Chi è Paolo Orrigoni, l’imprenditore ai domiciliari per le tangenti in Lombardia

Ha ereditato la catena di supermercati Tigros, con più di 60 punti vendita e quasi 2 mila dipendenti. Si era candidato sindaco a Varese per il centrodestra al posto dell'uscente Attilio Fontana. Adesso è accusato di corruzione.

Il presunto “burattinaio” delle tangenti in Lombardia, l’ex coordinatore di Forza Italia a Varese Nino Caianiello, gli consigliava di muoversi «perché questi mi hanno detto che ti vogliono cambiare il progetto giù a Milano». Paolo Orrigoni, proprietario dei supermercati Tigros – 700 milioni di euro di fatturato, più di 60 punti vendita tra Lombardia e Piemonte e quasi 2 mila dipendenti – è finito ai domiciliari insieme all’ex eurodeputata di Forza Italia Lara Comi.

Orrigoni era il candidato sindaco del centrodestra alle ultime elezioni comunali di Varese, sostenuto da liste civiche ma anche da Forza Italia, Fratelli d’Italia e soprattutto dalla Lega, che lo voleva al posto dell’uscente Attilio Fontana, diretto alla Regione Lombardia. Ha perso per un soffio al ballottaggio con il candidato del Pd, Davide Galimberti, che ha riportato il centrosinistra al timone di Varese dopo più di 20 anni, e adesso siede in consiglio comunale come capogruppo di una delle civiche che lo hanno sostenuto.

Orrigoni, 42 anni, laureato in Giurisprudenza, ha ereditato i supermercati Tigros dal padre ed è accusato di corruzione. Insieme a un altro imprenditore che lo ha tirato in ballo, Enrico Tonetti, avrebbe versato un anticipo di 50 mila euro per ottenere la variante di destinazione d’uso di un terreno a Gallarate su cui aprire un nuovo supermercato.

La somma, secondo gli inquirenti, sarebbe stata fatta passare per un incarico di consulenza affidato a uno studio di ingegneristica. Il denaro era destinato a chi aveva indicato loro di rivolgersi proprio a quello studio, ovvero ad Alberto Bilardo, coordinatore di Forza Italia a Gallarate e consigliere di amministrazione di Accam, consorzio che gestisce la raccolta dei rifiuti in 27 Comuni lombardi. Bilardo è considerato una delle figure “fedeli” a Caianiello.

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Per la Cassazione il decreto sicurezza non può essere retroattivo

Le nuove disposizioni sul permesso di soggiorno per motivi umanitari non si applicano a chi ha fatto domanda prima del 5 ottobre 2018. Ma per ottenerlo non basta dimostrare di essersi integrati.

Il decreto sicurezza fortemente voluto dall’ex ministro dell’interno Matteo Salvini ed entrato in vigore il 5 ottobre 2018 non può essere applicato in maniera retroattiva. Il provvedimento ha introdotto norme più rigide in materia di immigrazione e in particolare per quanto riguarda la concessione di permessi di soggiorno per motivi umanitari.

Le Sezioni Unite della Cassazione, tuttavia, hanno chiarito che il decreto non si applica ai richiedenti che hanno fatto domanda prima del 5 ottobre 2018, i quali potranno quindi ottenere il riconoscimento della vecchia protezione umanitaria e il relativo permesso. Il verdetto è arrivato dopo che il Viminale aveva fatto ricorso contro tre casi di concessione.

Per un altro verso, tuttavia, i giudici hanno dato ragione al ministero dell’Interno, affermando che il semplice fatto di essersi socialmente ed economicamente inseriti nella società italiana non è sufficiente per dare ai migranti il permesso di soggiorno per motivi umanitari. Non basta quindi dimostrare di essersi integrati, occore anche comprovare la «specifica compromissione» dei diritti umani nel Paese d’origine.

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Salvini in Emilia-Romagna: «Facciamo cadere il secondo Muro di Berlino»

L'appello del leader della Lega agli elettori durante un comizio a Carpi.

“Datemi una mano a far sì che qui in Emilia possa cadere il secondo Muro di Berlino, tutti insieme ce la faremo”. E’ il passaggio più applaudito dell’intervento di Matteo Salvini, a Carpi, nel modenese, davanti a qualche centinaio di sostenitori.

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Mara Carfagna si avvicina a Matteo Renzi

L'ex ministra per le Pari opportunità: «Se dichiarasse di non voler sostenere più il governo di sinistra, Forza Italia Viva potrebbe essere una suggestione». Gelo di Silvio Berlusconi.

Per ora è solo una «suggestione», ma i segnali di avvicinamento tra Matteo Renzi e una parte di Forza Italia sembrano farsi sempre più fitti, evocando una possibile collaborazione per arginare la “salvinizzazione” del centrodestra. «Se Renzi dichiarasse di non voler sostenere più il governo di sinistra, Forza Italia Viva potrebbe essere una suggestione», è il sasso che Mara Carfagna lancia nello stagno dell’offerta politica italiana. Parole che non sono piaciute a Silvio Berlusconi: «Mara decida se restare o andare via».

Allo stato quella dell’esponente azzurra è solo una provocazione che tuttavia fa il paio con la preoccupazione per la nascita del nuovo “competitor” che l’aveva colta all’epoca della scissione di Italia Viva. Quando già dovette smentire di essere tentata dalla sirena renziana. “Oggi io e Renzi siamo in due metà campo diverse” mette in chiaro l’esponente azzurra che tuttavia rinnova la sua preoccupazione per la sorte dei riformisti azzurri: “Non so cosa accadrà nei prossimi giorni, ma molti dopo 25 anni non si sentono a proprio agio in Fi”.

Un appello che la deputata ha rinnovato ieri sera durante una cena con Silvio Berlusconi, occasione in cui è tornata ad esprimere la sua contrarietà alla “sudditanza psicologica” nei confronti della Lega, emersa anche in occasione del voto sulla Commissione Segre: “un errore” che mette in ombra i valori della rivoluzione liberale lanciata dal Cav. nel ’94.

Matteo Renzi tuttavia gongola: “Porte aperte a chi vorrà venire non come ospite ma come dirigente, vale per Mara Carfagna e altri, ma non tiriamo la giacchetta. Italia Viva è l’approdo naturale per tutti, è questione di tempo”. Il suo ragionamento è consequenziale: “Italia Viva sta provocando scossoni più profondi di quello che sembra. Quando sarà chiaro cosa accadrà a febbraio e marzo, sarà sempre più evidente che è in corso un riposizionamento anche nella destra. Noi cresceremo molto, ed è il motivo per cui sono molto preoccupati”.

Intanto però ci sono le regionali e se Renzi non intende tirare nessuno per la giacchetta a farlo ci pensa il centrodestra. Il profilo di Mara Carfagna torna ad essere indicato per la presidenza della Campania – che per accordo spetta a FI – e su di lei arriva il via libera di Lega e FdI nonostante il sarcasmo di Salvini che si augura “non vada a sinistra per amore di poltrone”. “E’ molto brava” dicono di lei Lucia Borgonzoni e Giorgia Meloni. Molto utile, aggiunge FdI, per rispondere a chi come Renzi, “lancia l’amo nel campo del centrodestra”.

Ma Carfagna non si sbilancia anche per non dare agio a chi l’accusa di cercare “poltrone”. La candidatura in Campania è ancora un discorso “prematuro”. Il leader di Iv intanto non scommette sulle elezioni: “andare a votare ora significa consegnare il Paese a Salvini, si chiama masochismo” e questi sono conti che conosce “perfettamente” il leader della Lega. Meno, dice, il Pd. Che replica piccato: “Caro Renzi, la destra si sconfigge governando bene non occupando solo poltrone per paura degli elettori”.

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