

Gli stessi leader, Salvini e Meloni, sono vecchi rottami di governo. Eppure una grandissima parte di italiani che fu indifferente al conflitto di interesse e alla questione morale sollevata contro Silvio Berlusconi, oggi si schiera a protezione di Salvini e Meloni dimenticando i danni che la tragica coppia ha già provocato. È, per l’appunto, il prevalere della logica destra-sinistra, che fa scegliere l’avversario del tuo avversario anche se un pò fa schifo anche a te.

QUESTA DESTRA RAPPRESENTA L’AREA RICCA E PANCIUTA DEL PAESE

Molte tesi sociologiche attorno al successo della destra sono culturalmente fragili. Per esempio non è vero che la destra è popolo ed è il popolo sconfitto dalla crisi. La destra è soprattutto quell’area ricca e panciuta della borghesia italiana che vuole lucrare sulla crisi utilizzando la plebe come propria massa di manovra. Tutte le destre sono così. Queste destre hanno bisogno di una vera prova di governo. La sinistra che intende rinviare questo appuntamento attraverso giochetti parlamentari danneggia se stessa e il Paese, soprattutto quando il giochetto fallisce, come il governo Conte 2.

Io sono convinto che Salvini premier dura pochissimo. Non ce la fa, ha la cazzata incorporata

Contrastateli, cercate persino di batterli, conteneteli ma se una maggioranza di italiani li vuole, se li prenda. Io sono convinto che Salvini premier dura pochissimo. Non ce la fa, ha la cazzata incorporata. L’esistenza della destra, e di questa destra, non può spingere la sinistra al richiamo della nostalgia sotto la voce “antifascismo”. È troppo ed è troppo poco. Né, a differenza di quel che si pensava alcuni mesi fa, incoraggia grandi schieramenti con tutti dentro.

LA SINISTRA DEVE CAMBIARE RADICALMENTE

La sinistra ha perso gravemente per ragioni che ormai è inutile indagare perché sono chiare: a) si è ubriacata di blairismo e di clintonismo, b) ha dimenticato che si può convivere col capitalismo ma facendo a cazzotti con esso, c) che occorre una visione, cioè quella roba per cui una sinistra si fa nazionale in quanto incarna una vocazione del Paese, ad esempio un nuovo industrialismo tecnologico e sostenibile, e) che deve tornare fra le persone, costruendo e aiutando l’associazionismo, f) che deve mutare tutta, dicasi tutta, la propria classe dirigente.

La manifestazione pacifica di Piazza Maggiore a Bologna contro la Lega di Salvini.

Credo che anche voi quando vedete i “:” e subito dopo le virgolette aperte prima del nome di un ministro di sinistra, abbiate la certezza che state per leggere la dichiarazione più stupida della giornata. Questa sinistra deve essere radicale e riformista, non ha paura del proprio passato, non lo vuole far tornare in vita ma non saranno Salvini secessionista e Meloni con quei bubboni alle spalle a rimproverare le tragedie della sinistra.

NESSUNA IDEA PER RISOLVERE I DRAMMI DI TARANTO E VENEZIA

Questa sinistra non ha bisogno di Matteo Renzi con cui non deve neppure più litigare. Renzi provi a fare quello che sogna senza più i voti di quelli che prima votavano il Pci. Renzi si faccia un suo bel partito di centro e decida se mettersi accanto alla sinistra che aborrisce o a Savini che non gli sta antipatico. L’unica possibilità che la sinistra ha è di rifondarsi dopo aver buttato giù quello che c’è e poi, armata da un trattino gigantesco, affiancarsi a una forza di centro e così tentare l’impresa.

Tuttora non vedo quartieri popolari affollati di gente di sinistra

Tutto ciò non deve avvenire in laboratorio. Tuttora non vedo quartieri popolari affollati di gente di sinistra, vedo che il dramma di Taranto non commuove perché l’anima ambientalista recalcitra di fronte al sogno della fabbrica sostenibile, non vedo nulla che non sia una raccolta di denari che dica come concretamente aiutare Venezia. Senza questo nuovo spirito fra gli italiani, senza questa italianità vera non si va avanti. Loro si tengono il sovranismo, noi prendiamoci la Patria.

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In questo Paese c’è troppo sovranismo e poca italianità

I nuovi movimenti che si sono affacciati sulla scena politica fino a dominarla hanno creato un "italiano medio" indifferente agli altri e solidale solo con chi ha i suoi stessi nemici.

Comincio a pensare che questo Paese non ce la farà. Ne abbiamo viste e passate tante, ma alla fine l’Italia è stata sempre più forte di ogni sventura. Persino il terrorismo è riuscita a battere con l’energia delle sue forze di sicurezza e la saldezza democratica della sua gente. Anche l’attacco mafioso è stato contenuto e la Cosa nostra ha preso colpi mortali.

L’Italia è diventata una potenza industriale, ha visto una straordinaria e spesso dolorosa immigrazione interna, ha affrontato crisi economiche e soprattutto battagli politiche campali fra democristiani e comunisti. Ma sempre ce l’ha fatta. Sempre c’è stato un momento in cui gli italiani sono stati più forti delle sciagure provocate dalla natura o dall’attività colpevole degli uomini.

Da molti anni non è così. L’Italia si è spezzata, non ha più un suo popolo, le divisioni di classe che prima separavano per poter dare alla politica la possibilità di immaginare combinazioni fantasiose, oggi sono sostituite da clan, appartenenze territoriali e soprattutto da odi comuni. Dimmi chi è il tuo nemico e sarò tuo amico. Destra e sinistra hanno comune responsabilità. I nuovi movimenti che si sono affacciati sulla scena politica fino a dominarla hanno creato questo mostro di “italiano medio” indifferente agli altri e solidale solo con chi ha i suoi stessi nemici. I giornali di oggi, come quelli dei giorni scorsi, sono la prova provata di quel che dico.

UN PAESE INDIFFERENTE AI DRAMMI DI TARANTO E VENEZIA

I casi di Taranto e di Venezia dimostrano che l’Italia non ha più lacrime, è indifferente a ciò che distrugge parti di sé, pensa solo a come un partito politico, con annessi giornalisti, possa lucrarne. Il caso Ilva è stato usato per contrapporre madri a operai, nessuno si è occupato, nel mondo politico, di una grande città che reagisce attonita alla minaccia finale che incombe. Un buon medico si preoccuperebbe se il suo paziente rivelasse reazioni flebili agli stimoli anche negativi della vita. A una parte di noi, invece, frega niente. Taranto? Al diavolo Taranto, è al Sud.

Non c’è partito politico, personalità veneziana di destra o di sinistra che non debba andare a nascondersi per incapacità

Oggi accade con Venezia. Le foto per fortuna spiegano il dramma meglio delle parole perchè le parole sono generalmente infami. Questa volta sono i giornali di destra a prendere la bandiera della vergogna strumentalizzando il dramma che rischia di diventare finale della città più bella del mondo. Eppure non c’è partito politico, personalità veneziana di destra o di sinistra che non debba andare a nascondersi per incapacità o insipienza o per cecità, e non voglio citare i casi di malaffare.

GLI ITALIANI NON ESISTONO PIÙ

Sono sicuramente più commossi fuori d’Italia che qui da noi. Qui da noi si ragiona su quanto può rendere elettoralmente questa disgrazia, se l’autonomia veneta sarà più vicina o lontana, se Matteo Salvini sarà in grado di cavalcare anche l’onda vera delle acque assassine per vincere a Bologna. E allora perché non alzare bandiera bianca? Dove si trova la volontà di reagire di fronte a una classe dirigente che non ha idee e forza morale, di fronte a un sistema della comunicazione che divide i buoni e i cattivi mentre Venezia affoga e Taranto finirà disperata.

Nessuno dei movimenti che fin qui hanno travolto il sistema politico si è rivelato, al pari dei partiti che sono stati abbattuti, in grado di costruire una nuova sensibilità nazionale. Tanto sovranismo, poca italianità. Dovrebbe essere questo il tempo della rivolta, contro tutte queste figurette dei talk show. Dovrebbe essere questo il tempo di ragazze e ragazzi che scendono in campo, cacciano i mercanti dal tempio e ricostruiscono l’Italia. L’Italia degli italiani veri, non dei sovranisti obbedienti a Vladimir Putin.

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Politici e tivù giocano con l’agonia di Taranto e dell’Ilva

Mentre la città sembra sbalordita e incapace di reagire, la classe dirigente non prende decisioni e i media nazionali si gingillano e conduttori spietati lucrano sul dolore della povera gente.

Il caso Ilva racconta il fallimento di una classe dirigente. Non solo questa, ma anche molte di quelle che hanno governato la città, la Puglia e l’Italia negli scorsi anni.

Non bisogna fare di tutta erba un fascio. Qualcuno si è comportato bene. Nessuno però fra quelli che da qualche anno governano. La destra, che ormai sfiora nei sondaggi il 50%, sull’Ilva dice poco come Matteo Salvini diceva poco sulla finanziaria che avrebbe dovuto fare se non si fosse scolato bicchieroni di moijto.

L’immagine che l’Italia dà di sé è quella di un Paese diviso in cui le parti averse non cercano mai, dico mai, un punto di raccordo e che lascia andare le cose al loro naturale (naturale?) destino perché a) nessuno si vuole “sporcare” le mani, 2) nessuno ha un’idea bucata in testa.

L’ILLEGALITÀ È STATA MADRINA DELLA SECONDA VITA DELL’ILVA

Il caso Ilva è in questo senso emblematico. Dal raddoppio in poi la grande fabbrica siderurgica italiana è stata un grande imbroglio. Il 12 novembre, in una affollatissima assemblea che mi ha ospitato in un circolo Arci per ricordare un compagno, Vito Consoli, morto tanti anni fa per un infarto dovuto al superlavoro (politico), i più anziani hanno ricordato che si fece il raddoppio senza chiedere, se non ex post, le autorizzazioni necessarie per costruire i nuovi impianti. L’illegalità, insomma, è stata madrina della seconda fase della vita dell’Ilva, quella che sta portando la fabbrica alla lenta chiusura.

Anche Taranto è entrata nello show business di conduttori spietati che lucrano sul dolore della povera gente

La città sembra sbalordita e incapace di reagire. Quello che sta succedendo è enorme. I media nazionali si gingillano, basta guardare qualunque talk show con la falsa e ignobile contrapposizione fra l’operaio che difende il suo lavoro e la mamma che teme per la salute del suo bambino. Anche Taranto è entrata nello show business di conduttori spietati che lucrano sul dolore della povera gente.

LA CLASSE POLITICA ITALIANA SEMBRA NON SAPERE COSA FARE

L’Ilva fu una scelta strategica seria. Serviva l’acciaio all’Italia che produceva e serviva ridare a Taranto il suo profilo industriale e operaio. Non fu una “cattedrale nel deserto”, né un azzardo. La cultura dell’epoca, come accade a tutti i Paesi di nuova industrializzazione, non aveva al centro, purtroppo, la tematica ambientale che poi poco per volta si è fatta strada. Oggi si fronteggiano quelli che vogliono salvare la fabbrica (anche perché è già stato costruito, dalla ditta che ha messo in sicurezza l’impianto atomico di Chernobyl, un capannone per i materiali nocivi e il secondo è in costruzione) e quelli che, molti con grande onestà, immaginano un grande giardino al posto delle ciminiere.

Una veduta aerea dello stabilimento dell’Ilva di Taranto.

Giuseppe Berta ha scritto e pubblicato in questi giorni uno splendido libretto (Detroit. Viaggio nella città degli estremi, Il Mulino editore) su Detroit e il suo presente post-industriale. Il libro contiene molte suggestioni ma spiega come si può sopravvivere in una città de-industrializzata. Io penso, però, che ciò che in America è possibile in Italia e nel Sud è impossibile.

Taranto non credo che accetterà a lungo questo tira e molla senza costrutto

Tuttavia… tuttavia la classe dirigente, tutta quanta, non sa che cosa fare con l’altoforno che si sta spegnendo e i materiali per alimentare la produzione fermi nel porto. Taranto ha ricevuto il premier Giuseppe Conte che ha fatto bene ad andare. La città aspetta con ansia che qualcuno dica: si fa così, anche se una metà dei tarantini sarà scontenta della decisione. Taranto non credo che accetterà a lungo questo tira e molla senza costrutto. È un luogo di grandi ribellioni. La attuale maggioranza non ha idee né forza politica. I futuri governanti hanno già dato prova di sé sotto lo stesso premier. Non ci resta che pregare. E sperare nella rivolta.

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Mara Carfagna smetta di illudere i moderati

L'azzurra, al netto dell'errore di legarsi a Toti, è una stella politica. Ma rischia di sparire se resta alla finestra e non si propone come leader di un centrodestra alternativo al duo Salvini-Meloni.

Ogni tanto riemerge la candidatura di Mara Carfagna per qualcosa di importante. È stata una delle berlusconiane di ferro tuttavia priva di eccessiva piaggeria, quando arrivò in parlamento aveva gli occhi puntati su di sé (indubbiamente era, ed è, la più bella) ma vestì i panni dell’austera parlamentare e dette prova immediata di serietà e di capacità di lavoro. Molto spesso a destra hanno pensato a lei come al vero personaggio che avrebbe potuto prendere il posto di Silvio Berlusconi. A mano a mano le sue posizioni si sono anche fatte più limpide e spesso si sono discostate dal suo benefattore facendola diventare una icona del moderatismo politico. Infine è per tanti la candidata ideale per battere Vincenzo De Luca nella gara per la presidenza della Campania. Pur essendo una giovane politica ha, insomma, accumulato molte aspettative ma non sappiamo quanti meriti

L’ERRORE DI LEGARSI A GIOVANNI TOTI

Carfagna ha anche commesso alcuni errori evidenti, l’ultimo dei quali è stato legarsi a Giovanni Toti il presidente per caso della Liguria, avendo perso di vista Berlusconi, alla ricerca di una paterna mano sulle spalle da parte di Matteo Salvini. Questo errore Carfagna l’ha compensato schierandosi con grande nettezza come l’esponente di Forza Italia, o quel che resta, che osteggia ogni estremismo di destra (oggi in pratica tutta la destra, si potrebbe dire) e in particolare il sovranismo di Matteo Salvini.

LE VOCI SU UN POSSIBILE ACCORDO CON ITALIA VIVA

Nascono da qui le ricorrenti voci sul possibile incontro politico con Matteo Renzi solitamente accompagnate dall’odioso pettegolezzo che solo Maria Elena Boschi, invidiosa, impedisca che l’accordo si faccia. Insomma Carfagna è una stella politica che non è ancora scomparsa dall’orizzonte ma che rischia di sparire se questi andirivieni dal palcoscenico parlamentare non la vedranno finalmente dentro un progetto vero.

PER UNA COME CARFAGNA IL PROGETTO VERO È IL CENTRO

Il progetto vero per una come lei è quella cosa che in tempi meno selvaggi chiamavamo “centro”, cioè il luogo ideale del moderatismo italiano, nella consapevolezza che è vero che fra gli italiani l’animo di destra è molto forte, ma è anche vero che dopo un po’ gli italiani si stancano dei contafrottole e di chi vuole dividerli in bande che si odiano e anelano a un partito moderatissimo. La Dc non si può rifare, resta però l’ipotesi di lanciare una chiamata alle armi di chi non si rassegna, anche nel campo del centrodestra, all’affermarsi del duo Salvini-Meloni che non ci porterebbe al fascismo ma certamente darebbe il Paese nelle mani di persone ancora più inadeguate di quelle che oggi lo governano. Salvini in particolare è, e sarà sempre, quello del Papeete. Per quanti sforzi possa fare l’intelligente Giancarlo Giorgetti non si cava sangue dalle rape, come si usava dire. Ecco, quindi, che la sfida, se lanciata in grande, per una leadership moderata potrebbe, passo dopo passo, spingere molti italiani, tranne quelli come me che voteranno sempre a sinistra, a scegliere l’offerta centrista sia che si voglia far da sponda per una sinistra dissanguata sia che vogliano temperare i facinorosi del populismo sovranista.

GLI AUTOCANDIDATI ALLA LEADERSHIP MODERATA

I candidati a questo ruolo sono stati tanti. Diciamo, gli autocandidati. Gli ultimi Carlo Calenda, troppo GianBurrasca, Renzi, troppo antipatico, Urbano Cairo che molti invocano o temono, infine Mara Carfagna. Lei potrebbe farcela ma dovrebbe prendere dalle donne che hanno guidato i vari Paesi del mondo quel tanto di decisionismo, di amore per il rischio, di linguaggio diretto che ancora le mancano. Le manca soprattutto decidere quel che farà da grande. Può scegliere di correre per la Campania. Può scegliere invece la battaglia, inizialmente minoritaria e solitaria, per diventare il punto di riferimento di chi non vuole che l’Italia faccia parte del gruppo di Visegrad. Può deciderlo solo lei. Ma se resta alla finestra ancora a lungo, la dimenticheranno. 

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La memoria corta degli ex comunisti italiani

In occasione della caduta del Muro di Berlino in molti ex si sono affannati a prendere le distanze con il loro passato. Ed è questo sentimento di vergogna una delle cause delle sconfitte della sinistra di oggi.

L’anniversario della caduta del Muro di Berlino è stato ricordato con articoli, interviste, speciali televisivi (ottimo quello di Ezio Mauro), confessioni di dirigenti del Pci e testimonianze varie. Tutti protagonisti, todos caballeros.

Accade, non so se solo in Italia, che i grandi fatti storici abbiamo ormai numerosi personaggi che rivelano di aver svolto ruoli che nell’anniversario dell’evento nessuno aveva preso in considerazione. Capita così di leggere che moltissimi italiani, e fra questi moltissimi comunisti, abbiano abbattuto il Muro assieme a quei poveri disgraziati di Berlino Est.

Mi capita spesso anche di ascoltare racconti sulla politica del Pci e su l’Unità di chi sostiene di aver vissuto da protagonista quelle pagine ed io (che c’ero) non mi ricordo della loro esistenza o soprattutto del loro ruolo. Stranezze!

C’È ANCORA CHI CONFONDE IL PCI CON IL COMUNISMO DELL’EST

Due cose mi colpiscono di questi racconti. Una è la prosopopea di intellettuali e giornalisti di destra, spesso con un netto profilo fascista, che sono saliti in cattedra come maestri di libertà. L’altro è l’imbarazzo dei comunisti, ex o post. Mi interessano questi ultimi.

Molti oggi sembrano non capire perché sono stati comunisti e si affannano o a negare di esserlo stati ovvero a pentirsi di aver fatto questa scelta di vita

Si coglie, leggendo interviste e memorie, che tutti loro (tranne ovviamente quelli che non hanno cambiato idea) non capiscono perché sono stati comunisti e si affannano o a negare di esserlo stati ovvero a pentirsi di aver fatto questa scelta di vita, talvolta giovanile. Ci sono pezzi di verità in queste imbarazzanti ricostruzioni autobiografiche. Una delle verità è che il comunismo italiano non era la fotocopia di quello dell’Est, cosa che sanno tutti tranne Matteo Salvini, Matteo Renzi e Silvio Berlusconi. Ce ne siamo fatti una ragione. Tuttavia resta il buco nell’anima di chi si ritrova con una biografia di cui oggi si imbarazza. A me non è capitato.

IL PCI È STATA UNO SCUOLA POLITICA E DI VITA

Io sono stato comunista e comunista nel Pci. Ho anche avuto un breve trascorso nel Psiup, militando in una segreteria nazionale dei giovani in cui c’erano Mauro Rostagno, Luigi Bobbio e Pietro Marcenaro, e da quel partito ne sono uscito dopo i carri armati di Praga che i dirigenti pisuppini non criticavano abbastanza. L’intera mia vita di cittadino ha coinciso con quella del mio partito, quando decisi, adolescente, che era arrivato il momento di schierarmi con la sinistra e formarmi, da solo, alla cultura marxista e leninista. Metto la “e” e non il trattino.

Alcuni momenti della ‘Festa de l’Unità’ di Firenze nell’edizione del 1948.

Nessuno mi ha ingannato, come sembrano dire molti comunisti pentiti di oggi, e tornassi indietro farei le stesse cose, più o meno. Diventai comunista perché al Sud l’alternativa era la destra neofascista, aggressivissima, e l’altra alternativa era la “clientela” democristiana, ma soprattutto perché il comunismo e il suo partito sembravano il luogo e il mezzo del riscatto. Mi/ci muoveva l’ansia per una società diversa, egualitaria, solidale e internazionalista.

Nel Pci ho imparato a essere un cittadino rispettoso della Costituzione e delle legalità

Non c’è una sola battaglia, un solo sciopero, un solo corteo che non rifarei. Nessuno dei miei compagni e compagne dell’epoca è stato un incontro inutile. Nel Pci ho imparato a essere un cittadino rispettoso della Costituzione e delle legalità. Ho imparato anche che per lasciare libere le ambizioni bisognava anche disciplinarsi e tener conto degli altri. Ho imparato a obbedire e comandare. A provare la gioia della promozione e l’amarezza della caduta. Ho imparato che in questa gara per diventare dirigente era fondamentale studiare molto e non aver paura, fisicamente, di niente.

I COMUNISTI ITALIANI NON SI SENTIVANO STRANIERI IN PATRIA

Non butto via niente di quel passato. Tutto ciò non è avvenuto per una “fede”. Non siamo stati un gruppo neo-catacumenale. La fidelizzazione verso il partito era molto laica. Lo rispettavamo, era casa nostra e questo partito, a differenza di quello che accadeva ai ragazzi di destra, non ci spingeva a considerarci estranei alla nostra patria rinata con la Liberazione e la Costituzione. Quando il partito ci impose di mettere sempre accanto alla bandiera rossa quella italiana, pochissimi di noi recalcitrono.

Enrico Berlinguer nel 1984 durante una manifestazione del Pci.

Siamo cresciuti, noi che fummo poi quelli del ’68, avendo di fronte un gruppo dirigente comunista ineguagliabile, con intellettuali-politici di straordinaria cultura (ascoltare Paolo Bufalini, Alessandro Natta: che vi siete persi!), persone che stavano in mezzo al popolo e ti giudicavano in base al fatto che anche tu sapevi stare lì. E poi il carisma inspiegabile di Enrico Berlinguer, che era forse un gradino al di sotto di Giorgio Amendola e Pietro Ingrao sul piano della profondità culturale, ma rappresentava i valori di tenacia, generosità, onestà che volevamo fossero le nostre bandiere.

LE SCONFITTE DELLA SINISTRA PARTONO DALLA VERGOGNA VERSO IL PASSATO

Ecco io sono stato comunista. Di che mi dovrei pentire? Posso elencare gli errori del partito (dal legame con l’Urss fino ai pessimi rapporti con Bettino Craxi) ma che cosa c’è oggi che sia superiore a quel che eravamo? La nostra fine è stata una malattia autoprodotta.

Massimo D’Alema con Achille Occhetto e Piero Fassino in un’immagine d’archivio del 3 febbraio 1991 a Rimini, durante il 20/mo e ultimo congresso del Pci, che sarebbe diventato Pds.

Non abbiamo visto che il mondo accelerava, molte cose non le abbiamo percepite, siamo arrivati alla scelta della Bolognina tardi e male. Ma noi ci siamo arrivati. Tanti saccenti di oggi, comunisti pentiti, intellettuali liberali, addirittura “destri” che ci governeranno nel prossimo futuro non hanno mai messo in discussione le proprie certezze, la propria storia come abbiamo fatto noi.

Il popolo comunista non c’è più, il Pd non è la sua ultima ridotta,

Oggi persino dire “noi” è esagerato. Il popolo comunista non c’è più, il Pd non è la sua ultima ridotta, siamo sparsi nella società ma, a modo nostro, ci siamo. Ecco perché ogni volta che vedo un compagno (spesso si tratta solo di maschi) che si ri-pente, che si vergogna di quel che è stato, che raffigura la sua/nostra storia secondo categorie ridicole (una chiesa, una struttura autoritaria, un mondo di conservatori) capisco le ragioni delle sconfitte di oggi e domani. Mi chiedo solo come sia potuto succedere che un partito che ha avuto alcuni milioni di iscritti e oltre una decina di milioni di voti sia stato così affollato di idioti che erano capitati lì per caso.

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Col voto anticipato Renzi sparirebbe dalla scena politica

In un'intervista a Repubblica il leader di Italia viva implora di non far cadere il Conte bis. Sa che se andasse a elezioni ora sarebbe finito.

Matteo Renzi alla Repubblica dell’8 novembre dice che il voto anticipato sarebbe un suicidio, soprattutto annichilirebbe Pd e Italia viva separandoli definitivamente. Per il resto l’intervista è solo autopromozione.

È del tutto evidente che Renzi abbia capito che tirando la corda questa può spezzarsi e che dopo Giuseppe Conte c’è solo il voto e che il voto ravvicinato dopo il Conte 2 porta al governo Salvini prima ancora che si possano manifestare appieno i primi cenni di una competition fra lui e Giorgia Meloni alla quale i sondaggi danno già il 10%.

Detto tra parentesi, questo dato della Meloni richiede una riflessione. Perché dice che c’è una destra che torna a casa, avendone trovata una e segnala un trend che ha accompagnato tutte le altre avventure precedenti, come quelle di M5s e Lega, cioè dapprincipio una lenta ma inesorabile ascesa, infine una esplosione nel voto. Non so se accadrà, so solo che la descrizione di una destra pacificata che va verso la vittoria e che con serenità governa è una sciocchezza come l’idea che il primo Conte dovesse durare 20 anni.

IL PD SE CORRESSE DA SOLO POTREBBE OTTERE IL 20% DEI VOTI

Torniamo a Renzi. Al medesimo sfuggono due ipotesi di lavoro che sono davanti al Pd nel caso si rompesse l’alleanza: che cinque stelle e Italia viva rompano talmente i cabasisi al povero Nicola Zingaretti da costringerlo a far saltare il tavolo. Oppure, altra soluzione, che Matteo Salvini si “compri” un po’ di deputati grillini facendo crollare l’attuale maggioranza. Il Pd messo alle strette potrebbe andare al voto da solo o con pochi alleati al centro e a sinistra dichiarando di aver fatto di tutto per dare una mano al Paese dopo l’estate alcolica di Salvini e l’autunno giovanilistico di Renzi e Luigi Di Maio. Potrebbe assestarsi su una cifra intorno al 20% dei voti o poco più che è il dato di molte socialdemocrazie europee e da qui potrebbe tentare la risalita avendo come vantaggio di non avere in parlamento nessun renziano, Renzi compreso, e pochi pentastellati, ma non Di Maio.

SERVE UNA COALIZIONE NUOVA DA OPPORRE AI SOVRANISTI

Il Pd potrebbe, soluzione che io suggerisco, affrontare il trauma della chiusura anticipata della legislatura facendo una sorta di Big bang, cioè formando un cartello elettorale in cui si scioglierebbero i partiti e si darebbe vita a una coalizione di italiani che non vogliono prender ordini da Vladimir Putin, che non vogliono svendere le imprese ai francesi, che vogliono mantenere una società industriale di nuovo tipo, avendo al centro il tema di lavori straordinari e di una operazione sul cuneo fiscale, non da rimandare come vuole Renzi, ma da rendere più efficace. Di fronte alla minaccia di destra con una coalizione di italiani veri. Direi risorgimentale e digitale. Anche in questo caso Renzi e i grillini andrebbero a ramengo e ci sarebbe la possibilità di accogliere convergenze fra la società civile che è stufa di politicanti come i due Mattei e di signori o signorine come Di Maio e Barbara Lezzi.

PER ORA RENZI ELETTORALMENTE NON ESISTE

Renzi vuole evitare queste due soluzioni? Sia costruttivo. Deve semplicemente togliersi dalla testa ciò che lo ha mosso negli anni dell’ascesa, del successo e della sua attuale fragile resurrezione. Cioè che la sinistra, e in particolare gli ex comunisti, quelli non sbianchettati come la sua Teresa Bellanova, non sono un deposito di consensi da saccheggiare ostentando disprezzo. Renzi elettoralmente, per ora, non esiste. È figlio degli errori della sinistra non della sua evoluzione.

Chi era ossessionato da Massimo D’Alema fra un po’ sarà fuori dalla politica italiana

Non è caduto perché la sinistra lo voleva morto, ma perché lui voleva uccidere ogni ombra che venisse dalla sinistra. Renzi ha bisogno di fare chiarezza mentale nei suoi pensieri. Il prossimo voto, e la prossima sconfitta, diranno che chi ha difeso la Ditta, essendo così colpevole di coservatorismo, tuttavia attrae ancora una buona parte di italiani, chi era ossessionato da Massimo D’Alema fra un po’ sarà fuori dalla politica italiana. In sintesi, se la attuale coalizione non è in grado di emettere un solo suono dignitoso, lasci il fiato per le trombe del ritiro. Un ritiro ordinato e pieno di idee per il futuro, può almeno salvare la bandiera.

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Salvini, ma soprattutto Meloni, si stanno bevendo il governo Conte

La maggioranza è spaccata e non c’è un solo provvedimento del governo che parli agli italiani. Così le destre si rafforzano. Il Pd prenda coraggio, rompa con M5s e Italia viva e proponga una coalizione di salvezza nazionale guidata da Draghi.

Le cronache politiche raccontano che il Pd è molto arrabbiato per lo stato delle cose e vorrebbe rompere con M5s e Italia viva.

Poi leggi l’intervista a Dario Franceschini sul Corriere della Sera e ti trovi improvvisamente catapultato in una crisi politica che assomiglia a quelle che piacevano tanto ai democristiani.

Franceschini propone che fra gli alleati ci sa lealtà, un comune mission politica, vanta successi inesistenti del governo, elogia Giuseppe Conte, sostiene che si supererà gennaio fino ad arrivare alla fine legislatura e, forse con una punta di macabro umorismo, dice che vincendo le prossime elezioni questo mostro Pd-M5s-Italia Viva possa andare ancora più lontano. Solo del prossimo inquilino del Quirinale non vuole parlare perché, come si dice, de te fabula narratur.

IL GOVERNO GIALLOROSSO NON PARLA AGLI ITALIANI

È bene che il Pd si incazzi di meno e faccia più fatti, a mente fredda. L’impopolarità del governo è il termometro che decide se tenerlo in vita o no. L’impopolarità è nata dal fatto che l’operazione “cambio di maggioranza” non è piaciuta ed è enfatizzata dalla circostanza che non c’è un solo provvedimento del governo che parli agli italiani. Avevo sperato che si potesse dire che Roberto Gualtieri aveva abbattuto il cuneo fiscale mettendo soldi nelle tasche dei lavoratori. Oggi spero che si possa dire che Taranto (ragazzi: Taranto , cioè una delle maggiori città italiane), possa essere salvata in un connubio possibile fra lavoro e sicurezza. Invece la Mittal scappa, quella indefinibile ex ministra Barbara Lezzi dice cose da manicomio, il grillismo diffuso è felice di trasformare la città operaia in un grande giardinetto per poveri e anziani.

SERVE UNA COALIZIONE DI SALVEZZA NAZIONALE GUIDATA DA DRAGHI

Se le cose stanno così e andranno così, ed io sono sicuro che andranno persino peggio, il Pd deve smettere di incazzarsi perché deve dire al Paese: «Ci abbiamo provato, con Luigi Di Maio e Matteo Renzi non si costruisce nulla, Matteo Salvini sapete dove vi stava portando, io (nel senso di io-Pd) propongo alle persone di buona volontà di fare una coalizione di salvezza nazionale chiedendo a Mario Draghi di guidarla. Vogliamo rottamare tutto quello che c’è e che viene tutto da lontano, Pd compreso». Questo sarebbe un discorso che agli italiani potrebbe piacere.

Da sinistra, il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, il presidente uscente della Bce, Mario Draghi, e il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri.

Siamo in un Paese che ha dimenticato la Prima repubblica e si è rotto le scatole della Seconda e ormai anche di grillismo e fra un po’ presenterà il conto a Salvini preferendogli Giorgia Meloni. Che fa il Pd? Chiede un vertice di governo, vuole una cabina di regia, pensa a un caminetto? Suvvia! Io sono un ammiratore ex post della Dc a cui dobbiamo tante belle cose ma anche tanti guai attuali, ma la cultura democristiana era ben più profonda della caricatura con cui la propone il caro Franceschini. Vuole fare un patto con Di Maio e Renzi? E perché mai loro dovrebbero farlo. Uno è alla canna del gas, l’altro vuole la rovina comune per lucrare sulle macerie del Pd. È arrivato il momento di rubare l’idea a Beppe Grillo: un bel vaffa (ovviamente anche a lui).

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