Cappato spiega CitBot, il robot che risponde su eutanasia e testamento biologico

Il software dissipa i dubbi più comuni sui temi bioetici. Una «intelligenza artificiale civica», dice il tesoriere dell'associazione Luca Coscioni, «per difendere i diritti e le libertà fondamentali».

Quando si parla di temi delicati come eutanasia, biotestamento, cure palliative la confusione è tanta.

Non sempre, infatti, la comunicazione istituzionale è efficace. Il rischio è che i diritti, seppur garantiti, rimangano così sulla carta.

Partendo da questa considerazione, l’Associazione Luca Coscioni ha lanciato CitBot, un software di intelligenza artificiale facilissimo da consultare, pensato per rispondere ai dubbi che possono sorgere quando ci si interroga su temi particolarmente delicati, e regolati quasi sempre da norme e procedimenti burocratici fumosi.

CAPPATO: «AVERE ACCESSO A INFORMAZIONI CHIARE È UN DIRITTO»

«Da anni ascoltiamo e accogliamo le urgenze di libertà delle persone e lavoriamo per dare loro gli strumenti con i quali difendersi e far valere i propri diritti», spiega a Lettera43.it Marco Cappato, tesoriere dell’associazione. «Il primo di questi è l’accesso a informazioni chiare, minato con regolarità visto che nonostante legalmente previste, le campagne divulgative in questo ambito siano praticamente inesistenti».

Marco Cappato, volto dell’Associazione Coscioni.

Al di là di slogan e proclami, nella quotidianità quando una persona si trova in difficoltà necessita di risposte immediate e precise e si rivolge alle associazioni che però non sempre riescono a far fronte a tutte le richieste. «In concomitanza con l’entrata in vigore, il 31 gennaio 2018, della legge sulla Disposizione anticipata di trattamento o Biotestamento», continua Cappato, «il numero di mail giunto al nostro indirizzo si è impennato e siamo stati subissati di quesiti do ogni tipo. Di fronte a un’ondata simile ci siamo resi conto dell’impossibilità di riuscire a rispondere a tutti in modo soddisfacente e nei tempi brevissimi che molti casi richiedano, quindi abbiamo cercato un modo per ovviare al problema».

UN ROBOT PER RISPONDERE AI DUBBI PIÙ COMUNI

La scelta è alla fine caduta su questa tecnologia ancora poco sfruttata, se non per scopi commerciali, ma preziosa perché dall’utilizzo estremamente intuitivo.

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CitBot, che Marco Cappato definisce «l’intelligenza artificiale civica per difendere i diritti e le libertà fondamentali», sembra molto simile alle chat che siamo soliti trovare nei siti dei servizi clienti delle compagnie telefoniche e funziona esattamente allo stesso modo.

La schermata di dialogo di CitBot.

Realizzata tecnicamente da Revevol Italia, di proprietà del fratello di Marco Cappato, Luca, per interrogarla basta digitare la propria domanda nell’apposito spazio e attendere l’arrivo della risposta generata non da un interlocutore in carne e ossa ma da un robot, sufficiente per far fronte ai dubbi più comuni. «Dei casi più delicati e che richiedono un supporto specifico, ovviamente, continueranno a occuparsi gli operatori dell’associazione», precisa Marco Cappato.

UN’INTELLIGENZA CHE MIGLIORA CON L’USO

Secondo i quesiti giunti in fase di test, il tema più gettonato è quello del Testamento Biologico, del quale CitBot è pronto a dipanare ogni dubbio, rispondendo a oltre un migliaio di perplessità tra le quali «A chi devo rivolgermi?». «Che moduli devo scaricare per scriverlo e dove posso trovarli?». «Si paga?». Un consulente virtuale preparato che se pur un po’ acerbo crescerà con il passare del tempo anche grazie alla fruizione degli utenti, visto che come ogni software di questo tipo migliora e aumenta il proprio database attraverso le interazioni ricevute. 

UN AIUTO CONTRO L’ANALFABETISMO FUNZIONALE

Oltre a eutanasia e testamento biologico, la chat può essere interrogata anche su aborto e cure palliative e conta presto di ampliare il proprio ventaglio di temi. Al momento è possibile interrogare CitBot attraverso il sito o su Telegram, ma si sta già lavorando per estendere l’utilizzo ad altre associazioni attraverso Messenger, WhatsApp e dispositivi con riconoscimento vocale come Alexa.

Alcune domande tipo a cui CitBot può rispondere.

«Quest’ultimo passaggio è molto importante e credo possa rappresentare la vera opportunità di CitBot di divenire alla portata di tutti», continua Cappato. «Nel nostro Paese esiste un analfabetismo funzionale elevatissimo con il quale è necessario fare i conti. Molti italiani hanno difficoltà nell’analisi di un testo articolato quindi pensare di poter risolvere ogni dubbio dicendo loro “vai su internet, trovi tutto lì” è sbagliato perché chi ha gli strumenti per farlo è la minoranza della popolazione. Non tutti sono in grado di compiere una ricerca specifica e di destreggiarsi autonomamente tra leggi e normative, porre una domanda parlando a un device è decisamente più semplice e soprattutto utile».

L’AI HA POTENZIALITÀ ANCORA DA SFRUTTARE

Nonostanti le grandi potenzialità, anche nel campo dei diritti, l’Intelligenza artificiale è ancora poco sfruttata in Italia. «L’Europa per quanto riguarda temi sociali, partecipazione, qualità della vita e interazione tra le persone è a un livello superiore rispetto agli altri continenti, per questo credo dovrebbe sfruttare al meglio tale vantaggio competitivo per sviluppare quell’intelligenza artificiale civica tutt’ora inesistente», conclude Cappato. «Noi, seguendo il motto dell’associazione, Dal corpo del malato al cuore della politica, qualcosa facciamo ma spetterebbe agli Stati dell’Ue realizzare investimenti importanti affinché tutte le leggi e l’amministrazione pubblica a livello nazionale, regionale o europeo siano messe a servizio del cittadino nel miglior modo possibile».

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Pizzarotti apre le porte alle Sardine

Il 25 novembre il movimento si riunisce a Parma, l'ex Stalingrado M5s. Incassando il sostegno del sindaco leader di Italia in Comune. Che agli organizzatori liceali dà un consiglio: «Dopo la mobilitazione per cambiare le cose è necessario entrare nelle istituzioni e mettersi in gioco».

Bologna e l’Emilia-Romagna si confermano laboratori politici. Lo dimostra il neo-nato movimento delle Sardine che proprio da Piazza Maggiore ha lanciato la sua sfida a Matteo Salvini in occasione delle Regionali del 26 gennaio.

Lunedì 25 novembre l’appuntamento è a Parma, l’ex Stalingrado grillina, dal 2012 governata da Federico Pizzarotti, ex M5s e ora leader di Italia in Comune.

GLI ORGANIZZATORI PIÙ GIOVANI D’ITALIA

Se i sondaggi danno in vantaggio il governatore uscente dem Stefano Bonaccini sulla sfidante leghista Lucia Borgonzoni (40% contro il 29,2% secondo i sondaggi Ixè del 20 novembre), bisogna pur tener conto che il Carroccio alle ultime Europee è stato il partito più votato in provincia (38,3%) e in città (31,6%). Detto questo, l’evento delle Sardine dovrebbe bissare il successo di Bologna e Modena: quasi 4 mila le adesioni su Facebook e oltre 10 mila le dimostrazioni di interesse.

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Anche se gli organizzatori, la 18enne Joy Temiloluwa Olayanju e i 17enni Martino Bernuzzi e Francesco Martino, preferiscono essere cauti. «La risposta per ora sembra molto positiva ma basandosi solo su un clic è impossibile dire come andrà davvero», dicono a Lettera43.it. Il giorno scelto per la “chiamata del banco” è il 25 novembre e non è un caso visto che coincide con la Giornata mondiale contro la violenza sulle donne. «Volendo mandare un messaggio chiaro contro ogni tipo di odio crediamo che questa data possa dare un valore aggiunto alla nostra iniziativa», spiegano i tre organizzatori, i più giovani d’Italia.

Joy a Piazzapulita

Posted by Sardine Parma on Thursday, November 21, 2019

PIAZZA SENZA BANDIERE. E SENZA SALVINI IN CITTÀ

Il fatto che lunedì non sia previsto alcun intervento di Matteo Salvini a Parma non affievolisce la voglia di «contrapporsi al populismo e reagire a una campagna fondata sull’odio, sulla violenza perpetuata con ogni forma e sulla discriminazione», affermano con decisione le Sardine parmigiane. L’evento, ribadiscono i tre, non deve essere divisivo. Come a Bologna, non ci saranno bandiere di partito. «Siamo ancora molto giovani e non abbiamo rapporti diretti con i partiti», spiegano, «ma alle prossime elezioni regionali voteremo tutti (Martino e Francesco compiranno 18 anni a gennaio, ndr) e la politica ci interessa».

PIZZAROTTI SUPPORTER DELLE SARDINE

Un interesse reciproco visto che le Sardine non potevano non attirare l’attenzione della politica, a partire dal Pd (con il segretario dem Nicola Zingaretti e lo stesso Bonaccini) per arrivare al Movimento 5 stelle. Tra i loro supporter c’è anche il sindaco di Parma Pizzarotti, che lunedì a causa di un impegno all’estero sarà in piazza solo idealmente. «Ho incontrato i ragazzi e mi piace molto quello che stanno facendo», ha detto a Lettera43.it. «Il movimento che hanno fondato sta dando diversi insegnamenti alla politica, primo tra tutti che le mobilitazioni di massa per funzionare debbano essere eventi spontanei ai quali le persone sentano di voler aderire liberamente per manifestare a favore o contro un’idea», continua il primo cittadino.

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Ma il sindaco mette in guardia i ragazzi. «Una mobilitazione di piazza senza un successivo sfogo nella politica concreta rischi di limitarsi solo a slogan sterili privi di futuro, come avvenuto in passato con altri movimenti simili», dice. «Il consiglio che do ai ragazzi, quindi, è quello di mantenere la propria identità ma allo stesso tempo pensare, magari in futuro, a un dialogo con la politica. Riuscire a portare in piazza le persone è un ottimo punto di partenza ma non significa conquistare un vero e duraturo consenso. Dopo la mobilitazione è necessario capire che per cambiare davvero le cose è essenziale avere la voglia di entrare nelle istituzioni è mettersi in gioco a livello pratico».

I RISCHIO DI STRUMENTALIZZAZIONE

Il rischio di strumentalizzazione, però, è dietro l’angolo. «La possibilità di essere usati c’è sempre», ammettono dal canto loro i tre organizzatori, «soprattutto in questi casi e vista la nostra età. Però vogliamo sperare e credere che questo non accada». Dubbi più che leciti soprattutto in un terreno fluido come la Rete. Un esempio? Tre esponenti pugliesi di Italia in Comune (Michele Abbaticchio, vice coordinatore nazionale; Grazia Desario, segretaria di Barletta e Davide Carlucci, presidente provinciale) hanno aperto (insieme con altri) la pagina Facebook L’Arcipelago delle Sardine, generando entusiasmo ma anche parecchia confusione, tanto che è stato necessario spiegare che il gruppo non è una «alternativa della pagina ufficiale delle 6000 Sardine, bensì un gruppo di promozione e condivisione di idee antifasciste e contro il becero populismo» che dialoga con la pagina ufficiale.

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Dell’iniziativa Pizzarotti, presidente del partito, non sapeva nulla. «L’ho appreso anch’io dalla Rete ma si tratta solo di un tentativo di coinvolgere anche il Sud Italia, in questo caso la Puglia, in un’iniziativa nata al Nord», chiarisce. «Non c’è la minima volontà di mettere il cappello su un successo i cui meriti non sono di alcun partito, tanto meno il nostro. Nessuna manovra dall’alto anzi, va riconosciuta la bravura di un gruppo di studenti capaci che stanno organizzando un grande evento che spero abbia il successo che merita».


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I rischi di spiare partner e figli attraverso le app

Controllare gli adolescenti attraverso il cellulare è controproducente. Crea ansia e azzera la loro autostima. Se lo si fa con un adulto, a sua insaputa, si commette reato. E si manda a rotoli la relazione. Parola dello psicologo Giuseppe Lavenia, presidente dell’Associazione nazionale dipendenze tecnologiche.

Ficcare il naso nella vita online di partner, amici, semplici conoscenti o figli può facilmente diventare un’ossessione. L’attività di “intelligence” è facilitata da applicazioni che registrano spostamenti, conversazioni WhatsApp, mail e addirittura telefonate. Un controllo spesso illegale che ha conseguenze pesanti su rapporti e relazioni.

LEGGI ANCHE: Orbiting, il bisogno di spiarsi in Rete

ADOLESCENTI SOTTO CONTROLLO

Questi servizi non tentano solo partner gelosi, ma anche genitori di adolescenti, convinti di poter dormire sonni tranquilli con un semplice download. L’ultima app che ha provocato una rivolta social dai parte dei ragazzi è stata Life360. Ma l’elenco è lungo: si va da FamilySafe a Mobile Fence, da Family Time al “banale” Trova il tuo iPhone. E allo scoppiare di ogni nuova polemica si ripropone puntuale la stessa domanda: è giusto o no controllare i propri figli?

ATTENZIONE ALL’AUTOSTIMA DEI RAGAZZI

Secondo lo psicologo Giuseppe Lavenia, presidente dell’Associazione Nazionale dipendenze tecnologiche, la risposta è: «Quasi mai». «Sconsiglio l’uso di uno smartphone proprio fino ai 13 anni», spiega a Lettera43.it, «ma se lo si consente, meglio controllare che tipo di app vengono scaricate e che uso se ne fa visto che a quell’età è molto difficile riuscire a difendersi dai pericoli della Rete». Diverso, invece, lo “spionaggio” territoriale o relazionale che queste app esercitano sia alla luce del sole sia all’oscuro dell’interessato. In tal caso la condanna è ferma. «Pensare di conoscere ogni spostamento o pensiero del proprio figlio è un’utopia visto che esistono mille modi per ingannare certi sistemi», continua Lavenia, «come scaricare app che simulino geolocalizzazioni diverse da quelle effettive o cambiare sim all’insaputa del genitore». Inoltre è anche controproducente per l’autostima del ragazzo. «Se un 15enne scarica l’app social del momento, per esempio Tik Tok, è giusto farsi spiegare di cosa si tratta, senza però invadere troppo la sua privacy. In questo modo sentirà non solo la presenza dell’adulto ma anche la fiducia che gli si accorda».

Spiare il partner attraverso app installate sul suo cellulare a sua insaputa è un reato.

SOFTWARE CHE GENERANO SOLO PARANOIE

Non solo. Dispositivi simili non sono altro che generatori di paranoie, più si conosce più si vorrebbe sapere, senza preoccuparsi delle conseguenze. «I ragazzi di oggi sono già abbastanza controllati dal registro elettronico e dai vari gruppi di mamme, sottometterli a queste app equivale a chiuderli in una sorta di carcere digitale in grado di fare molto male», sottolinea lo psicologo.

L’ANSIA ALLA BASE DEL MONITORAGGIO MANIACALE

Se si parla di adulti, invece, il discorso cambia radicalmente visto che il controllo non è mai ammissibile ed è condannato dalla legge. «Nonostante questo, non conto più le coppie che arrivano in terapia portando a suggello delle differenti tesi screenshot delle conversazioni con il partner o cose dette nelle app di famiglia», racconta Lavenia. Anche in questo caso, al di là che «solo l’idea che il partner conosca ogni nostro spostamento è inquietante», il vero problema è se il cellulare non prende, è scarico o si spegne. «A quel punto il controllante cade in paranoia e in agitazione immaginando gli scenari peggiori». Già perché alla base dei comportamenti devianti di chi decide di esercitare un monitoraggio maniacale c’è uno stato d’ansia elevatissimo che in presenza di imprevisti si amplifica, mettendo in crisi ancora di più il rapporto di fiducia. «Una relazione sana dovrebbe basarsi su questo mentre lo spionaggio ne è privo, manipola l’altro e tende a metterlo alla prova», ricorda Lavenia.

In Italia nei primi 8 mesi del 2019 almeno 1000 persone sono state vittime di stalkerware.

IN CRESCITA I CASI DI STALKERWARE

Quando poi il controllo è subdolo e viene effettuato attraverso spy software che si agganciano al cellulare in modo invisibile e lavorano senza lasciare traccia diventa un reato. Secondo l’ultimo rapporto The State of Stalkerware pubblicato dal colosso russo della sicurezza informatica Kaspersky, da gennaio ad agosto 2019 oltre 37 mila persone nel mondo sono state vittima di stalkerware almeno una volta. Più di mille solo in Italia. Lo stalkerware non solo è illegale ma anche pericoloso visto che nel cervello dell’esecutore si innescano meccanismi persecutori compulsivi che creano una dipendenza emotiva e fisica molto simile a quella generata dalla droga. Inutile sottolineare la pericolosità di un tale comportamento per le vittime sia a livello fisico, essendo impossibile prevedere la reazione di un partner ossessivo che si senta tradito, sia psicologiche, dato che accorgersi di essere costantemente monitorati rappresenta una violenza

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Ficcare il naso nella vita online di partner, amici, semplici conoscenti o figli può facilmente diventare un’ossessione. L’attività di “intelligence” è facilitata da applicazioni che registrano spostamenti, conversazioni WhatsApp, mail e addirittura telefonate. Un controllo spesso illegale che ha conseguenze pesanti su rapporti e relazioni.

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ADOLESCENTI SOTTO CONTROLLO

Questi servizi non tentano solo partner gelosi, ma anche genitori di adolescenti, convinti di poter dormire sonni tranquilli con un semplice download. L’ultima app che ha provocato una rivolta social dai parte dei ragazzi è stata Life360. Ma l’elenco è lungo: si va da FamilySafe a Mobile Fence, da Family Time al “banale” Trova il tuo iPhone. E allo scoppiare di ogni nuova polemica si ripropone puntuale la stessa domanda: è giusto o no controllare i propri figli?

ATTENZIONE ALL’AUTOSTIMA DEI RAGAZZI

Secondo lo psicologo Giuseppe Lavenia, presidente dell’Associazione Nazionale dipendenze tecnologiche, la risposta è: «Quasi mai». «Sconsiglio l’uso di uno smartphone proprio fino ai 13 anni», spiega a Lettera43.it, «ma se lo si consente, meglio controllare che tipo di app vengono scaricate e che uso se ne fa visto che a quell’età è molto difficile riuscire a difendersi dai pericoli della Rete». Diverso, invece, lo “spionaggio” territoriale o relazionale che queste app esercitano sia alla luce del sole sia all’oscuro dell’interessato. In tal caso la condanna è ferma. «Pensare di conoscere ogni spostamento o pensiero del proprio figlio è un’utopia visto che esistono mille modi per ingannare certi sistemi», continua Lavenia, «come scaricare app che simulino geolocalizzazioni diverse da quelle effettive o cambiare sim all’insaputa del genitore». Inoltre è anche controproducente per l’autostima del ragazzo. «Se un 15enne scarica l’app social del momento, per esempio Tik Tok, è giusto farsi spiegare di cosa si tratta, senza però invadere troppo la sua privacy. In questo modo sentirà non solo la presenza dell’adulto ma anche la fiducia che gli si accorda».

Spiare il partner attraverso app installate sul suo cellulare a sua insaputa è un reato.

SOFTWARE CHE GENERANO SOLO PARANOIE

Non solo. Dispositivi simili non sono altro che generatori di paranoie, più si conosce più si vorrebbe sapere, senza preoccuparsi delle conseguenze. «I ragazzi di oggi sono già abbastanza controllati dal registro elettronico e dai vari gruppi di mamme, sottometterli a queste app equivale a chiuderli in una sorta di carcere digitale in grado di fare molto male», sottolinea lo psicologo.

L’ANSIA ALLA BASE DEL MONITORAGGIO MANIACALE

Se si parla di adulti, invece, il discorso cambia radicalmente visto che il controllo non è mai ammissibile ed è condannato dalla legge. «Nonostante questo, non conto più le coppie che arrivano in terapia portando a suggello delle differenti tesi screenshot delle conversazioni con il partner o cose dette nelle app di famiglia», racconta Lavenia. Anche in questo caso, al di là che «solo l’idea che il partner conosca ogni nostro spostamento è inquietante», il vero problema è se il cellulare non prende, è scarico o si spegne. «A quel punto il controllante cade in paranoia e in agitazione immaginando gli scenari peggiori». Già perché alla base dei comportamenti devianti di chi decide di esercitare un monitoraggio maniacale c’è uno stato d’ansia elevatissimo che in presenza di imprevisti si amplifica, mettendo in crisi ancora di più il rapporto di fiducia. «Una relazione sana dovrebbe basarsi su questo mentre lo spionaggio ne è privo, manipola l’altro e tende a metterlo alla prova», ricorda Lavenia.

In Italia nei primi 8 mesi del 2019 almeno 1000 persone sono state vittime di stalkerware.

IN CRESCITA I CASI DI STALKERWARE

Quando poi il controllo è subdolo e viene effettuato attraverso spy software che si agganciano al cellulare in modo invisibile e lavorano senza lasciare traccia diventa un reato. Secondo l’ultimo rapporto The State of Stalkerware pubblicato dal colosso russo della sicurezza informatica Kaspersky, da gennaio ad agosto 2019 oltre 37 mila persone nel mondo sono state vittima di stalkerware almeno una volta. Più di mille solo in Italia. Lo stalkerware non solo è illegale ma anche pericoloso visto che nel cervello dell’esecutore si innescano meccanismi persecutori compulsivi che creano una dipendenza emotiva e fisica molto simile a quella generata dalla droga. Inutile sottolineare la pericolosità di un tale comportamento per le vittime sia a livello fisico, essendo impossibile prevedere la reazione di un partner ossessivo che si senta tradito, sia psicologiche, dato che accorgersi di essere costantemente monitorati rappresenta una violenza

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