L’Isis ha rivendicato l’attacco ai militari italiani in Iraq

La notizia è stata riportata da Site. L'attentato ha provocato cinque feriti di cui tre gravi.

Il marchio dell’Isis sull’attentato ai militari italiani. Il sedicente Stato islamico ha rivendicato l’attacco in Iraq. L’attacco ha provocato cinque feriti di cui tre gravi. La notizia è stata riportata da Site.

IL MESSAGGIO CONTRO I «CROCIATI»

Sull’agenzia ufficiale del Califfato Amaq è apparso questo messaggio: «Con il favore di Dio, l’esercito dell’Isis ha preso di mira un veicolo 4×4 che trasportava membri della coalizione internazionale crociata e dell’antiterrorismo dei Peshmerga, nella zona di Qarajai, a Nord della zona di Kafri (nel distretto di Kirkuk, ndr), con l’esplosione di un ordigno. Questo ha causato la distruzione del veicolo e il ferimento di quattro crociati e di quattro apostati».

VERTICE IN PROCURA A ROMA

Intanto si è svolto in procura, a Roma, un vertice tra magistrati e carabinieri del Ros in relazione all’accaduto. All’attenzione del pm Sergio Colaiocco una prima informativa su quanto avvenuto. Una ricostruzione sulla quale gli inquirenti hanno mantenuto il più stretto riserbo, anche per ragioni di sicurezza legate al fatto che nella zona dell’attentato, a circa 100 chilometri da Kirkuk, sono tutt’ora presenti militari delle forze speciali italiane. I pm romani procedono per il reato di attentato con finalità di terrorismo.

DI MAIO HA INFORMATO I COLLEGHI A BRUXELLES

Il ministro degli Esteri Luigi Di Maio invece ha guidato la delegazione italiana al Consiglio Esteri dell’Unione europea, a Bruxelles, dove ha informato i colleghi sull’attacco. Tra i temi affrontati anche il Libano. Di Maio ha poi lasciato la riunione per rientrare a Roma, senza rilasciare dichiarazioni.

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L’Isis ha rivendicato l’attacco ai militari italiani in Iraq

La notizia è stata riportata da Site. L'attentato ha provocato cinque feriti di cui tre gravi.

Il marchio dell’Isis sull’attentato ai militari italiani. Il sedicente Stato islamico ha rivendicato l’attacco in Iraq. L’attacco ha provocato cinque feriti di cui tre gravi. La notizia è stata riportata da Site.

IL MESSAGGIO CONTRO I «CROCIATI»

Sull’agenzia ufficiale del Califfato Amaq è apparso questo messaggio: «Con il favore di Dio, l’esercito dell’Isis ha preso di mira un veicolo 4×4 che trasportava membri della coalizione internazionale crociata e dell’antiterrorismo dei Peshmerga, nella zona di Qarajai, a Nord della zona di Kafri (nel distretto di Kirkuk, ndr), con l’esplosione di un ordigno. Questo ha causato la distruzione del veicolo e il ferimento di quattro crociati e di quattro apostati».

VERTICE IN PROCURA A ROMA

Intanto si è svolto in procura, a Roma, un vertice tra magistrati e carabinieri del Ros in relazione all’accaduto. All’attenzione del pm Sergio Colaiocco una prima informativa su quanto avvenuto. Una ricostruzione sulla quale gli inquirenti hanno mantenuto il più stretto riserbo, anche per ragioni di sicurezza legate al fatto che nella zona dell’attentato, a circa 100 chilometri da Kirkuk, sono tutt’ora presenti militari delle forze speciali italiane. I pm romani procedono per il reato di attentato con finalità di terrorismo.

DI MAIO HA INFORMATO I COLLEGHI A BRUXELLES

Il ministro degli Esteri Luigi Di Maio invece ha guidato la delegazione italiana al Consiglio Esteri dell’Unione europea, a Bruxelles, dove ha informato i colleghi sull’attacco. Tra i temi affrontati anche il Libano. Di Maio ha poi lasciato la riunione per rientrare a Roma, senza rilasciare dichiarazioni.

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L’Isis ha rivendicato l’attacco ai militari italiani in Iraq

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IL MESSAGGIO CONTRO I «CROCIATI»

Sull’agenzia ufficiale del Califfato Amaq è apparso questo messaggio: «Con il favore di Dio, l’esercito dell’Isis ha preso di mira un veicolo 4×4 che trasportava membri della coalizione internazionale crociata e dell’antiterrorismo dei Peshmerga, nella zona di Qarajai, a Nord della zona di Kafri (nel distretto di Kirkuk, ndr), con l’esplosione di un ordigno. Questo ha causato la distruzione del veicolo e il ferimento di quattro crociati e di quattro apostati».

VERTICE IN PROCURA A ROMA

Intanto si è svolto in procura, a Roma, un vertice tra magistrati e carabinieri del Ros in relazione all’accaduto. All’attenzione del pm Sergio Colaiocco una prima informativa su quanto avvenuto. Una ricostruzione sulla quale gli inquirenti hanno mantenuto il più stretto riserbo, anche per ragioni di sicurezza legate al fatto che nella zona dell’attentato, a circa 100 chilometri da Kirkuk, sono tutt’ora presenti militari delle forze speciali italiane. I pm romani procedono per il reato di attentato con finalità di terrorismo.

DI MAIO HA INFORMATO I COLLEGHI A BRUXELLES

Il ministro degli Esteri Luigi Di Maio invece ha guidato la delegazione italiana al Consiglio Esteri dell’Unione europea, a Bruxelles, dove ha informato i colleghi sull’attacco. Tra i temi affrontati anche il Libano. Di Maio ha poi lasciato la riunione per rientrare a Roma, senza rilasciare dichiarazioni.

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L’Isis ha rivendicato l’attacco ai militari italiani in Iraq

La notizia è stata riportata da Site. L'attentato ha provocato cinque feriti di cui tre gravi.

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IL MESSAGGIO CONTRO I «CROCIATI»

Sull’agenzia ufficiale del Califfato Amaq è apparso questo messaggio: «Con il favore di Dio, l’esercito dell’Isis ha preso di mira un veicolo 4×4 che trasportava membri della coalizione internazionale crociata e dell’antiterrorismo dei Peshmerga, nella zona di Qarajai, a Nord della zona di Kafri (nel distretto di Kirkuk, ndr), con l’esplosione di un ordigno. Questo ha causato la distruzione del veicolo e il ferimento di quattro crociati e di quattro apostati».

VERTICE IN PROCURA A ROMA

Intanto si è svolto in procura, a Roma, un vertice tra magistrati e carabinieri del Ros in relazione all’accaduto. All’attenzione del pm Sergio Colaiocco una prima informativa su quanto avvenuto. Una ricostruzione sulla quale gli inquirenti hanno mantenuto il più stretto riserbo, anche per ragioni di sicurezza legate al fatto che nella zona dell’attentato, a circa 100 chilometri da Kirkuk, sono tutt’ora presenti militari delle forze speciali italiane. I pm romani procedono per il reato di attentato con finalità di terrorismo.

DI MAIO HA INFORMATO I COLLEGHI A BRUXELLES

Il ministro degli Esteri Luigi Di Maio invece ha guidato la delegazione italiana al Consiglio Esteri dell’Unione europea, a Bruxelles, dove ha informato i colleghi sull’attacco. Tra i temi affrontati anche il Libano. Di Maio ha poi lasciato la riunione per rientrare a Roma, senza rilasciare dichiarazioni.

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Condanna di 2 anni e 8 mesi alla foreign fighter italiana Lara Bombonati

La donna si era convertita all'Islam radicale e aveva sposato un combattente italiano in Siria. Per il suo legale soffre di disturbo di personalità dipendente e deve essere curata.

Una condanna destinata a fare discutere. Lara Bombonati, la foreign fighter italiana accusata di associazione con finalità di terrorismo, è stata condannata a 2 anni e 8 mesi. La donna è stata ritenuta colpevole di aver fiancheggiato associazioni terroristiche di matrice islamica mentre era in Siria. Arrestata nel giugno 2017, aveva abbracciato la fede islamica e sposato Francesco Cascio, un combattente italiano che risulterebbe morto in ‘battaglia’.

IL LEGALE: «LARA VA CURATA»

Dopo il carcere, Bombonati dovrà scontare anche un anno in comunità. «Sono convinto che a breve verrà scarcerata, perché no ci sono più le esigenze cautelari», ha commentato il suo difensore l’avvocato Lorenzo Repetti, osservando che la sua assistita ha già scontato 2 anni e 5 mesi di carcere. «Lara va curata – aggiunge il legale – È stato accertato dai periti che ha disturbi di personalità tali, per cui il posto ideale per essere curata è una comunità idonea. Lara è molto delusa perché la corte non ha creduto al fatto, sempre ribadito, di essersi recata in Siria per seguire il marito, cui era legata e non poteva dire no per il disturbo di personalità dipendente».

PENA GIÀ SCONTATA QUASI INTERAMENTE

«La constatazione amara è che ha quasi integralmente scontato la pena prima della sentenza di condanna», ha aggiunto l’avvocato. In aula in tribunale ad Alessandria erano presenti la sorella, i genitori e la suocera. «Non sono la persona adatta per esprimere un giudizio»”, le poche parole del padre, incalzato dai giornalisti. Tra 90 giorni saranno depositate le motivazioni della sentenza.

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Condanna di 2 anni e 8 mesi alla foreign fighter italiana Lara Bombonati

La donna si era convertita all'Islam radicale e aveva sposato un combattente italiano in Siria. Per il suo legale soffre di disturbo di personalità dipendente e deve essere curata.

Una condanna destinata a fare discutere. Lara Bombonati, la foreign fighter italiana accusata di associazione con finalità di terrorismo, è stata condannata a 2 anni e 8 mesi. La donna è stata ritenuta colpevole di aver fiancheggiato associazioni terroristiche di matrice islamica mentre era in Siria. Arrestata nel giugno 2017, aveva abbracciato la fede islamica e sposato Francesco Cascio, un combattente italiano che risulterebbe morto in ‘battaglia’.

IL LEGALE: «LARA VA CURATA»

Dopo il carcere, Bombonati dovrà scontare anche un anno in comunità. «Sono convinto che a breve verrà scarcerata, perché no ci sono più le esigenze cautelari», ha commentato il suo difensore l’avvocato Lorenzo Repetti, osservando che la sua assistita ha già scontato 2 anni e 5 mesi di carcere. «Lara va curata – aggiunge il legale – È stato accertato dai periti che ha disturbi di personalità tali, per cui il posto ideale per essere curata è una comunità idonea. Lara è molto delusa perché la corte non ha creduto al fatto, sempre ribadito, di essersi recata in Siria per seguire il marito, cui era legata e non poteva dire no per il disturbo di personalità dipendente».

PENA GIÀ SCONTATA QUASI INTERAMENTE

«La constatazione amara è che ha quasi integralmente scontato la pena prima della sentenza di condanna», ha aggiunto l’avvocato. In aula in tribunale ad Alessandria erano presenti la sorella, i genitori e la suocera. «Non sono la persona adatta per esprimere un giudizio»”, le poche parole del padre, incalzato dai giornalisti. Tra 90 giorni saranno depositate le motivazioni della sentenza.

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Condanna di 2 anni e 8 mesi alla foreign fighter italiana Lara Bombonati

La donna si era convertita all'Islam radicale e aveva sposato un combattente italiano in Siria. Per il suo legale soffre di disturbo di personalità dipendente e deve essere curata.

Una condanna destinata a fare discutere. Lara Bombonati, la foreign fighter italiana accusata di associazione con finalità di terrorismo, è stata condannata a 2 anni e 8 mesi. La donna è stata ritenuta colpevole di aver fiancheggiato associazioni terroristiche di matrice islamica mentre era in Siria. Arrestata nel giugno 2017, aveva abbracciato la fede islamica e sposato Francesco Cascio, un combattente italiano che risulterebbe morto in ‘battaglia’.

IL LEGALE: «LARA VA CURATA»

Dopo il carcere, Bombonati dovrà scontare anche un anno in comunità. «Sono convinto che a breve verrà scarcerata, perché no ci sono più le esigenze cautelari», ha commentato il suo difensore l’avvocato Lorenzo Repetti, osservando che la sua assistita ha già scontato 2 anni e 5 mesi di carcere. «Lara va curata – aggiunge il legale – È stato accertato dai periti che ha disturbi di personalità tali, per cui il posto ideale per essere curata è una comunità idonea. Lara è molto delusa perché la corte non ha creduto al fatto, sempre ribadito, di essersi recata in Siria per seguire il marito, cui era legata e non poteva dire no per il disturbo di personalità dipendente».

PENA GIÀ SCONTATA QUASI INTERAMENTE

«La constatazione amara è che ha quasi integralmente scontato la pena prima della sentenza di condanna», ha aggiunto l’avvocato. In aula in tribunale ad Alessandria erano presenti la sorella, i genitori e la suocera. «Non sono la persona adatta per esprimere un giudizio»”, le poche parole del padre, incalzato dai giornalisti. Tra 90 giorni saranno depositate le motivazioni della sentenza.

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Ruby ter, una teste: «Pagò più di 50 mila euro per una vacanza alle Maldive»

Secondo la titolare di un'agenzia viaggi Karima El Mahrough versò la cifra in contanti chiedendo tutti i comfort. Per il suo compleanno in un locale di Milano «spesi 6 mila euro».

Vacanze extra lusso alle Maldive e spese faraoniche in ristoranti. Tutto pagato da Karima El Mahroug, detta Ruby Rubacuori, «in contanti». Denaro che, secondo i pm, sarebbe stato fornito alla donna da Silvio Berlusconi, tra gli imputati per corruzione in atti giudiziari nel processo Ruby ter. È quello che emerge dalle ultime testimonianze della titolare di un’agenzia di viaggi e di una ristoratrice.

QUEI «50 MILA EURO PAGATI IN CONTANTI»

«È stata sicuramente una situazione unica per me, ha pagato tutto in contanti, era un viaggio che costava molto, oltre 50 mila euro, mi pare», ha detto la prima testimone parlando di una vacanza fatta cinque anni fa da El Mahroug. Già a verbale nelle indagini nel 2015 la testimone aveva raccontato del viaggio organizzato per Ruby, sua figlia, la baby sitter e il compagno dell’epoca Luca Risso e pagato «tra i 55 mila e i 60 mila euro». Lunedì 11 novembre ha aggiunto: «Volevano avere tutti i comfort». «Voleva una bella struttura alle Maldive, le ho proposte soluzioni decisamente costose, lei mi ha chiesto di viaggiare in business assieme al compagno e l’economy per la tata e la bimba». Di certo, ha proseguito, rispondendo alle domande del procuratore aggiunto Tiziana Siciliano in aula col collega Luca Gaglio, non era una «modalità normale pagare in contanti, io ho portato la busta coi soldi al tour operator».

LA FESTA DI COMPLEANNO DA 6 MILA EURO

Un’altra teste, titolare di un ristorante a Milano, ha raccontato che la giovane marocchina pagò «6 mila euro in contanti» per la sua festa di compleanno nel locale. Il preventivo per «75 coperti, una torta da 750 euro» era di 8.800 euro, ma poi Ruby alla fine verso in tutto «6 mila euro in contanti». La ristoratrice, poi, ha raccontato di essere diventata all’epoca «amica» di Ruby che frequentava spesso il suo locale in centro. Ai pm che le hanno chiesto se le risultasse che Karima «facesse qualche lavoro», la teste ha risposto: «No, mai saputo. Si occupava della bimba. Diceva che le sarebbe piaciuto aprire un ristorante».

SECONDO I PM RUBY AVREBBE INCASSATO DA BERLUSCONI TRA I 5 E I 7 MILIONI

Dalle indagini, sempre sul capitolo ‘spese’, erano emersi già diversi dettagli, tra cui i casi delle «banconote da 500 euro» tirate fuori in discoteca da Ruby e date a un dj «per fargli mettere una canzone a fine serata», degli «abiti su misura» per Daniele Leo, altro suo compagno, fino al «personale di servizio» per sbrigare le faccende domestiche in casa e al «noleggio auto con conducente». Ruby, secondo le indagini dei pm, avrebbe incassato tra i 5 e i 7 milioni di euro da Berlusconi, parte dei quali sarebbero serviti anche per l’acquisto di un ristorante con annesso pastificio e due edifici con mini-alloggi per operatori del settore turistico a Playa del Carmen, in Messico.

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Ruby ter, una teste: «Pagò più di 50 mila euro per una vacanza alle Maldive»

Secondo la titolare di un'agenzia viaggi Karima El Mahrough versò la cifra in contanti chiedendo tutti i comfort. Per il suo compleanno in un locale di Milano «spesi 6 mila euro».

Vacanze extra lusso alle Maldive e spese faraoniche in ristoranti. Tutto pagato da Karima El Mahroug, detta Ruby Rubacuori, «in contanti». Denaro che, secondo i pm, sarebbe stato fornito alla donna da Silvio Berlusconi, tra gli imputati per corruzione in atti giudiziari nel processo Ruby ter. È quello che emerge dalle ultime testimonianze della titolare di un’agenzia di viaggi e di una ristoratrice.

QUEI «50 MILA EURO PAGATI IN CONTANTI»

«È stata sicuramente una situazione unica per me, ha pagato tutto in contanti, era un viaggio che costava molto, oltre 50 mila euro, mi pare», ha detto la prima testimone parlando di una vacanza fatta cinque anni fa da El Mahroug. Già a verbale nelle indagini nel 2015 la testimone aveva raccontato del viaggio organizzato per Ruby, sua figlia, la baby sitter e il compagno dell’epoca Luca Risso e pagato «tra i 55 mila e i 60 mila euro». Lunedì 11 novembre ha aggiunto: «Volevano avere tutti i comfort». «Voleva una bella struttura alle Maldive, le ho proposte soluzioni decisamente costose, lei mi ha chiesto di viaggiare in business assieme al compagno e l’economy per la tata e la bimba». Di certo, ha proseguito, rispondendo alle domande del procuratore aggiunto Tiziana Siciliano in aula col collega Luca Gaglio, non era una «modalità normale pagare in contanti, io ho portato la busta coi soldi al tour operator».

LA FESTA DI COMPLEANNO DA 6 MILA EURO

Un’altra teste, titolare di un ristorante a Milano, ha raccontato che la giovane marocchina pagò «6 mila euro in contanti» per la sua festa di compleanno nel locale. Il preventivo per «75 coperti, una torta da 750 euro» era di 8.800 euro, ma poi Ruby alla fine verso in tutto «6 mila euro in contanti». La ristoratrice, poi, ha raccontato di essere diventata all’epoca «amica» di Ruby che frequentava spesso il suo locale in centro. Ai pm che le hanno chiesto se le risultasse che Karima «facesse qualche lavoro», la teste ha risposto: «No, mai saputo. Si occupava della bimba. Diceva che le sarebbe piaciuto aprire un ristorante».

SECONDO I PM RUBY AVREBBE INCASSATO DA BERLUSCONI TRA I 5 E I 7 MILIONI

Dalle indagini, sempre sul capitolo ‘spese’, erano emersi già diversi dettagli, tra cui i casi delle «banconote da 500 euro» tirate fuori in discoteca da Ruby e date a un dj «per fargli mettere una canzone a fine serata», degli «abiti su misura» per Daniele Leo, altro suo compagno, fino al «personale di servizio» per sbrigare le faccende domestiche in casa e al «noleggio auto con conducente». Ruby, secondo le indagini dei pm, avrebbe incassato tra i 5 e i 7 milioni di euro da Berlusconi, parte dei quali sarebbero serviti anche per l’acquisto di un ristorante con annesso pastificio e due edifici con mini-alloggi per operatori del settore turistico a Playa del Carmen, in Messico.

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Ruby ter, una teste: «Pagò più di 50 mila euro per una vacanza alle Maldive»

Secondo la titolare di un'agenzia viaggi Karima El Mahrough versò la cifra in contanti chiedendo tutti i comfort. Per il suo compleanno in un locale di Milano «spesi 6 mila euro».

Vacanze extra lusso alle Maldive e spese faraoniche in ristoranti. Tutto pagato da Karima El Mahroug, detta Ruby Rubacuori, «in contanti». Denaro che, secondo i pm, sarebbe stato fornito alla donna da Silvio Berlusconi, tra gli imputati per corruzione in atti giudiziari nel processo Ruby ter. È quello che emerge dalle ultime testimonianze della titolare di un’agenzia di viaggi e di una ristoratrice.

QUEI «50 MILA EURO PAGATI IN CONTANTI»

«È stata sicuramente una situazione unica per me, ha pagato tutto in contanti, era un viaggio che costava molto, oltre 50 mila euro, mi pare», ha detto la prima testimone parlando di una vacanza fatta cinque anni fa da El Mahroug. Già a verbale nelle indagini nel 2015 la testimone aveva raccontato del viaggio organizzato per Ruby, sua figlia, la baby sitter e il compagno dell’epoca Luca Risso e pagato «tra i 55 mila e i 60 mila euro». Lunedì 11 novembre ha aggiunto: «Volevano avere tutti i comfort». «Voleva una bella struttura alle Maldive, le ho proposte soluzioni decisamente costose, lei mi ha chiesto di viaggiare in business assieme al compagno e l’economy per la tata e la bimba». Di certo, ha proseguito, rispondendo alle domande del procuratore aggiunto Tiziana Siciliano in aula col collega Luca Gaglio, non era una «modalità normale pagare in contanti, io ho portato la busta coi soldi al tour operator».

LA FESTA DI COMPLEANNO DA 6 MILA EURO

Un’altra teste, titolare di un ristorante a Milano, ha raccontato che la giovane marocchina pagò «6 mila euro in contanti» per la sua festa di compleanno nel locale. Il preventivo per «75 coperti, una torta da 750 euro» era di 8.800 euro, ma poi Ruby alla fine verso in tutto «6 mila euro in contanti». La ristoratrice, poi, ha raccontato di essere diventata all’epoca «amica» di Ruby che frequentava spesso il suo locale in centro. Ai pm che le hanno chiesto se le risultasse che Karima «facesse qualche lavoro», la teste ha risposto: «No, mai saputo. Si occupava della bimba. Diceva che le sarebbe piaciuto aprire un ristorante».

SECONDO I PM RUBY AVREBBE INCASSATO DA BERLUSCONI TRA I 5 E I 7 MILIONI

Dalle indagini, sempre sul capitolo ‘spese’, erano emersi già diversi dettagli, tra cui i casi delle «banconote da 500 euro» tirate fuori in discoteca da Ruby e date a un dj «per fargli mettere una canzone a fine serata», degli «abiti su misura» per Daniele Leo, altro suo compagno, fino al «personale di servizio» per sbrigare le faccende domestiche in casa e al «noleggio auto con conducente». Ruby, secondo le indagini dei pm, avrebbe incassato tra i 5 e i 7 milioni di euro da Berlusconi, parte dei quali sarebbero serviti anche per l’acquisto di un ristorante con annesso pastificio e due edifici con mini-alloggi per operatori del settore turistico a Playa del Carmen, in Messico.

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Ruby ter, una teste: «Pagò più di 50 mila euro per una vacanza alle Maldive»

Secondo la titolare di un'agenzia viaggi Karima El Mahrough versò la cifra in contanti chiedendo tutti i comfort. Per il suo compleanno in un locale di Milano «spesi 6 mila euro».

Vacanze extra lusso alle Maldive e spese faraoniche in ristoranti. Tutto pagato da Karima El Mahroug, detta Ruby Rubacuori, «in contanti». Denaro che, secondo i pm, sarebbe stato fornito alla donna da Silvio Berlusconi, tra gli imputati per corruzione in atti giudiziari nel processo Ruby ter. È quello che emerge dalle ultime testimonianze della titolare di un’agenzia di viaggi e di una ristoratrice.

QUEI «50 MILA EURO PAGATI IN CONTANTI»

«È stata sicuramente una situazione unica per me, ha pagato tutto in contanti, era un viaggio che costava molto, oltre 50 mila euro, mi pare», ha detto la prima testimone parlando di una vacanza fatta cinque anni fa da El Mahroug. Già a verbale nelle indagini nel 2015 la testimone aveva raccontato del viaggio organizzato per Ruby, sua figlia, la baby sitter e il compagno dell’epoca Luca Risso e pagato «tra i 55 mila e i 60 mila euro». Lunedì 11 novembre ha aggiunto: «Volevano avere tutti i comfort». «Voleva una bella struttura alle Maldive, le ho proposte soluzioni decisamente costose, lei mi ha chiesto di viaggiare in business assieme al compagno e l’economy per la tata e la bimba». Di certo, ha proseguito, rispondendo alle domande del procuratore aggiunto Tiziana Siciliano in aula col collega Luca Gaglio, non era una «modalità normale pagare in contanti, io ho portato la busta coi soldi al tour operator».

LA FESTA DI COMPLEANNO DA 6 MILA EURO

Un’altra teste, titolare di un ristorante a Milano, ha raccontato che la giovane marocchina pagò «6 mila euro in contanti» per la sua festa di compleanno nel locale. Il preventivo per «75 coperti, una torta da 750 euro» era di 8.800 euro, ma poi Ruby alla fine verso in tutto «6 mila euro in contanti». La ristoratrice, poi, ha raccontato di essere diventata all’epoca «amica» di Ruby che frequentava spesso il suo locale in centro. Ai pm che le hanno chiesto se le risultasse che Karima «facesse qualche lavoro», la teste ha risposto: «No, mai saputo. Si occupava della bimba. Diceva che le sarebbe piaciuto aprire un ristorante».

SECONDO I PM RUBY AVREBBE INCASSATO DA BERLUSCONI TRA I 5 E I 7 MILIONI

Dalle indagini, sempre sul capitolo ‘spese’, erano emersi già diversi dettagli, tra cui i casi delle «banconote da 500 euro» tirate fuori in discoteca da Ruby e date a un dj «per fargli mettere una canzone a fine serata», degli «abiti su misura» per Daniele Leo, altro suo compagno, fino al «personale di servizio» per sbrigare le faccende domestiche in casa e al «noleggio auto con conducente». Ruby, secondo le indagini dei pm, avrebbe incassato tra i 5 e i 7 milioni di euro da Berlusconi, parte dei quali sarebbero serviti anche per l’acquisto di un ristorante con annesso pastificio e due edifici con mini-alloggi per operatori del settore turistico a Playa del Carmen, in Messico.

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Trattativa Stato-mafia, Berlusconi non risponde ai giudici

L'ex premier si è avvalso della facoltà di non rispondere. Era stato convocato dai legali del suo vecchio braccio destro, Marcello Dell'Utri.

L’ex premier Silvio Berlusconi, citato come teste assistito davanti alla Corte d’Assise d’Appello che celebra il processo di secondo grado sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia, si è avvalso della facoltà di non rispondere. L’ex presidente del Consiglio ha negato anche il permesso di farsi riprendere e fotografare in aula. «Su indicazione dei miei legali, mi avvalgo della facoltà di non rispondere», ha detto l’ex premier alla corte. Citato dagli avvocati dell’imputato Marcello Dell’Utri, suo storico braccio destro, doveva essere sentito come testimone assistito.

IL SILENZIO GARANTITO DAL PROCESSO PARALLELO

Appena entrato in aula i giudici gli avevano illustrato le prerogative garantitegli dallo status di teste assistito, status determinato dal fatto che a suo carico pende una inchiesta a Firenze sulle stragi del ’93, quindi su fatti «probatoriamente collegati» a quelli oggetto del processo «trattativa». La corte, dunque, ha preliminarmente avvertito l’ex premier della possibilità di non rispondere precisando, inoltre, che qualora avesse risposto avrebbe assunto «l’ufficio di testimone», quindi avrebbe dovuto dire la verità. In aula c’erano anche i legali dell’ex premier, gli avvocati Franco Coppi e Nicolò Ghedini.

DI MAIO: «SONO SENZA PAROLE»

«Questo Paese non chiuderà mai i conti con il passato, se una persona che ha fatto per tre volte il Presidente del Consiglio si avvale della facoltà di non rispondere in un processo per mafia. Sono veramente senza parole», ha scritto in un tweet il ministro degli Esteri e capo politico del M5s, Luigi Di Maio.

L’INTERVISTA SULLA TRATTATIVA

«Non abbiamo ricevuto nel 1994, né successivamente nessuna minaccia dalla mafia o dai suoi rappresentanti. Vorrei ricordare che i miei governi hanno sempre operato nella direzione di un contrasto fortissimo nei confronti della mafia, abbiamo incrementato la pena del 41 bis rendendola più dura e l’abbiamo anche spostata sino alla fine della detenzione invece che per un certo più stretto periodo. Abbiamo individuato nuovi strumenti giuridici tra cui il codice antimafia che ha consentito da un lato la cattura di 32 dei più pericolosi latitanti capimafia, 32 su 34», era uno stralcio delle dichiarazioni rese dall’ex premier in una intervista video rilasciata il 20 aprile del 2018, dopo la sentenza di primo grado del processo sulla trattativa. I legali di Dell’Utri avevano chiesto di far vedere il video in aula, ma i giudici hanno negato la riproduzione del filmato in aula. «L’intervista è già acquisita agli atti», hanno detto i giudici, «quindi potrà essere visionata dalla corte in ogni momento e non c’è motivo di proiettarla in aula».

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Trattativa Stato-mafia, Berlusconi non risponde ai giudici

L'ex premier si è avvalso della facoltà di non rispondere. Era stato convocato dai legali del suo vecchio braccio destro, Marcello Dell'Utri.

L’ex premier Silvio Berlusconi, citato come teste assistito davanti alla Corte d’Assise d’Appello che celebra il processo di secondo grado sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia, si è avvalso della facoltà di non rispondere. L’ex presidente del Consiglio ha negato anche il permesso di farsi riprendere e fotografare in aula. «Su indicazione dei miei legali, mi avvalgo della facoltà di non rispondere», ha detto l’ex premier alla corte. Citato dagli avvocati dell’imputato Marcello Dell’Utri, suo storico braccio destro, doveva essere sentito come testimone assistito.

IL SILENZIO GARANTITO DAL PROCESSO PARALLELO

Appena entrato in aula i giudici gli avevano illustrato le prerogative garantitegli dallo status di teste assistito, status determinato dal fatto che a suo carico pende una inchiesta a Firenze sulle stragi del ’93, quindi su fatti «probatoriamente collegati» a quelli oggetto del processo «trattativa». La corte, dunque, ha preliminarmente avvertito l’ex premier della possibilità di non rispondere precisando, inoltre, che qualora avesse risposto avrebbe assunto «l’ufficio di testimone», quindi avrebbe dovuto dire la verità. In aula c’erano anche i legali dell’ex premier, gli avvocati Franco Coppi e Nicolò Ghedini.

DI MAIO: «SONO SENZA PAROLE»

«Questo Paese non chiuderà mai i conti con il passato, se una persona che ha fatto per tre volte il Presidente del Consiglio si avvale della facoltà di non rispondere in un processo per mafia. Sono veramente senza parole», ha scritto in un tweet il ministro degli Esteri e capo politico del M5s, Luigi Di Maio.

L’INTERVISTA SULLA TRATTATIVA

«Non abbiamo ricevuto nel 1994, né successivamente nessuna minaccia dalla mafia o dai suoi rappresentanti. Vorrei ricordare che i miei governi hanno sempre operato nella direzione di un contrasto fortissimo nei confronti della mafia, abbiamo incrementato la pena del 41 bis rendendola più dura e l’abbiamo anche spostata sino alla fine della detenzione invece che per un certo più stretto periodo. Abbiamo individuato nuovi strumenti giuridici tra cui il codice antimafia che ha consentito da un lato la cattura di 32 dei più pericolosi latitanti capimafia, 32 su 34», era uno stralcio delle dichiarazioni rese dall’ex premier in una intervista video rilasciata il 20 aprile del 2018, dopo la sentenza di primo grado del processo sulla trattativa. I legali di Dell’Utri avevano chiesto di far vedere il video in aula, ma i giudici hanno negato la riproduzione del filmato in aula. «L’intervista è già acquisita agli atti», hanno detto i giudici, «quindi potrà essere visionata dalla corte in ogni momento e non c’è motivo di proiettarla in aula».

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Trattativa Stato-mafia, Berlusconi non risponde ai giudici

L'ex premier si è avvalso della facoltà di non rispondere. Era stato convocato dai legali del suo vecchio braccio destro, Marcello Dell'Utri.

L’ex premier Silvio Berlusconi, citato come teste assistito davanti alla Corte d’Assise d’Appello che celebra il processo di secondo grado sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia, si è avvalso della facoltà di non rispondere. L’ex presidente del Consiglio ha negato anche il permesso di farsi riprendere e fotografare in aula. «Su indicazione dei miei legali, mi avvalgo della facoltà di non rispondere», ha detto l’ex premier alla corte. Citato dagli avvocati dell’imputato Marcello Dell’Utri, suo storico braccio destro, doveva essere sentito come testimone assistito.

IL SILENZIO GARANTITO DAL PROCESSO PARALLELO

Appena entrato in aula i giudici gli avevano illustrato le prerogative garantitegli dallo status di teste assistito, status determinato dal fatto che a suo carico pende una inchiesta a Firenze sulle stragi del ’93, quindi su fatti «probatoriamente collegati» a quelli oggetto del processo «trattativa». La corte, dunque, ha preliminarmente avvertito l’ex premier della possibilità di non rispondere precisando, inoltre, che qualora avesse risposto avrebbe assunto «l’ufficio di testimone», quindi avrebbe dovuto dire la verità. In aula c’erano anche i legali dell’ex premier, gli avvocati Franco Coppi e Nicolò Ghedini.

DI MAIO: «SONO SENZA PAROLE»

«Questo Paese non chiuderà mai i conti con il passato, se una persona che ha fatto per tre volte il Presidente del Consiglio si avvale della facoltà di non rispondere in un processo per mafia. Sono veramente senza parole», ha scritto in un tweet il ministro degli Esteri e capo politico del M5s, Luigi Di Maio.

L’INTERVISTA SULLA TRATTATIVA

«Non abbiamo ricevuto nel 1994, né successivamente nessuna minaccia dalla mafia o dai suoi rappresentanti. Vorrei ricordare che i miei governi hanno sempre operato nella direzione di un contrasto fortissimo nei confronti della mafia, abbiamo incrementato la pena del 41 bis rendendola più dura e l’abbiamo anche spostata sino alla fine della detenzione invece che per un certo più stretto periodo. Abbiamo individuato nuovi strumenti giuridici tra cui il codice antimafia che ha consentito da un lato la cattura di 32 dei più pericolosi latitanti capimafia, 32 su 34», era uno stralcio delle dichiarazioni rese dall’ex premier in una intervista video rilasciata il 20 aprile del 2018, dopo la sentenza di primo grado del processo sulla trattativa. I legali di Dell’Utri avevano chiesto di far vedere il video in aula, ma i giudici hanno negato la riproduzione del filmato in aula. «L’intervista è già acquisita agli atti», hanno detto i giudici, «quindi potrà essere visionata dalla corte in ogni momento e non c’è motivo di proiettarla in aula».

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Trattativa Stato-mafia, Berlusconi non risponde ai giudici

L'ex premier si è avvalso della facoltà di non rispondere. Era stato convocato dai legali del suo vecchio braccio destro, Marcello Dell'Utri.

L’ex premier Silvio Berlusconi, citato come teste assistito davanti alla Corte d’Assise d’Appello che celebra il processo di secondo grado sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia, si è avvalso della facoltà di non rispondere. L’ex presidente del Consiglio ha negato anche il permesso di farsi riprendere e fotografare in aula. «Su indicazione dei miei legali, mi avvalgo della facoltà di non rispondere», ha detto l’ex premier alla corte. Citato dagli avvocati dell’imputato Marcello Dell’Utri, suo storico braccio destro, doveva essere sentito come testimone assistito.

IL SILENZIO GARANTITO DAL PROCESSO PARALLELO

Appena entrato in aula i giudici gli avevano illustrato le prerogative garantitegli dallo status di teste assistito, status determinato dal fatto che a suo carico pende una inchiesta a Firenze sulle stragi del ’93, quindi su fatti «probatoriamente collegati» a quelli oggetto del processo «trattativa». La corte, dunque, ha preliminarmente avvertito l’ex premier della possibilità di non rispondere precisando, inoltre, che qualora avesse risposto avrebbe assunto «l’ufficio di testimone», quindi avrebbe dovuto dire la verità. In aula c’erano anche i legali dell’ex premier, gli avvocati Franco Coppi e Nicolò Ghedini.

DI MAIO: «SONO SENZA PAROLE»

«Questo Paese non chiuderà mai i conti con il passato, se una persona che ha fatto per tre volte il Presidente del Consiglio si avvale della facoltà di non rispondere in un processo per mafia. Sono veramente senza parole», ha scritto in un tweet il ministro degli Esteri e capo politico del M5s, Luigi Di Maio.

L’INTERVISTA SULLA TRATTATIVA

«Non abbiamo ricevuto nel 1994, né successivamente nessuna minaccia dalla mafia o dai suoi rappresentanti. Vorrei ricordare che i miei governi hanno sempre operato nella direzione di un contrasto fortissimo nei confronti della mafia, abbiamo incrementato la pena del 41 bis rendendola più dura e l’abbiamo anche spostata sino alla fine della detenzione invece che per un certo più stretto periodo. Abbiamo individuato nuovi strumenti giuridici tra cui il codice antimafia che ha consentito da un lato la cattura di 32 dei più pericolosi latitanti capimafia, 32 su 34», era uno stralcio delle dichiarazioni rese dall’ex premier in una intervista video rilasciata il 20 aprile del 2018, dopo la sentenza di primo grado del processo sulla trattativa. I legali di Dell’Utri avevano chiesto di far vedere il video in aula, ma i giudici hanno negato la riproduzione del filmato in aula. «L’intervista è già acquisita agli atti», hanno detto i giudici, «quindi potrà essere visionata dalla corte in ogni momento e non c’è motivo di proiettarla in aula».

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Caso Segre: la ministra Lamorgese visita la comunità ebraica di Roma

La titolare del Viminale in sinagoga: «Il linguaggio urlato preoccupa, porta a violenza. Attenzione sull'antisemitismo». Salvini? «Mi dispiace essere diventata una ossessione».

«Il linguaggio urlato preoccupa perché da parole violente possono venire azioni violente», ha detto la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese alla Sinagoga di Roma nel corso della sua visita alla Comunità Ebraica. «Questo è il momento delle scelte e dell’equilibrio», ha aggiunto, «è il momento della responsabilità da parte di tutti, non dobbiamo sottovalutare il problema, non è accettabile che ci siano parole d’odio».

«MI DISPIACE ESSERE UN’OSSESSIONE PER SALVINI»

«Mi dispiace che io sia diventata una ossessione per Salvini e i suoi ex sottosegretari, mi dispiace che abbia questa mania quotidiana», ha risposto a chi le chiedeva un commento sugli attacchi della Lega e del suo leader. «Non ho nulla da dirvi», ha aggiunto, «sono 40 anni che sono al ministero e credo di saper leggere i numeri. Tra l’altro la mia squadra è invariata, funzionava con lui, funziona anche con me».

«MASSIMA ATTENZIONE SULL’ANTISEMITISMO»

«Assicuro da parte delle forze dell’ordine la massima attenzione, monitoriamo costantemente le situazioni di criticità», ha assicurato il ministro, sottolineando che verranno «intensificate le attività poste in essere» per arginare l’antisemitismo. «Su questi aspetti siamo tutti compatti», ha aggiunto il ministro, «l’Italia è uno di quei Paesi in cui c’è maggiore sicurezza perché non ha mai abbassato la guardia e ha sempre mantenuto viva la memoria».

DI SEGNI: «ARGINARE L’ODIO DILAGANTE»

«Dobbiamo arginare l’odio dilagante fatto di monosillabi e anonimato», è l’appello che la presidente delle comunità ebraiche italiane Noemi di Segni ha lanciato alla Lamorgese. «Dobbiamo agire insieme mettendo competenza e professionalità», ha aggiunto, «non è sufficiente agire e reagire solo con le forze di polizia, occorre ripensare l’impianto normativo e il codice penale: capire che cosa è l’apologia del fascismo, l’aggravante razziale, l’antisemitismo». E serve, ha concluso di Segni, lavorare «sulla cultura e sull’educazione alla convivenza, fin da piccoli».

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Attentato contro i militari italiani in Iraq

Cinque feriti. Tre sono in gravi condizioni, ma non sarebbero in pericolo di vita. Sono stati colpiti da un ordigno rudimentale.

Attentato esplosivo contro militari italiani in Iraq: cinque i feriti, di cui tre in gravi condizioni. Il ministro della Difesa Lorenzo Guerini sta seguendo «con attenzione e apprensione» gli sviluppi di quanto accaduto e ha immediatamente informato il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e il premier Giuseppe Conte. Guerini ha espresso «la più profonda vicinanza alle famiglie e ai colleghi dei militari coinvolti».

LA DINAMICA DELL’ATTENTATO

L’attentato, secondo lo Stato maggiore della Difesa, è avvenuto a mattina del 10 novembre quando un ordigno esplosivo rudimentale è detonato al passaggio di un team misto di forze speciali italiane in Iraq. Il team stava svolgendo attività di addestramento in favore delle forze di sicurezza irachene impegnate nella lotta all’Isis. I cinque militari coinvolti dall’esplosione sono stati subito soccorsi, evacuati con elicotteri americani facenti parte della coalizione e trasportati in un ospedale dove stanno ricevendo le cure del caso. I tre militari in gravi condizioni non sarebbero comunque in pericolo di vita.

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Milano, un ergastolano in permesso premio accoltella un uomo

L'aggressore è Antonio Cianci che nel 1979 ha ucciso tre carabinieri dopo essere stato fermato ad un posto di blocco. La vittima non è in pericolo di vita.

Un uomo di 79 anni è stato ferito con una coltellata alla gola mentre si trovava nel parcheggio sotterraneo dell’ospedale San Raffaele di Milano. Le sue condizioni sono gravi, ma non sarebbe in pericolo di vita. A ferirlo è stato Antonio Cianci, il pregiudicato di 60 anni che nell’ottobre del 1979 aveva ucciso tre carabinieri a Melzo (Milano). Detenuto nel carcere di Bollate, Cianci aveva ottenuto, da quanto si è saputo, un permesso premio.

LA RICOSTRUZIONE DELL’AGGRESSIONE

L’episodio è avvenuto attorno alle 18 e poco dopo la polizia ha fermato Cianci con un taglierino sporco di sangue ancora in tasca. Secondo la prima ricostruzione fornita dalla polizia, l’uomo avrebbe ferito lo sconosciuto nel corso di una rapina.

CONDANNATO ALL’ERGASTOLO PER L’OMICIDIO DEL 1979

Cianci aveva 20 anni quando nella notte tra l’8 e il 9 ottobre del ’79 uccise tre carabinieri che lo avevano fermato ad un posto di blocco tra Liscate e Melzo, nel Milanese, a bordo di un’auto che risultava rubata. Mentre gli controllavano un documento, il giovane fece fuoco uccidendo il maresciallo Michele Campagnuolo, l’appuntato Pietro Lia e il carabiniere Federico Tempini. Quando venne arrestato Cianci, originario di Cerignola (Foggia), non confessò e disse, anzi, che a sparare ai militari erano stati alcuni sconosciuti a bordo di un’auto. Al processo di primo grado venne condannato all’ergastolo, confermato in appello nel 1983 (processo in cui con una lettera ai giudici finalmente confessò la strage) e poi anche in Cassazione.

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Imbrattato a Milano il Giardino dei Giusti

Scritte e vernice rossa contro lo spazio che celebra coloro che hanno lottato in difesa dei diritti umani e contro i genocidi e i totalitarismi. Era stato inaugurato da Liliana Segre.

Scritte e vernice rossa contro il Giardino dei Giusti a Milano, il luogo simbolo nato per celebrare gli uomini e le donne che hanno lottato in difesa dei diritti umani e contro i genocidi e i totalitarismi, che è stato inaugurato a ottobre 2019 dalla senatrice a vita e testimone della Shoah Liliana Segre, sotto scorta per le minacce e gli insulti ricevuti via social. I vandali hanno imbrattato l’illuminazione dell’anfiteatro e scritto sulla segnaletica «Via le ruspe dal Monte Stella». A denunciare l’accaduto è stato, la mattina del 9 novembre 2019, il presidente del Municipio 8, Simone Zambelli, annunciando un esposto contro ignoti.

FRANCESCHINI: «ATTACCO ALLA REPUBBLICA ITALIANA»

Non è la prima volta che nella zona compaiono scritte simili, dato che l’ampliamento del Giardino è stato sempre contestato da una parte dei cittadini del quartiere, ma per Gabriele Nassim, il presidente di Gariwo, l’associazione che lo gestisce, «non è un caso che questa provocazione sia avvenuta il giorno dopo la decisione del Prefetto di affidare una scorta alla senatrice», per mano di «quanti cercano di creare un clima d’odio nel Paese». Di «tempistica sospetta» ha parlato anche il Pd milanese, mentre l’assessore comunale all’Urbanistica Pierfrancesco Maran ha paragonato l’accaduto a un atto di fascismo. Dura anche la reazione del ministro della Cultura Dario Franceschini, secondo cui «ogni violenza, minaccia o atto vandalico contro persone e luoghi che rappresentano la diversità culturale e religiosa nel nostro Paese è un attacco alla Repubblica Italiana e non può essere sottovalutato».

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Taranto accende lo scontro Confindustria-Cgil sugli esuberi

Per Vincenzo Boccia sarebbe un errore tenerli e quindi finanziare la disoccupazione. Parole che secondo Maurizio Landini della Cgil sono senza senso.

Di fronte alla crisi dell’ex Ilva, che il colosso ArcelorMittal non vuole più gestire restituendola ai commissari, il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia ha chiesto di agire con «buon senso e serietà» invitando a non pretendere che di fronte a «crisi congiunturali le imprese debbano mantenere i livelli di occupazione, quindi finanziare disoccupazione. Così facciamo un errore madornale». Una dichiarazione a cui hanno risposto subito i sindacati. A infiammare la polemica è il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, che prima era stato a capo delle tute blu del sindacato di Corso d’Italia.

BOCCIA: «CI SONO GLI AMMORTIZZATORI SOCIALI»

Boccia ne ha parlato ad un convegno di Confindustria presso Ansaldo Energia a Genova commentando i cinquemila esuberi chiesti da ArcelorMittal per rimanere nell’ex Ilva. «Se c’è una crisi congiunturale legata all’acciaio, è inutile far finta che non ci sia. Bisogna capire come gestire questa fase permettendo di ‘costruire’, come accade in tutte le aziende del mondo», ha detto il numero uno degli industriali italiani. Ci sono gli ammortizzatori sociali come la cassa integrazione «che si attivano in momenti negativi delle imprese». Secondo Bocca la soluzione è creare sviluppo in quel territorio, costruire altre occasioni di lavoro, ma non sostitutive, complementari.

LANDINI: «C’È UN ACCORDO DA FAR RISPETTARE»

Di tutt’altro avviso Landini che, durante un convegno a Firenze, ha definito «senza senso» le parole del presidente di Confindustria: «C’è un accordo da far rispettare, firmato nel 2018, che prevede degli impegni». Secondo il leader della Cgil, inoltre, «non sono cali temporanei di mercato che modificano piani strategici che prevedono quattro miliardi di investimenti. Quegli accordi lì vanno fatti rispettare: e anche lui dovrebbe chiedere alla multinazionale di rispettare il nostro Paese, e di rispettare gli accordi. Credo che l’affidabilità nel rispetto degli accordi sia una regola delle parti sociali».

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