Il boom dei Superfood: quali sono i 6 del momento

Dall'aglio nero al miglio bruno, passando per la Moringa e i funghi Shiitake. Ecco gli alimenti vegetali più di moda che, sotto forma di succhi, bacche o farine, promettono di migliorare la nostra salute.

Le tendenze 2020 hanno un colore: il verde. Secondo una ricerca di Whole Food Market la cucina del futuro sarà sempre più orientata verso il vegetable friendly e il salutista. Via libera dunque a verdure, frutta, farine, bacche e oli essenziali.

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E, naturalmente, non possono mancare i cosiddetti superfood, le star del momento: alimenti vegetali ricchi, tra le altre cose, di minerali e antiossidanti considerati toccasana e che promettono meraviglie (anche se in molti casi la comunità scientifica è divisa).

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Insieme alla nutrizionista Francesca Giancane, abbiamo individuato sei superfood da tenere d’occhio.

Da anni le bacche di Goji hanno conquistato il mercato occidentale.

1. LE BACCHE DI GOJI

Piccole e dal colore rosso, le bacche di Goji hanno diversi pregi nutrizionali e fitoterapici, tanto da essere considerate un elemento essenziale della medicina tradizionale asiatica. Ricche di vitamine e sali minerali, promettono di essere immunostimolanti, antiossidanti e da anni ormai hanno conquistato il mercato occidentale dove sono usate soprattutto come snack.

Aglio nero.

2. AGLIO NERO

Ottenuto dalla fermentazione dell’aglio bianco, quello nero ha un sapore più delicato e un odore meno intenso. Ricco di fosforo, proteine e calcio, ha tante proprietà benefiche che vanno dalla prevenzione dell’invecchiamento alla riduzione dell’affaticamento, ma è efficace anche contro le infezioni. In cucina viene usato spesso per preparare creme dense, ideali per primi e secondi.

I funghi Shiitake sono originari del Giappone ma sono coltivati anche in Cina.

3. FUNGHI SHIITAKE

Il Lentinus edodes, originario del Giappone ma coltivato anche in Cina, è considerato un fungo della salute. Ricco di vitamina D, zinco, selenio e rame che gli conferiscono poteri antiossidanti, tonici e depurativi, promette di ridurre la formazione del colesterolo cattivo e di contribuire alla fissazione del calcio nelle ossa. In cucina viene usato soprattutto nella preparazione di brodi e zuppe.  

Polvere di moringa oleifera.

4. MORINGA

La Moringa oleifera è una tipica pianta dell’India e dell’area himalayana. Ricca di vitamine A, B, C, di tanti sali minerali e di grassi buoni, ha proprietà antiossidanti, protegge dai radicali liberi, combatte l’invecchiamento precoce, favorisce la digestione. È una pianta antistress naturale e in cucina viene utilizzata in tutte le sue parti: dalle foglie alle radici e corteccia, passando per baccelli e semi. È molto versatile e può presenziare in tutto il menù, dall’antipasto ai dolci, ma occhio al suo gusto leggermente piccante. 

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5. ERBA DI GRANO E ORZO

Particolarmente ricca di nutrienti (proteine, vitamine B e C, ferro, calcio) l’erba di grano e di orzo è un potente antiossidante e disintossicante, migliora la digestione, è un efficace alcalinizzante e disintossicante. Si trova anche sotto forma di succo e di polvere.

L’erba di grano e orzo ha proprietà digestive.

6. MIGLIO BRUNO

Conosciuto anche con il nome tedesco di Braunhirse, il miglio bruno è la varietà selvatica di uno dei cereali più ricchi in assoluto di sali minerali. È un naturale alleato di ossa e muscoli e, grazie all’acido silicico, ha effetti benefici sul sistema immunitario, sulla salute di pelle, unghie, denti e capelli. L’antinfiammatorio naturale è presente in cucina sotto forma di farina che viene usata nella preparazione di dolci, pizze, ma può essere aggiunta anche a zuppe, frullati e yogurt.

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Guida al menù last minute per cenoni da single

Antipasti con acciughe, foie gras e caviale. Tortellini o calamarata di pesce spada come primi. Per i secondi cotture alla griglia o baccalà fritto. Champagne da bere e panettone artigianale. La soluzione per un workaholic che lavora fino al 31 e fa finta di snobbare le feste.

Si fa presto a dire che le feste natalizie sono dedicate alla famiglia, ai parenti e agli amici stretti. C’è chi, per scelta, trascorre nella completa solitudine anche il cenone, lavorando la sera del 24 o del 31 dicembre. Nella maggior parte dei casi chi sceglie di non festeggiare è un po’ anarchico e un po’ snob, se ne infischia delle ricorrenze di massa e, per coerenza, non fa sontuosi banchetti. Per lui le vigilie di Natale e di Capodanno equivalgono a un qualsiasi giorno dell’anno, non meritano cibi speciali, né di trascorrere le giornate ai fornelli. Ma c’è anche chi decide di regalarsi un menù di più portate, nonostante il lavoro. Ci siamo immaginati questa situazione: è la notte del 31 dicembre, esci dall’ufficio alle 19 e non vuoi rinunciare a un cenone tête-à-tête con te stesso. Che fai?

NIENTE RISTORANTI O GASTRONOMIA

La soluzione più semplice sarebbe andare in un ristorante, ma nel caso in cui non sia stata effettuata alcuna prenotazione e non ci fossero posti? Il piano B potrebbe essere comprare tutto già pronto in una gastronomia, ma se l’orario di chiusura non fosse compatibile con l’orario di uscita dal lavoro? Come organizzarsi per un cenone last minute solitario?

SUPERMERCATO E SPESA DI PESCE AZZURRO

La prima regola è andare in un supermercato ancora aperto e fare la spesa. Cosa comprare? Bisogna pensare a una cena che sia veloce da preparare, ma anche un po’ ricercata. Partiamo dagli antipasti. Pane, burro, acciughe: veloce, gustoso, low profile e anche un po’ da intenditori, considerando che il pesce azzurro sta tornando in auge. Un single workaholic che fa finta di snobbare il Natale, ma non vuole rinunciare al cenone, potrebbe però anche mirare a cibi che nella sua testa sono un po’ esclusivi, ma che nella realtà dei fatti sanno un po’ di parvenu. Quindi pan brioche con foie gras e caviale in purezza. Poi, giusto per aggiungere un tocco un po’ pop agli antipasti, una ciotolina di insalata russa ci sta sempre, già pronta ovviamente.

TORTELLINI SÌ, MA PER IL BRODO NON C’È TEMPO

Passiamo ai primi e andiamo sul classico: pasta fresca che, tradotto, significa tortellini. Ricordiamo che il nostro lavoratore snob esce tardi dall’ufficio e non ha tempo per dedicarsi alle lunghe preparazioni. Per cui i tortellini devono essere già pronti da cuocere, ma bisogna escludere il brodo, che è la morte della pasta fresca ripiena, e tornare a un must Anni 80. Tortellini con prosciutto, panna e parmigiano. Il plus potrebbe essere l’aggiunta del burro di affioramento, ma la spesa la facciamo al supermercato e non è detto che riusciamo a reperirlo. Se invece si rinuncia alla pasta fresca, si può tranquillamente andare su un primo molto veloce, ma gustoso. Calamarata con dadolata di pesce spada, aglio, olio, peperoncino, mentuccia, vino bianco.

BISTECCA AL SANGUE O TRANCIO DI TONNO

I secondi sono un po’ più impegnativi ed è difficile realizzarli con la clessidra del tempo in mano. Il consiglio è di andare sulle cotture alla griglia, quindi una bistecca al sangue potrebbe funzionare o, nel caso di pesce, un trancio di tonno. Se invece si ha voglia di mettersi ai fuochi, si può optare per una preparazione veloce, ma che dà sempre soddisfazioni: il baccalà fritto, un grande classico del Natale partenopeo. Comprate un bel pezzo di baccalà già ripulito della pelle, lavatelo e togliete eventuali lische, tagliatelo a pezzi grossi, infarinatelo e friggetelo. Potete abbinarci un’insalata di finocchi, limoni e arance o della cicoria saltata in padella con aglio e peperoncino.

UNA CREMA PASTICCERA AL VOLO

Da bere concedetevi il migliore champagne a tutto pasto. Non è per ostentare, ma che diamine, avete lavorato tutto il giorno, meritate un po’ di coccole. Il dolce della festa non può che essere il panettone, quello però sarebbe bello se fosse artigianale e magari fatevi una crema pasticcera (latte, zucchero, tuorlo, amido di riso, baccello di vaniglia e scorza di limone) per accompagnarlo. Per i cenoni delle feste si possono preparare dei menù anche last minute, dopo una giornata di lavoro, senza dover necessariamente trascorrere l’intera giornata ai fornelli e senza essere per forza dei custodi del focolare domestico. Un’unica raccomandazione: dopo il cenone solitario andate a letto, evitate il brindisi tristissimo con tanto di conto alla rovescia davanti alla tivù.

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Come superare l’abbuffata di Natale reinventando gli avanzi

Dopo menù infiniti serve riciclare il cibo. Pasticcio o frittata di pasta con i primi, polpette di tutti i tipi per i secondi, pappa al pomodoro, pancotto e basi per tiramisù: guida al Santo Stefano (e non solo) anti-spreco.

Diciamoci la verità: Natale è spesso anche una scusa per lasciarci andare al consumismo più sfrenato e giustificato. Nessuno bada a spese e, almeno per un giorno, tutti vogliono sentirsi Trimalcione. Via libera a sontuosi banchetti nel nome dell’opulenza, menù che vanno avanti all’infinito, a cui si vorrebbe dire basta, ma non si può perché è Natale.

MANCA LA COSCIENZA DELLO SPRECO

Durante il periodo delle feste il cibo dunque non manca, ma la coscienza dello spreco quasi sempre sì. Anziché buttare senza consapevolezza e in maniera selvaggia, forse sarebbe meglio pensarci prima, magari razionalizzando le vivande in base al numero dei commensali, oppure organizzarsi per il riciclo e dare una nuova vita agli avanzi.

ANTIPASTI: CI SALVERANNO LE TORTE SALATE

Partiamo dagli antipasti: considerando la lunghezza dei menù natalizi, bisognerebbe ridurli un po’. È vero che appena ci sediamo a tavola siamo affamati, ma dopo le prime cucchiaiate di insalata russa rinsaviamo e ci ricordiamo che ancora ci sono molte portate da affrontare. Gli antipasti sono sempre tra gli avanzi del giorno dopo. Come riciclarli? Le torte salate vanno sempre bene: preparate una pasta brisé con farina, sale e burro e farcitela con qualsiasi ingrediente: verdure, formaggio, salumi. Mettetela in forno e aspettate una ventina di minuti: avrete un ottimo secondo. L’insalata russa non potete metterla in forno, usatela per farcire dei fagottini di prosciutto cotto o mescolatela con il tuorlo bollito per delle uova ripiene. Avrete due piatti vintage che sono sempre di moda.

PRIMI: PASTICCIO E FRITTATA DI PASTA

La pasta fresca è un must natalizio: i tortellini in brodo dominano le tavole delle feste. Cosa farne se avanzano? Avete almeno due possibilità: il giorno dopo potete preparare un pasticcio di tortellini al forno, aggiungendo della passata di pomodoro e del parmigiano oppure infilzate tortellini avanzati in stecche di legno, a mo’ di spiedini, e friggeteli in una padella con olio, alla maniera bolognese. Se invece avete preparato delle tagliatelle, prendete come esempio i napoletani e date loro una nuova vita in una buonissima frittata di pasta. Basta poco: unite la pasta avanzata a uova, formaggio, pepe ed è fatta.

SECONDI: POLPETTE, POLPETTONE E COTOLETTE

I secondi delle feste saranno tanti, troppi. Impossibile non averci a che fare nei giorni successivi. Le idee per recuperarli sono diverse. Per esempio, il bollito avanzato è la base per realizzare dei buonissimi mondeghili, le polpette lombarde antispreco. Prepararli è facile: si impasta la carne del bollito con uova, parmigiano, pane raffermo, latte e pepe, si creano delle palline di forma ellittica, si impanano nel pangrattato e si friggono in burro o olio. Se avanza del baccalà, con lo stesso procedimento, aggiungendo aglio, patate lesse e prezzemolo, si ottengono dei bolinhos de bacalhau. Avete fatto troppo arrosto e non sapete cosa farne? Impastatelo con uova, formaggio, aglio, prezzemolo, prosciutto, mollica di pane ammollata nel latte, modellatelo a mo’ di grande palla allungata, mettetelo in una teglia su un soffritto di carota, cipolla e sedano, fatelo rosolare, bagnatelo con vino bianco e irroratelo di brodo, avrete un ottimo polpettone. Infine il cotechino, tagliato a fette, passato nelle uova, nel pangrattato, poi fritto, si trasforma in buonissime cotolette

PANE: BASE PER PAPPA AL POMODORO O PANCOTTO

Il pane è sempre sovrastimato durante le feste, se non fate in tempo a congelarlo, utilizzatelo raffermo in ricette di recupero, come la pappa al pomodoro e il pancotto. Entrambe sono molto facili da realizzare: per la prima basta preparare un soffritto con aglio, peperoncino, unire la salsa di pomodoro e poi aggiungere un po’ di brodo e il pane, che si deve inzuppare in modo da raggiungere la morbidezza giusta, senza però essere liquido. Per la seconda basterà ammorbidire il pane in un po’ di acqua calda e aggiungere, a seconda delle varianti, solo olio extravergine d’oliva e parmigiano, o anche speck, verdure o uova con formaggio.

DOLCI: I RESTI DEL PANETTONE NEL TIRAMISÙ

Infine i dolci. Quanti panettoni e pandori avanzeranno dalle feste? Tantissimi. Il modo più semplice per riutilizzarli è di inzupparli nel latte delle colazioni successive. Ma se avete voglia di qualcosa di più creativo, il suggerimento è di tagliarli a strisce, inzupparli nel caffè come base di un tiramisù, al posto dei savoiardi o della ciambella.

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Viaggio da Nord a Sud tra i dolci tipici di Natale

Le ricette tradizionali che resistono alla dittatura del panettone. Accomunate dal fil rouge del recupero. E spesso a base di pane o polenta.

Se pensate di avere già raggiunto il picco glicemico con l’assaggio di panettoni random, pre feste, sappiate che il meglio deve ancora arrivare. Natale significa anche zuccheri a go-go. Ricordate che dopo abbuffate di pasta fresca, carne, pesce, frutta secca e chi più ne ha più ne metta, dovrete lasciare spazio ai tanti, tantissimi dolci che bisognerà mangiare in maniera sistematica. In tutte le regioni italiane c’è uno zoccolo duro di pasticceria tradizionale che resiste alla dittatura del panettone e del pandoro. Specialità locali che si tramandano da generazioni e che sono accomunate dal fil rouge del recupero. Nella maggior parte dei casi, infatti, si tratta di ricette povere e contadine, nate dalla necessità di non sprecare gli avanzi. Spesso a base di pane o polenta, arricchiti di frutta secca, canditi e uvetta. Iniziamo il nostro giro d’Italia per scoprirli, regione per regione.

LA FLANTZE VALDOSTANA E LA PINSA VENETA

In Valle d’Aosta potrete assaggiare la Flantze, un pane di forma rotonda, fatto con farina integrale, di solito di segale o di frumento, burro, zucchero, uvetta, mandorle, noci e scorza d’arancia. In Piemonte non può mancare il Tronchetto, il cui nome, secondo la leggenda, deriva dall’usanza di mettere sul fuoco, durante le feste, un ceppo di legno più grosso del solito perché durasse tutta la notte. Viene preparato con farina, burro, uova, marroni, brandy, panna e cioccolato. Ma c’è anche il Crumbot, un dolce piemontese povero: una pasta frolla antropomorfa che riproduce il bambin Gesù e viene fatta con farina del grano San Pastore, uova, burro, zucchero, un pizzico di lievito, arance, ciliegie candite e gocce di cioccolato. Tonda o rettangolare, la Pinsa veneta è un dolce antispreco, figlio di una cultura contadina che faceva del recupero virtù. Nato povero, veniva fatto con pane raffermo o polenta avanzata, poi nel tempo è stato arricchito di ingredienti. Oggi si prepara con farina bianca, farina gialla, lievito, latte, zucchero, uova, fichi, semi di finocchietto e uva passa.

LA BISCIOLA, IL PANETTONE VALTELLINESE

Oltre a essere la patria del panettone, la Lombardia ha dato i natali anche a Bisciola e Miascia. La Bisciola è considerato il panettone valtellinese: farina di grano saraceno, fichi, frutta secca e uvetta. La Miascia nasce come ricetta di riciclo per recuperare il pane secco ammollato nel latte e impastato con uova, frutta e frutta a guscio. In assenza del pane, si preparava una pasta di semplice farina, bianca e gialla. Ancora oggi è un dolce casalingo diffuso nel Comasco e nella Brianza e presenta varianti, sia nelle farine (in alcune città viene usata quella di castagne), sia negli ingredienti (scorze di agrumi, polvere di cacao, fichi secchi, ma anche liquore e amaretti). Farina, uova, burro, zucchero e lievito sono alla base dello Zelten, il pan dolce del Trentino Alto Adige, insaporito di frutta secca e canditi. Le varianti sono tante, ma si può distinguere tra la versione trentina, che prevede più pane e quella suditirolese che privilegia la frutta. Il Natale friulano si traduce con Gubana, un antico dolce lievitato a forma di chiocciola, ripieno di noci, uvetta, pinoli, zucchero, grappa, scorza grattugiata di limone.

In tutte le province emiliane è diffusa la Spongata, una torta di pasta brisée, farcita di marmellata di mele e pere, frutta candita, pinoli e mandorle e ricoperta da un secondo strato di sfoglia

Al Pandöçe o Pan Döçe natalizio i liguri non rinuncerebbero mai. Un pane impreziosito da pinoli, uvetta e frutta candita, un tempo molto diffuso tra i marinai grazie al plus della sua lunga durata. In Emilia il panettone ha molti competitor. Il Pampepato o Pampapato di Ferrara (da pan del papa, perché a lui dedicato) ha la forma di zuccotto, è fatto con mandorle o nocciole finissime, gustosi canditi, spezie profumate; la calotta è ricoperta da cioccolato fondente. A Bologna il Certosino, o Pan Speziale, è una ciambella bassa insaporita da mandorle, pinoli, cioccolato fondente e canditi, miele e mostarda. Simile, ma arricchito da Cognac o vino bianco passito, è il Panone, sempre made in Bologna. Nelle tavole natalizie bolognesi, inoltre, si può trovare la Pinza, dolce da forno figlio della tradizione contadina: un rotolo di farina, burro e uova che stringe, come una pinza, un ripieno di mostarda (confettura tipica preparata con cotogne e prugne). In tutte le province emiliane è diffusa la Spongata, una torta di pasta brisée, farcita di marmellata di mele e pere, frutta candita, pinoli e mandorle e ricoperta da un secondo strato di sfoglia.

Dalla forma rotonda e dalla superficie rugosa con ostia alla base, bianco o nero (a seconda che venga spolverato con zucchero a velo o cacao), il Panforte è tipico del Senese, ma diffuso in tutta la Toscana. Presenta un forte gusto di spezie e di frutta candita, è consistente e si presenta leggermente gommoso al palato. Oltre al Panforte, in Toscana troviamo anche i Ricciarelli, biscotti di pasta di mandorla, con agrumi e cannella. La Cicerchiata (piccole sfere di pasta di farina, uova e zucchero, unite dal miele) è diffusa in tutto il Centro (Abruzzo, Marche, Lazio, Umbria, Toscana) e deve il suo nome a un legume antichissimo che ha trovato in questa parte della penisola il tuo terreno d’elezione e che richiama le dimensioni delle palline fritte, la cicerchia. Di forma rotonda è anche il Panpepato, specialità popolare umbra a base di noci, nocciole, mandorle, cannella, noce moscata, cioccolato, miele, uvetta, cacao e pepe.

UN NATALE A BASE DI MANDORLE E CIOCCOLATO

Il Natale marchigiano è a base di Bostrengo che, con nomi diversi, domina la scena. Anche questa volta alla base c’è la volontà di non sprecare, quindi pane raffermo arricchito di frutta secca (fichi in primis) e candita, mosto cotto, scorza di agrumi e uvetta. In Abruzzo è il Parrozzo il re incontrastato delle feste: una pagnotta semisferica a base di farina di mandorle, uova e cioccolato. L’invenzione si deve a Luigi D’Amico, un pasticcere di Pescara che fu ispirato dal pane di granturco dei contadini. La prima persona alla quale Luigi D’Amico fece assaggiare il parrozzo fu Gabriele d’Annunzio, che, estasiato dal nuovo dolce, scrisse un madrigale “La Canzone del Parrozzo”. Di origini nobili è il Pangiallo romano, che risale alla Roma Imperiale. Veniva preparato durante la festa del solstizio d’inverno, in modo che con il suo colore dorato, potesse favorire il ritorno del sole. Tradizionalmente il pangiallo era realizzato con frutta seccamiele e cedro candito, che veniva sottoposto a cottura e ricoperto da uno strato di pastella d’uovo. Oggi si aggiunge anche lo zafferano. Fino a poco tempo fa, le massaie romane, per risparmiare, mettevano i noccioli essiccati della frutta estiva, ora sostituiti da mandorle e nocciole.

LE ZEPPOLE E GLI STRUFFOLI CAMPANI

Nella tradizione campana spiccano gli Struffoli: stesso concetto della Cicerchiata, quindi palline di pasta fritta, tenute insieme dal miele e sistemate a mo’ di montagnetta. A Napoli si fanno notare anche i Roccocò e i Susamielli. I primi, a forma di ciambella, sono a base di mandorle, farina, zucchero, cacao, canditi e spezie varie. Pare siano stati inventati nel 1320, dalle monache del Real Convento della Maddalena, mentre il nome deriva dal francese “rocaille”, elemento decorativo a forma di roccia o conchiglia. I Susamielli sono dei biscotti duri di forma rotonda o a esse, fatti con farina, miele, noci tritate e un grammo di ammoniaca. In Campania non possono mancare inoltre le Zeppole, ciambelle fritte, profumate e colorate dai diavulilli, confettini colorati. In Puglia Natale significa soprattutto Cartellate. Delle piccole rose, fatte da un semplice impasto di olio, vino bianco e farina: vengono fritte e poi passate nel vincotto, di vino o di fichi. Friabili e croccanti, hanno origini molto antichi, la leggenda narra che venissero fatte in Egitto per i faraoni, la tradizione popolare attribuisce loro un alto valore simbolico e le paragona alle lenzuola di Gesù.

In Molise imperversano i Cippillati, mezzelune di pasta frolla ripieno di marmellata di amarene

In Molise imperversano i Cippillati, mezzelune di pasta frolla ripieno di marmellata di amarene. Si può riempire di marmellata di amarene anche il Calzoncello fritto lucano che, nella sua forma più tradizionale, è ripieno di castagne e cioccolato. La Pitta ‘Nchiusa (o ‘mpigliata) è un dolce natalizio identitario della Calabria. Ha la forma di torta di rose ed è diffuso, con varianti, soprattutto nelle province di Cosenza e di Crotone. L’impasto dell’involucro prevede l’utilizzo di farina di grano duro, zucchero, olio extravergine d’oliva, succo di arancia, liquore dolce, cannella, chiodi di garofano. Nel ripieno l’uva passa viene resa ancora più gustosa da noci tritate, Mandarinetto, liquore all’anice, succo di arancia, cannella e chiodi di garofano.

IN SICILIA NON MANCANO BUCCELLATI E CUDDUREDDI

Il Natale calabro prevede anche tanti altri dolci: Susumelli o Susumelle (biscotti di farina, miele, mandorle tritate, uvetta, ricoperti di glassa o cioccolato), Lumini (biscotti rotondi di mandorla, ricoperti di glassa e ripieni di cioccolato), Muicate (paste di mandorle), ‘Mpignolata (palline di pasta fritta legate con il miele, più piccole degli Struffoli), Zeppole (bocconcini di pasta lievitata fritta e insaporita con uvetta), Curuje dolci (ciambelle di pasta lievitata, fritte e zuccherate), Crocette di fichi (fichi secchi, ripieni di noci, mandorle e scorza d’arancia). Nella provincia di Cosenza non possono mancare gli stratosferici Turdilli: gnocchi dolci di farina, vino cotto e miele. Il Natale siciliano è all’insegna dei Buccellati, dolci che possono assumere diverse forme a seconda della provenienza e sono a base di pasta frolla con un ripieno ricco di fichi secchi. Simili ai buccellati, i Cuddureddi o Cuddrureddi, fatti con farina e sugna e ripieni di marmellata di fichi, mandorle o melone.

I DOLCI ISOLANI, DALLA CUBAITA ALLE TIRICCAS

Sulle tavole siciliane non manca la Cubaita, un torrone isolano, a base di frutta secca o sesamo, miele e scorza d’arancia. In Sardegna vanno forti le Seadas, ravioli di pasta dolce fritta, ripiena di formaggio e condita con il miele; i Papassinos, grossi biscotti preparati con un impasto di pasta frolla, uva passa, mandorle, noci, scorza di limone grattugiata, miele e le Tiriccas, fatti con farina e strutto, e ripieni di sapa, il caratteristico mosto cotto sardo.

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Natale, dieci idee regalo per buongustai

Dal salmone allo champagne, fino al baccalà in barattolo e mostarde per i bolliti. Qualche consiglio per fare felici gourmand e intenditori.

Il Natale è alle porte e l’ansia per i regali si fa pesante. Tra scadenze di lavoro, cene, aperitivi, pranzi per salutare amici e colleghi (come se le Feste segnassero la fine del mondo), le ore per gli acquisti diventano risicati. Le idee mancano? E se si optasse per un regalo da gourmand o gourmet? Perché no, in fondo cibo e buon bere mettono tutti d’accordo, tanto vale approfittare. Per aiutarvi abbiamo fatto un elenco di 10 prodotti con cui farete un figurone. C’è anche il prezzo, giusto per regolarsi in base alle proprie tasche.

Stappare una bottiglia di Champagne fa sempre festa.

1. CHAMPAGNE RE DELLA FESTA

Le bollicine sulla tavola delle feste non possono proprio mancare. E champagne ne è il re. La freschezza e la vivacità delle pregiate bolle serviranno a sgrassare i pasti luculliani delle feste.
Champagne Brut Grande Cuvée Krug 75 cl – 170 euro.
Champagne Extra Brut ‘Blanc d’Argile’ Vouette et Sorbee 75 cl – 98,50 euro.

Un vasetto di baccalà mantecato sotto l’albero? Perché no.

2. BACCALÀ IN VASETTO

Il baccalà mantecato è un classico della cucina regionale veneta e, grazie al suo gusto, ha conquistato tutte le tavole dello Stivale, ma non solo. Su crostoni di pane o di polenta, è un must natalizio. Se volete regalarlo, c’è chi lo produce artigianalmente e lo mette in comodi vasetti.
Baccalà mantecato Marinèr La Pesca (classico, condito, agrumi, curry, albicocche) da 100 g – 5,50 euro.
Baccalà mantecato Marcolin (classico, olive verdi, peperoncino, tartufo) 90 g – da 4,10 euro a 4,90 euro (tartufo).

Il salmone non può mancare sulle tavole delle feste.

3. NON È NATALE SENZA SALMONE

Oltre a decorare il banchetto, la baffa riempirà la bocca di morbidezza e gusto. Con la sua leggera affumicatura, il salmone si presta a un uso immediato: come antipasto, da spizzicare da solo tagliato a dadini o come tartare, ma anche adagiato su crostini di pane spalmati di burro.
Baffa di salmone Upstream da 1 kg – 137 euro; 2,2 kg – 300 euro.
Baffa Coda Nera Riserva da 1 kg – da 130 a 140 euro.

La tradizione norcina italiana regala prodotti d’eccellenza.

4. UN SALAME SOTTO L’ALBERO

Pur essendo un prodotto popolare e di uso quotidiano, il salame nella tavola delle feste ci sta eccome. Pane e salame riportano la felicità e non esiste banchetto che non contempli la loro presenza. La tradizione norcina italiana è molto varia, noi vi proponiamo due esempi artigianali: salame di Varzi Cucito, che ha lo stesso impasto del Varzi base (lombo, coscia, coppa, grasso di gola e di pancetta, sale marino, pepe in grani, infuso di aglio fresco e Bonarda), ma è stagionato più a lungo; e il salame ligure di puro suino, lavorato con aglio di Vessalico, sale, pepe nero in grani, viene insaccato in budello naturale.
Salame di Varzi Cucito Thogan Porri 1,4 kg – 27,90 euro.
Salame di puro suino Macelleria Salumeria Giacobbe 1 kg – 24 euro.

Giardiniere e mostarde di frutta sono idee regalo gustose.

5. GIARDINIERA E MOSTARDA, LA FESTA DEI BOLLITI

Natale significa anche grandi bolliti. Giardiniera e mostarda sono i prodotti ideali per accompagnare ogni tipo di carne. Sia nel caso della giardiniera (verdure fresche selezionate, tagliate a mano e fatte maturare in aceto, acqua, zucchero), sia nel caso della mostarda (frutta tagliata a pezzi e immersa in uno sciroppo di zucchero e aroma di senape), consigliamo di puntare sempre su prodotti artigianali, senza additivi aggiunti.
Mostarda Caffè La Crepa 360 g – 9,50 euro.
Mostarda Emilio Stroppa 300 g – 9,50 euro.
Giardiniera Emilio Stroppa 370 g – 8,50 euro.
Giardiniera Caffè La Crepa 440 g – 9,50 euro.

Il panettone e il pandoro sono sempre graditi. A patto che siano artigianali.

6. MAI SENZA PANETTONE E PANDORO (ARTIGIANALI)

Un grande classico delle feste è il panettone, il lievitato per eccellenza del Natale. Regalarlo non è mai banale. Il consiglio è di evitare la produzione industriale e di comprare l’artigianale di pasticceri, pizzaioli, panettieri e cuochi. Meno blasonato del panettone, forse solo perché più difficile da realizzare (ci riferiamo alla lievitazione), è il fratello senza uvetta e canditi, il pandoro. Quello artigianale è più raro, ma qualche pasticcere ha iniziato a produrlo. Che diventi il nuovo re delle feste?
Panettone classico Olivieri 1882, 900 g – 32 euro.
Panettone classico Colombo e Marzoli 1 kg – 28 euro.
Pandoro classico Olivieri 1882, 750 g – 29 euro.
Pandoro classico Panzera Milano 750 g – 24 euro.

Il Foie gras sarà apprezzato da ogni gourmand.

7. FOIE GRAS, SOLO PER INTENDITORI

Anche se non è propriamente etico, il fegato grasso d’oca è sempre un dono apprezzato per chi si professa gourmand. Il consiglio è di mangiarlo in purezza, magari sul pane (meglio pan brioche), o accompagnato a composte di frutti rossi.
Foie gras etico senza gavage Labourdette 125 g – 136,40 euro.
Foie gras de canard entier Lafitte 450 g – 57,50 euro.

8. LIQUORI MADE IN ITALY

Dopo un sontuoso banchetto non vuoi pulirti la bocca con un liquore, magari italiano? Ve ne proponiamo due: la Ratafià abruzzese, fatta con vino Montepulciano e amarene, e il vermut tradizionale torinese nella versione extra dry.
Ratafià Scuppoz 1 l – 27 euro.
La Canellese Vermut di Torino Extra dry 75 cl – 24 euro.

Rum e liquori sono un regalo per intenditori.

9. CHIUSURA ALCOLICA

Natale è soprattutto la festa della famiglia allargata e dei parenti. Ecco perché i regali alcolici non solo possono aiutare a superare le ore passate a tavola, ma fanno fare bella figura a patto che il destinatario sappia di cosa si stia parlando e ne riconosca il valore.
Distillato Mela Decio di Belfiore Capovilla 0, 50 l – 84 euro.
Rhum Vieux Agricole Horse d’Age Cuvée Homère Clément 0,70 l – 135 euro.

10. BIG GREEN EGG, IL BARBECUE OVUNQUE VUOI

Se avete poi molti soldi da spendere, un regalo coi fiocchi è il Big Green Egg, il barbecue a forma di uovo di ceramica per cucinare la carne ovunque: giardino, terrazza, balcone, campeggio. Sostenibile, permette di ottimizzare e rendere omogenea la cottura.
Big Green Egg Mini (diametro griglia 25 cm, area di cottura 507 cm²) – 850 euro.
Big Green Egg L (diametro 46 cm, area di cottura 1688 cm²) – 1.750 euro.

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Freeganismo, quando la spesa si fa nel cassonetto

Si cibano di alimenti raccolti nella spazzatura. Frutta, verdura e prodotti scaduti da poco. Oppure raccolgono gli "scarti" dei ristoranti. Non sono clochard, ma freegan antispreco. Una "moda" che sta arrivando anche in Italia.

Si procacciano il cibo rovistando nella spazzatura, nei cassonetti dei supermercati o chiedendo ai banchi dei mercati e ai ristoranti l’invenduto della giornata, ma non sono né poveri, né clochard. Sono i freegan (crasi di free, gratis, e vegan, vegani) e il loro modo alternativo di fare la spesa è una protesta contro il consumismo e lo spreco, non più sostenibile, del sistema capitalista.

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CONTRO IL CONSUMISMO FUORI CONTROLLO

Nell’articolo Not buying it de The New York Times datato 21 giugno 2007, Steven Kurutz li definiva «spazzini del mondo sviluppato» tracciandone un profilo. Il freegan è una persona colta e spesso appartenente a classi sociali abbienti, con alle spalle un cambiamento di vita radicale, che mangia scarti recuperati dalla spazzatura dei supermercati (prodotti leggermente ammaccati o scaduti da poco), si veste con abiti riciclati e arreda la propria casa con oggetti trovati per strada, nel tentativo di ridurre il proprio impatto sul Pianeta prendendo le distanze da ciò che percepisce come un consumismo fuori controllo.

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TRA ANTI-GLOBALIZZAZIONE E CONTRO CULTURA

Kurutz faceva risalire il freeganismo alla metà degli Anni 90 quando, sulla scia dell’anti-globalizzazione e dei movimenti ambientali, si era sviluppata una rete di piccole organizzazioni che offriva cibo vegetariano e vegano gratuito, recuperato in gran parte dalla spazzatura del mercato. Il freeganismo, sottolineava il giornalista, aveva legami anche con realtà come i Diggers, una compagnia teatrale anarchica di strada con sede a Haight-Ashbury, il quartiere di San Francisco dove nacque la controcultura.

L’identikit del freegan: colto, deciso a ridurre il proprio impatto sull’ambiente e di classe abbiente.

I PREGIUDIZI ITALIANI

In Europa il freeganismo ha iniziato a fare capolino nell’ultimo decennio, in Italia da qualche anno, anche se fa ancora fatica ad attecchire perché sono molti i pregiudizi da superare. «Non sono un freegan radicale», dice a Lettera43.it Francesco, 42 anni, informatico milanese. «Simpatizzo, ma non sono mai andato a frugare nei cassonetti. L’unica cosa che faccio per risparmiare e limitare il mio impatto sull’ambiente è fare la spesa dal fruttivendolo e dal panettiere, acquistando a fine giornata parte del loro invenduto a un prezzo decisamente inferiore». Francesco ha un lavoro, una casa e una famiglia. La “spesa” freegan contempla solo prodotti leggermente ammaccati, appena scaduti, che vengono regolarmente buttati dalla grande distribuzione, e il cibo in eccesso regalato a fine servizio da locali, negozi e ristoranti.

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SOLO NEL 2019 SONO STATI SPRECATI 16 MILIARDI DI ALIMENTI

A ben vedere il freeganismo ha senso eccome. Secondo il rapporto sullo Stato dell’alimentazione e dell’agricoltura 2019 (Sofa) presentato dalla Fao e ripreso da Coldiretti, solo nel 2019  nel nostro Paese sono finiti nel bidone alimenti e bevande per un valore di 16 miliardi di euro. Lo spreco, 36 kg all’anno pro capite, a livello nazionale, riguarda soprattutto verdura e frutta fresca. Lo spreco casalingo rappresenta il 54% del totale, superiore a quello della ristorazione (21%), della distribuzione commerciale (15%), dell’agricoltura (8%) e della trasformazione (2%). Il cibo che ogni anno buttiamo ha anche un impatto notevole sull’ambiente. Per la produzione di questi alimenti, si immettono nell’atmosfera 3,3 miliardi di tonnellate di gas serra, si consumano 250 chilometri cubi di acqua e 1,4 miliardi di ettari di terreno. Meglio seguire allora il professore Tristram Stuart, autore del libro Waste, «compra solo quello di cui hai bisogno, e mangia tutto ciò che compri». 

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Com’è andata la vendemmia 2019: in viaggio per i vigneti italiani

Come previsto, berremo meno del 2018, la gradazione alcolica sarà più bassa ma la qualità comunque eccellente. Il bilancio di tre produttori del Südtirol/Alto Adige, delle Marche e della Calabria.

Vi avevamo già anticipato che quest’anno si sarebbe bevuto di meno, ma meglio. Secondo le previsioni vendemmiali di settembre, infatti, l’andamento produttivo delle vigne italiane avrebbe avuto un calo rispetto al 2018, ma la qualità sarebbe stata variabile tra il buono e l’eccellente. Ora che la vendemmia è finita, si possono finalmente tirare le somme per capire se queste stime rispecchiano effettivamente i dati reali.

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ALTO ADIGE: VINI ACIDI E LONGEVI CON GRADAZIONE ALCOLICA BASSA

Per verificarlo Lettera43.it ha sentito i vignaioli dello Stivale, da Nord a Sud.
Partiamo dalla Valle Isarco, in Alto Adige/Südtirol. Qui il clima è atipico per un territorio alpino: la notevole escursione termica tra giorno e notte, le precipitazioni ridotte e le numerose ore di sole favoriscono soprattutto i vitigni a bacca bianca. Manni Nössing produce cinque bianchi e il Kerner è il suo biglietto da visita. Si dice soddisfatto della vendemmia appena finita. «Quest’anno è stata diversa, di solito a settembre era tutto concluso. Ma va bene così perché un bianco, se vive un po’ di guerra, diventa importante. E per guerra mi riferisco a condizioni climatiche ballerine». Sul finale, aggiunge, l’annata è stata elegante, importante e «avremo sicuramente vini acidi e longevi con una gradazione alcolica bassa. Vini che piacciono».

La vendemmia 2019 ha mantenuto le aspettative: quantità inferiore ma qualità eccellente.

MARCHE: QUALITÀ DAVVERO ECCELLENTE

Lasciamo il Südtirol e ci spostiamo in Centro Italia. L’azienda agricola Maria Pia Castelli nasce nel 1999 a Monte Urano, in provincia di Fermo, nelle Marche. Otto ettari sotto il Conero in cui su producono vini di alta qualità con metodi biodinamici. Il clima mite e i terreni di natura argillosa, ricchi di minerali, contribuiscono alla maturazione di uve sane e gustose. «Abbiamo finito la vendemmia la settimana scorsa e siamo molto soddisfatti», dice Alessandro, figlio della titolare Maria Pia. «Il 2019 è stata un’ottima annata: il clima ha reso le uve sane e anche a livello quantitativo non abbiamo perso nulla rispetto allo scorso anno. Ora è difficile dire quali vini sono venuti meglio perché devono ancora finire le fermentazioni, ma la qualità di tutte le uve è eccellente».

Il clima ballerino ha ritardato la vendemmia.

CALABRIA: BUONE ASPETTATIVE PER MALVASIA E BIFORA ROSSO

Finiamo il nostro tour nel Nord della Calabria, a San Marco Argentano, alla masseria Perugini, una delle più longeve realtà agricole della provincia di Cosenza. Ubicata geograficamente tra il Parco Nazionale della Sila e quello del Pollino, la masseria è una fucina di biodiversità, tanto da essere partner dell’Università della Calabria. Tra i 200 e i 400 metri di altitudine la micro-ventilazione dei vigneti è costante e diventa essenziale per la qualità dell’uva. L’azienda oggi è nelle mani di Giampiero Ventura, Pasquale Perugini e Daniela De Marco che hanno fatto della certificazione biologica e dell’ecosostenibilità le loro parole d’ordine.

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«Quest’anno abbiamo avuto una vendemmia tardiva con una maturazione dell’uva che non ha raggiunto un sufficiente livello zuccherino. Questo significa che il grado alcolico sarà più basso», dice Ventura. Un esempio? «La Malvasia, che di solito è sui 14,5 gradi, sarà di 10. Dovremo compensare con una lunga macerazione per arrivare almeno a 12,5». Come qualità, aggiunge il titolare, «l’annata non è stata male, ha espresso il territorio piuttosto bene, ma come quantità abbiamo una resa di meno del 40%. Oltre alla Malvasia, promette bene il Bifora rosso (uve Magliocco, Guarnaccia Nera, Greco Nero, Malvasia Bianca da vigne vecchie, ndr) che rappresenta al meglio la nostra idea di vino».
Ora, per capire se questo 2019 sia stato o no propizio per Bacco, non resta che passare all’assaggio in calice.


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