I valori di Borsa italiana e spread del 7 gennaio 2020

Piazza Affari apre in positivo con gli altri mercati europei. Il differenziale Btp Bund a 164 punti base.

Avvio positivo per Piazza Affari: il primo indice Ftse Mib segna una crescita dello 0,45%, l’Ftse It All-Share un aumento dello 0,43%. Mercati azionari del Vecchio continente tutti leggermente in positivo in apertura: Londra sale dello 0,2%, Francoforte dello 0,5% e Parigi dello 0,3%.

LO SPREAD A 164 PUNTI BASE

Apertura in lieve rialzo per lo spread tra Btp e Bund. Il differenziale tra il decennale italiano e quello tedesco segna 164,7 punti base (162 punti la chiusura di ieri). Il rendimento del Btp risale all’1,36%.

BORSE ASIATICHE IN RIALZO

Mercati asiatici e dell’area del Pacifico in rialzo dopo i cali di ieri: Tokyo guida il rimbalzo di giornata con una chiusura in aumento dell’1,6% per gli indici principali, con le Borse cinesi ampiamente positive nelle ultime battute della loro seduta (Shanghai +0,7%, Shenzhen solida anche alla vigilia +1,3%).

In rialzo dello 0,9% finale Seul (+1,2% l’indice dei titoli tecnologici Kosdaq), bene Sidney che ha chiuso in aumento dell’1,3% sostenuta dalla materie prime, positive nel finale Hong Kong e Mumbai, mentre segnano un marginale calo solo Taiwan (-0,6%) e il listino indonesiano di Giacarta che si avvia alla chiusura con una limatura dello 0,1%. Leggermente positivi i futures sull’avvio dei mercati europei.

I MERCATI IN DIRETTA

09.05 – LA BORSA ITALIANA APRE IN CRESCITA

Avvio positivo per Piazza Affari: il primo indice Ftse Mib segna una crescita dello 0,45%, l’Ftse It All-Share un aumento dello 0,43%.

08.30 – LE BORSE CINESI CHIUDONO POSITIVE

Le Borse cinesi chiudono la seduta positive in scia alla prossima firma della ‘fase uno’ dell’accordo commerciale tra Usa e Cina, mentre le tensioni tra Usa e Iran sembrano stabilizzarsi: l’indice Composite di Shanghai sale dello 0,69%, fino a 3.104,80 punti, mentre quello di Shenzhen guadagna l’1,31%, terminando ai massimi intraday di 1.791,85. Lo yuan si rafforza di 28 punti base sul dollaro dopo che la Banca centrale cinese ha fissato la parità bilaterale a 6,9690: a ridosso della chiusura del listini azionari, il renminbi segna uno spot rate di 6,9512 (-0,34%).

08.14 – CHIUSURA DI TOKYO IN RIALZO

La Borsa di Tokyo conclude la seduta in rialzo dopo il netto ribasso di lunedì, spinta dall’indebolimento dello yen e la progressione a Wall Street, mentre rimangono alte le tensioni a livello geopolitico in Medio oriente tra Usa e Iran. Dopo aver perso quasi il 2% il giorno prima, l’indice Nikkei avanza dell’1,60% a quota 23,575.72, e un guadagno di 370 punti. Sui mercati dei cambi la divisa giapponese si è andata svalutando sul dollaro a 108,40 e sull’euro a 121,20.

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La sepoltura di Soleimani a Kerman e la vendetta ordinata da Khamenei

Folla oceanica nella città natale del generale ucciso dagli americani. La Guida suprema vuole un attacco diretto agli interessi statunitensi. Valutati 13 scenari, 200 milioni per le Forze al-Quds.

Una folla enorme si è radunata a Kerman, cittadina dell’Iran sud-occidentale, per la sepoltura del generale Qassem Soleimani, ucciso da un drone americano all’aeroporto internazionale di Baghdad. Almeno 35 persone sono morte e altre 48 sono rimaste ferite nella calca.

RIFINANZIATE LE FORZE AL-QUDS OPERATIVE ALL’ESTERO

Dopo il corteo funebre in memoria dell’ufficiale che si è svolto lunedì a Teheran, le cerimonie del 7 gennaio concludono i tre giorni di lutto nazionale proclamati dalla Guida suprema dell’Iran, l’ayatollah Ali Khamenei, per la morte del comandante delle Forze al-Quds. A sostegno delle quali il parlamento iraniano ha stanziato 200 milioni di euro, da destinare agli agenti operativi all’estero entro i prossimi due mesi.

LA VENDETTA ORDINATA DA KHAMENEI

L’Iran ritiene ufficialmente che «solo l’espulsione degli americani» dal Medio Oriente possa vendicare l’assassinio mirato di Soleimani. Ma secondo il New York Times lo stesso Khamenei avrebbe ordinato in risposta «un attacco diretto e proporzionato» agli interessi degli Stati Uniti, che dovrà essere condotto dalle forze armate iraniane in modo riconoscibile.

VALUTATI TREDICI POSSIBILI SCENARI

I possibili scenari valutati dal Supremo consiglio di sicurezza nazionale sono tredici e «anche il più debole di questi sarà un incubo storico per gli Stati Uniti», ha detto il contrammiraglio Ali Shamkhani, segretario dell’organismo. Per poi aggiungere: «Prometto alla nazione eroica che la rappresaglia non avrà luogo in una sola operazione, perché sulla base delle dichiarazioni della nostra Guida tutte le forze di resistenza sono pronte a vendicare l’azione degli Stati Uniti».

L’IRAQ CHIEDE ALL’ONU DI CONDANNARE IL RAID

Nel frattempo l’Iraq ha chiesto al Consiglio di sicurezza dell’Onu di condannare formalmente il raid aereo americano all’aeroporto internazionale di Baghdad, affinché «la legge della giunga» non domini le relazioni internazionali. Mentre la Germania ha annunciato il ritiro parziale delle truppe schierate nel Paese nell’ambito della coalizione anti-Isis. Circa 30 soldati, attualmente di stanza a Baghdad e Taji, verranno «presto» trasferiti in Giordania e Kuwait.

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La battaglia tra Haftar e Serraj per il controllo di Sirte

Il generale della Cirenaica è entrato nella città un tempo base dell'Isis in Libia: scatta la controffensiva del governo di Tripoli.

«Le forze dell’operazione al Bunyan al Marsous, che hanno sconfitto l’Isis a Sirte, mobilitano i propri uomini e mezzi per lanciare un contrattacco a Sirte per respingere i gruppi armati di Haftar che hanno preso il controllo della maggior parte della città», si legge in un tweet del The Libya Observer in riferimento al lancio di una controffensiva del governo di Tripoli per la ripresa delle posizioni perse sulle forze del generale Khalifa Haftar, che il 6 gennaio hanno annunciato di aver preso il controllo della città costiera di Sirte.

LA MISSIONE EUROPEA MORTA IN PARTENZA

Il caos libico ha inghiottito anche l’attesa missione europea, mentre le truppe di Erdogan forniscono al premier Sarraj una sponda consistente. Il primo gruppo di soldati di élite turchi è sbarcato a Tripoli e l’iniziativa dell’Unione europea, complici, probabilmente, i problemi di sicurezza e l’evoluzione dello scenario mediorientale, sta sfumando.

Ma il pressing della diplomazia non si ferma, e questa sera il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha incontrato a cena a Roma l’Alto rappresentante dell’Unione Europea per gli Affari esteri Josep Borrell. Al centro del colloquio, a quanto si apprende, i vari dossier, tra cui l’Iran ma anche la crisi libica, sulla quale i due hanno ribadito nettamente che non esiste soluzione militare. Borrell ha assicurato a Di Maio che al Consiglio Affari Esteri di venerdì si parlerà di Libia.

L’ATTACCO ALL’ACCADEMIA MILITARE

Il sanguinoso attacco all’Accademia militare di Hadaba che ha provocato una trentina di morti attribuita, tra voci e smentite, alle forze di Haftar, ha dato il colpo definitivo a qualsiasi possibilità di garantire la sicurezza alla missione europea. E stamattina il ministro degli Esteri del governo di Tripoli Mohamed Siala ha reso noto che il governo di Tripoli aveva chiesto alla delegazione Ue un rinvio della missione. Nella cui efficacia forse Sarraj non aveva particolare fiducia.

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I movimenti nella Giunta che deciderà sul caso Gregoretti

Nel collegio chiamato a votare sull'autorizzazione a procedere per Salvini gli equilibri sono molto fragili. E non sono escluse sorprese. In primis, dai tre esponenti renziani. Il punto.

«Sento il dovere di precisare che le determinazioni assunte dal ministro dell’Interno sono riconducibili a una linea politica sull’immigrazione che ho condiviso in qualità di presidente nel Consiglio e in coerenza con il programma di governo». Lo scriveva il premier Giuseppe Conte in un documento depositato alla Giunta per l’Immunità del Senato che era stata chiamata a decidere se concedere o meno l’autorizzazione a procedere nei confronti di Matteo Salvini per il caso Diciotti. Era il 7 febbraio 2019. Per la velocità con cui si muove la politica italiana, che crea e disfa nuove alleanze in poco tempo, un’era geologica fa. Nemmeno 12 mesi dopo, il 20 gennaio prossimo, lo stesso organismo parlamentare sarà investito della questione Gregoretti, ma questa volta il presidente del Consiglio ha già fatto sapere che non intende difendere Salvini. In una maggioranza sempre più dilaniata questo però non si traduce automaticamente in una autorizzazione a procedere. Qualcuno dei giallorossi potrebbe votare contro. Ma andiamo con ordine.

LE ACCUSE MOSSE A SALVINI

La vicenda prende il nome dal pattugliatore della Guardia Costiera Gregoretti che lo scorso anno fu bloccato con a bordo oltre 100 migranti soccorsi in mare, durante il periodo dei «porti chiusi», a Siracusa, dalla notte del 27 al 31 luglio. La Procura a settembre aveva ufficializzato la richiesta di archiviazione, ma aveva comunque trasmesso per atto dovuto il fascicolo al Collegio per i reati ministeriali del Tribunale di Catania, che a sua volta ha inviato la richiesta a procedere all’apposita giunta parlamentare. Salvini – scrivono i magistrati – è accusato di aver «determinato consapevolmente l’illegittima privazione della libertà dei migranti, costretti a rimanere in condizioni psico fisiche critiche a bordo».

PER LA PROCURA NON C’È CONDOTTA ILLECITA

Ma, si diceva, la Procura catanese non ritiene illegittimo il blocco di 72 ore: «l’attesa di tre giorni per uno sbarco», avevano motivato i Pm nella loro richiesta d’archiviazione, «non può considerarsi una illegittima privazione della “libertà” dei migranti, visto che le limitazioni sono proseguite poi nell’hot spot di Pozzallo e nei centri di accoglienza e manca un obbligo per lo Stato di uno sbarco immediato».

DI MAIO HA VOLTATO LE SPALLE A SALVINI

Più che un caso giuridico, un caso politico, insomma, che non manca di logorare la maggioranza. Luigi Di Maio, che pure, quando era ancora vicepresidente della Camera, fu il primo tra i cinque stelle a inseguire le politiche leghiste soprannominando le Ong «taxi del mare» (era il 21 aprile 2017), ora è costretto a voltare le spalle all’ex alleato di governo: «A gennaio saremo chiamati a riconoscere l’interesse pubblico prevalente a bloccare una nave: ma stiamo parlando di una nave bloccata a luglio quando gli altri Paesi europei che venivano chiamati si offrivano per la redistribuzione dei migranti», ha recentemente dichiarato il leader M5s a Porta a Porta. Ma proprio Di Maio, nemmeno un anno fa, nella memoria a sostegno di Salvini per il caso Diciotti dichiarava: «assurge a punto cardine del programma di governo l’abbattimento della pressione migratoria alimentata da fondi pubblici spesso gestiti con poca trasparenza e permeabili alle infiltrazioni della criminalità organizzata» e, soprattutto: «il vice presidente del Consiglio Di Maio ha condiviso le modalità delle operazioni di salvataggio. […] Le decisioni assunte sono state frutto di una condivisione politica».

QUANDO CONTE SCRIVEVA: «SONO PIENAMENTE RESPONSABILE»

Lo stesso Conte, che al momento prende tempo («Mi pronuncerò a tempo debito, consulterò le carte e poi parlerò. Per ora si è espressa la Segreteria generale di Palazzo Chigi che ha dato atto che è stato un tema che non è mai stato dibattuto nel Consiglio dei ministri che si è svolto nei giorni della Gregoretti»), per la Diciotti scriveva: «Le azioni poste in essere dal ministro dell’Interno si pongono in attuazione di un indirizzo politico-internazionale, che il governo da me presieduto ha sempre coerentemente condiviso fin dal suo insediamento. Di questo indirizzo, così come della politica generale del governo, non posso non ritenermi responsabile, ai sensi dell’articolo 95 della Costituzione».

LE INCOGNITE NELLA GIUNTA

Ma, come già si anticipava, il dietrofront del Movimento 5 stelle non significa automaticamente che la Giunta per l’Immunità del Senato darà il proprio via libera ai magistrati che indagano su Salvini. Soprattutto dopo che Francesco Urraro ha abbandonato i pentastellati per confluire nel Gruppo Lega – Partito Sardo d’Azione. Su 23 membri, la maggioranza giallorossa ora può contare su 11 componenti, tallonata dall’opposizione di centrodestra che ne ha 10. Gli ultimi due fanno capo al Misto e alle autonomie. Una composizione che potrebbe riservare più di una sorpresa, per i giallorossi. A iniziare dal fatto che la Giunta è presieduta dal forzista Maurizio Gasparri che certo non ha interesse a mettere in difficoltà Salvini, ritornato di recente nella famiglia del centrodestra. Nell’organismo, tra i banchi della maggioranza, siede inoltre Michele Giarrusso, da sempre tra i pentastellati più vicini alla causa leghista. Quando lo scorso anno la Giunta salvò Salvini, Giarrusso si affacciò sul cortile interno dell’aula e schernì i senatori dem facendo loro il gesto delle manette e dichiarando: «Almeno io non ho i miei genitori ai domiciliari», esplicito riferimento alla vicenda famigliare che nello stesso periodo stava riguardando Matteo Renzi.

UNA VARIABILE CHIAMATA RENZI

Già, e Renzi cosa fa? Il senatore toscano potrebbe servire fredda la propria vendetta e assestare un colpo alla maggioranza giallorossa. «Salvini nella sua memoria ci ha spiegato che il caso Gregoretti è identico a quello della Diciotti», ha detto il coordinatore di Italia Viva Ettore Rosato, «Salvini certamente conosce le carte meglio di noi, e se lui dice che i casi sono identici, noi ci comporteremo in modo identico, votando come per la Diciotti a favore dell’autorizzazione al processo contro Salvini».

IL M5S DUBITAVA DI ITALIA VIVA

Erano in molti, nel Movimento, a ritenere che all’ultimo Renzi avrebbe detto ai suoi uomini in Giunta (ben tre: Cucca Salvatore, che dell’organismo è anche vicepresidente, Nadia Ginetti e Francesco Bonifazi) di votare contro, con la scusa del garantismo. Del resto, viene sibilato dai cinque stelle, i due Matteo sono legati da vicende giudiziarie affini (i presunti finanziamenti illeciti del Russiagate da un lato e della Fondazione Open dall’altro). E poco importa che le sfumature esistano e siano importanti, non solo sui casi su cui indaga la magistratura, ma anche sulle condotte politiche dei due (Renzi continua tuttora a ripetere che quella dei porti chiusi è una barbarie), perché tanto basta a gettarli nel calderone degli esperti politicanti da cui i pentastellati ritengono sia bene guardarsi. Lo scorso anno l’ex premier dichiarò: «Voterò a favore della richiesta del Tribunale dei Ministri di Catania che accusa Salvini di sequestro di persona aggravato per i fatti della nave Diciotti». Solo il tempo dirà se il leader di Italia Viva rimarrà sulla propria posizione o inseguirà Di Maio e Conte nelle loro giravolte politiche e se l’esecutivo supererà la prova del prossimo 20 gennaio.

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