Workers Buyout, quando il riscatto è frenato dalla burocrazia
Dalla Italcables a Birrificio Messina fino ad Ar.Pa Lieviti. Sono una settantina le aziende in crisi salvate dai dipendenti. Ma i ritardi nell'erogazione della Naspi in un'unica soluzione a chi ne fa richiesta resta un problema.
I lavoratori salvano l’azienda. Diventandone titolari attraverso la creazione di una cooperativa. E così mandano avanti l’attività, trasformandosi di fatto in imprenditori, spesso di successo.
Non è una storia da film, ma le realtà realizzata in decine di casi in Italia. Dalla cartiera Pirinola di Cuneo alla Estesa di Catania, fino alla Ar.pa Lieviti di Bologna.
Talvolta sono nomi noti, come la Ideal Standard di Pordenone o la Birra Messina, in altri casi si tratta di piccole e medie imprese come la Ceramica Noi di Città di Castello, in Umbria, o la 3Elle di Imola. Certo, il risultato non è mai scontato ed è frutto di sacrificio e impegno.
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Solitamente i lavoratori ricorrono a questa soluzione quando l’azienda ha difficoltà a stare sul mercato a causa dei conti in rosso, oppure quando dopo l’uscita di scena del capo, manca un successore o un erede. Così i lavoratori non si danno per vinti e assicurano la continuità produttiva o il risanamento. C’è un dato che colpisce: quasi l’80% di queste realtà registra buoni risultati; solo il 20% non riesce a rilanciarsi.
IN CINQUE ANNI SALVATI PIÙ DI 1.200 POSTI DI LAVORO
Tutto bene, quindi? Non proprio. I casi sono ancora troppo pochi rispetto alla potenzialità. In Italia sono state mappate almeno 70 workers buyout (Wbo), con più di 1.200 posti di lavoro salvati negli ultimi cinque anni dai diretti interessati. Si potrebbero avere ben altre cifre, visto che purtroppo ci sono migliaia di imprese che falliscono ogni anno. I motivi del percorso a rilento delle Wbo sono sostanzialmente la frammentazione legislativa e alcune volte la lentezza burocratica sulla liquidazione della Naspi in un’unica soluzione – come prevede una norma del Jobs Act – per chi vuole costituire una cooperativa.
DA ZANARDI A MANCOOP, LE STORIE DI RISCATTO
E dire che sono numerosi i case history di successo. C’è la veneta Zanardi editoriale, per esempio. Nel 2014 il titolare dell’impresa si è tolto la vita, lasciando la società in grave difficoltà per debiti. La sfida è stata vinta grazie a 24 dipendenti che hanno investito nel progetto la loro mobilità e la cassa integrazione per una somma totale di 400 mila euro. Con il sostegno di altri finanziatori hanno tenuto in piedi l’impresa. Nel primo anno il fatturato è stato di 360 mila euro. Storie del genere non accadono solo al Nord, nonostante esistano delle disparità territoriali. La Mancoop di Latina è nata quattro anni fa quando 52 dipendenti hanno deciso di salvare la fabbrica di imballaggi passata, prima di andare in rosso, da una multinazionale a un fondo lussemburghese e quindi a un’altra multinazionale.
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IN EMILIA-ROMAGNA E TOSCANA VINCE LA CULTURA COOPERATIVA
In Umbria, altra regione flagellata dalla crisi economica, ci sono la Ternipan (ex Novelli) e la Sartoria Eugubina di Gubbio. L’ex Ceramisia di Città di Castello (Perugia) ha addirittura adottato lo slogan «tutti per uno, un sogno per tutti», cambiando il nome in Ceramica Noi. E il “sogno” è aver conservato il posto di lavoro grazie ai 180 mila euro messi insieme dai fondi per Tfr e Naspi. Da un punto di vista territoriale, Toscana ed Emilia-Romagna vantano maggiori casi di successo, potendo contare su una cultura cooperativa molto radicata. Nel primo caso le Wbo sono 10, nel secondo 19. Proprio a Bologna, di recente, c’è stata la rinascita della Ar.pa lieviti. Il proprietario Paolo Fantizzini, 78 anni, aveva deciso di vendere. Prima di rivolgere lo sguardo ad acquirenti esterni, ha avviato un percorso con i suoi lavoratori. Alla fine è rimasto come consigliere vista l’esperienza nel settore, mentre il comando è passato ai lavoratori-imprenditori. E le premesse sono ottime: per il 2019 sono stimati ricavi di 4 milioni di euro con un incremento del 10% del fatturato.
SICILIA, ISOLA FELICE DEL MEZZOGIORNO
Il divario con il Mezzogiorno è palese: la mappa delle Wbo è praticamente vuota tra Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata, Puglia e Calabria. Due piccole oasi sono l’Italcables e la Nuova Ossigeno, entrambe a Napoli. Italcables, azienda siderurgica con sede a Caivano, ha superato la fase difficile grazie al coraggio dei lavoratori: ognuno ha messo a disposizione 25 mila euro, rischiando in proprio. I risultati stanno arrivando, anche se dalla cooperativa sono prudenti circa il futuro per evitare di fare il passo più lungo della gamba. La Sicilia può essere considerata un’Isola felice in questo contesto difficile: tra i sei case history c’è quello di Birra Messina, fondata nel 1923. Il marchio, finito sotto il controllo del colosso Heineken, era stato poi ceduto agli eredi della famiglia Faranda fondatrice del birrificio. Nel 2011, però, l’azienda decise di licenziare, fino a che nel 2014 un gruppo di lavoratori aprì una cooperativa. Oggi Birra Messina è distribuita anche all’estero e sono state immesse sul mercato delle varianti del prodotto.
COME NASCE IL WORKER BUYOUT
Oggi i lavoratori che intendono rilevare un’azienda in affanno devono costituire una coop (in materia stella polare è la Legge Marcora del 1985, poi modificata) e sottoscrivere le partecipazioni come soci. A loro sostegno possono esserci anche investitori istituzionali, come Cfi o Coopfond. Dal 2015 c’è un’altra possibilità: il lavoratore che ha i requisiti per la Naspi può richiedere la liquidazione anticipata, in un’unica soluzione, della cifra che gli spetta. Questa procedura è legata alla presentazione di un progetto analizzato ed eventualmente validato. In quel caso la liquidazione viene versata per intero.
LO SCOGLIO DEI TEMPI LENTI
Ma qui c’è l’inghippo: i tempi lenti. «È necessario accelerare le procedure amministrative dell’Inps affinché sia garantita in tempi celeri l’erogazione della Naspi in un’unica soluzione ai lavoratori che ne fanno richiesta e servono nuove misure di agevolazione che prevedano la detassazione del Tfr utilizzato dai lavoratori per costituire la nuova impresa», spiega a Lettera43.it la deputata del Movimento 5 stelle, Tiziana Ciprini che ha depositato una proposta di legge sul tema, sollecitando il governo con un’interrogazione alla ministra del Lavoro, Nunzia Catalfo, e al titolare del Mise, Stefano Patuanelli. «Lo strumento del worker buyout», aggiunge, «è potenzialmente molto forte in quanto attua una democrazia economica. Ma si tratta di una realtà ancora troppo poco conosciuta».
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