Miccichè verso le dimissioni da presidente della Lega Serie A

Secondo un'anticipazione di Dagospia, il dirigente avrebbe deciso di lasciare in seguito alla chiusura delle indagini sulla sua elezione.

Il presidente della Lega di Serie A Gaetano Micciché sarebbe pronto a rassegnare le dimissioni. La decisione sarebbe stata presa in seguito alla chiusura delle indagini della Procura della Figc sulla sua elezione. Miccichè fu eletto il 19 marzo del 2018 al vertice della Lega Serie A, che era reduce da un doppio commissariamento, prima con Carlo Tavecchio e poi col presidente del Coni, Giovanni Malagò. Proprio quest’ultimo aveva risolto l’impasse indicando alle venti società il nome del banchiere, presidente di Banca Imi, e membro del cda di Rcs.

L’ELEZIONE PER ACCLAMAZIONE

Anziché la maggioranza qualificata a scrutinio segreto, Miccichè aveva bisogno dell’unanimità per essere eletto, come prevede lo statuto per evitare il conflitto di interessi di chi ha ricoperto incarichi in istituzioni private di rilevanza nazionale in rapporto con i club o loro gruppi di appartenenza. Lo scrutinio segreto fu accompagnato dalle dichiarazioni pubbliche di voto (tutte a favore di Miccichè), per insistenza in particolare dell’ad della Roma, Mauro Baldissoni, e del presidente della Juventus, Andrea Agnelli. Miccichè fu quindi eletto per acclamazione e non furono scrutinate le schede, che sono tuttora custodite nell’urna elettorale sigillata.

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Miccichè verso le dimissioni da presidente della Lega Serie A

Secondo un'anticipazione di Dagospia, il dirigente avrebbe deciso di lasciare in seguito alla chiusura delle indagini sulla sua elezione.

Il presidente della Lega di Serie A Gaetano Micciché sarebbe pronto a rassegnare le dimissioni. La decisione sarebbe stata presa in seguito alla chiusura delle indagini della Procura della Figc sulla sua elezione. Miccichè fu eletto il 19 marzo del 2018 al vertice della Lega Serie A, che era reduce da un doppio commissariamento, prima con Carlo Tavecchio e poi col presidente del Coni, Giovanni Malagò. Proprio quest’ultimo aveva risolto l’impasse indicando alle venti società il nome del banchiere, presidente di Banca Imi, e membro del cda di Rcs.

L’ELEZIONE PER ACCLAMAZIONE

Anziché la maggioranza qualificata a scrutinio segreto, Miccichè aveva bisogno dell’unanimità per essere eletto, come prevede lo statuto per evitare il conflitto di interessi di chi ha ricoperto incarichi in istituzioni private di rilevanza nazionale in rapporto con i club o loro gruppi di appartenenza. Lo scrutinio segreto fu accompagnato dalle dichiarazioni pubbliche di voto (tutte a favore di Miccichè), per insistenza in particolare dell’ad della Roma, Mauro Baldissoni, e del presidente della Juventus, Andrea Agnelli. Miccichè fu quindi eletto per acclamazione e non furono scrutinate le schede, che sono tuttora custodite nell’urna elettorale sigillata.

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Renzi dice che le elezioni consegnerebbero il Paese alla Lega

Il leader di Italia viva torna a parlare in un'intervista al Corsera e manda un messaggio al Pd: «Non credo vogliano andare contro gli interessi dei loro elettori».

«Andare a votare oggi significa regalare a Salvini il Paese, il Quirinale, i pieni poteri. E come se non bastasse significa lasciargli Emilia, Toscana e Lazio». È il messaggio che Matteo Renzi manda ai dem: «Può darsi» – afferma in un’intervista al Corriere della Sera – «che questa sia la decisione autolesionista di parte del gruppo dirigente del Pd. Ma non credo sia l’interesse degli elettori del Pd, oltre che dei cittadini italiani».

«SERVE UN PIANO CHOC PER SBLOCCARE I CANTIERI»

Renzi dice di non temere le elezioni, «ma faremo di tutto per eleggere un presidente della Repubblica non sovranista. Questa è la nostra sfida. E Italia viva la vincerà». Dopo la manovra il governo avrà bisogno di una verifica? «Verifica, tagliando: mi sembrano espressioni vecchie, da prima repubblica e comunque il tema non mi riguarda» – risponde – «noi di Italia viva pensiamo che dopo la manovra serva il piano Italia choc per sbloccare i cantieri, non il rimpasto».

«LE RISORSE CI SONO»

«La situazione italiana è seria» e «noi» – rilancia Renzi – «proponiamo di sbloccare i 120 miliardi di euro che sono fermi nei cassetti attraverso l’utilizzo di procedure straordinarie come abbiamo fatto a Milano con l’Expo». E a chi rileva che queste risorse non ci sono, replica: «Conosco i numeri. Sono pronto a un duello all’americana in tivù o in un centro studi, con chiunque dica che manchino i soldi». Quindi si rivolge a Conte: «Fossi il premier cercherei di valorizzare le idee di Italia viva». L’appello del premier ai gruppi per evitare l’aumento di tasse? «Ben fatto, bravo. Quando lo dicevamo solo noi, in beata solitudine, ci consideravano i pierini della maggioranza».

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Maltempo, nuove esondazioni nel Bolognese

Vigili del fuoco al lavoro a Budrio. Allagamenti e strade chiuse nell'Alessandrino. La mappa dei disagi.

Non accenna ad allentarsi la stretta del maltempo sull’Italia. Il 19 novembre si sono abbattuti nuovi rovesci sulla penisola, con disagi in particolare al Centro-Nord.

IL FIUME IDICE NEL BOLOGNESE ESONDA ANCORA

Nuova esondazione del fiume Idice nel Bolognese, nel territorio di Budrio già colpito il 17 novembre. Il Comune ha ordinato l’evacuazione immediata di strade in prossimità degli argini. Il nuovo innalzamento del livello del fiume è stato provocato dalle piogge della notte. La fuoriuscita di acqua dalla ‘falla’ è, a quanto si apprende, di portata inferiore a quella di due giorni fa. Al lavoro diverse squadre di vigili del fuoco, protezione civile, forze dell’ordine e volontari.

ALLAGAMENTI E SCUOLE CHIUSE NELL’ALESSANDRINO

Pioggia e neve continuano a cadere in provincia di Alessandria soprattutto nelle zone appenniniche, al confine con la Liguria, e fino a bassa quota sulle valli Erro e Bormida. La protezione civile ha segnalato allagamenti anche nell’Alessandrino e in Alto Monferrato. Le scuole sono chiuse in 36 Comuni. Ad Alessandria le lezioni sono state sospese nella scuola media del sobborgo di Spinetta Marengo. A Bosco Marengo i vigili del fuoco sono intervenuti per un’automobile bloccata in un sottopasso: al loro arrivo, nella vettura non c’era nessuno.

TRENTASEI STRADE CHIUSE IN ALTO ADIGE

L’Alto Adige, dopo il caos neve dei giorni scorsi, torna lentamente alla normalità. L’ultima ondata di precipitazioni è stata meno intensa del previsto. In mattinata è stata riaperta la strada statale della val Badia, isolata da giorni. Sono comunque ancora 36 le strade statali e provinciali chiuse per motivi di sicurezza. Alle 4 di notte a Chiusa, in valle Isarco, nei pressi del casello autostradale, una colata di fango e sassi è finita su una strada provinciale già chiusa al traffico. In alta val Martello 47 persone, evacuate nei giorni scorsi, per il momento non possono fare ritorno nelle loro abitazioni. Sono ancora 1.200 le utenze in tutta la provincia colpite dal blackout. In val d’Ultimo nella notte sono caduti 10 centimetri di neve fresca, nel corso della giornata sono attesi altri 10 e poi la perturbazione dovrebbe spostarsi.

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Biennale di Venezia, Paolo Baratta spera nella proroga

Il governo non ha ancora trovato un accordo per designare il successore alla presidenza dell'ente. La palla ora è in mano al ministro dei Beni culturali Dario Franceschini che deve fronteggiare pressioni e desiderata. Tra i pretendenti, Evelina Christillin, Stefano Boeri e Roberto Cicutto.

Come per Invitalia, Sace, le autorità per le Tlc e la Privacy, l’Auditorium di Roma e altre numerose società pubbliche, si avvia verso una proroga anche la presidenza della Fondazione Biennale di Venezia, tre le più importanti e internazionali istituzioni culturali del Paese. 

NESSUN ACCORDO PER DESIGNARE UN SUCCESSORE

Il governo, che in questo momento per la verità ha ben altre gatte da pelare, non è stato ancora in grado di trovare all’interno della maggioranza che lo sostiene un accordo per designare il successore di Paolo Baratta, per due mandati presidente dell’ente veneziano e ora per legge non più ricandidabile. Se ne occuperà, come spesso capita, all’ultimo momento? Difficile che ciò accada. Più facile invece ricorrere a una soluzione all’italiana, ovvero quella della prorogatio

PRESSING SU DARIO FRANCESCHINI

Così, salvo sorprese dell’ultima ora, la Biennale resterà almeno per un altro anno sotto la saggia e abile guida di uno dei più stimati commis di Stato, già pluriministro in governi della Prima Repubblica e in terra veneta sostenuto con decisione dal sindaco di Venezia di area forzista Luigi Brugnaro, e dal presidente della Regione Veneto, il leghista Luca Zaia. Tuttavia sono in molti che scalpitano per la prestigiosa presidenza e premono soprattutto sul ministro dei Beni culturali, Dario Franceschini, affinché inizi una procedura complessa che prevede, dopo la designazione del ministro, il via libera del Consiglio dei ministri e il parere delle competenti commissioni di Camera e Senato.

I PRETENDENTI: DA CHRISTILLIN A BOERI E CICUTTO

In fondo, dicono i pretendenti, il rapporto della Biennale con Baratta (che ha appena compiuto 80 anni) è già durato abbastanza. L’economista che fu tra l’altro vicepresidente del Nuovo banco ambrosiano e dell’Abi, è stato infatti per ben due volte e in periodi diversi alla guida dell’istituzione lagunare. La prima dal 1998 al 2001, su indicazione di Walter Veltroni, all’epoca ministro dei Beni culturali del governo Prodi. La seconda dal 2008 a oggi, nonostante il governo Berlusconi avesse dato indicazione per sostituirlo con Giulio Malgara. Ora la palla è in mano a Franceschini, che deve fronteggiare pressioni e desiderata di quanti ambiscono a quella poltrona a Ca’ Giustinian. Che fa gola, per esempio, a Evelina Christillin, regista delle olimpiadi torinesi poi presidente del Teatro Stabile della città e ora dell’Enit, a Stefano Boeri, il fiammeggiante architetto di area piddina padre del milanese Bosco verticale, e a Roberto Cicutto, presidente dell’Istituto Luce e già fondatore della casa di distribuzione cimematografica Mikado. Più altri esperti di arte, musica e  cinema che al ministero occhi indiscreti in vista della scadenza segnalano agitarsi.

Quello di cui si occupa la rubrica Corridoi lo dice il nome. Una pillola al giorno: notizie, rumors, indiscrezioni, scontri, retroscena su fatti e personaggi del potere.

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«Eccoci», quel vecchio titolo dell’Unità che serve al Pd

Dopo la svolta a sinistra di Zingaretti, il partito deve seminare senza avere fretta, rimanendo attento al disagio sociale, al lavoro e ai diritti civili. Solo così riconquisterà il suo popolo.

Vedremo presto se la svolta a sinistra del Pd porterà i suoi frutti nei prossimi sondaggi.

L’assemblea di Bologna ha avuto una buona stampa e univocamente è sembrato a tutti gli osservatori che il Pd di Nicola Zingaretti, ma con alla regia Gianni Cuperlo, abbia voluto lanciare un segnale forte all’Italia che ha votato a sinistra e che tuttora vota a sinistra.

Avrei aggiunto ai punti sui diritti civili – cioè l’ abolizione delle leggi Salvini e l’approvazione di quelle favorevoli agli immigrati – un bel pacchetto di misure per il lavoro, a cominciare da emendamenti che rendano più forte l’iniziativa sullo scudo fiscale. Tuttavia penso che questo accadrà.

MATTEO RENZI PUÒ RAGGIUNGERE UN 4-5% CON ITALIA VIVA

Tutto a posto, dunque? Ovviamente no, il passaggio che aspetta il Pd è quello più difficile ora. Si tratta di tradurre in iniziative sul territorio e in organizzazione di eventi politici tutto quel ben di dio di intenzioni e di ragionamenti operosi. Come si diceva una volta, ora tocca alla prassi. Le polemiche di Matteo Renzi e dei renziani contano poco. È lui che se ne è andato, e con lui che sono andati via gli e le esponenti del Pd che più sono state premiate/i dalla sua gestione, tutti loro vorrebbero fare un rassemblement di destra-sinistra.

Se a Renzi riesce di prendere un po’ di voti a destra è grasso che cola. Non accadrà

Vedo un po’ debole il fianco sinistro, ma se gli riesce di prendere un po’ di voti a destra è grasso che cola. Non accadrà. La destra ha già casa sua, ne ha addirittura tre. Il fascino renziano dovrebbe accecare l’ala più moderata della destra e quella più moderata della sinistra. A occhio e croce stiamo parlando di un 4-5% elettorale, da non buttar via, che tuttavia non cambierà la fisionomia politica del Paese.

A DESTRA SOLO ODIO, IL PD DEVE RICOSTRUIRE SENZA FRETTA

Il Pd, invece, deve radicalizzare in modo netto, senza ricorrere al stigma del fascismo, la propria contrapposizione a una destra che le uniche idee le prende dal mercato dell’usato, che è tornata a tuonare contro neri e migranti, che è piena di giornalisti che nei talk show fanno a gara a dire stronzate. È in atto la più straordinaria operazione di brutalizzazione della politica. Se non ci fossero Maurizio Crozza e altri comici a far sorridere ci sarebbe da preoccuparsi ad ascoltare un mare di menzogne e una quantità belluina di incitamenti all’odio. Credo che arriverà un tempo in cui la destra pagherà questa stagione di follia.

L’intervento del segretario nazionale del Partito democratico Nicola Zingaretti alla convention del Pd a Bologna il 17 novembre.

Il Pd deve essere tutt’altra cosa. Fermo, rigorosamente legato alle istituzioni, movimentista di fronte al disagio sociale e nelle lotte per la difesa delle fabbriche (a cominciare dall’Ilva), deve insomma seminare senza avere fretta. Non sappiamo se il raccolto toccherà al Pd che Zingaretti e Cuperlo hanno riportato a sinistra o a un altro soggetto del tutto nuovo. È fondamentale che l’impressione di questi giorni si consolidi. Vi ricordate il bellissimo titolo che fece il capo-redattore del l’Unità Carlo Ricchini nel numero del quotidiano che accolse gli operai per la grande manifestazione e che Enrico Berlinguer aveva tra le mani? Diceva semplicemente: «Eccoci». Non dimenticatelo, diceva solo «eccoci». Era tanta roba allora, lo è di più oggi.

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Trenta si arrende e rinuncia all’appartamento contestato

Dopo giorni di pressing, l'ex ministra fa dietrofront e dice: «Traslocheremo nel tempo necessario, mio marito ha già presentato la rinuncia».

Dopo giorni di polemiche e levate di scudi, è arrivata la resa. L’ex ministra Elisabetta Trenta ha rinunciato all’appartamento della discordia. «Mio marito, pur essendo tutto regolare, e sentendosi in imbarazzo, per salvaguardare la famiglia ha presentato istanza di rinuncia per l’alloggio». ha detto Trenta intervistata da Radio 24. «Spero che questo atto d’amore serva a tacitare la schifezza mediatica che è caduta su di me».

«CHIEDO E PRETENDO RISPETTO COME CITTADINA»

«Lasceremo l’appartamento nel tempo che ci sarà dato per fare un trasloco e mettere a posto la mia vita da un’altra parte. Sono una cittadina come gli altri, chiedo e pretendo rispetto», ha dichiarato l’ex ministra sfogandosi per le polemiche che l’hanno travolta a causa di quell’alloggio di servizio passato da lei, ministra (con casa di proprietà a Roma), al marito militare. Un benefit rivendicato con forza in virtù della regolarità delle procedure, 180 metri quadrati in centro a Roma, per 540 euro al mese.

«NON HO VIOLATO NESSUNA LEGGE»

«Non ho violato nessuna legge» – ha ribadito Trenta – è tutto in regola, mi sono attenuta alle regole. Hanno speculato sulla mia privacy. Forse da ministro» – ha aggiunto – «ho dato fastidio a qualcuno, non lo so, ma non voglio alimentare polemiche, sono una donna di Stato». Quanto al Movimento 5 stelle, che pare averla scaricata, prima Trenta ha rassicurato dicendo «non sono stata trattata bene, ma io nei valori del Movimento ci credo e non ho nessuna intenzione di abbandonarlo», poi, però, ha ammesso: «Prendermi una pausa di riflessione da Movimento? Chissà, magari me la prendo».

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L’arresto che segna una possibile svolta nell’omicidio di Daphne Caruana Galizia

L'uomo catturato a Malta sarebbe un intermediario tra i mandanti e gli esecutori dell'omicidio. Potrebbe collaborare dietro la concessione di una grazia.

Un uomo arrestato alcuni giorni fa a Malta con l’accusa di essere l’intermediario tra i mandanti e gli esecutori materiali dell’omicidio della giornalista investigativa Daphne Caruana Galizia, uccisa con una bomba nella sua auto il 16 ottobre 2017, potrebbe godere di una grazia presidenziale in cambio di informazioni vitali per ricostruire il caso e l’identità dei mandanti. A scriverlo sono alcuni media maltesi, fra cui Times of Malta e Malta Today. L’uomo, che avrebbe accettato quindi di diventare collaboratore di giustizia, sarebbe legato a un’associazione a delinquere dedita al riciclaggio di denaro sporco. Le condizioni per la sua grazia sono state oggetto di intense discussioni fra il ministro della Giustizia e il premier, Joseph Muscat, sempre secondo il Times of Malta.

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Il Politecnico di Hong Kong sotto assedio della polizia

Trenta studenti si sono arresi. All'interno ne restano oltre 100. La governatrice Lam: «Sono molto preoccupata, situazione pericolosa». Ma nega di voler chiedere aiuto all'esercito cinese.

Il Politecnico di Hong Kong, teatro di duri scontri tra polizia e manifestanti pro-democrazia nelle ultime ore, resta sotto l’assedio delle forze dell’ordine. Secondo il network pubblico Rthk, 30 studenti si sono arresi alla polizia intorno alle 10 del 19 novembre (le 3 in Italia). Quasi contestualmente, la governatrice Carrie Lam ha detto in conferenza stampa che oltre 100 persone erano ancora arroccate nel campus, mentre 600 erano andate via, tra cui 200 minori. Lam, pur dicendosi «molto preoccupata per la pericolosa situazione» all’interno del Politecnico, ha anche assicurato che non chiederà aiuto all’Esercito di liberazione popolare, le forze armate cinesi, fino a quando il suo governo e la polizia riusciranno a gestire le turbolenze nella città.

Nel frattempo, la polizia di Hong Kong in tenuta anti-sommossa ha disperso la “protesta della pausa pranzo“, che si ripeteva da lunedì 11 novembre a Central, il distretto finanziario e degli uffici della città. Il blitz delle forze dell’ordine è avvenuto a Pedder Street, dove la folla aveva iniziato a radunarsi verso le 13 (le 6 in Italia), cominciando a scandire slogan anti-governativi. Nei giorni scorsi, tuttavia, l’approccio era stato ben più morbido per evitare un confronto diretto anche a Des Voeux Road, nonostante le barricate spuntate a Connaught Road, vicino a Exchange Square. Il 12 novembre, gli agenti erano intervenuti a Pedder Street a 15 minuti dall’avvio del sit-in. Questa volta, invece, la polizia ha issato immediatamente la bandiera blu a segnalare la violazione della legge per una manifestazione non autorizzata, invitando la folla a disperdersi. Diversi partecipanti, muniti di maschere – ormai non più illegali -, hanno continuato per pochi minuti ancora la loro azione di protesta prima di andare via.

LA CINA CONTRO L’ALTA CORTE DI HONG KONG

Proprio sulla decisione dell’Alta Corte dell’ex colonia che ha giudicato l’incostituzionalità del divieto di indossare le maschere in pubblico, varato lo scorso mese per frenare le manifestazioni di massa, la Cina è intervenuta a gamba tesa: «Nessun’altra istituzione ha il diritto di giudicare o di prendere decisioni se non il Comitato permanente del Congresso nazionale del popolo», ha commentato in una nota Zang Tiewei, portavoce della Commissione Affari legislativi.

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Salvini è indagato per il caso Open Arms

Secondo Repubblica, le ipotesi di reato sono sequestro di persona e omissione d'atti d'ufficio. L'allora ministro si oppose allo sbarco di 164 migranti. Otto mesi fa il caso Diciotti, quando il leader leghista fu salvato dal parlamento (e dal M5s).

Matteo Salvini è indagato per il caso Open Arms. Secondo quanto riporta Repubblica, la procura di Agrigento ha aperto un fascicolo sul leader leghista, all’epoca dei fatti ministro dell’Interno, con le ipotesi di reato di sequestro di persona e omissione d’atti d’ufficio. I pm hanno passato il fascicolo alla Dda di Palermo, che ha il compito di verificare le ipotesi di reato – può confermarle, riformularle o chiedere l’archiviazione – prima del giudizio del tribunale dei ministri. Parlamento permettendo. La vicenda risale ad agosto, quando 164 migranti salvati in zona Sar libica furono costretti a restare per 20 giorni sulla nave umanitaria in mare, a mezzo miglio da Lampedusa.

A MARZO IL PARLAMENTO NEGÒ L’AUTORIZZAZIONE A PROCEDERE

«L’Autorità pubblica aveva consapevolezza della situazione d’urgenza e il dovere di porvi fine ordinando lo sbarco delle persone», scrisse allora la procura di Agrigento. Che prima del caso Open Arms indagò Salvini per una vicenda simile, quella della Diciotti. In quell’occasione, il leader leghista fu salvato dal parlamento, che negò l’autorizzazione a procedere.

Il M5s voterà convintamente affinché il governo non debba rispondere di un’azione compiuta nell’interesse dello Stato e dei cittadini

Mario Giarrusso (M5s) sul caso Diciotti

Era marzo 2019 e il Carroccio governava col Movimento 5 stelle, che prese le parti del ministro: «Annuncio con orgoglio», disse il Aula il senatore Mario Giarrusso, «che il Movimento 5 stelle, dopo aver condiviso con i cittadini e i propri iscritti questa decisione, voterà convintamente affinché il governo non debba rispondere di un’azione compiuta nell’interesse dello Stato e dei cittadini». Otto mesi più tardi, gli equilibri a Palazzo Chigi sono cambiati. E non è detto che, se il caso Open Arms dovesse arrivare in parlamento, l’epilogo sarà lo stesso.

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Salvini è indagato per il caso Open Arms

Secondo Repubblica, le ipotesi di reato sono sequestro di persona e omissione d'atti d'ufficio. L'allora ministro si oppose allo sbarco di 164 migranti. Otto mesi fa il caso Diciotti, quando il leader leghista fu salvato dal parlamento (e dal M5s).

Matteo Salvini è indagato per il caso Open Arms. Secondo quanto riporta Repubblica, la procura di Agrigento ha aperto un fascicolo sul leader leghista, all’epoca dei fatti ministro dell’Interno, con le ipotesi di reato di sequestro di persona e omissione d’atti d’ufficio. I pm hanno passato il fascicolo alla Dda di Palermo, che ha il compito di verificare le ipotesi di reato – può confermarle, riformularle o chiedere l’archiviazione – prima del giudizio del tribunale dei ministri. Parlamento permettendo. La vicenda risale ad agosto, quando 164 migranti salvati in zona Sar libica furono costretti a restare per 20 giorni sulla nave umanitaria in mare, a mezzo miglio da Lampedusa.

A MARZO IL PARLAMENTO NEGÒ L’AUTORIZZAZIONE A PROCEDERE

«L’Autorità pubblica aveva consapevolezza della situazione d’urgenza e il dovere di porvi fine ordinando lo sbarco delle persone», scrisse allora la procura di Agrigento. Che prima del caso Open Arms indagò Salvini per una vicenda simile, quella della Diciotti. In quell’occasione, il leader leghista fu salvato dal parlamento, che negò l’autorizzazione a procedere.

Il M5s voterà convintamente affinché il governo non debba rispondere di un’azione compiuta nell’interesse dello Stato e dei cittadini

Mario Giarrusso (M5s) sul caso Diciotti

Era marzo 2019 e il Carroccio governava col Movimento 5 stelle, che prese le parti del ministro: «Annuncio con orgoglio», disse il Aula il senatore Mario Giarrusso, «che il Movimento 5 stelle, dopo aver condiviso con i cittadini e i propri iscritti questa decisione, voterà convintamente affinché il governo non debba rispondere di un’azione compiuta nell’interesse dello Stato e dei cittadini». Otto mesi più tardi, gli equilibri a Palazzo Chigi sono cambiati. E non è detto che, se il caso Open Arms dovesse arrivare in parlamento, l’epilogo sarà lo stesso.

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Cosa succede in Iran col black out sulle rivolte della benzina

Internet e telefoni bloccati. Decine di morti, secondo l’opposizione, nelle proteste contro il rincaro dei carburanti per le sanzioni di Trump. Rohani ammette: è la situazione più grave dal 1979. Ma resta d’accordo con la repressione. Il punto.

Nessuno, fuori dall’Iran, sa cosa accade in Iran. Le rivolte sono montate in tutte le città, all’impennata del costo della benzina: sono state bloccate strade e incendiate centinaia tra banche e negozi. Immagini delle devastazioni rimbalzavano sui social network, ma poi è calato il blocco di internet più massiccio in 40 anni di Repubblica islamica. Gli arrestati sarebbero migliaia, alcune decine di morti (due quelli ammessi dalle autorità), centinaia probabilmente i feriti nelle «proteste per il carburante». La Germania e la Francia invitano il regime a «rispettare le legittime manifestazioni e la libertà di espressione»: il messaggio cifrato sottende il ritorno anche da parte dell’Unione europea, in caso contrario, alle sanzioni economiche che hanno fatto riesplodere la pentola a pressione iraniana.

IRANIANI STROZZATI DA TRUMP

Da più di un anno c’è forte sofferenza per l’embargo totale di Donald Trump. Il presidente iraniano Hassan Rohani ha ammesso una «situazione difficile e complicata» come internamente non accadeva dalla rivoluzione nel 1979. Sui carburanti ha annunciato un piano di rincari nelle sovvenzioni, secondo il quale il prezzo calmierato (circa 11 centesimi di euro al litro per i primi 60 litri al mese) della benzina aumenterà del 50% a 15 mila rial, per i litri successivi del 300%. Lo scopo dichiarato è redistribuire i risparmi in sussidi per gli oltre due terzi di popolazione in difficoltà. Ma gli iraniani non gli credono: se e quando i risparmi saranno redistribuiti non varranno più nulla. Dal 2018 lo Stato fa i conti con un’inflazione al 40%, i risparmi di tante famiglie sono spariti.

Iran rivolte benzina petrolio sanzioni
Una banca incendiata in Iran nelle rivolte della benzina. (Twitter)

PEGGIO CHE NELLA GUERRA CON L’IRAQ

Anche per il Fondo monetario internazionale la crisi è peggiore che negli anni della lunga guerra tra l’Iran e l’Iraq (1980-1988). È un paradosso che la potenza dell’Opec, dove un altro maxi giacimento da 50 miliardi stimati di barili di petrolio è stato appena scoperto, non possa godere del suo oro nero. Ma in un anno l’export è crollato da circa 2 milioni e mezzo a un milione e mezzo di barili al giorno: resiste soprattutto verso Paesi asiatici amici come la Cina. Neanche l’Italia (fino ad aprile 2019 esentata con altri 8 Paesi dal blocco finanziario e commerciale Usa) può più acquistare greggio e altre merci: anche le società dei Paesi europei che continuano a rispettare l’accordo sul nucleare (Jcpoa) con l’Iran vengono colpiti dalle sanzioni secondarie americane.

Scontri con le forze dell’ordine sono stati ripresi anche nella città santa sciita di Mashhad

LA PARALISI CON L’OCCIDENTE

Il meccanismo finanziario alternativo creato dall’Ue per continuare a scambiare beni con l’Iran non funziona. Sebbene la Repubblica islamica cerchi di diversificare l’economia, riesce a esportare verso l’Occidente solo merci come lo zafferano, del quale è pressoché unica produttrice mondiale: un primato che porta le aziende del settore ad aggirare le multe. Per il resto è paralisi: il ceto medio iraniano non può permettersi spese extra, per i poveri la carne è un lusso, anche molti ricchi evitano gli spostamenti all’estero. Come negli anni bui della presidenza Ahmadinejad, la merce europea non si trova quasi più e gli affitti sono schizzati. Proteste a catena contro le banche erano esplose già due Natali fa in Iran, ma stavolta sono più violente e massicce.

LE CRITICHE CONTRO IL REGIME

Come nel Libano e nell’Iraq – dipendenti dall’Iran – la popolazione contesta anche il regime, chiede un cambiamento economico e politico. Scontri con le forze dell’ordine sono stati ripresi anche nella città santa sciita di Mashhad: sono in rivolta tanto la maggioranza sciita quanto le minoranze sunnite. Ad Ahvaz, nel Sud-Ovest arabo ricco di pozzi, le proteste si erano propagate qualche giorno prima dell’annuncio dei rincari, per la morte sospetta di un giovane poeta e attivista della minoranza. Poi l’annuncio sulla benzina è stata la miccia. Disordini sono esplosi anche all’università di Tabriz, nel Nord azero. Tra gli zoroastriani di Yazd e nella conservatrice Isfahan. Nella capitale sono state bloccate strade e attaccati benzinai e mezzi della polizia.

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Il presidente iraniano Hassan Rohani.

L’INTRANSIGENZA DEI PASDARAN

Diversi commercianti del Gran bazar di Teheran hanno chiuso i battenti. Ma per la Guida suprema Ali Khamenei sono solo «banditi manovrati dall’esterno»: la stessa spiegazione data dalla teocrazia alle mobilitazioni in piazza Tahrir a Baghdad e in piazza dei martiri a Beirut. Come in Iraq (oltre 200 civili morti dall’inizio di ottobre), in Iran sarebbero partiti dei colpi di arma da fuoco: un testimone, rimasto anonimo per ragioni di sicurezza, ha raccontato all’agenzia Reuters di aver «udito spari» ad Ahvaz. Decine di dimostranti sarebbero in ospedale in condizioni critiche nell’hinterland di Teheran. Come le loro forze sciite in Iraq e in Libano, i pasdaran iraniani minacciano «azioni decisive» per riportare l’ordine. La loro risposta è l’intransigenza.

INTERNET E CELLULARI BLOCCATI

La censura è totale, anche i siti delle agenzie ufficiali sono lenti o inaccessibili. Le reti di telefonia mobile sono bloccate: chi vive in zone di confine tenta di comunicare con le schede straniere. In vista delle Legislative di febbraio 2020, i politici dell’opposizione invitano governo e parlamento ad ascoltare i manifestanti. Rohani è incalzato, le forze – di sistema – che sono fuori dall’esecutivo cavalcano la rabbia popolare. Ma sarebbe stato lo stesso Rohani, a capo del Consiglio supremo di sicurezza, a dare l’ordine del black-out. Il presidente iraniano condanna le violenze, senza ascoltare le critiche della gente per i miliardi inviati dall’apparato di Difesa a Gaza, agli Assad in Siria, agli Hezbollah in Libano e alle milizie in Iraq. Ma è probabile che anche le sollevazioni nei Paesi satellite derivino dal gap economico e di democrazia esportato dall’Iran.

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Lo spread e la Borsa italiana del 19 novembre 2019

Piazza Affari si prepara all'apertura dopo una giornata in calo. Il differenziale Btp Bund a 154 punti base. I mercati in diretta.

La Borsa italiana si prepara all’apertura per la sessione del 19 novembre dopo che Piazza Affari (-0,5%) ha chiuso in calo, in linea con gli altri listini del Vecchio continente. Piazza Affari è stata appesantita dal calo del comparto automotive, dopo il taglio delle stime da parte di Volkswagen. L’attenzione degli investitori si concentra sull’allarme lanciato dalla Bundesbank sull’economia tedesca e l’attesa per gli sviluppi dei negoziati tra Usa e Cina sul commercio internazionale.

Scivolano Mediobanca e Ferragamo (-3,1%). Male il comparto delle auto con Cnh (-2,7%), Fca (-2,8%), Ferrari (-1,2%), Pirelli (-0,8%) e Brembo (-2,6%). In rosso anche i titoli legati al petrolio dove Saipem cede il 2,7%, Tenaris (-2,2%) e Eni (-0,7%). Tengono le banche con Bper (+1,2%), Intesa, Ubi e Banco Bpm (+0,5%). In positivo anche Tim (+0,1%), in attesa delle offerte dei fondi per Open Fiber.

LO SPREAD BTP-BUND A 154 PUNTI BASE

Poco mosso lo spread tra Btp e Bund che si attesta a 154 punti base, con il rendimento del decennale italiano all’1,2%.

I MERCATI IN DIRETTA

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