Conte fuori dall’Ilva a Taranto tra cori e contestazione

Ad accoglierlo una folla di operai, cittadini e ambientalisti. Con una richiesta chiara: «Vogliamo la chiusura dell'impianto, qui ci sono più morti che nascite». Il premier: «Parlerò con tutti».

L’avvocato del popolo circondato dal popolo. A Taranto, fuori dallo stabilimento ex Ilva. Dove il presidente del Consiglio Giuseppe Conte si è presentato per parlare con gli operai, accompagnato da alcuni dirigenti del siderurgico. E dalla folla sono partiti cori, richieste, anche qualche contestazione.

CHIESTA LA RICONVERSIONE ECONOMICA DEL TERRITORIO

Il premier ha in programma anche di partecipare al consiglio di fabbrica permanente di Fim, Fiom e Uilm. È entrato dalla portineria D, quella riservata all’ingresso degli operai. Lì c’erano rappresentanti di comitati e movimenti con striscioni che hanno chiesto la riconversione economica del territorio.

Mi sento in colpa, ogni volta che vado al lavoro faccio del male alla mia famiglia


Un operaio a Conte

Molti hanno scandito cori inneggianti alla chiusura dell’impianto. Conte, un po’ travolto dalla confusione in mezzo alla ressa, ha reagito promettendo: «Parlerò con tutti, ma con calma». Un cittadino gli ha urlato: «Dovete conoscere la situazione». E lui ha risposto: «Sono qui per questo». Un altro ha detto: «Mi sento in colpa perché ogni volta che vado al lavoro faccio del male alla mia famiglia».

«CI SONO PIÙ MORTI CHE NASCITE, BASTA CON QUESTA FABBRICA»

Molti erano cittadini del vicino quartiere Tamburi, nel quale si contano i maggiori danni ambientali e alla salute. «Qui ci sono più morti che nascite», ha detto una madre. «Abbiamo fiducia nelle istituzioni, ma non fatela perdere a noi», ha aggiunto un altro. E ancora: «Questa città richiede altro, perché continuate a insistere su questa fabbrica?».

DIALOGO SU LAVORO E ARCELOR MITTAL

Il presidente del Consiglio ha dialogato con alcuni. Riportando il tema sul lavoro. «Tu lavori?», ha domandato a un cittadino. «Ora sono disoccupato», è stata la risposta. E quando gli è stato chiesto un giudizio sulla società che ora gestisce l’impianto, ha replicato al premier: «Mittal non si è comportata mica tanto bene».

Cosa volete, la riconversione? Stiamo lavorando tanto per l’energia pulita


Il premier Giuseppe Conte

Nella calca c’erano anche ambientalisti. Il premier a molti cittadini ha chiesto: «Cosa volete, la riconversione?». Ma il gruppo che lo ha assediato all’esterno prima che potesse entrare ha avuto una parola d’ordine: chiusura. Solo qualcuno ha accennato alla possibilità di una riconversione, impiegando per questo gli operai per la bonifica. Conte ha rivendicato attenzione all’ambiente: «Stiamo lavorando tanto per l’energia pulita».

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L’intervento di Sergio Mattarella in difesa di Liliana Segre

Il presidente della Repubblica inaugurando l'anno dell'università Campus Biomedico ha citato le parole d'odio contro la senatrice a vita esprimendo la sua vicinanza: «La solidarietà deve contrastare intolleranza e odio».

Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella è intervenuto direttamente nella complicata vicenda della scorta data a Liliana Segre. In particolare il capo dello Stato ha espresso il suo appoggio alla senatrice a vita, invitanto tutti ad agire: «La solidarietà, la convivenza, il senso di responsabilità devono contrastare l’intolleranza, l’odio, la contrapposizione».

Mattarella ha preso la parola al termine della cerimonia di inaugurazione dell’anno accademico dell’università Campus Biomedico, in occasione «del 25esimo anno di questa straordinaria avventura scientifica e didattica». Il presidente della Repubblica ha invitato a pensare al futuro rifacendosi a quello che potrebbe desiderare un bambino e quindi «desiderare una vita serena, la convivenza la vicinanza con gli altri, contro l’arroccamento egoistico».

LEGGI ANCHE: I dati allarmanti sull’antisemitismo che cresce nel mondo

La contrapposizione tra «solidarietà» da una parte e «intolleranza, odio» dall’altra, non è «una alternativa retorica. Quando una bimba di colore non viene fatta sedere sull’autobus o quando una donna come Liliana Segre ha bisogno di una scorta, si capisce che questi non sono interrogativi astratti o retorici».

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La polemica sulla Lega e i 300 mila euro in bond ArcelorMittal

Il M5s all'attacco per i presunti investimenti del Carroccio nel colosso indo-francese. Di Maio: «Ora ho capito perché il partito di Salvini si schierava con l'azienda». Ma la notizia è uscita in aprile, quando i due erano alleati.

La vicenda ex Ilva-Arcelor Mittal prende un nuovo risvolto tutto politico che potrebbe gettare altre ombre sui conti della Lega. A far scoppiare la polemica è stato il viceministro M5s al Mise Stefano Buffagni.

«La Lega», ha sostenuto, «ha investito 300 mila euro in bond di ArcelorMittal. Mi auguro pensi a difendere gli italiani e non le multinazionali».

L’INCHIESTA SUI SOLDI DELLA LEGA

Buffagni fa riferimento a una notizia pubblicata sull’Espresso da Giovanni Tizian e Stefano Vergine ad aprile. Secondo i due giornalisti, la Lega avrebbe investito in titoli negli anni scorsi 1.200.000 euro. Dei quali 300 mila euro in bond della multinazionale che aveva comprato Ilva e che ora si vuole ritirare.

Lega, dai diamanti ai bond di Arcelor Mittal

Dai diamanti in Tanzania ai bond di Arcelor Mittal. Salvini che si dice, a parole, contro l’Europa delle banche, dovrebbe spiegarci, perché il suo partito avrebbe investito, a scopo di lucro, 300 mila euro in obbligazioni dell’azienda franco-indiana che ha acquistato l’Ilva e che ora minaccia di recedere, unilateralmente, dal contratto firmato con lo Stato. Infatti, quella stessa Lega, a parole sovranista, che chiede di reintrodurre l’immunità penale per Arcelor Mittal, secondo diversi organi di stampa, avrebbe investito 300 mila euro proprio in un bond corporate di Arcelor Mittal. Cioè dice di essere dalla parte dei cittadini, dei lavoratori, contro i poteri forti, ma investe soldi in obbligazioni di multinazionali straniere. Da “prima gli italiani!” a “prima i franco-indiani”, in questo caso. A parole fa finta di combattere l’Europa “serva di banche e multinazionali", salvo poi schierarsi sempre dalla parte di quest’ultime. È forse per questo che la Lega, invece di prendersela con la multinazionale franco-indiana, e difendere i lavoratori come sta facendo l’esecutivo, si è scagliata contro il Governo? Salvini scappa e non risponde, come sempre, come ieri mattina, a precisa domanda, dice di chiedere all’amministratore della Lega su questi investimenti. Quindi investono a sua insaputa i soldi del partito? È chiaro, quindi, il motivo per cui l'ex sottosegretario leghista al Mise, Edoardo Rixi, dimessosi per lo scandalo delle spese pazze in Liguria, si spendesse così tanto per Arcelor. Ed è curioso che Arcelor, a luglio del 2018, assunse come capo comunicazione proprio l'ex portavoce di un leghista d'annata, Roberto Maroni. Insomma fra l'azienda franco-indiana e la Lega ci sono molti rapporti e molti contatti. E chissà cosa avrà detto loro Salvini, da vicepremier, quando ha incontrato i vertici di Arcelor Mittal. Forse si è passati da prima i lavoratori a prima gli investimenti, quelli del partito verde.Ma la domanda è: ritenete normale che la Lega, come emerge dalle inchieste, investa soldi pubblici (ricordate i famosi 49 milioni di rimborsi elettorali con i quali acquistarono diamanti in Tanzania), non solo su obbligazioni Arcelor Mittal, ma anche su alcune delle più famose banche e multinazionali, come l’americana General Electric, la spagnola Gas Natural, le italiane Mediobanca, Enel, Telecom e Intesa Sanpaolo? Non c’è un macroscopico conflitto d’interessi se parliamo di un partito che è in Parlamento e che dovrebbe tutelare gli interessi degli italiani?

Posted by MoVimento 5 Stelle on Thursday, November 7, 2019

Secondo i due, autori anche de Il libro nero della Lega,  «sia sotto la gestione di Roberto Maroni, sia in seguito sotto quella di Salvini, parecchi milioni sono stati investiti illegalmente. Una legge del 2012 vieta infatti ai partiti politici di scommettere i propri denari su strumenti finanziari diversi dai titoli di Stato dei Paesi dell’Unione europea. Il partito che si batte contro «l’Europa serva di banche e multinazionali» (copyright di Salvini) ha cercato di guadagnare soldi comprando le obbligazioni di alcune delle più famose banche e multinazionali».

IL M5S ALL’ATTACCO

Il M5s, che quando queste notizie sono uscite era alleato della Lega, ha deciso ora di attaccare il Carroccio a testa bassa. «Ogni volta che io provavo a essere duro, la Lega si schierava con Arcelor. Ora ho capito perché: hanno investito in Arcelor e stanno battagliando ancora per la multinazionale e non per i lavoratori. Abbiamo smascherato il finto sovranismo. Abbiamo gli unici sovranisti al mondo che perorano le battaglie delle multinazionali anziché i cittadini e i lavoratori», ha detto venerdì il ministro degli Esteri e capo del M5s, Luigi Di Maio.

«NON C’È UN MACRO CONFLITTO D’INTERESSI»

Un’accusa rimbalzata anche sui social del Movimento e richiamata dai parlamentari pentastellati. «Perché la Lega di Salvini ha investito 300 mila euro in obbligazioni di Arcelor Mittal? Salvini, come al solito, piuttosto che rispondere preferisce scappare. Eppure, secondo diversi organi di stampa, il suo partito avrebbe investito soldi pubblici, cioè soldi di tutti i cittadini, non solo su obbligazioni Arcelor Mittal, ma anche su alcune delle più famose banche e multinazionali mondiali (…) Ma viene da chiedersi: non c’è forse un macroscopico conflitto d’interessi per un partito che è in parlamento e che dovrebbe tutelare gli interessi degli italiani?», si legge in una nota dei portavoce del MoVimento 5 Stelle in commissione Attività produttive alla Camera.

LA REPLICA DI SALVINI: «NON ABBIAMO BOND»

«Io querelo poco e niente, ma oggi un po’ di gente la querelo, visto che dicono che abbiamo azioni o bond di Arcelor Mittal: roba assolutamente fantasiosa», ha replicato Salvini, incontrando la stampa a Firenze. A onor del vero, nessuno ha detto che la Lega ha in portafogli attualmente le obbligazioni, ma che le ha avute.

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In Campania continua il braccio di ferro tra Anpal e Regione sui navigator

La giunta regionale non ha ancora dato il via libera alla convenzione. «L'impegno sottoscritto da De Luca non corrisponde ai fatti».

Stallo senza fine tra Regione Campania e Anpal sui navigator. L’Agenzia Nazionale Politiche Attive Lavoro ha fatto sapere che è ancora tutto bloccato. «Apprendiamo con rammarico e stupore», si legge in una nota, «che la giunta regionale della Campania non ha approvato la convenzione tra Anpal Servizi e Regione Campania che definiva le modalità di assistenza tecnica dei navigator», senza la quale non si può procedere all’assunzione dei 471 navigator campani vincitori della selezione pubblica.

«In questi 15 giorni», hanno sottolineato Anpal e Anpal Servizi, «abbiamo accolto le molteplici modifiche richieste dagli uffici regionali per favorire l’avvio delle attività. Abbiamo operato con senso di responsabilità, forti dell’impegno sottoscritto con il presidente della giunta Vincenzo De Luca lo scorso 17 ottobre».

«Dobbiamo constatare che all’impegno sottoscritto e diffuso a mezzo stampa sui media non corrisponda la volontà fattuale del presidente di far partire le attività dei navigator in Regione Campania, che potrebbero essere avviate come avvenuto nelle altre 19 Regioni un attimo dopo la stipula della convenzione».

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Buia e Salini: la ministra De Micheli tra due fuochi

La titolare delle Infrastrutture da un lato si è schierata dalla parte dei piccoli costruttori capitanati dal presidente dell'Ance, dall'altro non riesce a sottrarsi al fascino di Progetto Italia. Ma il suo tentativo di districarsi tra interessi contrapposti e ataviche guerre sta destando qualche malumore.

Paola De Micheli non sa che pesci prendere. Da un lato, la ministra delle Infrastrutture si è schierata a favore dei piccoli imprenditori delle costruzioni, che hanno nel presidente dell’Ance, il parmense Gabriele Buia il loro punto di riferimento. Dall’altro, non riesce a sottrarsi al fascino di un potere forte come Progetto Italia, il nuovo super raggruppamento che unisce Impregilo e Astaldi sotto la guida di Pietro Salini con la decisiva partecipazione nel capitale di Cdp. Peccato che Buia e Salini siano come cane e gatto, l’un contro l’altro armati in una guerra che contrappone migliaia di imprese di piccole e medie dimensioni a un colosso che la fa da padrone in un mercato interno che è già povero di suo per l’influenza nefasta del “partito del No” a tutte le infrastrutture esistenti in Italia.

DE MICHELI STRETTA TRA INTERESSI CONTRAPPOSTI

Eppure, la ministra nata all’ombra di Pier Luigi Bersani, passata poi con Matteo Renzi e ora diventata fervente paladina di Nicola Zingaretti, non si è persa d’animo: prima è andata all’assemblea dell’Ance del 30 ottobre convocata per denunciare che ci sono ben 749 opere ancora bloccate per un valore complessivo di 62 miliardi, e si conquistata gli applausi assicurando la platea che la sua volontà è quella di concentrarsi sulla rigenerazione urbana e sulla casa, temi che interessano i piccoli costruttori. Poi ha incontrato i plenipotenziari di Salini e quelli di Cdp dicendo loro che non sarebbe certo rimasta insensibile agli interessi del neonato polo di Progetto Italia. Insomma, la ministra cerca districarsi tra interessi contrapposti e ataviche guerre in un settore come quello delle costruzioni dall’alto tasso di litigiosità, destando qualche malumore al ministero di piazza della Croce Rossa già provato dalle giravolte del suo ineffabile predecessore Danilo Toninelli.

Quello di cui si occupa la rubrica Corridoi lo dice il nome. Una pillola al giorno: notizie, rumors, indiscrezioni, scontri, retroscena su fatti e personaggi del potere

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Buia e Salini: la ministra De Micheli tra due fuochi

La titolare delle Infrastrutture da un lato si è schierata dalla parte dei piccoli costruttori capitanati dal presidente dell'Ance, dall'altro non riesce a sottrarsi al fascino di Progetto Italia. Ma il suo tentativo di districarsi tra interessi contrapposti e ataviche guerre sta destando qualche malumore.

Paola De Micheli non sa che pesci prendere. Da un lato, la ministra delle Infrastrutture si è schierata a favore dei piccoli imprenditori delle costruzioni, che hanno nel presidente dell’Ance, il parmense Gabriele Buia il loro punto di riferimento. Dall’altro, non riesce a sottrarsi al fascino di un potere forte come Progetto Italia, il nuovo super raggruppamento che unisce Impregilo e Astaldi sotto la guida di Pietro Salini con la decisiva partecipazione nel capitale di Cdp. Peccato che Buia e Salini siano come cane e gatto, l’un contro l’altro armati in una guerra che contrappone migliaia di imprese di piccole e medie dimensioni a un colosso che la fa da padrone in un mercato interno che è già povero di suo per l’influenza nefasta del “partito del No” a tutte le infrastrutture esistenti in Italia.

DE MICHELI STRETTA TRA INTERESSI CONTRAPPOSTI

Eppure, la ministra nata all’ombra di Pier Luigi Bersani, passata poi con Matteo Renzi e ora diventata fervente paladina di Nicola Zingaretti, non si è persa d’animo: prima è andata all’assemblea dell’Ance del 30 ottobre convocata per denunciare che ci sono ben 749 opere ancora bloccate per un valore complessivo di 62 miliardi, e si conquistata gli applausi assicurando la platea che la sua volontà è quella di concentrarsi sulla rigenerazione urbana e sulla casa, temi che interessano i piccoli costruttori. Poi ha incontrato i plenipotenziari di Salini e quelli di Cdp dicendo loro che non sarebbe certo rimasta insensibile agli interessi del neonato polo di Progetto Italia. Insomma, la ministra cerca districarsi tra interessi contrapposti e ataviche guerre in un settore come quello delle costruzioni dall’alto tasso di litigiosità, destando qualche malumore al ministero di piazza della Croce Rossa già provato dalle giravolte del suo ineffabile predecessore Danilo Toninelli.

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Col voto anticipato Renzi sparirebbe dalla scena politica

In un'intervista a Repubblica il leader di Italia viva implora di non far cadere il Conte bis. Sa che se andasse a elezioni ora sarebbe finito.

Matteo Renzi alla Repubblica dell’8 novembre dice che il voto anticipato sarebbe un suicidio, soprattutto annichilirebbe Pd e Italia viva separandoli definitivamente. Per il resto l’intervista è solo autopromozione.

È del tutto evidente che Renzi abbia capito che tirando la corda questa può spezzarsi e che dopo Giuseppe Conte c’è solo il voto e che il voto ravvicinato dopo il Conte 2 porta al governo Salvini prima ancora che si possano manifestare appieno i primi cenni di una competition fra lui e Giorgia Meloni alla quale i sondaggi danno già il 10%.

Detto tra parentesi, questo dato della Meloni richiede una riflessione. Perché dice che c’è una destra che torna a casa, avendone trovata una e segnala un trend che ha accompagnato tutte le altre avventure precedenti, come quelle di M5s e Lega, cioè dapprincipio una lenta ma inesorabile ascesa, infine una esplosione nel voto. Non so se accadrà, so solo che la descrizione di una destra pacificata che va verso la vittoria e che con serenità governa è una sciocchezza come l’idea che il primo Conte dovesse durare 20 anni.

IL PD SE CORRESSE DA SOLO POTREBBE OTTERE IL 20% DEI VOTI

Torniamo a Renzi. Al medesimo sfuggono due ipotesi di lavoro che sono davanti al Pd nel caso si rompesse l’alleanza: che cinque stelle e Italia viva rompano talmente i cabasisi al povero Nicola Zingaretti da costringerlo a far saltare il tavolo. Oppure, altra soluzione, che Matteo Salvini si “compri” un po’ di deputati grillini facendo crollare l’attuale maggioranza. Il Pd messo alle strette potrebbe andare al voto da solo o con pochi alleati al centro e a sinistra dichiarando di aver fatto di tutto per dare una mano al Paese dopo l’estate alcolica di Salvini e l’autunno giovanilistico di Renzi e Luigi Di Maio. Potrebbe assestarsi su una cifra intorno al 20% dei voti o poco più che è il dato di molte socialdemocrazie europee e da qui potrebbe tentare la risalita avendo come vantaggio di non avere in parlamento nessun renziano, Renzi compreso, e pochi pentastellati, ma non Di Maio.

SERVE UNA COALIZIONE NUOVA DA OPPORRE AI SOVRANISTI

Il Pd potrebbe, soluzione che io suggerisco, affrontare il trauma della chiusura anticipata della legislatura facendo una sorta di Big bang, cioè formando un cartello elettorale in cui si scioglierebbero i partiti e si darebbe vita a una coalizione di italiani che non vogliono prender ordini da Vladimir Putin, che non vogliono svendere le imprese ai francesi, che vogliono mantenere una società industriale di nuovo tipo, avendo al centro il tema di lavori straordinari e di una operazione sul cuneo fiscale, non da rimandare come vuole Renzi, ma da rendere più efficace. Di fronte alla minaccia di destra con una coalizione di italiani veri. Direi risorgimentale e digitale. Anche in questo caso Renzi e i grillini andrebbero a ramengo e ci sarebbe la possibilità di accogliere convergenze fra la società civile che è stufa di politicanti come i due Mattei e di signori o signorine come Di Maio e Barbara Lezzi.

PER ORA RENZI ELETTORALMENTE NON ESISTE

Renzi vuole evitare queste due soluzioni? Sia costruttivo. Deve semplicemente togliersi dalla testa ciò che lo ha mosso negli anni dell’ascesa, del successo e della sua attuale fragile resurrezione. Cioè che la sinistra, e in particolare gli ex comunisti, quelli non sbianchettati come la sua Teresa Bellanova, non sono un deposito di consensi da saccheggiare ostentando disprezzo. Renzi elettoralmente, per ora, non esiste. È figlio degli errori della sinistra non della sua evoluzione.

Chi era ossessionato da Massimo D’Alema fra un po’ sarà fuori dalla politica italiana

Non è caduto perché la sinistra lo voleva morto, ma perché lui voleva uccidere ogni ombra che venisse dalla sinistra. Renzi ha bisogno di fare chiarezza mentale nei suoi pensieri. Il prossimo voto, e la prossima sconfitta, diranno che chi ha difeso la Ditta, essendo così colpevole di coservatorismo, tuttavia attrae ancora una buona parte di italiani, chi era ossessionato da Massimo D’Alema fra un po’ sarà fuori dalla politica italiana. In sintesi, se la attuale coalizione non è in grado di emettere un solo suono dignitoso, lasci il fiato per le trombe del ritiro. Un ritiro ordinato e pieno di idee per il futuro, può almeno salvare la bandiera.

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Assegnata la scorta a Liliana Segre

Dopo i continui messaggi d'odio sui social, le autorità hanno deciso di garantire la protezione alla senatrice a vita. Salvini: «Anch'io ricevo minacce ogni giorno».

I carabinieri del Comando provinciale di Milano garantiranno la scorta alla senatrice a vita Liliana Segre, deportata nel gennaio del 1944 dal binario 21 della stazione Centrale al campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau, e sopravvissuta all’Olocausto. Lo fa sapere il Corriere della Sera. La misura di protezione, da tempo sotto esame, è stata disposta nel pomeriggio di mercoledì, durante il Comitato per la sicurezza e l’ordine pubblico presieduto dal prefetto Renato Saccone e con al tavolo i vertici cittadini delle forze dell’ordine.

SALVINI: «ANCH’IO RICEVO MINACCE OGNI GIORNO»

«Le minacce contro Segre, contro Salvini, contro chiunque sono gravissime», ha detto il leader della Lega Matteo Salvini lasciando una manifestazione di Coldiretti in corso in piazza Montecitorio. «Anche io ne ricevo quotidianamente», ha aggiunto.

LA COMUNITÀ EBRAICA: «L’ANTISEMITISMO C’È»

«Il fatto che una senatrice sopravvissuta ad Auschwitz abbia bisogno della scorta indica che il Paese ha fallito e che l’antisemitismo c’è. Dopo l’attentato nell’82 a Roma le comunità ebraiche hanno iniziato ad essere sorvegliate, esigenza che non è mai venuta meno. Il rabbino Toaff era scortato, il rabbino Di Segni è scortato, come le presidenti di Roma, Dureghello, dell’Ucei, Di Segni. I nostri bambini entrano nelle nostre scuole scortati», ha dichiarato il vicepresidente della comunità di Roma Ruben Della Rocca.

SOLIDARIETÀ DAL PD

«A Liliana Segre, una delle ultime sopravvissute italiane alle camere a gas di Auschwitz-Birkenau, oggi lo Stato assegna una scorta perché la deve difendere da nuove minacce. È un terribile segnale, è un mondo che corre all’indietro. Difendere oggi chi ha attraversato l’inferno ieri è un dovere ma è anche una sconfitta»: così in una nota il deputato Pd Emanuele Fiano. Per la sottosegretaria ai rapporti con il parlamento Simona Malpezzi, «la decisione di mettere sotto tutela la senatrice Segre, per le continue minacce che riceve, rende l’idea del pericolo che corrono tutte le persone civili e democratiche nel nostro Paese. C’è un clima sociale e politico pesante in Italia che viene spesso sottovalutato, da oggi non deve essere più possibile tollerare qualsiasi manifestazione o cedimento verso posizioni razziste e fasciste. È un impegno che tutti i gruppi parlamentari devono assumere con chiarezza. Lo dobbiamo a Lilliana Segre, lo dobbiamo alla democrazia che va difesa senza alcuna ambiguità».

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ArcelorMittal vuole 5 mila esuberi per tenersi l’ex Ilva

Conte in una drammatica conferenza stampa: «Richiesta inaccettabile, offrano soluzioni che ci rassicurino». Il governo è disponibile a ripristinare l'immunità. Altre 48 ore per trattare, ma lo scenario è fosco.

Il premier Giuseppe Conte ha confermato in conferenza stampa che ArcelorMittal vuole 5 mila esuberi – su un totale di 10.777 dipendenti, di cui 1.200 già in cassa integrazione – per tenersi l’ex Ilva, che ogni giorno a Taranto perde 2,5 milioni di euro. Una condizione durissima, che il governo ritiene «inaccettabile». L’esecutivo, ha detto Conte, «è disponibile al ripristino dell’immunità sul piano ambientale, per sgombrare il campo da un falso problema. Ma nella discussione con l’azienda è venuto fuori che non è questa la vera causa del disimpegno. Lo dico senza timore di essere smentito: lo scudo penale non è il tema. Il tema vero è che ArcelorMittal ritiene che gli attuali livelli di produzione non siano sostenibili per remunerare gli investimenti. Dunque non ritiene possibile garantire l’occupazione».

In diretta da Palazzo Chigi

Posted by Giuseppe Conte on Wednesday, November 6, 2019

LEGGI ANCHE: Quanto pesa la possibile chiusura dall’ex Ilva sull’indotto

Sul dossier scatta ufficialmente «un allarme rosso» ed è necessario che «il Paese regga l’urto di questa sfida». Ma secondo il premier «nessuna responsabilità sulla decisione dell’azienda può essere attribuita al governo. Siamo disponibili a tenere aperta una finestra negoziale, 24 ore su 24. Invitiamo ArcelorMittal a prendersi un paio di giorni per offrire soluzioni che ci rassicurino sulla continuità dei livelli occupazionali, dei livelli produttivi e sul piano di risanamento ambientale». Ma quali strumenti concreti ha il governo per tentare di convincere l’azienda a tornare sui suoi passi, senza finire in Tribunale? Ben pochi. E Conte lo ha ammesso: «Ho offerto lo scudo penale, è stato rifiutato. Ho quindi chiesto di aprire un tavolo di negoziazione». Ma le mani del governo sono sostanzialmente vuote, a meno di non voler immaginare un ricorso massiccio alla cassa integrazione o un costosissimo subentro dello Stato. «Al momento non c’è nessuna soluzione, nessuna richiesta nostra è stata accettata», ha aggiunto il premier.

PATUANELLI: «LA RIDUZIONE DELLA PRODUZIONE È STRUTTURALE»

Il ministro dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli, visibilmente scosso, ha ribadito il concetto: «Questa è una vertenza industriale. ArcelorMittal vuole ridurre la produzione a 4 milioni di tonnellate e vuole 5 mila persone in meno. Ma ha vinto la gara promettendo 6 milioni di tonnellate e 8 milioni dal 2024. C’è un altro problema: se non si produce, non si investe nemmeno sul risanamento ambientale. Noi siamo disponibili ad accompagnare la situazione attuale, legata alle tensioni commerciali e alla crisi dell’automotive. Ma loro sono stati chiari: la riduzione della produzione è strutturale. Per noi è inaccettabile, il piano industriale di ArcelorMittal è stato proposto nel 2017, di fatto sono dentro da un anno».

SINDACATI CONVOCATI PER IL 7 NOVEMBRE

Conte ha promesso che gli operai e le comunità locali non saranno lasciati soli: «Domani convocheremo i sindacati. C’è l’assoluta determinazione di rilanciare l’ex Ilva e Taranto. Non è questione di minoranza o maggioranza, le polemiche politiche sono assolutamente inutili». Oltre agli esuberi, ArcelorMittal avrebbe chiesto anche una norma ad hoc per tenere in vita l’altoforno 2, che non è a norma e che rischia di essere spento dalla magistratura. Le organizzazioni dei lavoratori sono pronte alla mobilitazione. La Fim-Cisl si è mossa autonomamente con uno sciopero immediato, mentre in serata la Fiom e la Uilm hanno proclamato una giornata di astensione dal lavoro per l’8 novembre e una manifestazione a Roma, «di fronte all’arroganza» di ArceloMittal e alla «totale incapacità della politica».

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M5s: nuova fumata nera per elezione capogruppo Camera

Niente da fare in casa grillina per il successore di D'Uva. Fazioni ancora bloccate su due nomi: Silvestri e Crippa.

Nuova fumata nera, a quanto si apprende, per l’elezione del capogruppo del M5s alla Camera. Al termine dello spoglio nè Francesco SilvestriDavide Crippa hanno ottenuto la maggioranza assoluta richiesta dallo statuto del gruppo. Silvestri ha incassato 95 voti, Crippa 83.

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Il Garante della privacy contro l’archiviazione integrale delle fatture elettroniche

Secondo l'authority i dati memorizzati dall'Agenzia delle entrate comprendono anche informazioni non rilevanti ai fini tributari. Parlamento invitato a modificare la norma contenuta nel decreto fiscale.

L’archiviazione integrale per otto anni di tutte le fatture elettroniche emesse e ricevute da parte dell’Agenzia delle entrate, compresi i dati non fiscalmente rilevanti e quelli relativi alle prestazioni fornite, per il Garante delle privacy è «sproporzionata». L’authority ha quindi invitato il parlamento a «vagliare l’effettiva necessità» di questa norma, valutando la possibilità di sostituirla con procedure «meno invasive» per i cittadini o semplicemente di «oscurare i dati non fiscalmente rilevanti».

LA NORMA È CONTENUTA NEL DECRETO FISCALE

Nella memoria che il Garante ha trasmesso alla commissione Finanze della Camera, dove sono in corso le audizioni sul decreto fiscale, ci si concentra sull’articolo 14 del provvedimento, che consente per l’appunto all’Agenzia delle entrate di memorizzare i file delle fatture elettroniche per gli otto anni successivi alla presentazione della dichiarazione dei redditi.

ARCHIVIAZIONE FINALIZZATA ALL’ANALISI DEL RISCHIO-EVASIONE

L’archiviazione è finalizzata all’analisi del rischio-evasione e all’esecuzione di controlli sia da parte della stessa Agenzia delle entrate, sia da parte della Guardia di finanza in caso di inchieste giudiziarie. Ma secondo il Garante per la privacy, quantità e qualità dei dati archiviati sarebbero eccessive. Anche perché l’intero patrimonio di informazioni sarebbe esposto a rischi di «esfiltrazione o attacchi informatici», per fronteggiare i quali servirebbero apposite leggi.

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