Di Maio difende la manovra: «Abbassate le tasse e sterilizzata l’Iva»

Per il ministro degli Esteri è tornato anche sul caso ArcelorMittal e sulla necessità che la multinazionale rispetti gli impegni. E per il 2020 mette nel mirino il conflitto d'interessi.

Una manovra che taglia le tasse. Potrebbe essere riassunto così l’intervento di Luigi Di Maio a Uno Mattina su Rai1.«Abbiamo abbassato le tasse e impedito che aumentasse l’Iva la cui crescita sarebbe costata mediamente 600 euro a famiglia», ha spiegato il ministro degli Esteri. Agli attacchi della Lega il leader M5s ha poi risposto così: «Voi c’eravate al Governo e potevate fare voi la riduzione delle tasse e trovare i soldi per la Flat tax ma ora non ne parlate più….».

Nel corso dell’intervista Di Maio ha affrontato anche il tema dell’ex Ilva e del passo in dietro di ArcelorMittal, confermando anche la posizione del premier Giuseppe Conte. Lo scudo penale, ha spiegato, è stato già proposto ma l’azienda ha confermato i 5 mila esuberi nonostante un contatto firmato solo un anno fa che non prevede questa soluzione. «Il tema è che l’Italia si deve far rispettare, deve far rispettare un contratto e dispiace che i sovranisti stiano dall’altra parte».

Il ministro è poi ritornato sul 30esimo anniversario del crollo del muro di Berlino definendolo un momento che ha portato al superamento delle ideologie di destra e sinistra. Un fatto non negativo, ha spiegato Di Maio, perchè ha aperto al strada, come sta facendo il movimento 5 stelle, alla gestione di fatti concreti non legati alle ideologie ma ai bisogni. Il ministro degli Esteri, in questo quadro, si è augurato anche il superamento del “Muro” del regolamento di Dublino sull’immigrazione, un tema che a suo avviso è squisitamente europeo e non affrontabile da un solo Paese. Di qui l’obiettivo del diritto di asilo unico europeo.

I PIANI DEL M5S PER IL 2020

Il leader pentastellato ha poi lanciato il cronoprogramma del governo e dei 5 stelle per il 2020 menzionando diverse nuove riforme, dopo quella già attuata del taglio dei parlamentari, a partire da quelle dell’acqua pubblica e del conflitto di interessi. «Stare al governo non ha mai portato consensi», ha affermato, «ma abbiamo deciso di stare al governo per fare le riforme e vinceremo la sfida se completeremo il programma elettorale». Di Maio ha ricordato anche il taglio del cuneo fiscale e la nuova legge sulla sanità che tra l’altro toglie alle regioni le nomine dei direttori degli ospedali» per puntare su scelte legate a competenza e preparazione. Quanto alle prossime elezioni regionali, il ministro non si è sbilanciato sul tema delle alleanze ma chiarisce che dove il Movimento sarà pronto lì si presenterà, dove non si riterrà pronto non ci sarà e questo «sarà spiegato ai cittadini», ha concluso.

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Le condizioni di Conte ad ArcelorMittal su scudo e destino dell’ex Ilva

Dura presa di posizione del presidente del Consiglio contro il colosso indiano: «Prima di ogni richiesta rispettino gli impegni». E annuncia: «Pronti alla battaglia legale».

Il futuro dell’ex Ilva e il ruolo di ArcelorMittal restano ancora sospesi. Per il momento il governo sembra voler mantenere la linea della fermezza con il gruppo indiano. Posizione confermata anche dal premier Giuseppe Conte in un’intervista a Il Fatto Quotidiano.

«Soltanto se Mittal venisse a dirci che rispetterà gli impegni previsti dal contratto – cioè produzione nei termini previsti, piena occupazione e acquisto dell’ ex Ilva nel 2021 – potremmo valutare una nuova forma di scudo», ha spiegato il capo del gooverno.

«Per stanare il signor Mittal sulle sue reali intenzioni, gli ho offerto subito lo scudo: mi ha risposto che se ne sarebbe andato comunque, perché il problema è industriale, non giudiziario. Quindi chi vuole reintrodurre lo scudo per levare un alibi a Mittal trascura il fatto che Mittal non lo usa, quell’alibi», ha rilevato ancora il premier Conte, che poi ha confermato un nuovo incontro «risolutivo per capire che intenzioni hanno. Hanno avviato un’iniziativa giudiziaria con tempi lunghi e noi li anticipiamo», ha spegato, «con un procedimento cautelare ex articolo 700 del Codice di procedura civile per ottenere dal Tribunale di Milano una verifica giudiziaria sulle loro e le nostre ragioni entro 7-10 giorni».

A LAVORO SU POSSIBILI ALTERNATIVE

«Stiamo acquisendo col ministro Patuanelli tutti gli elementi in vista di eventuali soggetti alternativi, nel caso in cui Arcelor Mittal confermasse la dismissione dell’ex Ilva. Prepariamo la battaglia legale, convinti di avere ottime probabilità di successo. E intanto lavoriamo per una soluzione globale, che chiameremo ‘Cantiere Taranto‘», ha continuato il capo del governo. «Sto invitando tutti i ministri secondo le loro competenze, le autorità e i comitati locali e tutte le forze produttive del Paese a proporre progetti da inserire in un piano articolato per il rilancio economico, sociale, ambientale e culturale di Taranto».

VERSO GLI ULTIMI RITOCCHI ALLA MANOVRA

In merito alla manovra, «il parlamento è sovrano e, se emergeranno suggerimenti utili per migliorarla, il governo li valuterà con la massima apertura. Ma l’impianto e i contenuti essenziali non possono essere rimessi in discussione», ha spiegato. Sulla plastic tax e l’imposta per le auto aziendali, «il Mef, sta lavorando per rendere ancor più sostenibili quei due interventi». Sulla lotta all’evasione, il premier si è impegnato «a destinare pressoché integralmente le somme recuperate a un fondo per ridurre la pressione fiscale».

PRESTO VERTICE COI LEADER DELLA MAGGIORANZA

Nel corso dell’intervista Conte ha anche tracciato le mosse della maggioranza dopo la complicata gestione della finanziaria: «Dopo il varo della manovra», ha spiegato il premier, «ho già programmato di invitare i quattro leader della maggioranza a un week-end di lavoro: tutti parleranno fuori dai denti, poi raccoglieremo i rispettivi obiettivi, metteremo giù un cronoprogramma dettagliato perché tutti si impegnino sul che fare e sul quando farlo nei prossimi tre anni e mezzo». «Ora bisogna rinunciare a dichiarazioni estemporanee, smarcamenti tattici» e «marciare compatti», ha aggiunto.

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Conte sull’ex Ilva: «Troveremo una soluzione»

Dopo la visita a Taranto del presidente del Consiglio, il governo potrebbe trattare sugli esuberi secondo quanto riportato dall'HuffingtonPost.

È terminata dopo l’una della notte tra l’8 e il 9 novembre la visita a Taranto del presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Il premier che ha incontrato prima cittadini e portavoce di comitati e movimenti, poi ha avuto un confronto con lavoratori e sindacati nel consiglio di fabbrica dello stabilimento siderurgico ArcelorMittal, quindi si è recato in prefettura e dopo un punto stampa ha incontrato il procuratore, Carlo Maria Capristo, i sindaci dell’area tarantina e gli ambientalisti. Infine, si è recato al rione Tamburi, il più esposto alle emissioni del Siderurgico. Le associazioni hanno consegnato al premier copia del ‘Piano Taranto‘, una piattaforma di rivendicazioni che chiede la chiusura delle fonti inquinanti e la bonifica del territorio con il reimpiego degli stessi operai e lo sviluppo di una economia alternativa.

«Ho visto lavoratori che lavorano ma allo stesso tempo pensano di fare qualcosa di sbagliato e vivono con disagio nella comunità dei parenti che li attacca perché contribuiscono a tener vivo uno stabilimento che altri in famiglia vorrebbero chiudere. Si deve aprire un cantiere e tutti dobbiamo lavorare per portare contenuti», ha detto il presidente del Consiglio. Quando ha terminato la sua visita Conte ha scritto un post su Facebook precisando di aver deciso di incontrare lavoratori e cittadini per rendersi conto personalmente della situazione che vive la comunità tarantina.

Sono venuto a Taranto per rendermi conto personalmente e vedere con i miei occhi. Ho visitato lo stabilimento, ho ascoltato gli operai, i cittadini, gli esponenti di associazioni e di comitati, gli amministratori locali. Ho voluto questo confronto per capire meglio, per ascoltare le ragioni di tutti. Mi sono confrontato con il dolore di chi piange la perdita dei familiari, con l’angoscia di chi sente di vivere in un ambiente insalubre, con la sfiducia di chi ha perso un lavoro, con l’incertezza di chi ha il lavoro ma non è certo di conservarlo domani. Non sono venuto con una soluzione pronta in tasca, non ho la bacchetta magica, non sono un supereroe. Quello che posso dirvi è che il Governo c’è e con l’aiuto e la collaborazione di tutti, dell’intero “sistema-Paese”, farà di tutto per trovare una soluzione. Di tutto.Sto rientrando adesso a Roma. Ma tornerò presto a Taranto.

Posted by Giuseppe Conte on Friday, November 8, 2019

«Ho visitato lo stabilimento, ho ascoltato gli operai, i cittadini, gli esponenti di associazioni e di comitati, gli amministratori locali. Ho voluto questo confronto per capire meglio, per ascoltare le ragioni di tutti. Mi sono confrontato con il dolore di chi piange la perdita dei familiari, con l’angoscia di chi sente di vivere in un ambiente insalubre, con la sfiducia di chi ha perso un lavoro, con l’incertezza di chi ha il lavoro ma non è certo di conservarlo domani. Non sono venuto con una soluzione pronta in tasca, non ho la bacchetta magica, non sono un supereroe», si legge nel post. «Quello che posso dirvi è che il Governo c’è e con l’aiuto e la collaborazione di tutti, dell’intero ‘sistema-Paese’, farà di tutto per trovare una soluzione. Di tutto». Per poi assicurare: «Tornerò presto a Taranto».

IL GOVERNO PRONTO A TRATTARE SUGLI ESUBERI

Qualche ora dopo, nella mattinata del 9 novembre, una fonte di governo di primo livello avrebbe detto all’HuffingtonPost: «Stiamo lavorando, non c’è ancora una proposta definitiva, ma è evidente che la strada che abbiamo deciso di intraprendere è quella di trattare anche sugli esuberi». Un segnale che potrebbe sbloccare la trattativa con ArcelorMittal dopo che l’ultimatum di 48 ore lanciato il 6 novembre da Giuseppe Conte al colosso franco-indiano dell’acciaio è caduto nel vuoto. 

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Il doppio fronte che rischia di mandare in crisi il governo sull’ex Ilva

Guerra aperta tra il governo e ArcelorMittal: la chiusura sarebbe un colpo mortale per il Conte 2. E sullo scudo il braccio di ferro tra M5s e Pd può riscrivere i rapporti di forza all'interno della maggioranza. Già messa alla prova dal nodo Regionali.

Il binario della guerra tra governo e ArcelorMittal è doppio. E duplice è il rischio della crisi per l’esecutivo. In primis c’è il binario del futuro dello stabilimento: una chiusura sarebbe un colpo mortale per l’esecutivo. Il secondo binario è invece prettamente politico e viaggia sul filo di quello «scudo penale» attorno al quale si consuma lo scontro tra Movimento 5 stelle e Partito democratico.

DI MAIO E FRANCESCHINI GIÀ AL LAVORO SU UN PIANO B

È uno scontro, al momento, solo verbale, al quale Luigi Di Maio e Dario Franceschini accompagnano già l’ipotesi di un piano B: quello di sedersi attorno a un tavolo, dopo la manovra, per un patto che puntelli programma e esecutivo. Quel tavolo, prima di gennaio, non vedrà la luce. Infatti, come condizione preliminare, i partiti di maggioranza sono chiamati a sotterrare l’ascia di guerra sulla manovra e, soprattutto, sull’ex Ilva. Non sarà facile. Su ArcelorMittal le posizioni sono rigide.

IL M5S IRRIGIDITO DALL’IPOTESI SCUDO

Pd e Italia viva restano ferme sulla necessità, comunque vada la trattativa, di ripristinare quello scudo che il M5s, sotto la spinta dei ribelli pugliesi, ha tolto dal dl imprese. È una posizione nei confronti della quale Di Maio si irrigidisce, sposando la causa “identitaria” cara a gran parte dei parlamentari. In realtà il capo politico ha poche alternative. Il nodo dello scudo, che ricorda ormai quello della Tav, rischia di far implodere i gruppi in un momento in cui perfino il dissenso sembra non avere una linea comune. Inutile, ragionano nel Movimento, impiccarsi al principio di uno scudo penale che, al momento, non è risolutivo neppure sull’ex Ilva. Certo, lo stallo sulla trattativa tra il governo e i Mittal potrebbe sbloccarsi da un momento all’altro. E, nel caso lo scudo si rivelasse necessario per salvare lo stabilimento il capo politico metterebbe i suoi parlamentari di fronte a una scelta decisiva. Tra l’ex Ilva o il governo. Di Maio fa il punto della situazione con i “suoi” ministri nel pomeriggio, nell’appartamento che, solitamente, ospita i vertici più delicati. Si parla di ex Ilva, ma anche di una rivolta interna ormai permanente.

IL NODO DELLE REGIONI AUMENTA LE TENSIONI

I vertici del Movimento, in un altro momento storico, forse avrebbero fatto scattare la tagliola delle epurazioni. Di Maio, per ora, opta per la “carota”: accelerare sulla riorganizzazione del Movimento e prospettare, per il 2020, degli stati generali “rifondativi” per i Cinque stelle. Non è detto che basterà, anche perché ad aumentare la tensione c’è il nodo Regionali: l’ipotesi di un’alleanza con il Pd, almeno per Emilia-Romagna e Calabria, è sepolta. E’ vivissima, invece, l’idea di non scendere in campo in alcune Regioni. Idea contro la quale si scagliano Danilo Toninelli e Barbara Lezzi. Alla fine sembra difficile che il M5s non scenda in campo in Calabria, dove la prospettiva di una campagna all’insegna del civismo non dispiace ai vertici. Ma in Emilia l’ipotesi di una desistenza, nonostante le divisioni interne in atto, è tutt’altro che da escludere. Il nodo Regionali scuote anche i rapporti Pd-M5S. Sull’Emilia-Romagna Nicola Zingaretti si gioca tutto o quasi. E non vuole arrivare al 26 gennaio con un governo ansimante. «Meno polemiche e più solidarietà», è l’invito del segretario.

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L’appello di Matteo Renzi al Pd per evitare il voto anticipato

Il leader di Italia viva si è appellato al suo ex partito chiedendo di evitare il ritorno alle urne: «Sarebbe un suicidio di massa».

Tornare al voto sarebbe «un suicidio di massa». Ne è convinto Matteo Renzi. In una lunga intervista a Repubblica il leader di Italia viva ha spiegato che l’esecutivo deve resistere e tenere duro. In particolare l’ex sindaco di Firenze si è appellato al Partito democratico: «Se il Pd vuole votare, lo dica. Se i parlamentari del Pd hanno deciso di andare contro il muro hanno il dovere di comunicarlo al Paese e palesarlo in Aula».

«Per me», ha continuato, «è una follia, un suicidio di massa. Italia viva pensa che si debba votare nel 2023, alla scadenza naturale, dopo aver eletto il nuovo Presidente della Repubblica». L’obiettivo primario per Renzi è l’abbassamento del costo degli interessi da portare a 50 miliardi, «per incidere in Europa, per costruire l’alternativa al sovranismo no euro».

Poi una stoccata, ancora una volta, alla foto di Narni e al voto regionale in Umbria: «Se qualcuno pensa di fare come in Umbria anticipando le elezioni, faccia pure: con questa scelta si perdono tutti i collegi uninominali e si causano sonore sconfitte in Emilia Romagna, Toscana e Lazio. Non so che nome dare a questa ipotesi politica: in psicologia si chiama masochismo». Se sul tavolo rimane il voto anticipato, Renzi ha mostrato di non avere dubbi: «Se vogliono votare, ognuno andrà per la propria strada. Se come spero si andrà avanti, facciamo insieme un grande patto per la crescita».

RENZI E L’APPOGGIO A TEMPO A CONTE

«Questo governo non è il mio, ma è comunque meglio dell’alternativa: il voto, la destra, il Quirinale ai sovranisti, l’Italia in bilico sull’euro», ha continuato il leader di Italia viva, «Chi volendo di più vagheggia nuove elezioni, forse si mette in pace la coscienza, ma mette a terra il Paese». Poi un cenno al premier Conte: «In Italia è il parlamento che tiene in vita il governo, e quando cade un governo se ci sono i numeri si va avanti. Pensiamo a dare una mano a Conte, oggi. Del doman non v’è certezza».

«SFRUTTIAMO L’EVENTUALE INTESA USA-CINA SUI DAZI»

Nel mondo «nessuno si domanda se ci sarà una nuova recessione ma solo quando. L’Italia concentri su questo le sue attenzioni, non sulle risse quotidiane», ha esortato Renzi. «Se, come penso, Trump e Xi chiuderanno l’accordo sul commercio tra Usa e Cina, avremo mesi di tranquillità in più. Non vanno sprecati. Serve un grande patto politico per la crescita, non le polemiche di queste ore».

«ILVA? LO SCUDO PENALE È SOLO UNA SCUSA»

Poi un cenno sullo spinoso caso Ilva, «Lo scudo penale non è la causa del recesso ma l’alibi dietro al quale la proprietà indiana si nasconde, grazie anche all’appoggio inspiegabile di parte dell’establishment italiano», ha spiegato Renzi. «Non è questo il motivo che spinge Mittal ad andarsene, bensì la richiesta di cinquemila esuberi. Lo scudo penale è stato introdotto da Gentiloni e tolto dal governo Conte-Salvini, non da noi. Calenda», ha concluso replicando a una domanda sul fatto che l’ex ministro abbia parlato della responsabilità di Italia Viva sullo scudo, «fa l’avvocato difensore di Mittal, noi facciamo gli avvocati difensori dei lavoratori».

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Stallo sull’ex Ilva, Conte non esclude la nazionalizzazione

I vertici di ArcelorMittal non mandano alcun segnale. Il premier si prepara alla «battaglia legale del secolo» e valuta l'intervento pubblico. Ma i costi scoraggiano anche il ministero dello Sviluppo.

A 24 ore di distanza dalla drammatica conferenza stampa con cui il governo ha fatto sapere che ArcelorMittal vuole 5 mila esuberi per tenersi l’ex Ilva, non si registrano passi avanti che lascino intravedere la possibilità di uscire dallo stallo.

LEGGI ANCHE: Il governo in bilico sulla partita ex Ilva

I vertici dell’azienda non arretrano di un millimetro e non mandano alcun segnale, mentre il premier Giuseppe Conte ha aperto un tavolo permanente di crisi con il sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci, il presidente della Provincia, Giovanni Gugliotti, e il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano. Preservare il polo siderurgico «è strategico per il Paese» e lo scontro in Tribunale andrebbe scongiurato. Ma se fosse inevitabile “l’avvocato del popolo” assicura che l’esecutivo ha «tutti gli strumenti giuridici» per affrontare quella che definisce «la battaglia legale del secolo».

PRIMO STEP LA GESTIONE COMMISSARIALE

Conte ha fatto un appello affinché «tutto il sistema-Italia risponda con una voce sola, senza polemiche o sterili disquisizioni». E non ha escluso l’ipotesi di una nazionalizzazione temporanea: «Stiamo già valutando tutte le possibili alternative». In ogni caso, come primo step, il disimpegno di ArcelorMittal porterebbe alla gestione commissariale degli impianti da parte del ministero dello Sviluppo economico con dei prestiti-ponte. I sindacati, da parte loro, giocano la carta dello sciopero: ne hanno proclamato uno di 24 ore in tutti gli stabilimenti ex Ilva, da Taranto a Genova, a partire dalle 7 di venerdi 8 novembre.

IL PESO DELL’INTERVENTO DELLO STATO SUI CONTI PUBBLICI

Ma il punto è che la trattativa con ArcelorMittal al momento non esiste. E nel governo non c’è nemmeno la volontà a piegarsi alla multinazionale. L’unica concessione resta lo scudo penale per il risanamento ambientale, cui l’azienda ha già detto no. Per questo a Palazzo Chigi si preparano al peggio e nella maggioranza si discute di nazionalizzazione. Con due appendici non di poco conto: il sì dell’Europa, tutt’altro che scontato; e il peso dell’eventuale operazione sui conti pubblici, sul quale anche al ministero dello Sviluppo economico circola un certo scetticismo.

Arcelor Mittal è una multinazionale estera che ha firmato un contratto con lo Stato impegnandosi ad assumere 10.500…

Posted by Luigi Di Maio on Thursday, November 7, 2019

PD E M5S DAVANTI A UN BIVIO

Intanto nel Pd aumentano le pressioni interne di chi vuole una rottura con il M5s subito dopo la manovra, dunque prima del voto in Emilia-Romagna. Quanto ai pentastellati, il capo politico Luigi Di Maio si ritrova con il partito a un passo dall’implosione. Non a caso Roberto Fico ha cercato di gettare acqua sul fuoco, mentre Davide Casaleggio – messo nel mirino dal dissenso interno – ha incontrato alcuni parlamentari e non è escluso nelle prossime ore un faccia a faccia con lo stesso Di Maio. Il ministro degli Esteri, la prossima settimana, riunirà tutti i deputati e i senatori. Sarà un primo assaggio del grande bivio che si pone davanti al M5s: cementare l’alleanza di governo con il Pd oppure far saltare il banco, consegnando il Paese alla Lega di Matteo Salvini.

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Salvini, ma soprattutto Meloni, si stanno bevendo il governo Conte

La maggioranza è spaccata e non c’è un solo provvedimento del governo che parli agli italiani. Così le destre si rafforzano. Il Pd prenda coraggio, rompa con M5s e Italia viva e proponga una coalizione di salvezza nazionale guidata da Draghi.

Le cronache politiche raccontano che il Pd è molto arrabbiato per lo stato delle cose e vorrebbe rompere con M5s e Italia viva.

Poi leggi l’intervista a Dario Franceschini sul Corriere della Sera e ti trovi improvvisamente catapultato in una crisi politica che assomiglia a quelle che piacevano tanto ai democristiani.

Franceschini propone che fra gli alleati ci sa lealtà, un comune mission politica, vanta successi inesistenti del governo, elogia Giuseppe Conte, sostiene che si supererà gennaio fino ad arrivare alla fine legislatura e, forse con una punta di macabro umorismo, dice che vincendo le prossime elezioni questo mostro Pd-M5s-Italia Viva possa andare ancora più lontano. Solo del prossimo inquilino del Quirinale non vuole parlare perché, come si dice, de te fabula narratur.

IL GOVERNO GIALLOROSSO NON PARLA AGLI ITALIANI

È bene che il Pd si incazzi di meno e faccia più fatti, a mente fredda. L’impopolarità del governo è il termometro che decide se tenerlo in vita o no. L’impopolarità è nata dal fatto che l’operazione “cambio di maggioranza” non è piaciuta ed è enfatizzata dalla circostanza che non c’è un solo provvedimento del governo che parli agli italiani. Avevo sperato che si potesse dire che Roberto Gualtieri aveva abbattuto il cuneo fiscale mettendo soldi nelle tasche dei lavoratori. Oggi spero che si possa dire che Taranto (ragazzi: Taranto , cioè una delle maggiori città italiane), possa essere salvata in un connubio possibile fra lavoro e sicurezza. Invece la Mittal scappa, quella indefinibile ex ministra Barbara Lezzi dice cose da manicomio, il grillismo diffuso è felice di trasformare la città operaia in un grande giardinetto per poveri e anziani.

SERVE UNA COALIZIONE DI SALVEZZA NAZIONALE GUIDATA DA DRAGHI

Se le cose stanno così e andranno così, ed io sono sicuro che andranno persino peggio, il Pd deve smettere di incazzarsi perché deve dire al Paese: «Ci abbiamo provato, con Luigi Di Maio e Matteo Renzi non si costruisce nulla, Matteo Salvini sapete dove vi stava portando, io (nel senso di io-Pd) propongo alle persone di buona volontà di fare una coalizione di salvezza nazionale chiedendo a Mario Draghi di guidarla. Vogliamo rottamare tutto quello che c’è e che viene tutto da lontano, Pd compreso». Questo sarebbe un discorso che agli italiani potrebbe piacere.

Da sinistra, il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, il presidente uscente della Bce, Mario Draghi, e il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri.

Siamo in un Paese che ha dimenticato la Prima repubblica e si è rotto le scatole della Seconda e ormai anche di grillismo e fra un po’ presenterà il conto a Salvini preferendogli Giorgia Meloni. Che fa il Pd? Chiede un vertice di governo, vuole una cabina di regia, pensa a un caminetto? Suvvia! Io sono un ammiratore ex post della Dc a cui dobbiamo tante belle cose ma anche tanti guai attuali, ma la cultura democristiana era ben più profonda della caricatura con cui la propone il caro Franceschini. Vuole fare un patto con Di Maio e Renzi? E perché mai loro dovrebbero farlo. Uno è alla canna del gas, l’altro vuole la rovina comune per lucrare sulle macerie del Pd. È arrivato il momento di rubare l’idea a Beppe Grillo: un bel vaffa (ovviamente anche a lui).

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Il governo in bilico sulla partita ex Ilva

Il premier Conte richiama la maggioranza all'unità dopo le frizioni con ArcelorMittal, che per proseguire con l'acquisizione dell'acciaieria chiede ora il taglio di 5 mila posti di lavoro.

Sull’immunità per ArcelorMittal restano intatte le tensioni nella maggioranza e nel Movimento 5 stelle. «Lo scudo penale è stato offerto ed è stato rifiutato. Il problema è industriale», sottolinea il premier Giuseppe Conte dopo l’incontro con i vertici indiani, riferendo che dall’azienda è arrivata una richiesta di «5 mila esuberi». Una condizione che l’azienda franco-indiana pone non ritenendo sostenibile un così elevato numero di dipendenti. Conte chiama poi tutto il Paese e le forze di opposizione alla compattezza: «Chi viene in Italia deve rispettare le regole», aggiunge infatti il presidente del Consiglio durante le registrazioni di Porta a Porta, «il governo non potrà mai accettare le richieste di Mittal». E ancora: «Non è un problema legale, perché una battaglia legale ci vedrebbe tutti perdenti. Ove mai fosse giudiziaria, sarebbe quella del secolo. Non si può consentire che si vada via senza rispettare gli obblighi contrattuali».

IL GOVERNO SI SPACCA SULLO SCUDO PENALE

«Chiameremo tutto il Paese a raccolta», insiste Conte ribadendo il suo messaggio alla politica: è il momento dell’unione. Una compattezza che, sul decreto offerto a ArcelorMittal sullo scudo penale, manca del tutto vista la ferma contrarietà di una parte del M5s. Tanto che, dopo tre ore e mezza di Consiglio dei ministri quel decreto non salta fuori. Avanti così, sono i commenti dal Pd, non si può andare. Già le bordate arrivano da tutte le parti, dalla Lega di Matteo Salvini a Confindustria, almeno gli alleati devono mettere da parte strappi e polemiche, perché, è l’avvertimento che manda il Partito democratico, «a forza di tirare, la corda si spezza».

LE CONDIZIONI «INACCETTABILI» DI ARCELORMITTAL

Ma per il caso Ilva ora il problema non è questo. La norma sullo scudo penale, raccontano fonti di governo, è stata di fatto messa sul tavolo nell’incontro con ArcelorMittal, al pari di altre rassicurazioni, come il pieno sostegno a un piano che renda l’ex Ilva un «hub della transizione energetica». Tutto inutile. L’azienda vuole l’addio o un taglio draconiano della forza lavoro, che costringerebbe il governo a intervenire sulla cassa integrazione. Con un’appendice: il governo non accetterà mai i 5 mila esuberi richiesti. I sindacati Fiom, Fim e Uilm, proclamando uno sciopero di 24 ore in tutti gli stabilimenti ArcelorMittal, hanno definito le condizioni dell’azienda «provocatorie e inaccettabili».

PATUANELLI: «ARCELORMITTAL NON SA GESTIRE IL SUO PIANO»

Saranno 48 ore di suspense. Perché la trattativa con ArcelorMittal non è ancora definitivamente chiusa. Il ministro dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli sottolinea che ArcelorMittal era a conoscenza della scadenza della «protezione legale» al marzo 2019, pur «auspicando» in una nota «che si risolvesse la criticità» della mancata estensione dello scudo fino al termine dell’esecuzione del Piano Ambientale nel 2023. Nonostante questo l’azienda «presentava offerta irrevocabile» e «palesava quindi di aderire alla misura restrittiva» relativa alla protezione legale. Secondo Patuanelli, non ci sono elementi per far scattare il recesso. «I rappresentanti di ArcelorMittal ci hanno detto chiaramente che non sono in grado di portare a termine il loro Piano industriale per rilanciare l’Ilva», dice Patuanelli.

FONTI DI GOVERNO: «PRATICAMENTE SIAMO GIÀ IN CAUSA»

«Al momento la via concreta è il richiamo alla loro responsabilità», spiega Conte che ha chiesto a Lakshmi Mittal e a suo figlio di aggiornarsi tra massimo due giorni per una nuova proposta. È una delle poche volte, da quando è a Palazzo Chigi, che Conte pone il suo accento sulla serietà del problema. Il premier, secondo alcuni quotidiani, starebbe già studiando di affidare l’azienda a un commissario. E sono parole che danno il tono della fumata nerissima registrata dopo l’incontro con i vertici di ArcelorMittal.

Nel governo si stanno cercando strade alternative. Un piano B che non includerebbe la partecipazione di Cdp ma che potrebbe concretizzarsi con una nuova cordata

«Vogliono il disimpegno o un taglio di 5 mila lavoratori» ma «nessuna responsabilità sulla decisione dell’azienda può essere attribuita al governo», spiega Conte sentenziando un concetto che sa di protesta di un intero sistema: «l’Italia è un Paese serio, non ci facciamo prendere in giro». Già perché, per il governo, semplicemente ArcelorMittal non rispetta un contratto aggiudicato dopo una gara pubblica. Tanto che fonti di governo descrivono lo scontro con l’azienda in questi termini: «Praticamente siamo già in causa». E, nell’esecutivo, emerge anche un’altra considerazione: quanto conviene che l’azienda resti? Per questo, parallelamente, si stanno cercando «strade alternative». Un piano B, insomma, che non includerebbe la partecipazione di Cdp ma che potrebbe concretizzarsi con una nuova cordata. È un’ipotesi che non riguarderebbe necessariamente Jindal o AcciaItalia. Sulla questione si è espresso anche il presidente della regione Puglia Michele Emiliano, che a Tagadà, su La 7 ha detto: «Faremo di tutto per far rispettare a Mittal il suo contratto. Se ciononostante non dovessimo riuscirci, certamente l’Ilva non muore lì, e l’Italia non muore lì: questo deve essere chiaro».

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Lamorgese difende il memorandum firmato con la Libia

La ministra ha tenuto al sua informativa alla Camera e difeso l'intesa del 2017. Ma ha aperto a possibili modifiche e alla creazione di corridoi umanitari.

Il Memorandum of understanding siglato il 2 febbraio 2017 con la Libia ha contribuito a far calare i flussi migratori ed i morti in mare; ora va però cambiato per migliorare le condizioni dei centri per migranti con l’obiettivo di una loro graduale chiusura per far posto a strutture gestite direttamente dall’Onu.

Lo ha detto la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese, nella sua informativa alla Camera, sottolineando che la proposta italiana di rivedere il testo «è stata immediatamente e favorevolmente accolta» da Tripoli. Critico Matteo Orfini (Pd), che ha definito «imbarazzante ed ipocrita» l’intervento della ministra.

All’attacco anche il dem Fausto Raciti: «ha mancato del tutto il punto: quello del rispetto dei diritti umani. Se parti dall’idea che nei campi libici ci siano ospiti e non prigionieri, persone torturate e donne che subiscono violenza, allora il resto viene di conseguenza». Per Erasmo Palazzotto (Leu) va bene rivedere il MoU, ma serve la «chiusura immediata» dei centri. Riccardo Magi (+Europa) ha definito il sistema libico «non riformabile» e sollecitato «un piano di evacuazione e una nuova missione di salvataggio nel Mediterraneo». Gennaro Migliore (Iv) ha aperto alla rinegoziazione dell’accordo.

LA SPINTA A RINNOVARE L’INTESA FINO AL 2023

Lamorgese ha sottolineato che «al momento della sottoscrizione del Memorandum le dimensioni dei flussi erano senz’altro preoccupanti. Oggi», ha sottolineato, «sebbene la situazione sia ben diversa, sarebbe ingiustificabile un calo di attenzione sulle dinamiche migratorie che continuano a interessare il nostro Paese». L’intesa deve dunque proseguire per un altro triennio, anche perchè «ha svolto un ruolo importante per evitare l’isolamento delle autorità libiche e per coinvolgerle in comuni strategie per il contrasto al traffico di esseri umani».

ALLARME INFILTRAZIONI JIHADISTE TRA I MIGRANTI

Ora si punta ad un salto di qualità delle strutture di detenzione (in Libia l’immigrazione illegale è un reato punito con il carcere), nonostante, ha riconosciuto il ministro, «le difficili condizioni generali di insicurezza del Paese, che rischiano di facilitare l’opera di gruppi criminali impegnati nel traffico di esseri umani, anche con il rischio di infiltrazioni di jihadisti tra i migranti che giungono sulle nostre coste». Il conflitto in corso peraltro ha messo sulla linea del fronte anche i centri per migranti. L’obiettivo, per l’Italia, ha puntualizzato Lamorgese, «dovrà essere quello di migliorarne le condizioni, in vista della graduale chiusura di quelli attualmente esistenti, favorendo l’intervento volto alla loro trasformazione, concordata con le autorità libiche, per giungere progressivamente a prevedere centri gestiti direttamente dalle Nazioni Unite».

LE POSSIBILI MODIFICHE VOLUTE DAL GOVERNO

Altri punti da inserire nel rinnovato accordo, per la ministra, sono il rafforzamento dei corridoi umanitari, coinvolgendo altri Paesi europei e con il finanziamento Ue, il potenziamento della capacità di sorveglianza dei confini meridionali della Libia, nonchè il piano di sostegno alle municipalità libiche, con la distribuzione di apparecchiature mediche, materiale sanitario, materiale per scuole e farmaci. Se Tripoli ha risposto subito alla nota verbale italiana manifestando disponibilità a rivedere l’intesa, dal fronte che combatte il governo di accordo nazionale di Fayez al Serraj, è arrivato un avvertimento. L’Italia e l’Europa «non hanno alcun vantaggio» a sostenere il governo di Tripoli, perché la capitale «è in mano alle milizie e finché sarà così arriveranno i barconi sulle vostre coste», ha detto Abdulahdi Ibrahim Lahweej, ‘ministro degli Esteri’ del governo dell’est libico, quello di Khalifa Haftar, non riconosciuto a livello internazionale.

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