Governo e maggioranza nel caos: dal caso Santanchè al Mes
Il livello di tensione nel governo ha raggiunto i livelli di guardia, tanto da far paventare scenari impensabili fino a pochi giorni fa. A meno di un anno dalle Politiche del 2022 torna addirittura ad aleggiare, seppure come extrema ratio, l’ipotesi delle elezioni anticipate. Giorgia Meloni, come scrive Repubblica, avrebbe addirittura “minacciato” Matteo Salvini di portare il Paese alle urne, in una sorta di Papeete in salsa Fratelli d’Italia, pur di ottenere una posizione di maggiore forza. Si tratta di un’esagerazione, si dirà: difficile immaginare un’altra estate in campagna elettorale. Intanto la notizia non è stata nemmeno smentita. E le parole della presidente del Consiglio sono un valido indicatore delle incomprensioni nella coalizione di centrodestra. Del resto la settimana che sta finendo ha portato con sé piccoli quanto significativi incidenti parlamentari: dall’assenza dei senatori azzurri Claudio Lotito e Dario Damiani al voto in commissione fino al ko del governo su un emendamento del ddl Province. Senza dimenticare l’ulteriore slittamento della nomina del commissario per l’alluvione in Emilia-Romagna, oggetto della contesa tra Meloni e Salvini. Come se non bastasse il caso Santanchè sta agitando Fdi mentre l’arresto dell’ex leghista Gianluca Pini getta un’ombra sul Carroccio.
Il dossier Mes spacca la Lega
I dossier bollenti sul tavolo dunque non mancano, e creano divisioni a più livelli: sia all’interno partiti della maggioranza sia nella dialettica tra alleati. Un bel rompicapo. Il Mes è il nodo più complicato. La presa di posizione del ministero dell’Economia, guidato dal leghista Giancarlo Giorgetti, ha rappresentato un punto di rottura. Il leader del partito, Matteo Salvini, ha subito confermato la contrarietà all’approvazione della ratifica del fondo salva-Stati, facendo ripetere in stereofonia il concetto ai suoi fedelissimi. «Non ci metteremo in mano ai fondi stranieri», ha scandito ancora oggi il ministro delle Infrastrutture, sconfessando il Mef. «Gli italiani hanno votato un governo politico, non tecnico», ha ribadito. Insomma, non vuole mostrare cedimenti e aveva finanche pensato di votare contro in commissione, facendo infuriare la premier Meloni, consapevole che ilproblema resta e che bisogna muoversi con prudenza: il governo è pressato dall’Unione europea, che chiede una risposta – positiva – entro l’anno. E il parere tecnico di via XX Settembre ha sottratto qualsiasi argomentazione alla propaganda sovranista. Così nella Lega si sta consolidando l’ala più pragmatica, allineata a Giorgetti, con il presidente della Regione Friuli-Venezia-Giulia, Massimiliano Fedriga, uscito allo scoperto: «Spero che la valutazione, in un senso o nell’altro, venga fatta scevra di connotazioni ideologiche. In Italia stiamo ideologizzando qualsiasi cosa», ha ammesso in un’intervista a La Stampa. Ad appesantire il clima c’è stato poi l’arresto di Gianluca Pini nell’ambito dell’inchiesta che ha portato ai domiciliari Marcello Minenna. Un brutto colpo per Giorgetti, visto che l’ex deputato leghista era molto vicino alle sue posizioni. Nonostante il ministro dell’Economia sia totalmente estraneo alle indagini, è indubbio che la notizia crei un problema di immagine a tutta la Lega, non solo a un suo vicesegretario.
Forza Italia cerca un equilibrio e Ronzulli ha già incassato il ridimensionamento di Fascina
Sul fronte Mes, tra gli azzurri orfani di Silvio Berlusconi, monta la convinzione di dover battere un colpo e lanciare un segnale al Ppe. «Siamo liberali ed europeisti. Il parere tecnico fornito dal Mef ha confermato che il Mes non è un problema. Perché dovremmo aderire alla battaglia ideologica degli altri partiti?», si chiede, a microfoni spenti, un deputato azzurro, immaginando uno smarcamento dagli alleati. I vertici forzisti sono posizionati sulla linea di non alimentare nervosismi. Uno scontro nello scontro in un partito che deve cercare la propria fisionomia. Superata lentamente l’onda emotiva per la morte del fondatore, il cammino verso la normalizzazione non è affatto semplice: il coordinatore Antonio Tajani sta già facendo i conti con le richieste della minoranza capeggiata dalla capogruppo al Senato, Licia Ronzulli, che sta già incassando il ridimensionamento di Marta Fascina, che ancora deve tornare a Montecitorio. Ed è solo l’inizio.
L’affaire Santanchè e le preoccupazioni del Colle
L’aria più pesante si respira però dalle parti di Fratelli d’Italia. L’inchiesta di Report sugli affari di Daniela Santanchè imbarazza e non poco Meloni. Un eventuale coinvolgimento del presidente del Senato Ignazio La Russa preoccupa il Colle. Insomma la crisi potrebbe diventare istituzionale e le dimissioni della ministra del Turismo potrebbero presto non essere più un tabù. La presidente del Consiglio ha capito che la questione può rivelarsi scivolosa ed evita di esporsi. Il compito di dettare la linea ufficiale è stato affidato al capogruppo alla Camera Tommaso Foti: «La sinistra chiede le dimissioni di un altro ministro», ha detto polemizzando con gli avversari. Solo che il collega della Lega, il presidente del gruppo Riccardo Molinari, è molto più tiepido su Santanchè: «Aspettiamo che il ministro spieghi le sue ragioni in Aula». Non proprio una difesa sulla fiducia.