Per il Vaticano la diplomazia mondiale è in crisi a causa dell’ego nazionalista
La diplomazia della Santa Sede sostiene l’approccio multilaterale alle crisi internazionali. E appoggia l’azione di organismi intergovernativi come le Nazioni Unite. Ora in crisi a causa del sovranismo dilagante.
La diplomazia della Santa Sede sostiene l’approccio multilaterale alle crisi internazionali e appoggia di conseguenza l’azione degli organismi intergovernativi come le Nazioni Unite.
L’IMPASSE DEGLI ORGANISMI INTERGOVERNATIVI
Se questi ultimi vivono da tempo una stagione di impasse è dovuto a vari fattori fra i quali ha un peso significativo l’idea, oggi diffusa, che gli interessi particolari, nazionali, debbano e possano prevalere anche al di fuori del principio di collaborazione fra nazioni e governi. Si tratta, tuttavia, di una prospettiva illusoria, fondata su una sorta di “ego del nazionalismo” che non contribuisce né alla tutela degli interessi specifici né, tanto meno, alla soluzione dei problemi di carattere globale che riguardano il Pianeta a cominciare dalla ricerca di soluzioni pacifiche ai conflitti.
LA DIPLOMAZIA VATICANA CONTRO I NAZIONALISMI
Il Segretario di Stato vaticano, cardinale Pietro Parolin, ha chiarito in una lectio magistralis tenuta nei giorni scorsi in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico dell’Università Cattolica a Roma, in quale prospettiva operi la diplomazia vaticana. Parolin, ha quindi riaffermato come l’azione della Santa Sede, anche sul piano degli strumenti della politica internazionale, delle sue finalità, della sua ispirazione cristiana, sia profondamente in contrasto con le opzioni nazionalistiche oggi spesso prevalenti che divergono profondamente, per metodo e per scala di valori, da quanto propone la Chiesa sul piano diplomatico a livello globale.
LEGGI ANCHE: Ruini apre a Salvini: l’ultima carta dei conservatori contro Francesco
I DISSIDI TRA SANTA SEDE E LEADER SOVRANISTI
D’altro canto, basta ricordare, a conferma delle affermazioni del Segretario di Stato, che non sono stati pochi i motivi di dissidio fra la Santa Sede e alcuni degli slogan e dei protagonisti della scena mondiale. A cominciare dall’America first di Donald Trump il quale entrava in contrasto sia con i partner europei che con la nuova superpotenza economica cinese, mentre cercava di ampliare il proprio consenso interno attaccando le minoranze etniche e i migranti; non vanno poi dimenticate le accuse di ingerenza rivolte dal presidente brasiliano Jair Bolsonaro a quanti – compreso il papa – chiedono la salvaguardia della foresta amazzonica quale bene comune dell’umanità la cui distruzione ha ricadute ambientali che vanno ben oltre i confini del Brasile.
Ma di fatto in questa problematica rientra – e forse si colloca al primo posto per importanza e gravità – il lungo e distruttivo conflitto siriano in cui la Santa Sede ha più volte denunciato il prevalere degli interessi di superpotenze regionali o globali su quelli di una popolazione civile straziata dal conflitto (si parla nel caso specifico di guerra combattuta da gruppi e milizie “per procura”).
LEGGI ANCHE: Dagli Usa al Vaticano, nomine pesanti che rafforzano il papa
Anche i movimenti nazionalisti che percorrono l’Europa in questi anni sono osservati con allarme dalla Santa Sede per la carica di odio che tendono a scatenare contro le minoranze, come ha ricordato il papa lo scorso 15 novembre quando ha pure affermato: «Vi confesso che quando sento qualche discorso, qualche responsabile dell’ordine o del governo, mi vengono in mente i discorsi di Hiltler nel ’34 e nel ’36». Per questo il primo obiettivo della diplomazia vaticana è quello di lavorare per la pace, la concordia e il dialogo fra le nazioni.
LE SFIDE DELL’ERA POST-GLOBALIZZAZIONE
Tanto più che il mondo nel quale oggi si muovono i diplomatici della Santa Sede non è più quello di una «comunità di genti cristiane» in cui al papa spettava il compito di costruire la pace «fra i principi cristiani», ma una realtà plurale e assai diversificata al suo interno per culture, tradizioni, religioni. Il compito dei nunzi e dei diplomatici del papa, allora, è quello di lavorare per il bene comune di ogni Paese nel quale ci si trova ad agire, mentre sul piano generale deve prevalere il principio di far progredire l’intera famiglia umana. Concetto che oggi non gode di grande popolarità.
Se infatti nella globalizzazione, ha spiegato il cardinale Parolin, l’importante per i singoli Stati era di non restare esclusi, «nella realtà post-globale in cui siamo immersi, il primo pensiero è proteggersi, chiudersi rispetto a quanto ci circonda poiché ritenuto fonte di pericolo o di contaminazione per idee, culture, visioni religiose, processi economici». D’altro canto, nell’attuale deriva in cui prevalgono gli isolazionismi o le visioni particolaristiche, i muri e i confini chiusi, secondo il Segretario di Stato vaticano, i protagonisti della politica internazionale appaiono spesso rassegnati rispetto al susseguirsi di crisi, violenze contro innocenti, violazioni di diritti fondamentali.
LEGGI ANCHE: L’America Latina ha aiutato il papa a battere la Curia
La diplomazia, a sua volta, ha le armi spuntate, è diventata impotente di fronte ai numerosi conflitti in atto, alla circolazione indiscriminata delle armi, al ricorso alla violenza terroristica o a impossibili condizioni di sopravvivenza di popoli e Paesi. Da qui la necessità e l’urgenza di tornare al multilateralismo quale strada maestra per scongiurare e guerre e contrapposizioni fratricide, aprire strade negoziali ovunque sia possibile, favorire la cooperazione e la riconciliazione fra le nazioni.
Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it