Perché la Disney ha sbagliato (quasi) tutto con Star Wars

Il 18 dicembre è uscito L'ascesa di Skywalker, ultimo capitolo della nuova trilogia. Il film ha riscosso timide critiche e chiuso un cerchio non facile. Dimostrando tutte le lacune della produzione.

Diventare il conglomerato più grosso di Hollywood non è stato sufficiente a maneggiare una delle saghe più delicate della cinematografica contemporanea. Potrebbe essere sintetizzato così il tormentato rapporto tra la Walt Disney Company e il mondo di Star Wars. E l’uscita nelle sale di Star Wars – L’ascesa di Skywalker rappresenta l’epilogo di questa produzione travagliata. Il 18 novembre l’episodio nove della serie partorita dalla mente di George Lucas è sbarcato in sala. E le timide reazioni di critica e pubblico hanno confermato che il cerchio non si è chiuso al meglio. Il problema è che la parabola iniziata nel 2015 con l’uscita del Ritorno della forza ha subito talmente tante correzioni che centrare l’obiettivo era impossibile.

UN FILM TROPPO DENSO PER ESSERE APPREZZATO

Partiamo dal finale, ovviamente senza spoiler. Nelle oltre due ore e 22 minuti J.J. Abrams, che è tornato dietro la macchina da presa e alla sceneggiatura dopo la parentesi di Rian Johnson, è stato costretto agli straordinari. Sì, perché la direzione di Johnson, oltre a scontentare ampiamente i fan più ortodossi, aveva scardinato quasi completamente i piani originali di Abrams delineati due anni prima con l’episodio sette. La sensazione, mano mano che la pellicola scorre, è quella di vedere due film.

SMANTELLATA L’EREDITÀ DI JOHNSON

La prima ora circa è un film a sé. Smonta pezzo per pezzo quanto fatto ne Gli Ultimi Jedi, e riannoda i fili con il capitolo del 2015. Allo stesso tempo il vero episodio nove ha solo un ora e 20 per tirare le conclusioni. Ecco quindi che il montaggio è serrato, pure troppo. I personaggi, e gli spettatori, praticamente non respirano mai. Mancano i momenti per gustarsi i paesaggi e le situazioni, come ha scritto Adi Robertson su The Verge. Si può avere un’idea di questa altalena nei primi minuti forsennati quando il personaggio di Poe Dameron, interpretato da Oscar Isaac, guida il Millennium Falcon in una serie di salti nell’iperspazio che fanno più che altro girare la testa. Il resto del film risponde a molte delle domande che erano rimaste in sospeso. Johnson le aveva semplicemente ignorate, Abrmas, che le aveva poste, salva capra e cavoli cercando risposte coerenti, anche se non sempre ci riesce. Al termine della forsennata corsa dei personaggi resta un buon finale, scontato, ma non troppo, fedele ai fan, ma fino a un certo punto. Il problema è che in questa fetta restano indietro diversi dettagli che avrebbero meritato più respirto e che forse potrebbero trovare posto in spin-off dedicati.

Adam Driver nei panni di Kylo Ren in una scena di Star Wars – L’ascesa di Skywalker

GLI EFFETTI DELLE “INNOVAZIONI” DI JOHNSON SULLA SAGA

La sensazione è che Abrams abbia voluto sconfessare quanto fatto dal predecessore. E questo è uno dei limiti di questa nuova trilogia. Ci sono film simili, il primo e il terzo, e il secondo che si erge come barriera tra i due. Le “colpe” di Johnson sono evidenti. Ha deluso i fan soprattutto per non aver rispettato i personaggi, distorcendo quelle che erano le loro caratteristiche e questo ha complicato tutta la storyline principale. Quello che ha fatto il regista di Silver Spring non è stato però tutto da buttare. Gli Ultimi Jedi ha introdotto e allargato l’universo Jedi innovando, a modo suo, anche in maniera curiosa. E infatti quegli spunti sono rimasti anche nell’ultimo capitolo. La dicotomia tra Rian e Abrams non è però il frutto di due modi diversi in intendere la saga, ma dei pesanti limiti della produzione Disney.

I LIMITI DELLA PRODUZIONE DISNEY

Visti tutti e tre insieme, i film della trilogia targata Disney sembrano slegati, sfilacciati. Sono capitoli consecutivi di una stessa storia che però procedono per contro proprio e questo non può essere responsabilità di questo o quel regista, ma delle scelte dei vertici che non hanno saputo disegnare un progetto coerente. La carenza più grave risiede nel fatto che è stato portato avanti un lavoro senza aver bene in mente dove arrivare. Quando negli Anni 80 Lucas si occupò degli episodi cinque e sei, lasciò sceneggiatura e regia ad altri per preoccuparsi della produzione. E infatti uscirono i migliori film dell’intera saga. Lucas aveva delineato i soggetti costruendo una storyline coerente che poi altri avevano arricchito. Così non ha fatto la Disney. Quando nel 2012 la major di Burbank completò l’acquisizione della Lucasfilm, Lucas lasciò in eredità un plot che indicava la possibile eredità dei personaggi, in particolare la famiglia Skywalker, ma in casa Disney venne ignorato tutto.

Daisy Ridley interpreta Rey in una scena di Star Wars – L’ascesa di Skywalker.

PERCHÈ A STAR WARS SAREBBE SERVITO UNO SHOWRUNNER

Kathleen Kennedy, storica produttrice dei film di Steven Spielberg, nel 2012 venne messa a capo della Lucasfilm e da allora si è occupata di creare, ammodernare ed espandere l’universo di Star Wars. Il problema è che ciò è stato portato avanti senza progettualità. Soprattutto nel gestire la trilogia è mancata una figura centrale di coordinamento. Una specie di “showrunner” che, come nelle serie tivù, si occupasse della coerenza interna. Qualcuno che tenesse a bada l’estro di Johnson e rendesse i tre film più amalgamati. Kennedy, intervistata da Rolling Stone in occasione dell’uscita de L’ascesa di Skywalker, ha spiegato che ogni film della trilogia «è difficile da completare. Non c’è materiale su cui basarsi. Non abbiamo i fumetti. Non abbiamo romanzi da 800 pagine. Non abbiamo altro che narratori pieni di passione che si riuniscono e parlano di quale potrebbe essere la prossima avventura». Un problema sicuramente reale, ma forse si poteva fare meglio e paradossalmente la Disney aveva la soluzione in casa.

COSA POTEVA FARE DISNEY PER GESTIRE LA SAGA

In anni recenti, dove il pubblico nutrito a base di Netflix si è abituato alla serialità, è paradossalmente diventato difficile costruire saghe cinematografiche. Ne sa qualcosa ad esempio la Warner Bros che ha cercato di creare un’universo intorno ai personaggi dei fumetti DC mancando il bersaglio, pur mettendo insieme degli stand-alone, come Wonder Woman e Aquaman, che hanno sbancato i botteghini. Il punto però è che Disney aveva in casa il know-how necessario per provare a fare qualcosa di meglio, e questo già dal 2009 quando ha acquisito la Marvel. In particolare la soluzione aveva un nome cognome: Kevin Feige. O meglio il suo metodo.

Il presidente dei Marvel Studios Kevin Feige.

UN “METODO FREIGE” PER SALVARE LA COERENZA DELLA SAGA

Proprio quest’anno con Endgame si è chiuso l’ampio ciclo del Marvel Cinematic Universe, unico, e per ora solo, esperimento riuscito di universo cinematografico. I giganteschi fumettoni Marvel, pur con tutti i limiti che queste produzioni portano con sé, avevano il merito di avere una visione, una linea abbastanza coerente. Vien da chiedersi se un po’ di questa esperienza non sarebbe servita alla Lucasfilm. Forse il “metodo Feige” resta più adatto per lo sviluppo dei fumetti, ma probabilmente avrebbe aiutato a sviluppare una saga in modo più equilibrato.

Ma in casa Disney non è tutto da buttare. Il 12 novembre 2019, con il lancio della propria piattaforma di streaming, Disney+, è stata resa disponibile The Mandalorian, serie ambientata tra il capitolo sei e sette e che vede tra i protagonisti un cacciatore di taglie e una nuova-vecchia creatura che ha fatto impazzire i social: Baby Yoda. Un prodotto che ha subito riscosso il plauso dei fan. Una serie costata moltissimo, quasi 100 milioni di dollari e ideata da Jon Favreau, lo stesso Favreau che ha prodotto e diretto i primi due Iron Man, un caso? Forse no.

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Hacker in manette per il furto di dati sensibili alla Pubblica Amministrazione

L'arrestato, residente a Imperia, trafugava dati sensibili da vari enti, come l'Agenzia delle Entrate e l'Inps per poi rivenderli con un sistema informatizzato. Denunciati anche altri sei complici.

Hackerate centinaia di credenziali di accesso a dati sensibili, migliaia di informazioni private contenute in archivi informatici della pubblica amministrazione, relativi a posizioni anagrafiche, contributive, di previdenza sociale e dati amministrativi appartenenti a centinaia di cittadini e imprese del nostro Paese. Il principale sospettato, R.G., originario della provincia di Torino e residente a Imperia, è stato arrestato dalla Polizia postale su provvedimento del Gip di Roma.

ATTACCHI A INPS, AZI E AGENZIA DELLE ENTRATE

L’arrestato, ha spiegato la Polizia postale, ha «un know how informatico di altissimo livello e numerosi precedenti penali» e, tramite ripetuti attacchi ai sistemi informatici di numerose Amministrazioni centrali e periferiche italiane, sarebbe riuscito ad intercettare illecitamente centinaia di credenziali di autenticazione (user ID e password). Dapprima attaccando i sistemi informatici di alcuni Comuni italiani, il sospettato è riuscito ad introdursi in banche dati di rilievo istituzionale, appartenenti ad Agenzia delle Entrate, Inps, Aci ed Infocamere, veri obiettivi finali dell’attività delittuosa.

DENUNCIATI ANCHE SEI COMPLICI

Ha quindi esfiltrato preziosi dati personali di ignari cittadini ed imprese italiane. Denunciati a piede libero, per le stesse violazioni, sei complici dell’arrestato, tutti impiegati all’interno di note agenzie investigative e di recupero crediti operanti in varie città d’Italia. L’attività investigativa condotta dagli uomini del Centro nazionale anticrimine informatico per la protezione delle infrastrutture critiche ha permesso di ricostruire come R.G., nel corso degli anni, avesse ingegnerizzato un vero e proprio sistema di servizi, tra cui il portale illecito ‘PEOPLE1‘, commercializzato clandestinamente ed offerto alle agenzie interessate che, pagando una sorta di canone, potevano istallare il software con una semplice pen-drive Usb e riuscire così a connettersi clandestinamente alle banche dati istituzionali e fare interrogazioni dirette.

COME FUNZIONAVA LA VENDITA DEI DATI

Per ottenere l’accesso clandestino alle banche dati, il gruppo criminale utilizzava sofisticati virus informatici per infettare i sistemi degli uffici pubblici riuscendo ad ottenere le credenziali di login degli impiegati. Ingenti i proventi dell’attività criminale, se si pensa alle decine di migliaia di interrogazioni illecite su commissione già accertate e che una singola interrogazione delle banche dati istituzionali veniva venduta a partire da 1 euro «a dato», anche attraverso sistemi di pagamento evoluto e attraverso l’acquisto in modalità prepagata di «pacchetti di dati sensibili».

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Hacker in manette per il furto di dati sensibili alla Pubblica Amministrazione

L'arrestato, residente a Imperia, trafugava dati sensibili da vari enti, come l'Agenzia delle Entrate e l'Inps per poi rivenderli con un sistema informatizzato. Denunciati anche altri sei complici.

Hackerate centinaia di credenziali di accesso a dati sensibili, migliaia di informazioni private contenute in archivi informatici della pubblica amministrazione, relativi a posizioni anagrafiche, contributive, di previdenza sociale e dati amministrativi appartenenti a centinaia di cittadini e imprese del nostro Paese. Il principale sospettato, R.G., originario della provincia di Torino e residente a Imperia, è stato arrestato dalla Polizia postale su provvedimento del Gip di Roma.

ATTACCHI A INPS, AZI E AGENZIA DELLE ENTRATE

L’arrestato, ha spiegato la Polizia postale, ha «un know how informatico di altissimo livello e numerosi precedenti penali» e, tramite ripetuti attacchi ai sistemi informatici di numerose Amministrazioni centrali e periferiche italiane, sarebbe riuscito ad intercettare illecitamente centinaia di credenziali di autenticazione (user ID e password). Dapprima attaccando i sistemi informatici di alcuni Comuni italiani, il sospettato è riuscito ad introdursi in banche dati di rilievo istituzionale, appartenenti ad Agenzia delle Entrate, Inps, Aci ed Infocamere, veri obiettivi finali dell’attività delittuosa.

DENUNCIATI ANCHE SEI COMPLICI

Ha quindi esfiltrato preziosi dati personali di ignari cittadini ed imprese italiane. Denunciati a piede libero, per le stesse violazioni, sei complici dell’arrestato, tutti impiegati all’interno di note agenzie investigative e di recupero crediti operanti in varie città d’Italia. L’attività investigativa condotta dagli uomini del Centro nazionale anticrimine informatico per la protezione delle infrastrutture critiche ha permesso di ricostruire come R.G., nel corso degli anni, avesse ingegnerizzato un vero e proprio sistema di servizi, tra cui il portale illecito ‘PEOPLE1‘, commercializzato clandestinamente ed offerto alle agenzie interessate che, pagando una sorta di canone, potevano istallare il software con una semplice pen-drive Usb e riuscire così a connettersi clandestinamente alle banche dati istituzionali e fare interrogazioni dirette.

COME FUNZIONAVA LA VENDITA DEI DATI

Per ottenere l’accesso clandestino alle banche dati, il gruppo criminale utilizzava sofisticati virus informatici per infettare i sistemi degli uffici pubblici riuscendo ad ottenere le credenziali di login degli impiegati. Ingenti i proventi dell’attività criminale, se si pensa alle decine di migliaia di interrogazioni illecite su commissione già accertate e che una singola interrogazione delle banche dati istituzionali veniva venduta a partire da 1 euro «a dato», anche attraverso sistemi di pagamento evoluto e attraverso l’acquisto in modalità prepagata di «pacchetti di dati sensibili».

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Donna incinta sbranata e uccisa da un branco di cani nel Nord della Francia

Il corpo di Elisa Pilarski, 29 anni, è stato trovato senza vita con profonde ferite a testa, gembe e braccia. Sarebbe stata assalita durante una battuta di caccia al cervo.

Una donna incinta di sei mesi, Elisa Pilarski, che portava a spasso il suo cane in un bosco nel nord della Francia, è stata uccisa da un branco di cani che con ogni probabilità partecipavano ad una battuta di caccia al cervo. La morte della donna, che aveva 29 anni e passeggiava nella foresta di Retz, a 150 chilometri dal confine con il Belgio nei pressi del centro di Villers-Cotterets, è stata provocata da «un’emorragia conseguenza di diversi morsi di cani alle braccia e alle gambe, ma anche alla testa», ha spiegato il procuratore di Soissons, Frédéric Trinh.

Sono stati effettuati «prelievi su 93 cani», ha precisato, quelli appartenenti alla vittima, che ne aveva cinque in totale, più molti altri che stavano partecipando a una caccia al cervo nei paraggi, come riportato anche dal giornale locale Le Courrier Picard. L’obiettivo è «soprattutto di identificare il cane o i cani che hanno morso». Alcuni, fra gli animali aggressori, hanno morso provocando la morte della donna, altri hanno continuato anche dopo il decesso. La donna, prima di essere assalita, aveva telefonato al compagno per «segnalargli la presenza di cani minacciosi».

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Lo spread e la Borsa italiana del 15 novembre 2019

Piazza Affari prova a chiudere la settimana con un rimbalzo dopo la chiusura negativa di ieri. Spread vicino ai 170 punti. I mercati indiretta.

La Borsa italiana si avvia a chiudere la settimana in leggera sofferenza. Il 14 novembre Piazza Affari ha chiuso in leggero calo a -0,41%, seguendo le sofferenze di tutti i listini europei: Londra -0,8%, Parigi -0,1% e Francoforte a -0,38%.

A Milano negativi i bancari con in testa Unicredit (-0,82%) e Intesa Sanpaolo (-0,81%). Controcorrente invece Ubi (+0,92%) in ripresa dopo la corrente di vendite sui risultati del trimestre. Viaggia spedita nel risparmio gestito Azimut (+2,59%) che ha creato una newco negli Usa ed entra nel mercato degli asset alternativi. Buon passo anche per Diasorin (+2,35%) e Amplifon (+1,14%). Negativa Snam (-0,86%) dopo la trimestrale. Acquisti su Tim (+0,99%) in attesa delle offerte dei fondi per Open Fiber. Tra gli altri titoli in calo A2a (-1,23%), Pirelli (-1,27%), Moncler (-1,17%), Atlantia (-1,10%).

SPREAD VICINO AI 170 PUNTI

Il 14 novembre lo spread tra Btp e Bund è schizzato sopra quota 160 punti chiudendo a 168 punti base (154 punti la chiusura del 13) toccando il livello più alto da fine agosto. Il rendimento del titolo decennale italiano è volato all’1,32%.

I MERCATI IN DIRETTA

7.15 – CHIUSURA BORSA DI TOKYO IN RIALZO

La Borsa di Tokyo recupera sul finale di contrattazioni nell’ultima seduta della settimana, dopo le dichiarazioni da Washington del consigliere economico Larry Kudlow, sull’evoluzione delle trattative del commercio internazionale tra Cina e Stati Uniti. Il Nikkei segna un progresso dello 0,77%, a quota 23.319,70 con un guadagno di 178 punti. Sui mercati valutari lo yen si stabilizza, trattando a un valore di 108,50 sul dollaro, e a 119,60 con la moneta unica europea.

1.08 – APERTURA TOKYO POCO VARIATA

La Borsa di Tokyo apre l’ultima seduta della settimana poco variata, mentre continua l’incertezza sull’andamento delle contrattazioni sul commercio internazionale tra Cina e Stati Uniti, con gli investitori che attendono sviluppi dalle trattative in corso. Il Nikkei inizia gli scambi praticamente piatto, a quota 23.153,75 (+0,05%). Sui mercati valutari lo yen torna ad apprezzarsi sulle principali valute scambiando a un livello di 108,40 sul dollaro, e a 119,50 con la moneta unica.

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Lo spread e la Borsa italiana del 15 novembre 2019

Piazza Affari prova a chiudere la settimana con un rimbalzo dopo la chiusura negativa di ieri. Spread vicino ai 170 punti. I mercati indiretta.

La Borsa italiana si avvia a chiudere la settimana in leggera sofferenza. Il 14 novembre Piazza Affari ha chiuso in leggero calo a -0,41%, seguendo le sofferenze di tutti i listini europei: Londra -0,8%, Parigi -0,1% e Francoforte a -0,38%.

A Milano negativi i bancari con in testa Unicredit (-0,82%) e Intesa Sanpaolo (-0,81%). Controcorrente invece Ubi (+0,92%) in ripresa dopo la corrente di vendite sui risultati del trimestre. Viaggia spedita nel risparmio gestito Azimut (+2,59%) che ha creato una newco negli Usa ed entra nel mercato degli asset alternativi. Buon passo anche per Diasorin (+2,35%) e Amplifon (+1,14%). Negativa Snam (-0,86%) dopo la trimestrale. Acquisti su Tim (+0,99%) in attesa delle offerte dei fondi per Open Fiber. Tra gli altri titoli in calo A2a (-1,23%), Pirelli (-1,27%), Moncler (-1,17%), Atlantia (-1,10%).

SPREAD VICINO AI 170 PUNTI

Il 14 novembre lo spread tra Btp e Bund è schizzato sopra quota 160 punti chiudendo a 168 punti base (154 punti la chiusura del 13) toccando il livello più alto da fine agosto. Il rendimento del titolo decennale italiano è volato all’1,32%.

I MERCATI IN DIRETTA

7.15 – CHIUSURA BORSA DI TOKYO IN RIALZO

La Borsa di Tokyo recupera sul finale di contrattazioni nell’ultima seduta della settimana, dopo le dichiarazioni da Washington del consigliere economico Larry Kudlow, sull’evoluzione delle trattative del commercio internazionale tra Cina e Stati Uniti. Il Nikkei segna un progresso dello 0,77%, a quota 23.319,70 con un guadagno di 178 punti. Sui mercati valutari lo yen si stabilizza, trattando a un valore di 108,50 sul dollaro, e a 119,60 con la moneta unica europea.

1.08 – APERTURA TOKYO POCO VARIATA

La Borsa di Tokyo apre l’ultima seduta della settimana poco variata, mentre continua l’incertezza sull’andamento delle contrattazioni sul commercio internazionale tra Cina e Stati Uniti, con gli investitori che attendono sviluppi dalle trattative in corso. Il Nikkei inizia gli scambi praticamente piatto, a quota 23.153,75 (+0,05%). Sui mercati valutari lo yen torna ad apprezzarsi sulle principali valute scambiando a un livello di 108,40 sul dollaro, e a 119,50 con la moneta unica.

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I dati sul gap economico tra Germania Est e Ovest a 30 anni dalla caduta del Muro di Berlino

Nell'ex Ddr residenti in calo, maggiore invecchiamento della popolazione e meno giovani. Più disoccupati e reddito medio inferiore del 20%. Le infografiche sul divario.

C’è un paradosso, in Germania, che mostra un Paese ancora diviso a metà, nonostante il 9 novembre 2019 l’orologio della storia abbia segnato il 30esimo anniversario dalla caduta del Muro di Berlino. Un simbolo che ha separato Repubblica democratica tedesca e Repubblica federale di Germania per 28 anni, ma questo periodo ha segnato il Paese forse più della fine della Guerra fredda. E i dati infatti dimostrano che la Ddr esiste ancora.

Nel rapporto annuale sullo Stato dell’unità tedesca pubblicato nel 2018, le autorità del Paese hanno scritto che il “recupero” dei länder dell’Est procede più lentamente del previsto. Non solo. Il 57% dei residenti dell’ex Germania Est si considera cittadino di Serie B. Il primo dato per capire questo scollamento è quello della popolazione. Oggi, con la sola eccezione di Berlino, i distretti orientali mostrano residenti in calo, invecchiamento e diminuzione dei tassi di natalità.

  • La popolazione in Germania in numero di residenti per chilometro quadrato (fonte: ergebnisse.zensus2011.de)

Tra il 1989 e la metà degli Anni 2000 il numero di figli per donna è sceso da 1,58 a 0,78, salvo poi crescere leggermente negli ultimi anni, con un sorpasso solo nel 2017, quando le regioni orientali hanno superato quelle della ex Germania Ovest con 1,61 bambini per donna contro 1,57. Con questa inerzia demografica l’Est si trova ora con un’età media più alta: 46-48 anni contro i 40-44 dell’Ovest. L’altra mancanza endemica ha riguardato i giovani. Si stima che negli ultimi 30 anni siano passati dall’Est all’Ovest almeno 1,9 milioni di persone nate dopo il crollo del Muro.

  • La percentuale di giovani sotto 18 anni.

DISOCCUPAZIONE, L’EST DOPPIA IL DATO NAZIONALE

Lo spettro delle “due Germanie” si fa ancora più vivo osservando i dati economici e lavorativi. Una delle imprese più difficili per i governi di Berlino è stata quella di far riassorbire la disoccupazione. Basti pensare che nel 2019 nei cinque länder che componevano la Ddr il tasso delle persone senza lavoro si è attestato al 6,9%, oltre il doppio della media nazionale ferma al 3,1%.

  • La percentuale di disoccupati in Germania.

Dati analoghi anche sul fronte della disoccupazione giovanile. Secondo i dati dell’Eurostat nel 2019 la percentuale di lavoratori tra 15 e 24 anni senza lavoro si attestava al 6,2% a livello nazionale, mentre nei cinque land della ex Ddr, senza contare Berlino, il tasso cresceva al 7,8%, un divario anche più ampio se si conta il 5,8% della ex Germania Ovest.

  • La disoccupazione giovanile in Germania in %.

OLTRE 3 MILA EURO DI DIFFERENZA NEI SALARI

Anche il fronte economico non sorride appieno all’ex Repubblica democratica. Il governo federale tedesco ha calcolato che il Pil pro capite è cresciuto per tutto il Paese e che il divario è sceso, ma comunque resta: nel 1990 quello dei cittadini dell’Est era meno della metà – il 43% – di quello degli abitanti dell’Ovest, mentre nel 2018 è diventato il 75% di quello dei vicini. Mentre il reddito medio dell’Est è inferiore del 20% rispetto a quello dell’Ovest. Nel 1989 la forbice tra i salari era al suo apice (4.432 euro) e otto anni dopo, nel 1997, si è dimezzata passando a 2.092 euro. Ma con l’inizio degli Anni 2000 è tornata a crescere: nel 2016 è stata infatti di 3.623 euro.

  • Il Pil dei singoli länder in milioni di euro.

C’è un altro dato che separa Est e Ovest e riguarda la presenza di cittadini stranieri. L’ex Ddr ha mostrato uno scarso fattore attrattivo per i migranti e i tassi ti presenza sono molto bassi. Negli ultimi anni, soprattutto dopo l’emergenza profughi del 2015, la percentuale di stranieri sulla popolazione tedesca si è attestata intorno a 5,8%, superando i 10 milioni di residenti non tedeschi nel 2017. Numeri che però non hanno attecchito a Est. Quasi tutti i länder hanno infatti indici che si fermano intorno al 2%.

  • Percentuale di presenza straniera in rapporto alla popolazione.

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