Come Aurelio De Laurentiis è riuscito a rompere il giocattolo Napoli da lui costruito

Costruire il giocattolo, rompere il giocattolo. C’è qualcosa del regresso all’infantilismo in questa assurda stagione del Napoli fresco di scudetto. E di questo regresso l’artefice è colui che dopo essersi cucito il tricolore sul petto ha deciso di mettere da parte ogni indugio per scendere in campo da protagonista assoluto: il presidente e patron Aurelio De Laurentiis. Che dall’inizio della sua avventura nel mondo del calcio, anno 2004, è stato elogiato e indicato come un modello di gestione dell’azienda calcio. Ma che proprio dopo avere raggiunto il culmine, con la vittoria del campionato nell’approssimarsi del ventennio al vertice della società azzurra, ha dato il via a uno spettacolare cammino versi lo smantellamento dei risultati e della reputazione. Come fosse una stagione di sabbatica dissipazione e con l’augurio, per i tifosi del Napoli, che soltanto di un anno si tratti.

Il Napoli aveva azzeccato l’azzardo tecnico di Kim e Kvaratskhelia

Un anno fa di questi tempi ci si trovava a elogiare uno stile gestionale che, oltre all’equilibrio economico, programmava l’azzardo tecnico. Il Napoli era riuscito a centrare un triplice obiettivo: cedere a prezzi di estremo vantaggio alcuni fra i calciatori più importanti della sua rosa (Kalidou Koulibaly e Fabiàn Ruiz), lasciare andare via da svincolati alcuni fra i protagonisti principali delle stagioni più recenti (nonché idoli della tifoseria, come Lorenzo Insigne e Dries Mertens) con l’effetto di alleggerire il monte-ingaggi, e infine impiegare soltanto parte del saldo attivo da calciomercato e dismissioni acquisendo atleti che hanno reso più forte la squadra (come il sudcoreano Kim e l’impetuoso georgiano Kvicha Kvaratskhelia).

Come Aurelio De Laurentiis è riuscito a rompere il giocattolo Napoli da lui costruito
Il difensore sudcoreano Kim passato dal Napoli al Bayern Monaco (Getty).

Interrotto l’oligopolio Inter-Juventus-Milan che durava dal 2001-2002

Un’impresa da dieci e lode che ha fatto del Napoli 2022-23 una storia da raccontare e tramandare, espressa sul campo attraverso una squadra capace di incantare l’Italia e l’Europa per almeno tre quarti di stagione e di portare finalmente a Napoli l’agognato terzo scudetto, oltre a rompere l’oligopolio InterJuventusMilan che in Serie A durava ininterrottamente dalla stagione 2001-02. Insomma, un’avventura unica e forse irripetibile. Ma proprio qui sta il punto: unica e irripetibile. Sia la stagione, sia l’ardita mossa di rivoluzionare i ranghi della squadra durante un’estate presentandosi più forti ai nastri di partenza.

Come Aurelio De Laurentiis è riuscito a rompere il giocattolo Napoli da lui costruito
Aurelio De Laurentiis con Luciano Spalletti (Getty).

Con Spalletti e Giuntoli lui poteva fare il patron illuminato

Il Napoli che ha trionfato è stato il frutto di un’eccezionale chimica, un mix di elementi che hanno saputo dare il massimo sia in termini individuali sia di contributo all’insieme: squadra che giocava un calcio di massima avanguardia; allenatore Luciano Spalletti, che ruotava con maestria una rosa di giocatori abbondante e assortita; società in cui ciascuno riusciva a svolgere il suo ruolo senza sconfinare nelle prerogative di altri. In particolare c’era la funzione chiave del capo dell’area tecnica, Cristiano Giuntoli, che negli anni più recenti ha costruito pezzo dopo pezzo il Napoli del terzo scudetto lavorando in silenzio e lasciando che la scena venisse occupata dal presidente. Che dal canto suo ha potuto disegnarsi intorno un profilo da patron illuminato, capace di mettere su un modello di azienda calcistica straordinariamente virtuoso, specie se lo si confronta col generale panorama dissipatorio del calcio nazionale.

Come Aurelio De Laurentiis è riuscito a rompere il giocattolo Napoli da lui costruito
Aurelio De Laurentiis allo stadio. Dietro di lui anche Osimhen (Getty).

Gasato dall’impresa, De Laurentiis ha pensato di essere il vero fuoriclasse del Napoli

C’è da aggiungere un elemento, forse il più significativo nell’annata che ha dato al Napoli il terzo scudetto: mai come durante la stagione 2022-23 il presidente è stato dentro il proprio ruolo, resistendo alla tentazione dell’invasione nelle prerogative altrui. Ma poi con l’avvicinarsi del trionfo gli equilibri sono andati in mutamento. Il rapporto con Spalletti, giunto soltanto alla seconda stagione, era già logorato; né, visto il carattere dei due e la lunga tradizione di rapporti con gli allenatori che per il presidente sono andati regolarmente a chiudersi in modo pessimo, ci si poteva aspettare qualcosa di diverso. E infine c’è stata la conclusione del rapporto con Giuntoli, che ha preferito rispondere alla chiamata della Juventus. A quel punto De Laurentiis, gasato dall’impresa del terzo scudetto e convinto di essere artefice unico del modello Napoli e dell’impresa realizzata, deve avere creduto di possedere il dono dell’infallibilità e di essere lui il vero e unico fuoriclasse del Napoli. Una fuga dalla realtà che ha immediatamente segnato le sorti della stagione 2023-24.

Scelte funzionali a rafforzare il profilo dell’uomo solo al comando

Nelle analisi dei motivi che hanno portato a una stagione fin qui così al di sotto delle aspettative ci si sofferma molto sulla partenza di Kim, che nella stagione della vittoria aveva sostituito Koulibaly facendolo dimenticare in fretta. Il sudcoreano non è stato adeguatamente sostituito al centro della difesa e questo è stato certamente un punto di debolezza. Ma gli stenti del Napoli 2023-24 non possono certo essere imputati alla partenza di un calciatore, né alla sola dimensione di campo. Vanno piuttosto prese in considerazione le scelte fatte in estate, tutte oggettivamente funzionali a rafforzare il profilo dell’uomo solo al comando.

Come Aurelio De Laurentiis è riuscito a rompere il giocattolo Napoli da lui costruito
Rudi Garcia (Getty).

Garcia, Meluso, ora Mazzarri: la piazza è sempre più sconcertata

L’allenatore, Rudi Garcia, è stato accolto da un immediato scetticismo che purtroppo si è rivelato motivato col passare delle settimane. Ma anche la decisione di affidare il ruolo di Giuntoli a Mauro Meluso, serio professionista e degnissima persona ma rimasto fuori dal giro, ha avuto l’effetto di rafforzare la figura del presidente-patron. Fra l’altro, circola con sempre maggiore insistenza la voce che vorrebbe anche Meluso in uscita. Con l’effetto di far segnare una clamorosa sconfessione delle scelte compiute da De Laurentiis in estate, senza che lo stesso presidente ne paghi le conseguenze. Lui costruisce, lui sfascia. Provando fra l’altro colpi a sensazione che per il momento hanno il solo effetto di sconcertare la piazza. Come il ritorno sulla panchina di un Walter Mazzarri in fase calante di carriera e dopo che 10 anni fa il rapporto fra le parti si era interrotto in modo tempestoso.

Come Aurelio De Laurentiis è riuscito a rompere il giocattolo Napoli da lui costruito
Walter Mazzarri (Getty).

Auguri a tutti. Compreso lo stesso De Laurentiis, avvistato al fianco del governatore campano Vincenzo De Luca per la presentazione del libro Nonostante il Pd. Chi c’era racconta che il numero uno del Napoli ha detto di essere «né di destra né di sinistra, ma un uomo libero», e che quanto al Partito democratico «sta vivendo il momento meno valido della sua storia». Beh, non è che di questi tempi il suo sia tanto meglio, caro presidente.

Evangelos Marinakis, luci e (tante) ombre del Berlusconi greco che vuole prendersi il Monza

Mister Evangelos Marinakis potrebbe arrivare in Italia e nessuno sembra farci caso. Lo shopping straniero di club italiani si è andato incrementando di mese in mese, ormai le proprietà estere dei club della nostra Serie A si apprestano a sopravanzare quelle nazionali, sicché il fatto che ne arrivi una dalla Grecia può sembrare soltanto un ulteriore tocco d’esotico. E invece bisognerebbe guardare con più attenzione al personaggio. Perché si tratta di un soggetto che intrattiene col mondo del calcio un rapporto sui generis: ha costruito un sistema di potere nel calcio greco che rimane tuttora inattaccabile, è alleato di tutti i super agenti in circolazione, è riuscito persino a venir fuori pressoché indenne da uno scandalo di match fixing che ha coinvolto il suo Olympiacos Pireo. E adesso ha deciso di crearsi un sistema di multiproprietà calcistica che guarda alle principali leghe europee. Per questo ha dapprima scelto di acquisire il glorioso Nottingham Forest, portandolo in Premier league dopo anni di seconda divisione, e adesso punta alla Serie A guardando al Monza, che la famiglia Berlusconi è pronta a mettere in vendita dopo la morte di Silvio.

Evangelos Marinakis, luci e (tante) ombre del Berlusconi greco che vuole prendersi il Monza
Silvio Berlusconi e Adriano Galliani (Imagoeconomica).

Magnate dei media coinvolto in politica: vi ricorda qualcuno?

Come da stereotipo dei magnati greci che investono nel mondo dello sport, Marinakis è un armatore. E giusto per proseguire nel solco degli stereotipi, è anche un magnate dei media oltreché direttamente coinvolto in politica (consigliere comunale al Pireo, da indipendente). Elementi, questi ultimi, che facilmente lo collocano nel profilo degli oligarchi che hanno colonizzato il calcio europeo con l’avvio del nuovo secolo. Inoltre, a spianargli il cammino è stato anche il fatto di appartenere a una dinastia ottimamente radicata nell’economia nazionale, col padre Miltiadis che ha consolidato un impero economico oltre a essere stato deputato del partito conservatore Nuova democrazia.

Evangelos Marinakis, luci e (tante) ombre del Berlusconi greco che vuole prendersi il Monza
Evangelos Marinakis in tribuna a guardare il suo Nottingham Forest. (Getty)

Sbaragliata la concorrenza delle rivali Aek e Panathinaikos

In questo contesto familiare il giovane Evangelos cresce respirando un’atmosfera fortemente intrisa dal connubio fra potere e denaro. E dopo essersi laureato a Londra in International Business Administration inizia a prendersi il proprio spazio. Lo fa innovando il sistema di potere costruito da Miltiadis. E in questo senso adotta la ricetta berlusconiana, trasformata nel frattempo in un copyright e esportata in giro per l’Europa: investire nel settore dei media e nel calcio. Due campi nei quali è possibile costruire un’immagine pubblica edificante e acquisire vasto consenso. Nel campo mediatico Marinakis ha fondato due quotidiani (To Vima e To Mea) e una stazione televisiva (Mega Channel). In campo calcistico, ha acquisito l’Olympiacos Pireo nel 2010 inaugurando una fase nella quale la squadra biancorossa ha sbaragliato la concorrenza delle rivali storiche Aek Atene e Panathinaikos.

Evangelos Marinakis, luci e (tante) ombre del Berlusconi greco che vuole prendersi il Monza
Evangelos Marinakis allo stadio durante una partita dell’Olympiacos in Europa league (Getty).

È presidente della lega greca e vicepresidente della federazione

Dal 2010 al 2022 la squadra biancorossa vince 10 campionati nazionali su 13. Lo fa perché è nettamente la più forte, ma anche perché dà proprio l’idea di essere intoccabile. Uno status che deriva anche dall’ascesa di Marinakis nella mappa del potere calcistico. L’armatore arriva a essere infatti, in entrambi i casi per due mandati, presidente della lega professionistica greca e vicepresidente della federazione. E il fatto che un magnate dai così vasti (e impegnativi) interessi trovi tempo da dedicare a due cariche politiche in ambito calcistico dà la misura dell’importanza che il calcio ha per il personaggio: uno strumento di potere per agire in una vasta zona grigia d’intersezione fra politica, economia e affari.

Le inchieste: traffico di droga e presunta corruzione

Ma il fatto che Marinakis venga percepito come un intoccabile è determinato dall’esplosione di vicende giudiziarie che fanno molto scalpore sia in patria che all’estero. Una di queste riguarda una storia di traffico di droga condotto attraverso la nave Noor One. Marinakis è stato coinvolto ma ne è uscito pulito. Va aggiunto che molti dei soggetti cui sarebbe toccato testimoniare sulla vicenda sono morti ammazzati, ma ovviamente si tratta di coincidenze. Una vicenda certamente meno grave sotto il profilo penale ma egualmente inquietante è una vasta manovra di presunte corruzioni calcistiche della quale l’Olympiacos sarebbe stato al centro. Anche in questo caso Marinakis ne è uscito pulito. Anche perché in sede Uefa l’inchiesta ha trovato un’attenzione un po’ discontinua. Ciò è avvenuto nel periodo finale della presidenza di Michel Platini, quando il segretario generale della confederazione calcistica si chiamava Gianni Infantino.

Marinakis fa affari con tutti e continuerebbe a farli a Monza. In certi casi non è soltanto calciomercato: sono relazioni di potere

Dopo lo stravolgimento che mette fuori gioco sia Joseph Blatter sia Platini e spiana a Infantino la strada verso la presidenza della Fifa, il ruolo chiave di segretario generale dell’Uefa viene assunto da Theodore Theodoridis. Che di Infantino era vice da segretario generale e che nella confederazione calcistica europea conta quanto e forse più del presidente Aleksander Ćeferin. Soprattutto, Theodore è figlio di Savvas, ex portiere nonché ex dirigente dell’Olympiacos. Nei giorni in cui lo scandalo sulle accuse di match fixing rivolte all’Olympiacos era nel pieno del clamore, Theodoridis padre chiedeva pubblicamente di non coinvolgere Theodoridis figlio nella vicenda, per non compromettere la nomina a segretario generale Uefa. Ma c’è da credere che nulla e nessuno avrebbe fermato la nomina. Che adesso permette a Marinakis di contare su una sponda solida all’interno della confederazione europea. E sponde ancora più solide vengono trovate presso la categoria dei super agenti, i monopolisti del calciomercato globale che con l’Olympiacos fanno affari tutti quanti. Marinakis era grande amico di Mino Raiola e continua a esserlo di Jorge Mendes, così come di Stellar Group e di Rogon, senza disdegnare i rapporti con Pini Zahavi e Fali Ramadani. Marinakis fa affari con tutti e continuerebbe a farli a Monza. In certi casi non è soltanto calciomercato: sono relazioni di potere.

Evangelos Marinakis, luci e (tante) ombre del Berlusconi greco che vuole prendersi il Monza

Mister Evangelos Marinakis potrebbe arrivare in Italia e nessuno sembra farci caso. Lo shopping straniero di club italiani si è andato incrementando di mese in mese, ormai le proprietà estere dei club della nostra Serie A si apprestano a sopravanzare quelle nazionali, sicché il fatto che ne arrivi una dalla Grecia può sembrare soltanto un ulteriore tocco d’esotico. E invece bisognerebbe guardare con più attenzione al personaggio. Perché si tratta di un soggetto che intrattiene col mondo del calcio un rapporto sui generis: ha costruito un sistema di potere nel calcio greco che rimane tuttora inattaccabile, è alleato di tutti i super agenti in circolazione, è riuscito persino a venir fuori pressoché indenne da uno scandalo di match fixing che ha coinvolto il suo Olympiacos Pireo. E adesso ha deciso di crearsi un sistema di multiproprietà calcistica che guarda alle principali leghe europee. Per questo ha dapprima scelto di acquisire il glorioso Nottingham Forest, portandolo in Premier league dopo anni di seconda divisione, e adesso punta alla Serie A guardando al Monza, che la famiglia Berlusconi è pronta a mettere in vendita dopo la morte di Silvio.

Evangelos Marinakis, luci e (tante) ombre del Berlusconi greco che vuole prendersi il Monza
Silvio Berlusconi e Adriano Galliani (Imagoeconomica).

Magnate dei media coinvolto in politica: vi ricorda qualcuno?

Come da stereotipo dei magnati greci che investono nel mondo dello sport, Marinakis è un armatore. E giusto per proseguire nel solco degli stereotipi, è anche un magnate dei media oltreché direttamente coinvolto in politica (consigliere comunale al Pireo, da indipendente). Elementi, questi ultimi, che facilmente lo collocano nel profilo degli oligarchi che hanno colonizzato il calcio europeo con l’avvio del nuovo secolo. Inoltre, a spianargli il cammino è stato anche il fatto di appartenere a una dinastia ottimamente radicata nell’economia nazionale, col padre Miltiadis che ha consolidato un impero economico oltre a essere stato deputato del partito conservatore Nuova democrazia.

Evangelos Marinakis, luci e (tante) ombre del Berlusconi greco che vuole prendersi il Monza
Evangelos Marinakis in tribuna a guardare il suo Nottingham Forest. (Getty)

Sbaragliata la concorrenza delle rivali Aek e Panathinaikos

In questo contesto familiare il giovane Evangelos cresce respirando un’atmosfera fortemente intrisa dal connubio fra potere e denaro. E dopo essersi laureato a Londra in International Business Administration inizia a prendersi il proprio spazio. Lo fa innovando il sistema di potere costruito da Miltiadis. E in questo senso adotta la ricetta berlusconiana, trasformata nel frattempo in un copyright e esportata in giro per l’Europa: investire nel settore dei media e nel calcio. Due campi nei quali è possibile costruire un’immagine pubblica edificante e acquisire vasto consenso. Nel campo mediatico Marinakis ha fondato due quotidiani (To Vima e To Mea) e una stazione televisiva (Mega Channel). In campo calcistico, ha acquisito l’Olympiacos Pireo nel 2010 inaugurando una fase nella quale la squadra biancorossa ha sbaragliato la concorrenza delle rivali storiche Aek Atene e Panathinaikos.

Evangelos Marinakis, luci e (tante) ombre del Berlusconi greco che vuole prendersi il Monza
Evangelos Marinakis allo stadio durante una partita dell’Olympiacos in Europa league (Getty).

È presidente della lega greca e vicepresidente della federazione

Dal 2010 al 2022 la squadra biancorossa vince 10 campionati nazionali su 13. Lo fa perché è nettamente la più forte, ma anche perché dà proprio l’idea di essere intoccabile. Uno status che deriva anche dall’ascesa di Marinakis nella mappa del potere calcistico. L’armatore arriva a essere infatti, in entrambi i casi per due mandati, presidente della lega professionistica greca e vicepresidente della federazione. E il fatto che un magnate dai così vasti (e impegnativi) interessi trovi tempo da dedicare a due cariche politiche in ambito calcistico dà la misura dell’importanza che il calcio ha per il personaggio: uno strumento di potere per agire in una vasta zona grigia d’intersezione fra politica, economia e affari.

Le inchieste: traffico di droga e presunta corruzione

Ma il fatto che Marinakis venga percepito come un intoccabile è determinato dall’esplosione di vicende giudiziarie che fanno molto scalpore sia in patria che all’estero. Una di queste riguarda una storia di traffico di droga condotto attraverso la nave Noor One. Marinakis è stato coinvolto ma ne è uscito pulito. Va aggiunto che molti dei soggetti cui sarebbe toccato testimoniare sulla vicenda sono morti ammazzati, ma ovviamente si tratta di coincidenze. Una vicenda certamente meno grave sotto il profilo penale ma egualmente inquietante è una vasta manovra di presunte corruzioni calcistiche della quale l’Olympiacos sarebbe stato al centro. Anche in questo caso Marinakis ne è uscito pulito. Anche perché in sede Uefa l’inchiesta ha trovato un’attenzione un po’ discontinua. Ciò è avvenuto nel periodo finale della presidenza di Michel Platini, quando il segretario generale della confederazione calcistica si chiamava Gianni Infantino.

Marinakis fa affari con tutti e continuerebbe a farli a Monza. In certi casi non è soltanto calciomercato: sono relazioni di potere

Dopo lo stravolgimento che mette fuori gioco sia Joseph Blatter sia Platini e spiana a Infantino la strada verso la presidenza della Fifa, il ruolo chiave di segretario generale dell’Uefa viene assunto da Theodore Theodoridis. Che di Infantino era vice da segretario generale e che nella confederazione calcistica europea conta quanto e forse più del presidente Aleksander Ćeferin. Soprattutto, Theodore è figlio di Savvas, ex portiere nonché ex dirigente dell’Olympiacos. Nei giorni in cui lo scandalo sulle accuse di match fixing rivolte all’Olympiacos era nel pieno del clamore, Theodoridis padre chiedeva pubblicamente di non coinvolgere Theodoridis figlio nella vicenda, per non compromettere la nomina a segretario generale Uefa. Ma c’è da credere che nulla e nessuno avrebbe fermato la nomina. Che adesso permette a Marinakis di contare su una sponda solida all’interno della confederazione europea. E sponde ancora più solide vengono trovate presso la categoria dei super agenti, i monopolisti del calciomercato globale che con l’Olympiacos fanno affari tutti quanti. Marinakis era grande amico di Mino Raiola e continua a esserlo di Jorge Mendes, così come di Stellar Group e di Rogon, senza disdegnare i rapporti con Pini Zahavi e Fali Ramadani. Marinakis fa affari con tutti e continuerebbe a farli a Monza. In certi casi non è soltanto calciomercato: sono relazioni di potere.

Lo zampino di Malagò dietro le dimissioni di Micciché

Il presidente della Lega di Serie A ha lasciato per le voci sull'irregolarità della sua elezione del 2018. Sulla quale aveva messo il timbro il n.1 del Coni. Un modo per evitargli conseguenze? Tutte le ombre su una vicenda politica che mina la credibilità dello sport italiano.

Dimissionario causa voci. È una bizzarra motivazione quella accampata da Gaetano Micciché per mollare a razzo la poltrona di presidente della Lega di Serie A, occupata da marzo 2018. Nella tambureggiante dichiarazione con cui ha reso noto l’addio alla presidenza, Micciché ha gridato la sua indignazione per le “indiscrezioni” giornalistiche sul suo conto. Relative alla chiusura delle indagini condotte dalla procura della Figc, capitanata dal dottor Giuseppe Pecoraro, riguardo all’elezione di un anno e mezzo fa.

NON ANCORA ARRIVATO IL DEFERIMENTO

Di fatto, l’ormai ex presidente si è dimesso non perché la sua elezione sia già stata considerata irregolare al termine di un procedimento della giustizia sportiva, e nemmeno perché egli abbia già ricevuto una notizia di deferimento. Nossignori, si è dimesso ancora prima di tutto ciò. Cioè quando “pare che” il documento conclusivo dell’istruttoria, come riferito da un articolo pubblicato nell’edizione del 16 novembre da Il Messaggero e firmato da Emiliano Bernardini, sia prossimo a planare sulla scrivania del presidente federale Gabriele Gravina. E sembra proprio di rivedere Massimo Troisi, nella scena in cui diceva che avrebbe confessato di tutto e di più se soltanto “forse” avessero minacciato di torturarlo.

QUEL PASTICCIACCIO BRUTTO DELL’ELEZIONE

Meglio bruciare le tappe e farsi da parte prima che la macchia arrivi. È questo il senso più rilevante di un comunicato altrimenti stilato secondo il mood che potremmo definire “Micciché fa cose”: le misure prese, i dossier portati avanti nel corso di un anno e mezzo, persino il numero delle riunioni tenute dall’Assemblea dei soci e dal Consiglio. Una lista di “realizzazioni” che ognuno potrà valutare come gli pare, ma che comunque in nessun modo scalfisce il problema da cui derivano l’inchiesta della procura federale e le conseguenti dimissioni: il pasticciaccio brutto di un’elezione che, a quel modo, non s’aveva da fare.

Il presidente del Coni, Giovanni Malagò.

UN PROBLEMA DI CONFLITTO DI INTERESSI

Micciché vi arrivava infatti in condizioni di conflitto d’interessi a causa della sua posizione di componente del consiglio d’amministrazione di Rcs. E dunque del suo rapporto col presidente del Torino, Urbano Cairo, che è anche componente dell’assemblea da cui Micciché è stato eletto presidente di Lega. Per consentirne l’ascesa alla presidenza si è approntata una modifica ad personam dello statuto Figc che comanda l’elezione all’unanimità. Ciò che ufficialmente è avvenuto, durante un’assemblea presieduta dal commissario straordinario Giovanni Malagò (presidente del Coni nonché grande sponsor di Micciché), nel corso della quale il presidente della Juventus, Andrea Agnelli, si sarebbe spinto a chiedere l’elezione per acclamazione.

Urbano Cairo, presidente del Torino.

QUALCUNO HA MESSO SCHEDE BIANCHE NELL’URNA?

Ma nei fatti vi è davvero stata unanimità? O un paio di manine hanno depositato delle schede bianche nell’urna? Da questo interrogativo è partita l’indagine della procura federale. La cui conclusione (per il momento ancora ufficiosa, va ribadito) ha suggerito a Micciché di sposare il principio secondo cui la miglior difesa è la fuga. Ma come mai una decisione repentina al punto da sembrare improvvida?

Come sia andata l’elezione di Micciché è sotto gli occhi di tutti


Giovanni Malagò

Giovanni Malagò, a poche ore dalle dimissioni dell’ex presidente di Lega, ha detto: «Come sia andata l’elezione di Micciché è sotto gli occhi di tutti». Una frase da interpretarsi attraverso l’uso di diversi registri, cominciando con quello letterale. E giusto il registro letterale spinge a chiedersi: quali sarebbero questi “occhi di tutti”? Il presidente del Coni, nonché commissario di Lega sotto la cui reggenza si è consumato il pasticciaccio, farebbe bene a sciogliere l’interrogativo. I suoi, di occhi, hanno visto di sicuro. E resta da capire se al momento topico non si siano anche chiusi, o abbiano virato altrove.

gaetano micciché dimissioni presidente lega seriea
Gaetano Micciché.

STOPPATO IL RISCHIO DI “EFFETTI COLLATERALI”

Di certo il sempre più malconcio capo dello sport italiano sa di trovarsi sulla linea del fuoco. L’elezione di Micciché nel marzo 2018 porta il suo timbro, e costituisce motivo di pubblico vanto quando si tratta di ricapitolare il senso della sua missione da commissario della “Confindustria calcistica”. Del resto anche lui ha il personalissimo mood “Malagò fa cose”. Peccato che in questo caso la cosa fatta rischi di tornargli addosso tipo boomerang. Perché il presidente del Coni ha messo il marchio su un’elezione che dall’inchiesta della procura federale potrebbe essere etichettata come irregolare. E da lì in poi cosa succederebbe? Soprattutto, ciò che sta al centro del più dirimente fra gli interrogativi che si rincorrono in queste ore: le dimissioni di Gaetano Micciché hanno forse lo scopo di arrestare i possibili effetti collaterali, leggi alla voce “conseguenze per Malagò”?

VOCI SU UN PRANZO PRE-DIMISSIONI A MILANO

Se lo è chiesto Antonello Valentini, che essendo stato segretario generale della Figc è capace di leggere certe dinamiche. In un post scritto su Facebook nell’immediato dell’annuncio fatto da Micciché, Valentini ha dato una sua lettura dei fatti certamente degna di attenzione. A suo giudizio, dietro quelle dimissioni vi sarebbe proprio lo zampino di Malagò. Di più: la decisione sarebbe maturata nel corso del pranzo che i due hanno condiviso a Milano, poco prima che Micciché offrisse sul piatto la testa di se medesimo perché ossessionato dalle “voci”.

MISTERO BUFFO CHE MACCHIA LO SPORT ITALIANO

Un tentativo più o meno disperato, da parte del presidente dello sport italiano, per salvarsi? Non sappiamo, poiché si parla di cose che sotto gli occhi di tutti non sono. E ci auguriamo anche che il mistero buffo intorno alla vicenda non rimanga tale, e che le dimissioni di Micciché non abbiano l’effetto “saldo e stralcio” sull’intera vicenda. Perché le responsabilità di una situazione così grottesca vanno fatte scontare fino in fondo e a chicchessia. Ne va della credibilità dello sport italiano, o di ciò che ne rimane.

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