Autogrill, Barbara Cominelli nominata Amministratore non esecutivo

Il Consiglio di Amministrazione, riunitosi ieri, ha incaricato la manager in sostituzione di Marco Patuano.

Il Consiglio di Amministrazione di Autogrill S.p.A. ha nominato mediante cooptazione Barbara Cominelli quale Amministratore non esecutivo, in sostituzione di Marco Patuano che ha rassegnato le sue dimissioni in data 24 giugno 2019.

Il nuovo Consigliere ha dichiarato di essere in possesso dei requisiti di indipendenza, ai sensi dell’art. 147-ter, comma 4, e dell’art. 148, comma 3, D. Lgs. 58/98, nonché del principio 3.C.1 del Codice di Autodisciplina delle Società Quotate, come recepito dall’art. 3.1 del vigente Codice di Autodisciplina di Autogrill e dall’art. 10 dello Statuto Sociale.

Barbara Cominelli è il COO, Direttore Marketing e Operations di Microsoft Italia, con la responsabilità sulle diverse linee di business. Dal 2010 al 2018 è stata Direttore Digital, Commercial Operations e Wholesale di Vodafone Italia, alla guida di un team di 3000 persone, gestendo i canali fisici e digitali. Le sue esperienze precedenti includono Tenaris, A.T.Kearney, E.V. Capital e Università Bocconi. Laureata con lode in Economia Aziendale presso l’Università Bocconi, ha un Master in International Management presso la stessa Università. Vanta una significativa esperienza internazionale avendo studiato e lavorato in U.K., Olanda, Lussemburgo e Spagna. Inclusa due volte tra le “50 donne più influenti in Europa nel campo della tecnologia” da InspiringFifty, ha vinto numerosi premi in Italia e all’estero per progetti di Trasformazione Digitale e eccellenza nella Customer Experience.

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Smart&Start Italia si rinnova, le novità per le startup

Dal 20 gennaio al via le domande per le agevolazioni con i nuovi criteri, tra questi nuove premialità e l’incremento del finanziamento agevolato

Arrivano nuovi criteri per l’assegnazione degli incentivi che sostengono la nascita e la crescita delle startup innovative su tutto il territorio nazionale. Smart&Start Italia, l’incentivo del Mise gestito da Invitalia, si rinnova e porta in campo, con la Circolare n. 439196 del 16 dicembre 2019 della Direzione generale per gli incentivi alle imprese (secondo la nuova disciplina introdotta dal Decreto del Ministro dello sviluppo economico del 30 agosto 2019), diverse novità. La semplificazione dei criteri di valutazione e di rendicontazione; l’introduzione di nuove premialità, l’incremento del finanziamento agevolato fino al 90%; fondo perduto fino al 30% per le imprese del Sud e un periodo di ammortamento più lungo, sono solo alcune delle news introdotte secondo le quali sarà possibile presentare domanda di agevolazione a partire dal 20 gennaio 2020.

A CHI SI RIVOLGE NELLO SPECIFICO

Smart&Start Italia finanzia come detto le startup innovative, nello specifico quelle costituite da non più di 60 mesi e iscritte alla sezione speciale del registro delle imprese. Tra gli ammessi a chiedere un finanziamento ci sono tutte le startup innovative di piccola dimensione, costituite da non più di 60 mesi, i team di persone fisiche che vogliono costituire una startup innovativa in Italia, anche se residenti all’estero, o cittadini stranieri in possesso dello “startup Visa” e le imprese straniere che si impegnano a istituire almeno una sede sul territorio italiano.

TUTTE LE NOVITÀ

Si parte dal nuovo anno dunque con i nuovi criteri dell’incentivo rivolto alle startup innovative. Le novità riguardano la semplificazione dei criteri di valutazione per la concessione delle agevolazioni e l’introduzione di nuove premialità in caso di collaborazione con organismi di ricerca, incubatori e acceleratori d’impresa, compresi i Digital Innovation Hub, e di realizzazione di piani di impresa al sud da parte di start up già operative al centro-nord. E ancora in campo una nuova definizione dei piani di impresa e delle spese ammissibili, incluso il riconoscimento di una quota di finanziamento per la copertura delle esigenze di capitale circolante per il periodo di realizzazione del piano; l’incremento del finanziamento agevolato fino all’80% delle spese ammissibili e al 90% nel caso di società costituite da sole donne, da under 36 oppure se un socio ha il titolo di dottore di ricerca. Aumenta anche il fondo perduto per le imprese localizzate al Sud Italia fino al 30% dell’importo concesso per gli investimenti. Le rendicontazioni diventano più semplici, con la possibilità di ottenere le erogazioni per stati di avanzamento con fatture non quietanzate (i cui pagamenti possono essere dimostrati, entro sei mesi, al successivo stato di avanzamento) e contestuale erogazione della quota proporzionale di finanziamento inerente il capitale circolante; rendicontazione dei costi di personale con la modalità dei costi standard. Si estende, infine, il periodo di ammortamento per la restituzione del finanziamento fino a 10 anni.

COSA FINANZIA LA MISURA

Ricordiamo che Smart&Start Italia finanzia progetti compresi tra 100 mila euro e 1,5 milioni di euro, con la copertura delle spese d’investimento e dei costi di gestione. I piani d’impresa possono comprendere spese destinate all’acquisto di beni di investimento, servizi, spese del personale e costi di funzionamento aziendale. Per essere approvato è necessario che il progetto imprenditoriale possegga un significativo contenuto tecnologico e innovativo o sia orientato allo sviluppo di prodotti, servizi o soluzioni nel campo dell’economia digitale, dell’intelligenza artificiale, della blockchain e dell’internet of things o ancora che sia finalizzato alla valorizzazione economica dei risultati della ricerca pubblica e privata.

COME PRESENTARE DOMANDA

La presentazione della domanda è da farsi esclusivamente online sulla piattaforma di Invitalia. Le domande già presentate prima della pubblicazione della nuova circolare, per le quali non vi siano provvedimenti già adottati, potranno essere riformulate entro 60 giorni dalla data del 20 gennaio 2020. Chi ha presentato la domanda prima del 16 dicembre 2019 e non ha ricevuto l’esito della valutazione, può comunicare con Invitalia tramite PEC all’indirizzo smartstart@pec.invitalia.it indicando preferibilmente nell’oggetto l’ID della domanda. Sarà, in ogni caso, possibile presentare una nuova domanda anche oltre questo termine.

Per presentare la domanda per richiedere le agevolazioni previste dalla misura è necessario registrarsi ai servizi online di Invitalia indicando un indirizzo di posta elettronica ordinario, compilare online la domanda e caricare il business plan e gli allegati. Per tutta la procedura è necessario disporre di firma digitale e di un indirizzo di posta elettronica certificata (PEC). Al termine della compilazione del piano di impresa e dell’invio telematico della domanda e dei relativi allegati, verrà assegnato un protocollo elettronico.

Ricordiamo inoltre che non ci sono scadenze né graduatorie. Invitalia valuta le domande in base all’ordine di arrivo, fino ad esaurimento dei fondi. Ogni valutazione prevede una verifica formale e una valutazione di merito, compreso il colloquio con gli esperti di Invitalia, e si conclude in 60 giorni, salvo eventuali richieste di integrazione dei documenti.

I NUMERI DI SMART&START ITALIA

La misura del MISE è partita con la sua prima edizione, dedicata alle sole regioni del Mezzogiorno, il 4 settembre 2013 per rinnovarsi il 16 febbraio 2015 con l’allargamento della platea a tutte le startup innovative d’Italia. Fino ad oggi sono 1.007 le startup innovative finanziate mettendo in campo 340 milioni di agevolazioni concesse che hanno contribuito a creare tanti nuovi posti di lavoro, 5.504 per la precisione.

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La Popolare di Bari e quelle azioni vendute senza contratto

La storia di un socio che dal 2009 al 2013 ha investito tutti i suoi risparmi in titoli dell'istituto. Un'operazione da 105 mila euro. Per cui è stato risarcito cinque mesi prima del commissariamento della banca.

Obbligazioni ed azioni vendute senza nemmeno che esistesse un contratto. È uno dei casi, ma non il solo, per cui l’arbitro per le controversie finanziarie ha dato ragione a uno dei soci della Banca Popolare di Bari in uno dei tanti ricorsi – sono 200 i fascicoli nelle mani solo di Confconsumatori Puglia, e 26 mila su 70 mila il numero dei soci il cui profilo di rischio presenta delle irregolarità – presentati contro l’istituto di credito gestito per 40 anni da Marco Jacobini e appena commissariato. La decisione del collegio, di cui Lettera43.it ha preso visione, è stata adottata il 16 luglio di quest’anno, e cioè cinque mesi prima del commissariamento dalla banca, e mostra bene le pratiche sanzionate dalla Consob con le multe comminate a tutti i vertici dell’istituto nell’ottobre del 2018.

UNA BANCA «SANA» AL LIVELLO DI LEHMAN BROTHERS

Il signor V. N. L. che si è rivolto ai giudici è un socio di lungo corso, di quelli che per 10 anni hanno riposto fiducia in quello che si presentava come il «primo istituto del Mezzogiorno», o una «banca sana», come ostentava l’attuale ministro per le Politiche regionali Francesco Boccia in una intervista del 2017 ancora presente sul suo sito. E che invece già un anno fa, nel 2018, aveva un rapporto tra i crediti deteriorati e gli attivi pari a quelli della Lehman Brothers del 2008, come ha commentato in questi giorni in cui tutto è stato portato agli onori delle cronache il professore Francesco Daveri dell’Università Bocconi. Dunque, mentre un ministro difendeva di fronte alla stampa la solidità di un istituto incapace di risollevarsi dalle perdite, un socio si fidava di chi gli aveva offerto un investimento.

TUTTO IL CAPITALE INVESTITO IN TITOLI ILLIQUIDI

Peccato che l’investimento offerto al signor V. N. L. fosse tutto nell’interesse della banca. A partire dal fatto che lui, con una consorte invalida civile al 100%, non avesse «una situazione finanziaria idonea a sostenere l’acquisto» degli strumenti finanziari offerti dall’istituto, e cioè azioni e obbligazioni convertibili per un valore di circa 105 mila euro. E che gli acquisti compiuti tra 2009 e 2013 fossero stati giustificati dalla banca con un questionario del 2016 che mostrava un profilo di rischio basato sugli acquisti precedenti e che l’arbitro ha rigettato perché appunto posteriore alle compravendite, prendendo in considerazione i questionari degli anni precedenti. Per di più, le operazioni iniziate nel 2009 non poggiavano nemmeno su un contratto, erano state raccomandate dalla banca, comportamento vietato perché in conflitto di interessi. E soprattutto rappresentavano il solo investimento del cliente.

In sostanza, la banca aveva suggerito la concentrazione di tutto il capitale da investire nei suoi titoli, un comportamento che di per sé suggerisce che l’operazione sia stata raccomandata

In sostanza, la banca aveva suggerito la concentrazione di tutto il capitale da investire nei suoi titoli, un comportamento che di per sé suggerisce che l’operazione sia stata raccomandata. Alla fine V. N. L ha visto accolto il suo ricorso e riconosciuto il risarcimento danni, ma quanti altri come lui sono stati truffati lo si scoprirà solo quando la magistratura farà luce sul buco nero di Popolare di Bari.

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Il nuovo allarme di Dombrovskis sul deficit dell’Italia

Intervistato da La Stampa il vice presidente Dombrovskis ha messo in guardia il governo sui conti pubblici: «Riportare i parametri in linea con quanto previsto dal Patto di Stabilità e Crescita».

«L’Italia è a rischio di non conformità con le regole Ue, sia per quest’anno che per il prossimo. Per questo chiediamo di riportare il deficit in linea con quanto previsto dal Patto di Stabilità e Crescita», la mazzata è arrivata da Valdis Dombrovskis, vice-presidente esecutivo della Commissione europea con responsabilità su tutti i portafogli economici, in un’intervista a La Stampa.

LA COMMISSIONE VUOLE NUOVI STRUMENTI D’AZIONE

«In passato abbiamo proposto sanzioni per Paesi con alto deficit, ma poi parlamento e Consiglio le hanno respinte». Per questo, ha spiegato Dombrovskis, la possibilità che la Commissione abbia nuovi strumenti per intervenire con maggiore efficacia «sarà certamente uno dei temi da discutere nel contesto della revisione del Two Pack e del Six Pack», cioè i regolamenti introdotti nel Patto di Stabilità e Crescita. «Al momento prevediamo una revisione non legislativa, ma lanceremo una discussione», ha aggiunto.

VERSO LA REVISIONE DEI PARAMETRI UE

«Ci sono diverse questioni sul tavolo: gli aspetti legati al Green Deal, la semplificazione delle regole, ma anche un meccanismo rafforzato per la loro applicazione». Ci sono alcuni Stati che vogliono più flessibilità, altri che chiedono maggiore disciplina di bilancio. Se ne esce soltanto trovando un accordo. Per questo dico che non si può andare ad aprire il tema delle regole di bilancio, se non c’è la ragionevole possibilità di concludere il lavoro con un risultato migliore rispetto al punto di partenza». Tuttavia, ha aggiunto, «ci sono alcuni elementi su cui molti Stati sembrano essere d’accordo. Per esempio sulla necessità di abbandonare alcuni indicatori come il deficit strutturale».

DOMBROVSKIS: «SERVE CAUTELA SULLA FLESSIBILITÀ»

Sulla possibilità di scorporare gli investimenti green dal deficit, «già oggi abbiamo una clausola di flessibilità per gli investimenti cofinanziati dall’Ue, l’abbiamo introdotta nel 2015. Si può discutere se estenderla a quelli green, ma in ogni caso bisogna essere molto cauti sui limiti da non superare: va garantita la sostenibilità di bilancio», ha aggiunto il vice presidente, che sul Mes ha eslcuso l’ipotesi di un rinvio a giugno: «I negoziati sono già in una fase avanzata. Sono emerse alcune preoccupazioni ‘last minute’ dall’Italia e bisogna vedere come affrontarle nel modo migliore. Ma in ogni caso credo che nel giro di un paio di mesi si troverà un accordo».

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Il Cda di CDP approva nuove misure a sostegno degli Enti Locali

In particolare i provvedimenti verteranno sulle nuove modalità di utilizzo dei risparmi provenienti dalle rinegoziazioni e il pagamento differito delle rate dei mutui concessi al Comune di Genova.

Il Consiglio di amministrazione di Cassa Depositi e Prestiti, riunitosi oggi, ha approvato due nuove misure finalizzate ad erogare risorse per gli enti locali, con l’obiettivo di garantire una maggiore flessibilità finanziaria e contribuire al superamento dello stato di emergenza della Città di Genova.

RINEGOZIAZIONE DEI MUTUI PER MAGGIORE FLESSIBILITÀ FINANZIARIA

Il Cda ha autorizzato nuove modalità di utilizzo dei risparmi provenienti dall’ adesione alle operazioni di rinegoziazione 2019 dei mutui concessi alle Città Metropolitane, e ai Comuni capoluogo di Regione o sede di Area Metropolitana. Le somme, precedentemente vincolate all’estinzione degli eventuali derivati e alla realizzazione degli investimenti, ora possono essere utilizzate senza vincolo di destinazione. La misura approvata potrà consentire una maggiore flessibilità finanziaria a beneficio degli enti fornendo loro un ausilio per il superamento delle rigidità di bilancio. L’iniziativa rientra nell’ambito delle attività di CDP a supporto degli enti nella gestione del proprio debito.

RATE DEI MUTUI DILAZIONATE SENZA ULTERIORI INTERESSI

Il Cda ha approvato il differimento, senza addebito di ulteriori interessi, delle rate in scadenza nel 2020 dei mutui concessi da CDP al Comune di Genova. Con tale misura, in linea con la proroga dello stato di emergenza approvato dal Governo nel luglio scorso, CDP fornisce un ulteriore supporto al Comune per superare le criticità conseguenti al crollo del viadotto Polcevera contribuendo, più in generale, al potenziamento dei collegamenti viari del territorio ligure. Il differimento del pagamento delle rate dei Prestiti in scadenza nel 2020 consentirà di liberare risorse finanziarie da destinare prioritariamente al superamento della fase di emergenza, alla ricostruzione delle aree colpite dal crollo del viadotto e alla realizzazione di iniziative per il rilancio del territorio.

Le misure approvate oggi riflettono l’attenzione posta da CDP a supporto dello sviluppo sostenibile dei territori quale volano della crescita e del benessere del Paese. L’attività del Gruppo è stata infatti ridisegnata in funzione delle esigenze delle comunità locali, attraverso un rinnovato sostegno alle pubbliche amministrazioni e alle imprese.

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Sull’Ilva Arcelor Mittal attacca la demagogia all’italiana

Il gruppo franco indiano definisce il ricorso dei commissari contro la procedura di retrocessione dei rami d'azienda «intriso di considerazioni politiche e demagogiche». E le condotte delle autorità pubbliche «altalenanti e imprevedibili».

La difesa di Arcelor Mittal depositata dai legali della multinazionale è un attacco frontale allo Stato italiano e ai suoi rappresentanti commissari dell’ex Ilva. Il gruppo franco indiano ha chiesto di sciogliere il contratto di acquisizione degli stabilimenti. Secondo fonti vicine al dossier, più che una mossa ‘aggressiva’ l’iniziativa del gruppo franco-indiano sarebbe da interpretare come un passaggio procedurale obbligato visto che non c’è ancora un’intesa nelle trattative per arrivare ad un accordo di principio sui temi principali. Eppure, nelle 57 pagine della memoria depositata, i toni usati sono tutt’altro che concilianti.

«IL RICORSO? TUTTO POLITICA E PRESSIONE MEDIATICA»

Secondo la multinazionale, il ricorso dei commissari contro la procedura di retrocessione dei rami d’azienda, è «intriso di considerazioni politiche e demagogiche, tenta chiaramente di cavalcare l’onda della pressione mediatica e istituzionale che è montata negli ultimi mesi». Ed ancora riferendosi allo scudo penale rimosso: non si può «indurre una società a effettuare un enorme investimento perché ha confidato su un’apposita norma di legge e poi cambiare le ‘regole del gioco durante l’esecuzione del contratto». Dopo aver «investito 345 milioni di euro» e aver «dismesso rilevanti beni in conformità alle indicazioni della Commissione europea ed esattamente eseguito il contratto per oltre un anno», il gruppo franco-indiano sostiene di essersi trovato «in una situazione completamente diversa da quella concordata a causa di decisioni e condotte altalenanti e imprevedibili di autorità pubbliche e soggetti istituzionali»

IL RISCHIO DI SPEGNERE GLI ALTRI DUE ALTIFORNI

In più, «è vero che lo stabilimento Ilva è un bene di interesse strategico nazionale», «è altrettanto vero, però, che il rilievo strategico attribuito a uno stabilimento industriale non può essere strumentalizzato» per imporre a un investitore di «continuare a svolgere l’attività produttiva come se nulla fosse e di accettare assurdamente il rischio di responsabilità penali che erano state escluse al momento e proprio in funzione del suo investimento». Nell’atto si parla anche dell’altoforno 2, ritenuto «vitale per l’impianto di Taranto» sostenendo che il suo spegnimento imporrebbe «di spegnere anche gli altri due altiforni attivi perché hanno caratteristiche tecniche analoghe».

IL 30 DICEMBRE IL RIESAME SULL’ALTOFORNO

A. Mittal sottolinea che la magistratura penale ha stabilito «che l’omessa esecuzione delle prescrizioni non è imputabile» alla multinazionale ma «ad ‘anni di inadempimento colpevole‘ dei commissari dell’ex Ilva». Sulla vicenda di Afo2, si attende ora la fissazione dell’udienza da parte del Tribunale del riesame di Taranto. La prima data utile potrebbe essere il 30 dicembre. L’altra, il 7 gennaio 2020, sarebbe troppo ravvicinata all’ultima fase delle operazioni di spegnimento già avviate su disposizione del giudice Francesco Maccagnano, che ha respinto la proroga della facoltà d’uso. Intanto, prosegue la trattativa tra governo e azienda, ma c’è un punto non ancora risolto: la mancata definizione dell’entità, della misura e della modalità degli interventi degli eventuali soggetti pubblici e privati italiani che potrebbero entrare nell’operazione per rivitalizzare il polo siderurgico italiano.

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Le vere cause della bancarotta della Popolare di Bari

Parlare di «fallimento della logica di mercato» è un controsenso: il crack è arrivato, come sempre, per colpa di chi ha agito al di fuori delle regole della compravendita. E di chi gli ha permesso di farlo.

Da Taranto a Bari ci sono meno di 90 chilometri. Due città colpite duramente da vicende economiche rilevanti: la crisi Ilva, con annessa questione spegnimento altiforni da parte di ArcelorMittal e Banca Popolare di Bari di cui Bankitalia ha dovuto avviare (l’ennesimo) commissariamento.

IL PROBLEMA NON È IL MERCATO

Il commento che si sente più spesso fare, quando assistiamo a una bancarotta, è che si tratta di un «fallimento della logica di mercato». Un ragionamento che parla direttamente ad un ventre ferito, lacerato da una ferita fresca che reclama una cura, ma si tratta di un ragionamento che è un vero controsenso. La logica di mercato è tale proprio perché prevede che le cose che non funzionano falliscano. «Follow the money» si ripete più volte nel film Tutti gli uomini del presidente, che racconta – tra l’altro – il mestiere del giornalismo investigativo, un processo lungo e noioso pieno di vicoli ciechi e compiti monotoni, ma che risulta necessario per non delegare ai lettori l’intero percorso.

UNA CRISI CHE ARRIVA DA LONTANO

La situazione della Banca Popolare di Bari era critica da molto tempo, almeno dal 2010 quando iniziarono a girare insistenti voci sull’utilizzo delle sue risorse; non era buona nemmeno quando lo Stato le chiese di intervenire in “salvataggio” di Banca Tercas (Cassa di Teramo), la quale – va ricordato – fu fatta acquisire dalla Pop Bari quando era già in amministrazione controllata, ma nonostante il regime di commissariamento era riuscita comunque a generare esigenze di bilancio.

IL VALORE DELLE AZIONI DETERMINATO DALLA BANCA STESSA

Esigenze che la Popolare di Bari ha “risolto” come molte altre volte (e come molte altre banche: Pop Bari è infatti la dodicesima banca italiana che salta dal 2015), facendosi sottoscrivere nuove azioni da correntisti ignari o con operazioni “baciate” (sottoscrizione di azioni in contropartita a finanziamenti offerti dalla banca stessa), tutte pratiche realizzabili solo “grazie” al fatto che le azioni della banca non sono quotate, non hanno un prezzo di mercato e ai correntisti veniva così comunicato il “valore” delle azioni determinato dalla banca stessa. Esattamente come fecero le banche Venete a loro tempo.

LO SCHEMA RICORRE DI BANCA IN BANCA

A conferma di ciò, il caso Banca Etruria è emblematico: visto che la banca era quotata, invece di raccogliere sottoscrittori sulle azioni, venivano emesse obbligazioni non quotate e fatte sottoscrivere agli ignari clienti della banca stessa. Lo schema è ricorrente: l’abuso verso i correntisti si è perpetrato sempre e solo attraverso gli strumenti non di mercato. Quando Pop Bari ha usato strumenti di mercato, emettendo prestiti obbligazionari subordinati, si sono trovati sottoscrittori di dubbia identità come veicoli di diritto maltese della cui consistenza patrimoniale nulla si sa.

INACCETTABILE L’INDIGNAZIONE DELLA POLITICA

È normale che il comune cittadino “scopra” ora, con l’annuncio del decreto da parte del governo, che la Banca Popolare di Bari entri a far parte dell’elenco delle banche fallite, molto meno normale (anzi inaccettabile) che i protagonisti della politica facciano i consueti proclami e “J’accuse”. Sono tanti e di vario colore i governi che abbiamo avuto dal 2010, nessuno ha mai voluto fare qualcosa sulle banche che sono poi fallite.

LO SCARICABARILE DI CHI GOVERNA

Ogni governo spera che il cerino rimanga in mano a qualcun altro (il che offre anche l’opportunità di denunciare, dall’opposizione, lo scandalo), ma questo accade perché il consenso popolare premia questi comportamenti. La Banca Popolare di Bari è stata esentata dall’adeguarsi alle regole imposte per le Popolari, che le obbligava a trasformarsi in SpA. La bancarotta della banca pugliese, come quella delle banche venete, non è il fallimento della logica di mercato, ma il fallimento di chi ha agito al di fuori del perimetro delle regole di mercato. E l’ha fatto perché gli è stato permesso di farlo.

LE SOLUZIONI NON RISOLVONO MAI LE CAUSE

Ancora oggi, alla dodicesima banca dell’elenco, la soluzione che viene proposta è un misto di statalismo, interventismo, idee come la creazione di una banca d’investimenti pubblica per il Sud, tutto ignorando deliberatamente che l’efficacia delle politiche per lo sviluppo del Mezzogiorno si è dimostrata nulla, se non addirittura negativa, trascurando che il caso di Tercas ci ha già insegnato che una banca commissariata può continuare ad allargare il buco che si è scavata. Invochiamo l’intervento di uno Stato risolutore, come se gli organismi pubblici di vigilanza fossero al di sopra di ogni dubbio.

NON LASCIARE AL MANAGEMENT LA POSSIBILITÀ DI AGIRE FUORI DAL MERCATO

Quella che emerge, in questa vicenda, è l’ennesima richiesta di un risolutore che si faccia carico dei problemi e li possa sgarbugliare. Ma ciò che ha permesso il realizzarsi di questo ennesimo caso che coinvolge correntisti, risparmiatori, dipendenti e contribuenti, è la facoltà data al management di agire al di fuori della disciplina di mercato. La confusione che viene alimentata è fra le vicende delle persone coinvolte e le regole di sistema: dietro l’intento nobile di voler proteggere le persone dagli eventi, si nasconde la mancata assunzione di responsabilità, e promettere come soluzione l’intervento pubblico per sterilizzare gli effetti della logica di mercato è, nella migliore delle ipotesi, l’errore del medico clemente che – nella vecchia massima – fa la piaga purulenta.

LE LEZIONI DELLA STORIA E LE RESPONSABILITÀ DEI SINGOLI

La Storia ci ha già insegnato che quando un lato del mondo aspettava da Mosca l’indicazione di quanto grano seminare perché tutte le informazioni e le decisioni erano accentrate, un’altra parte del mondo consentiva ad ognuno di provare a fare ciò che riteneva, assumendosene benefici e rischi. Uno dei due sistemi ha dovuto cedere il passo all’altro, riconoscendogli maggiore efficienza, riconoscendogli il ruolo di miglior generatore e distributore di prosperità. Ragionare di quale sistema sia migliore su base aggregata è diverso dal discutere degli alti e bassi del destino di singoli individui, ma un’offerta politica sana e affidabile si occuperebbe di presentare proposte per generare e distribuire prosperità e benessere, cercando – con i dovuti ammortizzatori – di tutelare le persone che vivono delle difficoltà, anziché sfruculiarle per cavare consenso dai loro drammi personali.

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Reddito e pensione di cittadinanza valgono in media 484 euro

In Campania sale a 554 euro. Ma per oltre 200 mila destinatari la somma percepita si ferma a 200 euro.

Reddito e Pensione di cittadinanza per oltre un milione di nuclei. L’importo per famiglia viaggia sui 484 euro, con un massimo in Campania, dove sale a 554 euro. Ma per oltre 200 mila destinatari la somma percepita si ferma a 200 euro.È il quadro che emerge dall’Osservatorio dell’Inps sulla misura introdotta con la manovra dal precedente governo M5s-Lega, con i dati aggiornati all’inizio di dicembre. Tra aprile e novembre sono 1.066.000 le domande di Reddito e Pensione di cittadinanza (il beneficio riconosciuto agli over 67) accolte dall’Istituto di previdenza, ma di queste 51.681 sono decadute e quindi le famiglie beneficiarie di Reddito (890.756) e Pensione di cittadinanza (123.673) sono nel complesso 1.014.429. Le richieste respinte sono 444.494, mentre oltre 112.000 risultano in lavorazione.

A NAPOLI E PROVINCIA QUASI 120 MILA BENEFICIARI

È il Sud che continua a prevalere e Napoli risulta la provincia con più percettori di Reddito e Pensione di cittadinanza con quasi 120.000 beneficiari (118.193): tanto che il capoluogo campano risulta avere più beneficiari rispetto all’insieme di Lombardia (84.952) e Veneto (30.531). Nel complesso, la Campania ne conta quasi 200.000 (196.494) concentrando quasi un quinto di tutti i percettori in Italia. Se si guardano gli importi, la somma varia in base al numero dei componenti ma la gran parte degli ‘assegni’ per le famiglie si ferma sotto i 600 euro. anche considerando che in media la somma pagata per la Pensione di cittadinanza è decisamente più bassa del Reddito (219 euro euro contro 522). Oltre il 20% dei nuclei beneficiari del Reddito o della Pensione di cittadinanza percepisce una somma fino a 200 euro: si tratta di oltre 207 mila nuclei (207.372) rispetto al totale che supera un milione (1.014.429).

1200 EURO AD OLTRE 5MILA NUCLEI

All’opposto, ad oltre 5 mila nuclei (5.226) vengono corrisposti oltre 1.200 euro. Quasi 177 mila nuclei (176.956) percepiscono tra i 200 e i 400 euro; oltre 303 mila (303.854) tra i 400 e i 600 euro. Sommando quindi queste fasce più basse, emerge che 688.182 nuclei arrivano fino a 600 euro, ovvero il 67,8% del totale. Le altre classi di importo più alte sono meno numerose: quasi 185 mila (184.097) si collocano tra i 600 e gli 800 euro; 100.962 tra 800 e mille euro; 35.962 tra mille e 1.200 euro. Nel complesso, dai 600 euro ad oltre 1.200 euro ci sono quindi 326.247 nuclei, il 32,1% del totale.

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Non solo cannabis light: la manovra esce col lifting

Il Senato approva la Finanziaria con 166 sì e 128 no. Che però è trasformata. Quindici norme stralciate, a partire dalla legalizzazione della canapa. E po i 3 miliardi in meno di tasse sul lavoro, ma anche plastic e sugar tax e nuove clausole Iva.

Il primo sì è finalmente arrivato. Il Senato ha dato il via libera alla fiducia sulla legge di bilancio con 166 voti favorevoli e 128 no. Gianluigi Paragone, del M5s, come annunciato ha votato no. Al momento della proclamazione del voto, la maggioranza in Aula ha applaudito.

LEGGI ANCHE: La manovra blindata approvata dal Senato

STRALCIATE IN EXTREMIS 15 NORME

A due mesi esatti dal Consiglio dei ministri che la varò, la manovra riceve il primo via libera parlamentare. Il Senato la approva con voto di fiducia dopo settimane assai turbolente, lo stralcio in extremis di 15 norme e una settantina di correzioni finali. Fa discutere la decisione di Elisabetta Casellati di dichiarare inammissibile la norma per legalizzare la cannabis leggera: il centrodestra la applaude, maggioranza e governo protestano e il M5s chiede le dimissioni da presidente del Senato. Il testo deve ora essere approvato dalla Camera blindato, senza più modifiche, per essere approvato a ridosso del Natale. Salvo imprevisti, la manovra non cambia più: passa senza la legalizzazione della canapa, con lo stop all’aumento dell’Iva, con un taglio da 3 miliardi delle tasse per i lavoratori, con plastic e sugar tax ma anche con una nuova tegola da 47 miliardi di aumenti di Iva e accise nel 2021 e nel 2022 che dovranno essere disinnescati.

SÌ CONVINTO DI PD E LEU, SALVINI CONTRO LO “STATO SPACCIATORE”

Il voto del Senato sulla manovra arriva con il “sì convinto” di Pd e Leu, con un sì con riserva di Iv e con un sì condito da qualche mal di pancia per i Cinque stelle: una manciata di senatori 5s fino all’ultimo si mostra in dubbio se partecipare al voto e Gianluigi Paragone vota no. In Aula il clima si surriscalda davvero solo a inizio di seduta, quando Casellati dichiara inammissibili 15 norme, tra cui quella introdotta da un emendamento M5s che avrebbe l’effetto di legalizzare la cannabis light. Il centrodestra applaude il presidente. La maggioranza protesta: «una scelta tecnica» perché le norme ordinamentali non possono andare in manovra, se questa misura per voi è importante fatevi un disegno di legge“, ribatte il presidente. “Ci tengo a ringraziarla ‘tecnicamente’ per aver evitato la vergogna dello Stato spacciatore”, sorride Matteo Salvini.

IL M5S CHIEDE LE DIMISSIONI DI CASELLATI

Dal governo il ministro Federico D’Incà protesta con garbo: “Rispetto la decisione ma sono amareggiato, non era una liberalizzazione ma una regolamentazione del mercato della canapa”. Il capogruppo Pd Andrea Marcucci dice di “non capire” la scelta. Il M5s, con Giuseppe Brescia, chiede le dimissioni di Casellati. E per tutto il giorno i senatori continuano ad accapigliarsi sul tema. “Drogato!”, urla Ignazio La Russa a un senatore M5s. Mentre Loredana De Petris sfida tutti i senatori del centrodestra a fare un test antidroga dopo le vacanze. Il viceministro 5s Stefano Buffagni sfida Salvini: “Facciamo il test, non solo sulla cannabis”. Intanto però la norma salta. Il vaglio finale della Ragioneria dello Stato sul maxi emendamento su cui il governo mette la fiducia porta anche altre novità. Sono circa 70 le norme che vengono cambiate in extremis per errori di forma o mancanza di coperture. Salta il rinvio da luglio 2020 a gennaio 2022 della fine del mercato tutelato per l’energia e salta anche la sospensione del reddito di cittadinanza in caso di lavori brevi, così come l’estensione ai pediatri dei fondi per avere macchinari per gli esami in studio.

ZINGARETTI RIVENDICA: MANOVRA SALVA ITALIA

Nicola Zingaretti a nome del Pd mette l’accento su quanto di buono si è fatto: “E’ una manovra ‘Salva Italia’ e il risultato sul piano economico è positivo: l’obiettivo, con fatica, è stato raggiunto ed è utile per chiudere una stagione e aprirne una che ridia speranza”. Molto più critici i toni di Matteo Renzi, che prende la parola nell’Aula del Senato e – citando implicitamente una vecchia frase del premier Giuseppe Conte – dice che “non è stato un anno bellissimo”. Poi annuncia già la prossima battaglia in Parlamento per abolire la sugar tax e la plastic tax (che è stata già ridotta e rinviata, portando alle casse dello stato non più 1 miliardo ma 140 milioni). Poi attacca: “Il 2020 è l’anno delle scelte: il governo deve cambiare passo”. Per ora, denuncia dall’opposizione Emma Bonino: “Non c’è stata discontinuità: è una pseudofarsa indecorosa, come l’anno scorso fece il Conte 1, per rispetto del Parlamento non voto”.(ANSA).

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Non solo cannabis light: la manovra esce col lifting

Il Senato approva la Finanziaria con 166 sì e 128 no. Che però è trasformata. Quindici norme stralciate, a partire dalla legalizzazione della canapa. E po i 3 miliardi in meno di tasse sul lavoro, ma anche plastic e sugar tax e nuove clausole Iva.

Il primo sì è finalmente arrivato. Il Senato ha dato il via libera alla fiducia sulla legge di bilancio con 166 voti favorevoli e 128 no. Gianluigi Paragone, del M5s, come annunciato ha votato no. Al momento della proclamazione del voto, la maggioranza in Aula ha applaudito.

LEGGI ANCHE: La manovra blindata approvata dal Senato

STRALCIATE IN EXTREMIS 15 NORME

A due mesi esatti dal Consiglio dei ministri che la varò, la manovra riceve il primo via libera parlamentare. Il Senato la approva con voto di fiducia dopo settimane assai turbolente, lo stralcio in extremis di 15 norme e una settantina di correzioni finali. Fa discutere la decisione di Elisabetta Casellati di dichiarare inammissibile la norma per legalizzare la cannabis leggera: il centrodestra la applaude, maggioranza e governo protestano e il M5s chiede le dimissioni da presidente del Senato. Il testo deve ora essere approvato dalla Camera blindato, senza più modifiche, per essere approvato a ridosso del Natale. Salvo imprevisti, la manovra non cambia più: passa senza la legalizzazione della canapa, con lo stop all’aumento dell’Iva, con un taglio da 3 miliardi delle tasse per i lavoratori, con plastic e sugar tax ma anche con una nuova tegola da 47 miliardi di aumenti di Iva e accise nel 2021 e nel 2022 che dovranno essere disinnescati.

SÌ CONVINTO DI PD E LEU, SALVINI CONTRO LO “STATO SPACCIATORE”

Il voto del Senato sulla manovra arriva con il “sì convinto” di Pd e Leu, con un sì con riserva di Iv e con un sì condito da qualche mal di pancia per i Cinque stelle: una manciata di senatori 5s fino all’ultimo si mostra in dubbio se partecipare al voto e Gianluigi Paragone vota no. In Aula il clima si surriscalda davvero solo a inizio di seduta, quando Casellati dichiara inammissibili 15 norme, tra cui quella introdotta da un emendamento M5s che avrebbe l’effetto di legalizzare la cannabis light. Il centrodestra applaude il presidente. La maggioranza protesta: «una scelta tecnica» perché le norme ordinamentali non possono andare in manovra, se questa misura per voi è importante fatevi un disegno di legge“, ribatte il presidente. “Ci tengo a ringraziarla ‘tecnicamente’ per aver evitato la vergogna dello Stato spacciatore”, sorride Matteo Salvini.

IL M5S CHIEDE LE DIMISSIONI DI CASELLATI

Dal governo il ministro Federico D’Incà protesta con garbo: “Rispetto la decisione ma sono amareggiato, non era una liberalizzazione ma una regolamentazione del mercato della canapa”. Il capogruppo Pd Andrea Marcucci dice di “non capire” la scelta. Il M5s, con Giuseppe Brescia, chiede le dimissioni di Casellati. E per tutto il giorno i senatori continuano ad accapigliarsi sul tema. “Drogato!”, urla Ignazio La Russa a un senatore M5s. Mentre Loredana De Petris sfida tutti i senatori del centrodestra a fare un test antidroga dopo le vacanze. Il viceministro 5s Stefano Buffagni sfida Salvini: “Facciamo il test, non solo sulla cannabis”. Intanto però la norma salta. Il vaglio finale della Ragioneria dello Stato sul maxi emendamento su cui il governo mette la fiducia porta anche altre novità. Sono circa 70 le norme che vengono cambiate in extremis per errori di forma o mancanza di coperture. Salta il rinvio da luglio 2020 a gennaio 2022 della fine del mercato tutelato per l’energia e salta anche la sospensione del reddito di cittadinanza in caso di lavori brevi, così come l’estensione ai pediatri dei fondi per avere macchinari per gli esami in studio.

ZINGARETTI RIVENDICA: MANOVRA SALVA ITALIA

Nicola Zingaretti a nome del Pd mette l’accento su quanto di buono si è fatto: “E’ una manovra ‘Salva Italia’ e il risultato sul piano economico è positivo: l’obiettivo, con fatica, è stato raggiunto ed è utile per chiudere una stagione e aprirne una che ridia speranza”. Molto più critici i toni di Matteo Renzi, che prende la parola nell’Aula del Senato e – citando implicitamente una vecchia frase del premier Giuseppe Conte – dice che “non è stato un anno bellissimo”. Poi annuncia già la prossima battaglia in Parlamento per abolire la sugar tax e la plastic tax (che è stata già ridotta e rinviata, portando alle casse dello stato non più 1 miliardo ma 140 milioni). Poi attacca: “Il 2020 è l’anno delle scelte: il governo deve cambiare passo”. Per ora, denuncia dall’opposizione Emma Bonino: “Non c’è stata discontinuità: è una pseudofarsa indecorosa, come l’anno scorso fece il Conte 1, per rispetto del Parlamento non voto”.(ANSA).

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La ristrutturazione di Alitalia la fa il commissario, ma deve piacere a Lufthansa

Atteso al Mise il nuovo amministratore Leogrande. A cui è affidata la riorgnizzazione della compagnia. Che però guarda a Lufthansa come solo partner possibile

Lufthansa resta a bordo per il salvataggio di Alitalia: il governo ha ufficialmente aperto al controllo straniero e ora il piano per rilanciare la compagnia di bandiera deve vedere la luce. Con il super commissario Giuseppe Leogrande che domani farà il suo esordio al tavolo al Mise convocato dal ministro Patuanelli con i sindacati, si attende di capire come si tradurrà nei prossimi mesi la nuova rotta della compagnia, all’insegna della riorganizzazione, dopo due anni e 7 mesi di inutili tentativi di vendita.

I TEDESCHI: GIUSTO PARTNER, GIUSTA RISTRUTTURAZIONE

La prima indicazione l’ha data il Governo aprendo al controllo straniero. Si pensa sempre a Lufthansa, che con tempismo torna a farsi sentire, suggerendo la propria ricetta: giusto partner e giusta ristrutturazione. Una sorta di candidatura indiretta, che però resta vincolata a quello che per Francoforte è un imperativo: prima di investire, serve una compagnia ristrutturata e profittevole. «Perché Alitalia abbia un futuro di lungo termine, avere il giusto partner è importante quanto avere la giusta ristrutturazione», afferma il presidente e ceo di Lufthansa Carsten Spohr parlando ad alcuni giornalisti italiani. «Questa è la mia logica quando ho parlato ai player italiani nelle scorse settimane. Altrettanto importante» è sapere che questi due fattori non possono andare «uno senza l’altro», prosegue il manager con la licenza da pilota, che dal maggio 2014 guida un Gruppo con oltre 135 mila dipendenti, un fatturato vicino ai 36 miliardi e che ha già acquisito altre compagnie europee in crisi come Swiss e Austrian airlines.

LUFTHANSA ASPETTA LE MOSSE DEL COMMISSARIO

Lufthansa è da anni con gli occhi puntati su Alitalia ma non ha mai cambiato il proprio mantra: prima la si ristruttura, poi vi si può iniettare denaro. Inoltre serve un partner, perché qualunque compagnia in Europa da sola è troppo piccola: quindi o si trovano tanti partner o se ne trova uno come Lufthansa che te ne garantisce tanti, ragionano a Francoforte, dove pensano invece che con Delta Alitalia verrebbe sacrificata. Quindi al momento l’ipotesi di comprare una quota di maggioranza di Alitalia va rimandata: l’interesse c’è ma prima va completamente ristrutturata. Nel frattempo la strada potrebbe essere quella di una partnership commerciale, che però difficilmente si concretizzerà a gennaio: i tedeschi vogliono prima vedere che la ristrutturazione la si sta facendo davvero, a quel punto si potrebbe guardare ad un accordo commerciale senza investire forse a maggio (il 31 scade il termine fissato dal decreto per la vendita). Su come questa ristrutturazione vada fatta l’idea dei tedeschi, che non intendono sostituirsi al neo commissario con il quale comunque avrebbero già preso dei primi contatti, parte da una considerazione: più si abbassano i costi, più le rotte diventano profittevoli e più servono posti di lavoro.

LO SCORPORO DELLE ATTIVITÀ DI VOLO

L’idea è che il numero giusto per Alitalia sarebbe una flotta di 90 aerei (dai 113 di fine 2019) che potrà in un secondo momento anche crescere, come già fatto con Swiss. Guardando al perimetro della nuova Alitalia, invece, i tedeschi pensano ad una newco con dentro attività di volo (passeggeri e cargo) e manutenzione di linea, asset che oggi impiegano più o meno 5-6000 dipendenti. Fuori invece il resto della manutenzione e l’handling, che comunque Francoforte considera un valore. Intanto mentre si attende la messa a punto della squadra di Leogrande, che starebbe preparando un tandem con Giancarlo Zeni come direttore generale, i sindacati guardano all’incontro di domani su Alitalia al Mise per capire le intenzioni del Governo. Domani parte anche la trattativa tra azienda e sindacati sulla nuova procedura di cigs per 1.180 dipendenti fino al 23 marzo 2020: accordo da raggiungere entro il 31 dicembre, quando scade l’attuale cassa.

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La ristrutturazione di Alitalia la fa il commissario, ma deve piacere a Lufthansa

Atteso al Mise il nuovo amministratore Leogrande. A cui è affidata la riorgnizzazione della compagnia. Che però guarda a Lufthansa come solo partner possibile

Lufthansa resta a bordo per il salvataggio di Alitalia: il governo ha ufficialmente aperto al controllo straniero e ora il piano per rilanciare la compagnia di bandiera deve vedere la luce. Con il super commissario Giuseppe Leogrande che domani farà il suo esordio al tavolo al Mise convocato dal ministro Patuanelli con i sindacati, si attende di capire come si tradurrà nei prossimi mesi la nuova rotta della compagnia, all’insegna della riorganizzazione, dopo due anni e 7 mesi di inutili tentativi di vendita.

I TEDESCHI: GIUSTO PARTNER, GIUSTA RISTRUTTURAZIONE

La prima indicazione l’ha data il Governo aprendo al controllo straniero. Si pensa sempre a Lufthansa, che con tempismo torna a farsi sentire, suggerendo la propria ricetta: giusto partner e giusta ristrutturazione. Una sorta di candidatura indiretta, che però resta vincolata a quello che per Francoforte è un imperativo: prima di investire, serve una compagnia ristrutturata e profittevole. «Perché Alitalia abbia un futuro di lungo termine, avere il giusto partner è importante quanto avere la giusta ristrutturazione», afferma il presidente e ceo di Lufthansa Carsten Spohr parlando ad alcuni giornalisti italiani. «Questa è la mia logica quando ho parlato ai player italiani nelle scorse settimane. Altrettanto importante» è sapere che questi due fattori non possono andare «uno senza l’altro», prosegue il manager con la licenza da pilota, che dal maggio 2014 guida un Gruppo con oltre 135 mila dipendenti, un fatturato vicino ai 36 miliardi e che ha già acquisito altre compagnie europee in crisi come Swiss e Austrian airlines.

LUFTHANSA ASPETTA LE MOSSE DEL COMMISSARIO

Lufthansa è da anni con gli occhi puntati su Alitalia ma non ha mai cambiato il proprio mantra: prima la si ristruttura, poi vi si può iniettare denaro. Inoltre serve un partner, perché qualunque compagnia in Europa da sola è troppo piccola: quindi o si trovano tanti partner o se ne trova uno come Lufthansa che te ne garantisce tanti, ragionano a Francoforte, dove pensano invece che con Delta Alitalia verrebbe sacrificata. Quindi al momento l’ipotesi di comprare una quota di maggioranza di Alitalia va rimandata: l’interesse c’è ma prima va completamente ristrutturata. Nel frattempo la strada potrebbe essere quella di una partnership commerciale, che però difficilmente si concretizzerà a gennaio: i tedeschi vogliono prima vedere che la ristrutturazione la si sta facendo davvero, a quel punto si potrebbe guardare ad un accordo commerciale senza investire forse a maggio (il 31 scade il termine fissato dal decreto per la vendita). Su come questa ristrutturazione vada fatta l’idea dei tedeschi, che non intendono sostituirsi al neo commissario con il quale comunque avrebbero già preso dei primi contatti, parte da una considerazione: più si abbassano i costi, più le rotte diventano profittevoli e più servono posti di lavoro.

LO SCORPORO DELLE ATTIVITÀ DI VOLO

L’idea è che il numero giusto per Alitalia sarebbe una flotta di 90 aerei (dai 113 di fine 2019) che potrà in un secondo momento anche crescere, come già fatto con Swiss. Guardando al perimetro della nuova Alitalia, invece, i tedeschi pensano ad una newco con dentro attività di volo (passeggeri e cargo) e manutenzione di linea, asset che oggi impiegano più o meno 5-6000 dipendenti. Fuori invece il resto della manutenzione e l’handling, che comunque Francoforte considera un valore. Intanto mentre si attende la messa a punto della squadra di Leogrande, che starebbe preparando un tandem con Giancarlo Zeni come direttore generale, i sindacati guardano all’incontro di domani su Alitalia al Mise per capire le intenzioni del Governo. Domani parte anche la trattativa tra azienda e sindacati sulla nuova procedura di cigs per 1.180 dipendenti fino al 23 marzo 2020: accordo da raggiungere entro il 31 dicembre, quando scade l’attuale cassa.

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Banche, il private via maestra della riscossa

Anche il 2019 è stato un anno positivo per i mercati ma non semplice per le banche alle prese con tassi negativi e margini sotto pressione. Tra gli esempi virtuosi: Banca Generali nel private banking che ritorna sul Ftse Mib e guida i rialzi delle banche.

I titoli del comparto bancario a Piazza Affari sono saliti di oltre il 20% quest’anno, attestandosi sopra i 9.400 punti. Ma guardando al loro andamento negli ultimi anni, il quadro che emerge resta sconfortante. Rispetto a 10 anni fa, il calo è ancora dei due terzi, mentre anche in raffronto ai picchi toccati nell’estate del 2015 si ottiene un -50%.

Le banche hanno dovuto fronteggiare la profonda recessione che ha colpito l’Italia e la lunghezza delle procedure di recupero hanno concorso a determinare un elevato livello di crediti deteriorati che hanno toccato il picco del 20% per gli istituti commerciali.

ECONOMIA ITALIANA DEBOLE

Una crisi che in alcuni momenti ha visto un credito su cinque deteriorato. Ora il rapporto è sceso a circa 1 su 25, ma solo perché nel frattempo sono state effettuate cessioni di cosiddetti Npl a veicoli esterni e si sono così “puliti” i bilanci.

Su tutto, poi, resta la debolezza cronica dell’economia italiana sullo sfondo di una realtà creditizia caratterizzata dai tassi negativi. Gli istituti non riescono a maturare margini sufficienti sui prestiti erogati, a causa dei bassi interessi imperanti in questa lunga fase di accomodamento monetario. Un quadro complesso, tanto che un recente report della società di consulenza Oliver Wyman si intitolava “Banche Italiane su un piano inclinato”.

Gian Maria Mossa, Amministratore Delegato di Banca Generali

RISULTATI RECORD PER BANCA GENERALI

Dunque, per risollevarsi è indispensabile rivedere i modelli di business tradizionali basati su sportelli e commissioni bancarie ormai considerate commodity, puntando di più sulla tecnologia e il risparmio gestito. La strada maestra ai modelli di business più competitivi e considerati sostenibili per il futuro la fornisce ancora una volta il mercato. Andando ad analizzare la lista dei titoli più comprati nel 2019 sul listino principale di Piazza Affari (Ftse Mib) troviamo tra le migliori banche non i grandi istituti commerciali ma una banca private come Banca Generali che è salita di oltre il 70% in termini di total return tornando nel listino principale della Borsa italiana al posto di Unipol Sai proprio con il riesame dei titoli di dicembre. La società guidata da Gian Maria Mossa ha aumentato gli utili del 44% nei 9 mesi e la raccolta si avvicina ai 5 miliardi nel 2019 confermano la solidità nella crescita in un business che ha saputo riorganizzare il modello d’offerta riducendo i costi e allargando i servizi di protezione patrimoniale. Il titolo risulta anche il migliore allargando lo sguardo agli ultimi 10 anno dove il guadagno sfiora il 950% avvantaggiandosi della forte crescita messa a segno nel periodo (le masse sono passate da meno di 20 miliardi a 67 nei 9 mesi del 2019).

Guardando sempre all’andamento delle banche quest’anno troviamo a debita distanza le performance di Intesa col 20% circa di guadagno, Fineco con un +25% e Unicredit con un +32% e Ubi con un +16%. A conferma che la strada del consolidamento e dell’efficienza operativa anche tra chi ha effettuato operazioni straordinarie è risultata in salita quest’anno e che la sfida della competitività per i prossimi anni si gioca sul terreno sì delle dimensioni, ma anche dell’efficienza operativa e dell’innovazione.

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La manovra alla prova del Senato, battaglia su cannabis light e tobin tax

La finanziaria approda a Palazzo Madama per il voto di fiducia. Opposizioni all'attacco: mancano 700 milioni. Meloni e Salvini contro lo "spaccio di Stato".

La manovra si avvicina a incassare il primo via libera del parlamento. Nel pomeriggio del 16 dicembre, al Senato, il governo affronterà il voto di fiducia sul maxiemendamento da 958 commi. Blindare il testo potrebbe però non essere sufficiente. Da Palazzo Chigi, nella giornata del 15 sono arrivate nuove rassicurazioni con la garanzia che le coperture «ci sono». Pochi i rilievi che sarebbero arrivati dalla Ragioneria dello Stato, ha detto il viceministro all’Economia Antonio Misiani. Due misure però continuano a essere in bilico: i nuovi paletti per la vendita della cannabis light e l’introduzione della Tobin tax. Ma altre potrebbero saltare.

PER LE OPPOSIZIONI MANCANO 700 MILIONI

A quattro giorni dall’approvazione in commissione Bilancio a Palazzo Madama del testo, continuano a rincorrersi le voci di un ‘buco’ che secondo le opposizioni sarebbe di circa “700 milioni” e anche di conseguenti slittamenti dell’esame. Conti che non corrisponderebbero alla realtà secondo la maggioranza. Ma ora la parola è passata alla presidenza di Palazzo Madama che deve pronunciarsi sulle ammissibilità delle decine di norme approvate nel corso dell’iter parlamentare.

LEGGI ANCHE: Cosa prevede l’emendamento sulla cannabis light

INAMMISSIBILI NORME SU CANNABIS E TOBIN TAX

Dopo una prima fase dei lavori la presidente del Senato Elisabetta Casellati ha comunicato all’Aula il giudizio di inammissiblità delle norme che riguardano la cannabis light, la tobin tax (che introduceva un’aliquota dello 0,04% su alcuni tipi di transazione finanziarie online) e lo slittamento da luglio 2020 al primo gennaio 2022 della fine del mercato tutelato per l’energia. Prima del dibattimento il M5s, che ha firmato con il senatore Matteo Mantero l’emendamento che riscrive la legge sugli stupefacenti ritoccando all’insù le percentuali di Thc per cui è legale la vendita di canapa, aveva chiesto “terzietà” dalla seconda carica dello Stato. Con conseguente replica: la presidenza del Senato rivendica il proprio ruolo di garanzia e sottolinea come le proprie valutazioni in questi casi non siano mai “politiche” ma solo “tecniche”.

POLEMICA TRA M5S E CASELLATI

Subito dopo l’annuncio in Aula è scoppiato il caos. Due esponenti del M5s hanno chiesto alla presidente Elisabetta Casellati di dimostrare che la scelta non sia stata frutto della «pressione della sua parte politica». Il presidente ha replicato spiegando che è stata una «decisione meramente tecnica», aggiungendo: «Se ritenete questa misura importante per la maggioranza fatevi un disegno di legge». «Ci tengo a ringraziare tecnicamente il presidente del Senato», ha detto Matteo Salvini, «a nome di tutte le comunità di recupero dalle dipendenze che lavorano in Italia e a nome delle famiglie italiane per aver evitato la vergogna dello Stato spacciatore».

LE REVISIONI CHIESTE DALLA RAGIONARIA DI STATO

La Ragioneria di Stato intanto ha chiesto una settantina di correzioni alle modifiche apportate dalla commissione Bilancio alla manovra. Tra le 39 misure sotto la lente per le coperture anche il ripristino delle sconto in fattura per eco e sismabonus per i condomini, mentre si chiede lo stralcio della sospensione del reddito di cittadinanza in caso di lavori brevi e dell’estensione ai pediatri dei fondi per avere macchinari per gli esami in studio. A queste si aggiunge la richiesta di correzioni definite “di drafting” per altre 29 norme. Le modifiche dovrebbero essere fatte proprie per intero dalla commissione Bilancio del Senato che poi dovrebbe proporre all’Aula il maxiemendamento corretto, compresi gli stralci chiesti dalla presidenza di Palazzo Madama. Alcuni dei rilievi della Rgs coincidono con quelli di Casellati, ad esempio sulla Tobin Tax, altre invece incidono sulla scrittura, o sulle coperture, di altre norme. Nel caso della sospensione, anziché la decadenza, dal reddito di cittadinanza quando i beneficiari trovino un lavoro a tempo determinato, nella relazione dei tecnici si legge che la norma «comporta maggiori oneri non quantificati né coperti» e che «la relazione tecnica pervenuta è incongrua e inadeguata»: per questo motivo la Ragioneria chiede lo “stralcio” della norma. Idem per i pediatri.

POSSIBILE TESTO BLINDATO ALLA CAMERA

Le norme da passare al vaglio sono comunque numerose: secondo una bozza del maxiemendamento, messi uno in fila all’altro, i commi della manovra sfiorano quasi i mille. E lo spettro degli interventi è davvero ampio: si va da decine di micronorme, che riguardano realtà locali, alla plastic e sugar tax passando per la tassa sulla fortuna; dai ritocchi alle accise sui carburanti alle misure legate alla riscossione degli enti locali. Qualsiasi decisione prendano alla fine i senatori, alla Camera non resterà che convalidare le scelte dell’altro ramo del parlamento: i tempi ormai sono troppo stretti per riaprire il dossier senza voler mettere a rischio i conti pubblici con l’esercizio provvisorio. Una scelta che è costata una lunga mediazione all’interno delle forze politiche e che si annuncia oggetto di nuove polemiche con le minoranze. La Lega ha già annunciato di voler ricorrere alla Consulta, così come fece il Partito democratico lo scorso anno: la strada imboccata da maggioranza e governo, è stata l’accusa, ha esautorato totalmente una Camera dei propri poteri.

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Il piano del governo per salvare la Banca Popolare di Bari

Novecento milioni di fondi dallo Stato tramite Invitalia e la creazione di un polo creditizio tra banche popolari del Sud.

Il salvataggio della Popolare di Bari sarà l’occasione per la creazione di un polo creditizio tra alcune banche popolari, una ‘Banca del Sud‘ in grado di fare massa per il rilancio dell’economia meridionale. Il decreto messo a punto dal governo prevede l’attribuzione di fondi fino a 900 milioni ad Invitalia, che li girerà alla sua controllata Mediocredito Centrale attraverso un aumento di capitale. Sarà quest’ultima, poi, ad entrare nel capitale della Popolare di Bari: un ingresso azionario che sarà affiancato dal ricorso allo strumento ‘privato’ messo in campo dal sistema bancario, cioè dal Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi (Fitd).

IL BRACCIO OPERATIVO DI INVITALIA

Il provvedimento d’urgenza predisposto dal ministero dell’Economia non parla e non cita mai la Popolare di Bari, anche se è chiaro che è stato proprio il precipitare degli eventi, con il commissariamento dell’istituto, a spingere i ministri a riunirsi di domenica. L’impegno economico è diretto a Invitalia, controllata al 100% dal ministero dell’Economia, che sempre di più si trasforma nel braccio operativo pubblico della politica economica e industriale del Paese, una sorta di nuova Iri.

Nell’infografica realizzata da Centimetri la scheda della Banca popolare di Bari. ANSA/CENTIMETRI

«Nuove frontiere della tecnica legislativa: nel titolo del decreto» sulla Popolare di Bari «si citano “misure per la realizzazione di una banca d’investimento” – manco fossimo a Wall Street – quando nel testo non si nomina neanche una volta una banca di investimento. L’impressione è che l’ossessione degli slogan stia debordando pure nei titoli dei decreti. Non c’è nulla di male a dire le cose come stanno: si sta ricapitalizzando la Banca popolare di Bari. Punto»: commentano fonti renziane, spiegando che la delegazione di Iv sarà in Cdm.

SOSTEGNO AL SISTEMA CREDITIZIO DEL SUD

Il disegno tracciato punta al sostegno del sistema del credito del Sud, che richiede la presenza di intermediari focalizzati sul territorio in grado di aiutare le famiglie e favorire la crescita delle imprese meridionali. Le risorse previste, per ora, arrivano a 900 milioni, cioè all’importo che è stato identificato come quello necessario per ricapitalizzare la Popolare di Bari e garantire la liquidità dell’istituto. Ma non è escluso che possa servire meno. Molto dipende dalle esigenze che emergeranno dalle verifiche che stanno compiendo i commissari e dall’intervento del Fitd, che riunirà il comitato di gestione il 18 dicembre e il consiglio il 20 dicembre, mercoledì e venerdì.

L’OPERAZIONE SULLO STAMPO DI CARIGE

L’operazione segue la falsa riga di quella Carige e trova precedenti anche in Germania e Francia, tanto da non temere rilievi dell’Ue. E punta ad aggregare anche altri intermediari. Si guarda per questo alla partecipazione di altre banche popolari del Sud per realizzare un polo creditizio meridionale che raggiunga una massa tale da diventare un volano per la crescita del Mezzogiorno.

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Il piano del governo per salvare la Banca Popolare di Bari

Novecento milioni di fondi dallo Stato tramite Invitalia e la creazione di un polo creditizio tra banche popolari del Sud.

Il salvataggio della Popolare di Bari sarà l’occasione per la creazione di un polo creditizio tra alcune banche popolari, una ‘Banca del Sud‘ in grado di fare massa per il rilancio dell’economia meridionale. Il decreto messo a punto dal governo prevede l’attribuzione di fondi fino a 900 milioni ad Invitalia, che li girerà alla sua controllata Mediocredito Centrale attraverso un aumento di capitale. Sarà quest’ultima, poi, ad entrare nel capitale della Popolare di Bari: un ingresso azionario che sarà affiancato dal ricorso allo strumento ‘privato’ messo in campo dal sistema bancario, cioè dal Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi (Fitd).

IL BRACCIO OPERATIVO DI INVITALIA

Il provvedimento d’urgenza predisposto dal ministero dell’Economia non parla e non cita mai la Popolare di Bari, anche se è chiaro che è stato proprio il precipitare degli eventi, con il commissariamento dell’istituto, a spingere i ministri a riunirsi di domenica. L’impegno economico è diretto a Invitalia, controllata al 100% dal ministero dell’Economia, che sempre di più si trasforma nel braccio operativo pubblico della politica economica e industriale del Paese, una sorta di nuova Iri.

Nell’infografica realizzata da Centimetri la scheda della Banca popolare di Bari. ANSA/CENTIMETRI

«Nuove frontiere della tecnica legislativa: nel titolo del decreto» sulla Popolare di Bari «si citano “misure per la realizzazione di una banca d’investimento” – manco fossimo a Wall Street – quando nel testo non si nomina neanche una volta una banca di investimento. L’impressione è che l’ossessione degli slogan stia debordando pure nei titoli dei decreti. Non c’è nulla di male a dire le cose come stanno: si sta ricapitalizzando la Banca popolare di Bari. Punto»: commentano fonti renziane, spiegando che la delegazione di Iv sarà in Cdm.

SOSTEGNO AL SISTEMA CREDITIZIO DEL SUD

Il disegno tracciato punta al sostegno del sistema del credito del Sud, che richiede la presenza di intermediari focalizzati sul territorio in grado di aiutare le famiglie e favorire la crescita delle imprese meridionali. Le risorse previste, per ora, arrivano a 900 milioni, cioè all’importo che è stato identificato come quello necessario per ricapitalizzare la Popolare di Bari e garantire la liquidità dell’istituto. Ma non è escluso che possa servire meno. Molto dipende dalle esigenze che emergeranno dalle verifiche che stanno compiendo i commissari e dall’intervento del Fitd, che riunirà il comitato di gestione il 18 dicembre e il consiglio il 20 dicembre, mercoledì e venerdì.

L’OPERAZIONE SULLO STAMPO DI CARIGE

L’operazione segue la falsa riga di quella Carige e trova precedenti anche in Germania e Francia, tanto da non temere rilievi dell’Ue. E punta ad aggregare anche altri intermediari. Si guarda per questo alla partecipazione di altre banche popolari del Sud per realizzare un polo creditizio meridionale che raggiunga una massa tale da diventare un volano per la crescita del Mezzogiorno.

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Perché la lotta all’evasione fiscale non è una missione così impossibile

Imposte troppo alte? Il sistema andrebbe riformato in modo sostenibile. E non con singole norme scoordinate. Partendo dalla riduzione del "nero": limite del contante, tracciabilità dei pagamenti, fatturazione elettronica, split payment e altro: i consigli del libro "Giù le tasse, ma con stile!".

Facile dire «abbassiamo la pressione fiscale». Però come? Di quanto? Giù le tasse, ma con stile! è un libro si propone di offrire un piccolo contributo di idee per delineare un sistema fiscale che si possa realmente qualificare come un insieme coordinato di norme, che sia più equilibrato tra l’imposizione diretta e quella indiretta, più garante dell’equità tra i contribuenti e più giusto, visto che una “giusta imposta” non solo costituisce il collante di una società bene ordinata, ma rappresenta lo strumento per garantire sia il sostegno delle spese pubbliche necessarie alla collettività sia lo sviluppo economico.

NORME DISPARATE CHE GENERANO INIQUITÀ

Anche perché ormai abbiamo superato il più esasperato limite di sopportabilità e sostenibilità. Ma ciò di cui necessitiamo in Italia non sono singole misure scoordinate tra loro che generano inique disparità di trattamento, come è stato fatto finora, bensì di una radicale riforma che lo ricostruisca secondo i principi e l’assetto voluto e imposto dalla Costituzione.

L’AUTORE: ESPERTO DI DIRITTO TRIBUTARIO

L’autore del libro è Fabio Ghiselli, dottore commercialista e revisore legale, specializzato in diritto tributario. Ha svolto la sua carriera professionale come Tax director di primarie aziende industriali e finanziarie. Studioso ed esperto di politiche fiscali e del lavoro, è stato docente ai Master tributari di Ipsoa – Wolters Kluwer, dell’Università Bocconi, e relatore in conferenze e convegni specialistici. Autore di numerose pubblicazioni in materia tributaria e di alcuni volumi su temi di diritto tributario, scrive sulle riviste del settore e sui quotidiani specializzati.

Lettera43.it pubblica un estratto di Giù le tasse, ma con stile! (Editore Franco Angeli, 2019, 25 euro, 232 pagine).

LOTTA ALL’EVASIONE: UNA MISSIONE IMPOSSIBILE?

È possibile che non si riesca a ridurre l’evasione fiscale? Nonostante gli interventi di contrasto messi in atto in questi ultimi tempi, come lo split payment e la lotta alle frodi “carosello” da sempre condotta dalla Guardia di finanza con risultati positivi, sembra che la risposta a questa domanda sia negativa. Questo è un tema fondamentale perché l’evasione alimenta e perpetua lo stato di iniquità del sistema con evidenti ripercussioni sulla stabilità e sulla coesione sociale, e rappresenta una componente che distorce la concorrenza tra le imprese a danno di quelle che scelgono di comportarsi correttamente o di quelle che non si trovano nelle condizioni di poter evadere. Quest’ultimo aspetto dovrebbe destare un particolare interesse nelle organizzazioni imprenditoriali, posto che il loro obiettivo dovrebbe essere quello di tutelare gli interessi di tutti i propri iscritti, che potrebbero accentuare il loro impegno sia nei confronti del governo, per spingerlo ad adottare adeguati provvedimenti di contrasto all’evasione, sia nei confronti dei propri associati attraverso la diffusione, come moral suasion, di best practices comportamentali. […]

Ci sarebbero alcuni interventi concreti che potrebbero dare un contributo al contrasto all’evasione (alcuni hanno già iniziato a darlo), come, per esempio:

  1. Limitare l’uso del contante nelle transazioni: l’attuale valore di 2.999 euro – innalzato a decorrere dal primo gennaio 2016 dalla legge di stabilità 2016 rispetto al precedente limite di 1.000 euro – appare sproporzionato rispetto alle necessità correnti, che dovrebbero limitarsi ai piccoli acquisti. Non è ammissibile che in Italia l’86% delle transazioni avvenga in contanti (come la Spagna e la Grecia). Abbiamo la rete più estesa, come numero, di Pos ma il tasso di utilizzo di “strisciate” più basso (da 1,5 a 10 volte inferiore). […]
  2. Prevedere l’effettiva tracciabilità dei pagamenti: soprattutto per determinate transazioni, come gli acquisti di servizi professionali, i canoni di locazione, le spese che danno luogo a oneri deducibili o detraibili. La tecnologia in uso è già perfettamente in grado di supportare tale sviluppo, mentre ciò che manca è la conoscibilità delle transazioni da parte dell’AF che potrebbe avvenire, almeno nella fase iniziale, utilizzando adeguati criteri di sicurezza e di anonimato nell’elaborazione e nell’accesso ai dati;
  3. La fatturazione elettronica: ormai l’obbligo riguarda sia i rapporti commerciali B2B sia quelli con i privati B2C (dal 2019 con la legge di bilancio 2018). Sono note le critiche sollevate nei primi mesi dell’anno dagli operatori, imprese e consulenti, sulla rigidità dello strumento informatico sia nella fase di formazione del documento, sia in quella della sua trasmissione telematica. Se in parte, l’atteggiamento negativo può essere stato indotto da un naturale blocco psicologico verso ogni rivoluzione che sconvolge le nostre abitudini, in larga misura è stato determinato da ragioni tecniche che avrebbero potuto essere risolte se la fase di realizzazione del sistema fosse stata effettivamente condivisa con le organizzazioni imprenditoriali e professionali, imparando dalle esperienze vissute da quei Paesi che prima di noi l’hanno adottata. Anche se relativamente al primo blocco di invii avvenuti entro il 18 febbraio il sistema ha scartato solo il 4,4% delle fatture emesse, su 228 milioni, si tratta sempre di oltre 10 milioni di problemi tecnici che prima gli operatori non avevano. Se l’uso ripetuto dello strumento lo renderà più gestibile, sarebbe importante realizzare comunque interventi migliorativi e semplificativi affinché gli operatori percepiscano la fattura elettronica come uno strumento in grado di produrre vantaggi nella gestione del tempo e delle procedure, ossia minori costi di stampa, di spedizione e archiviazione, di integrazione dei processi e una più efficace gestione dei pagamenti. Una duplice funzione, insomma: garantire la conoscenza dei dati e delle operazioni in tempo reale da parte dell’AF al fine di effettuare controlli tempestivi, e consentire un risparmio di costi per gli emittenti. Per tali ragioni, la fatturazione elettronica dovrebbe essere considerata come metodologia standard di emissione delle fatture: non è pensabile che alcune di esse (per es. quelle verso soggetti non residenti) siano emesse con metodologie differenti e parallele. Questo complica la gestione amministrativa delle imprese innalzando i relativi costi. Altro aspetto è quello della funzione anti-evasiva della fattura elettronica. Per questo fine la legge istitutiva ha previsto maggiori incassi per il 2019 pari a 2 miliardi di euro che, però, non è detto che saranno raggiunti. Perché l’aumento delle entrate tributarie registrato nei primi sei mesi del 2019 (pari a 2,475 mld di euro) sarebbe dovuto solo per 300 milioni al maggior gettito Iva sugli scambi interni, in particolare grazie alla fatturazione elettronica (Audizione del DG Finanze F. Lapecorella dinanzi le Commissioni congiunte V Bilancio del Senato e della Camera dei deputati, del 16.7.2019). Ma fatta salva la validità dello strumento, non basta la sua presenza per contrastare l’evasione.
  4. Split payment e reverse charge si sono dimostrati un valido strumento per contrastare il mancato versamento dell’Iva e ben potrebbero essere estesi ad altri settori economici e tipologie di transazioni. Invece l’Italia si è impegnata con l’Unione europea a non chiedere una proroga dello split payment oltre il 30 giugno 2020, una volta attuata la e-fattura. Quello che occorrerebbe evitare è l’insorgere di un danno a carico delle imprese e dei professionisti, implicito nella mancata disponibilità di denaro per il periodo intercorrente tra la data del pagamento della fattura e quello della liquidazione periodica e del relativo versamento dell’imposta. Premesso che sarebbe il caso di uscire dalla logica che vede l’imposta incassata, di competenza dell’erario, come una fonte di finanziamento dell’attività, il problema potrebbe essere risolto, almeno in gran parte, estendendo ai soggetti interessati dalla procedura la possibilità di chiedere il rimborso mensile o trimestrale del credito Iva maturato e garantendo tempi di erogazione del medesimo più “europei”, ossia in termini di giorni o poche settimane, e non di mesi come avviene oggi. Va tenuto presente, tuttavia, che esiste la possibilità di utilizzare la procedura di compensazione (del credito Iva con i debiti per altre imposte e contributi) prevista dall’art. 34, co. 1, l. n. 388/2001, per la quale potrebbe essere elevato o addirittura eliminato il limite massimo pari a 700 mila euro, ma non i controlli introdotti dal Dl n. 50/2017. Se lo split payment ha una funzione specifica, come abbiamo visto, qualche dubbio fa sorgere l’estensione dello strumento alle società quotate (nei confronti dei rispettivi fornitori), perché si pongono due soggetti privati in concorrenza tra loro avvantaggiando, dal punto di vista finanziario, le società quotate, che non ne avrebbero bisogno, avendo una struttura finanziaria più solida;
  5. Estendere l’applicazione della ritenuta d’acconto – oggi prevista a carico solo dei lavoratori autonomi nella misura del 20%, ex art. 25, Dpr n. 600/73 – anche alle operazioni economiche (cessioni di beni e prestazioni di servizi) effettuate da e tra tutti i soggetti Iva. L’aliquota potrebbe essere inferiore a quella del 20%, allo scopo di evitare la trappola della liquidità a danno delle imprese, dovuta al fatto che, per queste ultime, l’incidenza dei costi sul fatturato e le variazioni in aumento e in diminuzione dell’utile di bilancio, sono maggiori, rispetto ai lavoratori autonomi. Anche se le imprese avrebbero comunque la possibilità di operare non solo la compensazione verticale (nell’ambito della stessa imposta), ma anche quella orizzontale (con imposte diverse e contributi). La titolarità di un credito nei confronti dell’erario per ritenute d’acconto subite, indurrebbe il contribuente a dichiarare il reddito correlato al fine di utilizzare il credito. È vero che un contribuente potrebbe scomputare le ritenute senza dichiarare il reddito, ma questa operazione genererebbe un’incoerenza contabile che potrebbe essere abbastanza semplicemente verificata in sede di controllo da parte dell’AF, tanto che l’analisi del Nens citata in nota, prevede che sia «ragionevole ritenere che l’evasione intermedia dovrebbe scomparire del tutto». Questa misura non inciderebbe sull’evasione perpetrata dai soggetti che operano sul mercato finale di consumo, ma potrebbe essere contrastata dall’introduzione dell’obbligo di tracciabilità dei pagamenti (almeno di quelli superiori a un determinato ammontare minimo);
  6. Abrogazione della disciplina sulle c.d. “società di comodo” e utilizzo dei dati dichiarativi in possesso dell’AF per avviare una campagna di verifiche sistematiche allo scopo di contrastare fenomeni di evasione (e non di elusione, come qualcuno ancora pensa si tratti), generati dall’interposizione reale di soggetti giuridici. […]

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Una hard Brexit anche per la Consob

Savona impegnato a preparare un tavolo di crisi in vista dell'uscita del Regno Unito dall'Ue? Forse perché il colosso dei dati Refinitiv è stato acquisito dal London Stock Exchange di cui dal 2007 fa parte anche Borsa Italiana...

I dipendenti della Consob sono ancora in attesa dell’invito del presidente per il tradizionale brindisi natalizio con tanto di panettone. Forse Paolo Savona è troppo impegnato a preparare un comitato di crisi in vista della Brexit che si preannuncia più hard che soft. Lo scossone avverrà in una fase chiave dell’acquisizione del colosso dei dati Refinitiv da parte del London Stock Exchange di cui dal 2007 fa parte anche Borsa Italiana. Il capogruppo della Lega in Commissione Finanze, Giulio Centemero, lancia l’allarme: «So che Consob ci sta lavorando con un tavolo ad hoc ma so anche che la partita è politica e che il governo non può lasciare i tecnici soli. L’acquisizione di Refinitiv, colosso dei dati e spin-off di Reuters, pone un ulteriore interrogativo rispetto al destino della nostra piazza finanziaria perché è evidente che il core business del Lse potrebbe spostarsi da quello della gestione dei mercati borsistici a quello della gestione dati». Nel frattempo, a fine novembre la capitalizzazione complessiva di Borsa ha raggiunto i 642 miliardi di euro, con una variazione rispetto a fine anno del 18%.

LA DIGISTART (AND STOP) DI RENZI

«Ho aperto una piccola realtà per lavorare all’estero, nel momento in cui nessuno immaginava che avrei dovuto tornare a occuparmi di politica. Appena c’è stata la crisi del mojito ho detto al commercialista di chiudere la società, avendo fatturato zero. Visto che c’è chi ha scritto che io l’ho fatta per non pagare le tasse, ho fatto una bella denuncia per recuperare le spese Io ho fatto un accordo con M5s e sono buono, fessacchiotto no». Matteo Renzi aveva usato queste parole, il 2 ottobre a Otto e mezzo, su La7 a proposito della società Digistart. Una piccola srl creata appunto l’11 maggio (quindi quando c’era ancora il governo Conte 1) versando un capitale di 10 mila euro con due assegni emessi da Cariparma e Bnl. Oggetto sociale: “analisi dei processi comunicativi che collegano cittadini e imprese, anche mediante l’organizzazione e/o partecipazione a convegni, seminari, incontri sia in Italia che all’estero” e di “consulenza aziendale e di marketing strategico”. Ma come Renzi aveva detto a Lilli Gruber a ottobre, la Digistart è stata chiusa. Per la precisione, si legge nell’atto depositato nella banca dati della Camera di Commercio, è stata sciolta anticipatamente e messa in liquidazione il 23 novembre 2019. Come liquidatore è stato nominato lo stesso Renzi , unico socio dell’srl, che a settembre si era fatto sostituire temporaneamente nel ruolo di amministratore unico dall’amico Marco Carrai, per poi riprendersi l’incarico dopo aver lanciato Italia viva. «La società è stata aperta e poi chiusa per le polemiche mediatiche, Carrai avrebbe dovuto gestire la società ma alla luce delle polemiche e dell’annuncio della chiusura ha subito lasciato la carica», aveva spiegato Renzi sottolineando che la Digistart non ha fatturato niente.

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Federico Lovadina nuovo presidente di Sia

Il cda ha nominato per cooptazione anche cinque consiglieri designati da CDP. Confermati l'ad Cordone e il vicepresidente Sarmi.

Il Consiglio di Amministrazione di SIA, riunitosi ieri sotto la Presidenza dell’ing. Giuliano Asperti , ha nominato per cooptazione cinque nuovi consiglieri della società, designati da Cassa Depositi e Prestiti (CDP): Federico Lovadina, Andrea Cardamone, Fabio Massoli, Andrea Pellegrini e Carmine Viola.

Nel corso della medesima riunione, il CdA ha inoltre provveduto a nominare nuovo Presidente di SIA, Federico Lovadina, in sostituzione del dimissionario Giuliano Asperti.

Federico Lovadina

Il Consiglio di Amministrazione ha espresso gratitudine ed apprezzamento per il lavoro svolto con competenza e professionalità in questi anni dall’ing. Asperti e dai consiglieri uscenti, nonché un caloroso benvenuto ai nuovi consiglieri.

SIA è una società hi-tech, leader in Europa nel settore dei servizi e delle infrastrutture di pagamento, controllata da CDP Equity all’83,09%.

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Su Alitalia De Micheli apre al controllo straniero

Un investitore europeo ha detto la ministra, non può essere escluso. Provenzano: «Il compito del commissario è rimetterla sul mercato». Il 13 dicembre 24 ore di sciopero del comparto.

Ventiquattrore di sciopero per alzare la voce sulla situazione di Alitalia e di tutto il trasporto aereo. L’arrivo del neo commissario dell’ex compagnia di bandiera Giuseppe Leogrande, per il quale si attende ancora l’ufficializzazione della nomina, e la prospettiva non esclusa da Paola De Micheli di un futuro passaggio sotto il controllo straniero in mano a un vettore europeo (come sarebbe quindi Lufthansa), non fermano i sindacati che tornano a scegliere la strada della protesta per dire no a tagli sul lavoro e al rischio spezzatino. E per chiedere che la vertenza, dopo oltre due anni e 7 mesi di amministrazione straordinaria e 1,3 miliardi di euro di soldi pubblici, trovi finalmente una soluzione. «Per Alitalia rigettiamo ogni ipotesi di spezzatino, chiediamo un piano industriale di vero rilancio che garantisca investimenti e crescita, senza sacrifici sul fronte del lavoro», afferma la Filt Cgil. Cui fa eco la Uiltrasporti: «Lo sciopero è per affermare che rigettiamo qualsiasi ipotesi di smembramento e di taglio del numero dei dipendenti e che non c’è più tempo da perdere. Ora è tempo di agire»

UNA RIFORMA CONTRO IL DUMPING CONTRATTUALE

La protesta, indetta unitariamente dalle sigle di categoria di Cgil, Cisl, Uil e Ugl (che dalle 10 saranno anche in presidio a Fiumicino, Linate e Malpensa), scatterà a mezzanotte e interesserà piloti, assistenti di volo e personale di terra di Alitalia e Air Italy, nel rispetto delle fasce di garanzia 7-10 e 18-21. Dietro lo sciopero, oltre alle crisi delle due compagnie, la richiesta di una riforma del comparto che intervenga nella concorrenza tra imprese del settore, di norme specifiche contro il dumping contrattuale e del finanziamento strutturale del Fondo di Solidarietà di settore, in scadenza a fine anno e che integra gli ammortizzatori sociali. Altri scioperi di 24 ore del personale Alitalia sono indetti per domani anche da Anpac, Anpav e Anp e dall’Usb lavoro privato. E la compagnia per contenere i disagi ha già cancellato 315 voli, sia nazionali che internazionali, nella giornata di domani, annullato un’altra quarantina di collegamenti nella serata di oggi e nella prima mattinata di sabato, e attivato un piano straordinario per riprenotare i viaggiatori coinvolti (la metà dei passeggeri dovrebbe riuscire a viaggiare nella stessa giornata di domani).

«COMPITO DEL COMMISSARIO È RIMETTERLA SUL MERCATO»

Intanto, nell’attesa che Leogrande si insedi in azienda (manca ancora il decreto di nomina del Mise), un piccolo passo avanti lo fa la ministra dei Trasporti. Sollecitata a Porta a Porta sull’interesse di Lufthansa, De Micheli spiega, pur con estrema prudenza, che un eventuale controllo straniero, “ovviamente europeo”, della compagnia non può essere escluso. «Un’Alitalia rigenerata farà gola a tanti», ha assicurato. Il lavoro durerà sei sette mesi, ha aggiunto, ma qualcosa in più emergerà forse già nell’incontro di martedì al Ministero dello sviluppo tra il ministro Patuanelli e i sindacati. Un tavolo necessario per capire dal Governo come si muoverà il neo commissario chiamato ad avviare un piano di “efficientamento e riorganizzazione” e a preparare il nuovo bando di vendita. “Confidiamo che Patuanelli inverta la tendenza e crei le condizioni” che portino ad un rilancio, chiede la Fit Cisl. Dal Governo risponde il ministro per il Sud Giuseppe Provenzano: «Il compito del commissario è rimetterla sul mercato». Sempre il 17 partirà anche il confronto tra azienda e sindacati sulla nuova procedura di cigs aperta dagli ex commissari: la richiesta è di una una nuova cassa per 1.180 lavoratori fino al 23 maggio 2020 e le parti hanno tempo fino al 31 dicembre per trovare un’intesa.

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