FORTINI: «LA SCUOLA IN CAMPANIA È VIVA»

Lucia Fortini, Assessore Regione Campania con delega alla formazione e istruzione

Nella nostra regione sono attivi 16 ITS che al momento coinvolgono circa 1200 allievi, di cui il 30% donne. Sul futuro pesa l’incognita dell’autonomia differenziata che va affrontata restando coesi per non vedere ridotte le opportunità per i nostri ragazzi e ragazze

 

In Italia operano oltre 100 fondazioni ITS; di queste ben 16 sono in Campania a riprova del significativo investimento – non solo in termini di fiducia – da parte della Regione. Ad oggi è possibile tracciare un bilancio sull’andamento della formazione terziaria professionalizzante nel nostro territorio? Domanda e offerta di lavoro sono meno distanti tra loro?

Il bilancio della formazione terziaria professionalizzante in Campania è estremamente positivo. Con 16 ITS attivi, di cui 9 storici e 7 nuovi, stiamo dimostrando un impegno concreto per il futuro dei nostri giovani. Abbiamo programmato 48 percorsi formativi e ne abbiamo già avviati 22. Questo investimento, che ammonta a circa 16 milioni di euro, ha coinvolto circa 1.200 allievi. Stiamo vedendo una riduzione della distanza tra domanda e offerta di lavoro, grazie a una formazione mirata e in stretta collaborazione con il mondo delle imprese.

Le Fondazioni lamentano che l’offerta degli ITS sia ancora poco conosciuta. Per meglio orientare i giovani nelle scelte post diploma la Regione ha previsto azioni dedicate?

Assolutamente sì. La Regione Campania è consapevole dell’importanza di far conoscere l’offerta formativa degli ITS. Abbiamo avviato campagne informative mirate, sia nelle scuole che attraverso i media, per sensibilizzare studenti e famiglie. Stiamo collaborando con le scuole per organizzare incontri informativi e orientamenti professionali e abbiamo sviluppato piattaforme digitali per fornire informazioni dettagliate sui percorsi ITS disponibili. In quest’ottica, non posso non menzionare “OrientaLife, la scuola orienta per la vita”, manifestazione organizzata insieme all’Ufficio Scolastico e che quest’anno, oltre ad aver “toccato” tutte e cinque le province, ha avuto il suo culmine con i tre giorni (14-15-16 maggio) a Napoli, a Palazzo Reale, e ha visto almeno 80.000 studenti coinvolti.

In base alle evidenze della ricerca Domani (Im) possibili di Save the Children, a prescindere dal contesto in cui crescono, le ragazze hanno aspettative più alte dei coetanei sugli studi, ma bassissime sul futuro nel mondo del lavoro. Una ragazza su due è convinta di non trovare un lavoro dignitoso, una su tre pensa che non riuscirà a fare quello che desidera. Quella degli ITS potrebbe essere una alternativa valida per le donne o, al momento, anche in Campania la presenza femminile nei corsi attivati stenta a decollare?

Gli ITS rappresentano un’alternativa valida e promettente per le giovani donne. Attualmente, circa il 30% degli allievi coinvolti nei percorsi ITS in Campania è di sesso femminile. Sebbene ci sia ancora strada da fare per raggiungere una parità di genere, le testimonianze che abbiamo sono ottime e stiamo lavorando per incentivare ulteriormente la partecipazione femminile. Vogliamo che le ragazze vedano negli ITS un’opportunità concreta per realizzare le loro aspirazioni professionali.

Di recente Banca d’Italia ha rimarcato quanto, specie al Sud, sia fondamentale investire nelle infrastrutture scolastiche per contrastare l’alta povertà educativa. Da sola la nostra regione rappresenta il 30% delle criticità strutturali nazionali, che si traducono in modo proporzionale in un più basso rendimento scolastico. Il PNRR può imprimere la svolta decisiva per ridurre il gap territoriale a livello formativo?

Il problema del PNRR è che le misure previste, anziché essere integrative, risultano essere sostitutive. In questo modo, il gap con le regioni del nord non viene certo colmato, ma anzi rischia di aumentare la distanza. L’autonomia differenziata poi non farà altro che aumentare questo divario. È fondamentale continuare a lavorare per far comprendere che l’autonomia differenziata potrebbe distruggere le nostre comunità e che soprattutto comporterà una riduzione delle opportunità per i nostri ragazzi e ragazze. Con impegno e grande sinergia, dobbiamo continuare a combattere uniti e coesi per il futuro della scuola. Dobbiamo fare squadra perché insieme possiamo far valere i diritti dei nostri territori. Devo dire che grazie ai fondi stanziati dalla Regione Campania, ci sono già importanti iniziative in atto volte a migliorare le infrastrutture scolastiche. Tra queste, spicca l’Avviso pubblico per il finanziamento in favore degli Enti Locali per la valutazione della sicurezza degli edifici scolastici secondo le Norme Tecniche per le Costruzioni (NTC) vigenti, con una dotazione di 20.000.000 euro, deliberata con la Deliberazione n. 327 del 7 giugno 2023. Questo fondo è essenziale per garantire che le scuole siano sicure e conformi alle normative vigenti, un prerequisito fondamentale per un ambiente di apprendimento efficace. Un’altra iniziativa di rilievo è il programma “Scuola Viva in Cantiere – 21/27”, finanziato con 156.755.243,26 euro, come stabilito dalle delibere di Giunta Regionale n. 452/2022 e n. 130/2024. Questo programma è finalizzato alla ristrutturazione e all’ammodernamento delle infrastrutture scolastiche, rendendo gli edifici più funzionali e adeguati alle esigenze educative moderne.

Allargando lo sguardo, quali azioni la Regione Campania sta realizzando per contrastare il fenomeno dell’abbandono e della dispersione scolastica?

Stiamo attuando diverse iniziative per contrastare l’abbandono e la dispersione scolastica. Tra cui spicca appunto “OrientaLife”. Stiamo anche potenziando i servizi di supporto psicologico e sociale nelle scuole e promuovendo attività extracurricolari che rendano la scuola un luogo più attraente e motivante per i giovani. In quest’ottica va il progetto “Scuola Viva”, che porto avanti da tanti anni e in cui tantissime studentesse e tantissimi studenti, di tutte le età, hanno potuto scoprire e coltivare i loro talenti. Si tratta di un programma pluriennale che ha l’obiettivo di ampliare l’offerta formativa delle scuole e di renderle più inclusive e accoglienti per tutti gli studenti. Una vera e propria sfida, che le scuole della Campania hanno vinto. Grazie a Scuola Viva, collaboriamo strettamente con le famiglie e le comunità locali per creare una rete di sostegno efficace attorno agli studenti. E la cosa mi rende davvero tanto orgogliosa di quanto fatto in questi anni.

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“Salerno Decolla”, i primi voli di linea dall’Aeroporto di Salerno-Costa D’Amalfi inaugurano ufficialmente il sistema aeroportuale campano

All’evento inaugurale sono intervenuti il Vicepremier e Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Matteo Salvini, il Presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca, il Vice Direttore Generale dell’ENAC Fabio Nicolai, l’Amministratore Delegato di F2i Renato Ravanelli e il Presidente di GESAC e Assaeroporti Carlo Borgomeo

 Si è svolto oggi, all’interno del salone check-in, alla presenza delle Istituzioni e del mondo imprenditoriale, l’evento inaugurale dei primi voli di linea dallo scalo salernitano, grazie alla conclusione della prima fase del Piano di Sviluppo realizzato da GESAC secondo cronoprogramma dei lavori. 

L’inizio dei primi voli dal Salerno-Costa d’Amalfi segna la nascita del sistema aeroportuale campano imperniato sui due scali di Napoli e Salerno e gestito da un unico soggetto: GESAC, in una logica di sistema integrato e complementare. La gestione unica ha consentito di sviluppare un imponente piano d’investimenti infrastrutturali e, al contempo, una significativa rete di collegamenti aerei, grazie al know-how nella gestione aeroportuale e ai consolidati rapporti di partnership con le compagnie aeree già presenti a Napoli.

Lo scalo parte con un’offerta inziale di ben 20 destinazioni di cui 6 di linea nazionali (Catania, Cagliari, Milano Bergamo, Milano Malpensa, Torino e Verona), 7 internazionali (Basilea, Berlino Ginevra, Malta, Nantes, Londra Gatwick, Londra Stansted) e 7 sul segmento charter (Corfù, Djerba, Monastir, Podgorica, Rodi, Sharm el-Sheikh e Zante).

Il Piano di sviluppo consiste in un complesso gruppo di investimenti articolati in diverse fasi tra loro correlate e sovrapposte per un importo complessivo, fino al 2043, di circa 254M€ di cui 134M€ finanziati con fondi pubblici. La prima fase si è principalmente concentrata sulla realizzazione delle nuove infrastrutture di volo e sulla ristrutturazione degli esistenti edifici ed aree destinate ai passeggeri, necessarie alla messa in esercizio dello scalo, in particolare: prolungamento pista di volo ed estensione piazzali di sosta aeromobili, segnaletica di volo, riattivazione aerostazione passeggeri e parcheggi.

“L’inaugurazione di un aeroporto – ha commentato il Presidente Enac Pierluigi Di Palma – rappresenta sempre un momento di estrema vitalità per il settore del trasporto aereo e per l’economia del territorio, con ricadute positive sull’indotto e sui livelli occupazionali. Con il completamento dei lavori di riqualifica e prolungamento della pista di volo e con la certificazione rilasciata dall’Enac, il secondo scalo campano aprirà anche al traffico di aviazione commerciale, rafforzando così la rete aeroportuale regionale. Uno scalo moderno, funzionale ed efficiente: una risposta concreta alla crescente domanda di mobilità aerea”.

“Nel pieno rispetto dei tempi previsti e comunicati, siamo orgogliosi di festeggiare i primi voli di linea dallo scalo di Salerno: un’infrastruttura strategica per il Mezzogiorno che rappresenta un’occasione fondamentale di sviluppo turistico, sociale ed occupazionale, realizzata secondo criteri di mercato, in un sano rapporto pubblico-privato. Ma già siamo all’opera per realizzare la nuova aerostazione passeggeri che si estenderà su una superficie di circa 16mila metri quadrati e rifletterà i più elevati standard ambientali, con scelte architettoniche armoniche in forte connessione con il paesaggio”, ha dichiarato Roberto Barbieri, Amministratore Delegato di GESAC. 

 

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Le domande giuste, presentata la dodicesima edizione di Salerno Letteratura

Dal 15 al 22 giugno saranno oltre centoquaranta gli ospiti, italiani e internazionali, che animeranno il centro storico di Salerno per confrontarsi con il pubblico e rendere un tributo non rituale alla figura di Franz Kafka, a cui il festival è dedicato in occasione del centenario della morte

 

Il tema di questa edizione è Le domande giuste per provare a interrogarsi sul presente e sul futuro. La scelta, spiega uno dei direttori artistici, Paolo Di Paolo, “nasce da una intuizione di Kafka e, nello specifico da un suo racconto che si intitola Indagine di un cane. C’è un momento in cui il narratore si chiede come, tra le molte domande, si possano tirare fuori quelle giuste. Le domande sono sempre più importanti delle risposte e poi, tirare fuori, tra le tante possibili, le domande giuste, è esattamente il compito di chi fa cultura”.
A lui sarà dedicata una sezione, Meridiano KMeridiano K è giocato su Kafka visto come una linea o un arco immaginario, o anche una luce o un ambiguo demone di mezzogiorno: un meridiano, appunto, suo malgrado un punto di riferimento per provare a orientarsi nel Novecento – chiarisce il direttore artistico Gennaro Carillo – Uscendone tuttavia disorientati: perché Kafka resta un enigma, in particolare nelle sue pagine in apparenza più limpide. C’è poi in arrivo da Mondadori un nuovo Meridiano Kafka al quale tributare il dovuto omaggio… Ma Le domande giuste vuol essere anche un titolo provocatorio: dove tutti presumono di avere la risposta giusta, è necessario restituire valore all’atto di dubitare, di interrogare e di interrogarsi”.
Questo è un anno complesso per la cultura in Campania, se siamo qui, con questo programma, è grazie al supporto, alla vicinanza morale e al sostegno della Regione Campania, Comune di Salerno e Camera di Commercio, al contributo di Fondazione Cassa di Risparmio Salernitana e Fondazione di Comunità Salernitana, all’apporto significativo dei nostri Sponsor Storici – La Doria, Arti Grafiche Boccia che con discrezione non ci hanno mai lasciato da soli  dice Ines Mainieri, direttrice organizzativa  A loro si aggiungono Bper Banca, Chin8 neri, D’Amico e tanti altri imprenditori e cittadini che hanno contribuito a realizzare questa dodicesima edizione cui non mancheremo di ribadire il nostro ringraziamento”.

Tra i protagonisti: Goffredo Buccini, Walter Siti, Aldo Schiavone, Irvine Welsh, Roberto Esposito, Carlo Massarini, Daria Bignardi, Eva Cantarella, Carlo Galli, Antonio Franchini, Cristina Battocletti, Eliana Liotta, Mauro Covacich, Antonio Moresco, Marcello Flores, Sandra Petrignani, Maria Grazia Calandrone, Gabriel Zuchtriegel, Donatella Di Cesare, Jennifer Guerra, Karima Moual, Piero Dorfles, Serena Bortone, Roberto Esposito, Ivano Dionigi, Maurizio Ferraris, Giulia Sissa, Vera Gheno, Marco Lodoli, Michele Masneri, Laura Pugno, Simonetta Fiori, Anna Foa, Gabriele Pedullà, Nadia Urbinati, Antonio Spadaro, Eraldo Affinati, Gabriella Caramore, Luca Crescenzi, Vincenzo Trione, Alessandro Giammei, Edmondo Bruti Liberati, Giancarlo De Cataldo, Barbara Alberti, Filippo Ceccarelli, Eric Chevillard, Mark ‘O Connell, Andrea Graziosi, Tatiana Salem Levy, Giorgio Simonelli e moltissimi altri.

La prolusione quest’anno è stata affidata a Diego De Silva, da sempre vicino al festival. De Silva terrà anche battesimo Aslak Nore per il suo esordio in Italia e il 21 sera, presenterà in anteprima nazionale il proprio nuovo romanzo insieme al musicista Matteo Saggese e all’attrice Francesca Romana Bergamo.
Sempre più ricche le sezioni del festival: Finzioni; Verifica dei poteri/ politica/giustizia; Graphic Novel; Classica; Il Racconto della Scienza; Meridiano K; Spazio ragazzi; Sguardi sul mondo attuale; Filosofia; Storica, che vede la collaborazione con il DiPSUM dell’Università di Salerno e Lusografie, lo spazio dedicato alla letteratura in lingua portoghese realizzato in collaborazione con la cattedra José Saramago dell’Università Roma Tre. Mentre si consolidano due sezioni già molto amate, Classica e Filosofia, quest’anno si registra la novità de Il racconto della scienza: importanti scienziati si confronteranno con i profili umanistici della ricerca, provando innanzitutto a comunicare il senso della bellezza di tutto il vivente e della biodiversità. Un’impostazione che guarda alla natura come teatro di meraviglie piuttosto che adottare una prospettiva meramente apocalittica (e in fondo deresponsabilizzante). Nella sezione Sguardi sul mondo attuale si apre una sottosezione di particolare rilievo, Giustizia, incentrata sui rapporti fra giurisdizione penale e politica. Tema a dir poco caldo, sia per i fatti di cronaca recenti, sia per l’introduzione della separazione delle carriere tra magistrati requirenti e giudicanti.

Come di consueto ci sarà il Premio Salerno Libro d’Europa, sostenuto da BPER Banca, sponsor unico. La scelta della giuria è ricaduta su I giorni del mare di Pierre Adrian (Blu Atlantide), Le streghe di Manningtree d A.K. Blakemore (Fazi) e La terra liquida di Raphaela Edelbauer (Rizzoli). Si rinnova ancora una volta la collaborazione col Premio Strega, che vedrà durante la tradizionale serata stregata del 22 giugno la cinquina finalista sul palco del Duomo. Invece la cornice del Museo Diocesano ospiterà il Premio Letteratura d’Impresa, promosso dal Festival Città Impresa-ItalyPost, in collaborazione con Camera di Commercio Salerno e Confindustria Salerno.

Non mancheranno attrici e attori tra i più apprezzati della scena italiana: 

Anna Della Rosa, Monica Nappo, Roberto Latini e Tony Laudadio (in veste anche di scrittore). Lo scrittore Irvine Welsh, oltre a un dialogo a trent’anni dalla pubblicazione di Trainspotting, sarà protagonista di un dj-set nella sede del Museo Diocesano.

Numerosi gli appuntamenti voluti dai direttori artistici Gennaro Carillo e Paolo Di Paolo, dalla direttrice organizzativa Ines Mainieri e da Daria Limatola, presidente di Duna di Sale e curatrice del Programma Ragazzi. Salerno Letteratura propone la sua Scuola di lettura: cinque incontri a Palazzo Fruscione con insegnanti davvero speciali – Gea Finelli, Giuseppe Grattacaso, Filippo La Porta, Valeria Palumbo e Saverio Simonelli, che guideranno il pubblico alla scoperta dei classici e non solo. Il corso è gratuito e sarà accreditato sulla piattaforma SOFIA grazie alla collaborazione con FMTS Group e FMTS Formazione.

I temi del festival, opportunamente declinati in base all’età degli spettatori, li ritroviamo anche nel Programma Ragazzi: Flavia D’Aiello ha ideato due performance inedite ispirate a Kafka, con Laura Pezzino ritroviamo le staffette partigiane, con Francesco Musolino scopriamo i miti del mare in una letteratura animata con Compagnia La Ribalta. Tra gli altri autori, segnaliamo la presenza di Francesco Maldonato e Davide Calì. Confermati inoltre i corsi/laboratori settimanali: la Summer School per la fascia 15+ e Tempo Video per la fascia 12-14 anni, che si terranno al mattino dal 17 al 21 giugno. La Summer School ha due indirizzi: Scrittura Creativa, curato da Rosa Giulio, Professore Ordinario di Letteratura Italiana presso il Dipartimento  Studi Umanistici di Unisa, e Giornalismo Culturale curato da Oscar Buonamano, giornalista di lungo corso, che ha coinvolto tre docenti d’eccezione – Lea Durante, Giorgio Simonelli, e Marco Motta. Tempo video invece è condotto da Roberto Pisapia, in collaborazione col LabSAV del Dipartimento Scienze Politiche e Comunicazione dell’Università di Salerno.

Ricca la sezione Graphic Novel che vedrà tra i protagonisti: il vignettista Mario Natangelo, Giulia Ciarapica e Francesca Bellino i cui libri sono illustrati, rispettivamente, da due campane DOC, Michela di Cecio e Lidia Aceto.
Il programma quest’anno ha voluto dare spazio ad alcuni eventi centrati su cibo e nutrizione con protagonisti Anna Maria ColaoAlex Giordano in collaborazione con Agrifood Future e un incontro dedicato ad adulti e bambini con Ornella Della Libera in collaborazione con l’azienda D’Amico.

Da segnalare, poi, la collaborazione con l’Università di Salerno, il festival Linea d’Ombra, che vedrà la proiezione di due film ispirati a Kafka: il celebre Il processo di Orson Welles e Il Castello, pellicola rara e preziosa del pluripremiato regista Michael Haneke.
Si rinnova anche la collaborazione con Chin8 Neri che ha ripercorso le opere dell’universo kafkiano con gli studenti del Liceo Artistico “Sabatini-Menna”. Partendo dalla lettura di America, La metamorfosi e Il Processo, il team di allievi, coordinati da Pasquale de Cristofaro e da Ester Andreola si cimenteranno nella recitazione teatrale trasposta in contenuto cinematografico sottolineando, così, l’importanza delle connessioni tra discipline e della forza del dibattito. I tre video, che saranno girati in città dal’11 al 14 giugno, verranno proiettati nel corso di altrettanti incontri con gli autori, ospiti del calendario del Festival. Il 22 giugno poi, giorno di chiusura di Salerno LetteraturaChin8 Neri accoglierà il pubblico presente all’incontro con i finalisti del Premio Strega per un brindisi speciale con Streg8, il nuovo cocktail realizzato da Strega Alberti Benevento.

 

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Far decollare la competitività della destinazione Salerno

Agostino Gallozzi, presidente Gallozzi Group

Per il presidente di Gallozzi Group occorre un vero e proprio piano strategico perché la città possa rispondere compiutamente a quella visibilità internazionale capace di convincere in modo duraturo il mercato

 

Presidente, a luglio ci saranno i primi voli dal Salerno-Costa d’Amalfi. Una buona notizia per l’intero comparto turistico salernitano…

Senza dubbio, ora, però, tocca a tutto il sistema turistico territoriale innalzare lo standard complessivo della offerta, con particolare riferimento alla internazionalizzazione del parterre di ospiti che verrà attratto nelle nostre aree. Dovranno decisamente migliorare la qualità della accoglienza e anche le condizioni “estetiche” delle nostre città, con un piano di diffusa manutenzione ordinaria e straordinaria che ne incrementi il livello di piacevolezza percepita. Ma è sul tema della internazionalizzazione della offerta che desidero soffermarmi, perché credo che occorra un vero e proprio piano strategico in tal senso, che indirizzi gli operatori verso la dimestichezza con le lingue straniere e la capacità di presentare il prodotto-Salerno in un friendly-approach che possa diventare segno distintivo del nostro modo di interpretare il turismo.

Che bilancio può fare del 2023 per lo scalo portuale cittadino? C’è da preoccuparsi per la crisi nel Mar Rosso? Quale potrebbe essere l’impatto per Salerno?

Nonostante il perdurare di uno sfavorevole e problematico scenario geo-politico internazionale, Salerno Container Terminal evidenzia in questo primo scorcio del 2024 una crescita prossima al 9% del traffico contenitori, passato dai 53.573 teus movimentati nel primo bimestre del 2023 ai 58.280 teus registrati nello stesso periodo dell’anno in corso. In particolare, confermando una propria vocazione a servizio delle aziende italiane, il flusso dell’export, riferibile all’area campana e centro meridionale, cresce del 13%, mentre l’import del 5%. Nel periodo preso in esame nel 2024 sono stati 160 gli approdi di navi full container, rispetto ai 147 dell’anno precedente, con una media di 20 navi a settimana e un incremento dell’8,8%. In aggiunta ai traffici container, il terminal, nel bimestre 2024, ha movimentato 77.972 tonnellate di rinfuse alimentari, rispetto a 51.808 tonnellate del 2023, segnando un più 50%. Crescita anche nel comparto delle Autostrade del Mare, con un incremento del 8,5%. I dati confermano le proiezioni dei mesi precedenti. In particolare, l’aumento dei flussi all’export è un segnale importante, che evidenzia la funzione competitiva del porto a servizio delle aziende produttrici campane e centro meridionali che si affermano sui mercati internazionali. Tutto questo accade in una fase molto critica dell’interscambio globale, con il fenomeno bellico in atto nel Mar Rosso, che dilata i tempi di navigazione costringendo molte merci a seguire la rotta che circumnaviga il Sud dell’Africa, entrando nel Mediterraneo attraverso Gibilterra invece che Suez. Contiamo nel corso dell’anno di portare a Salerno altri servizi per nuove aree del mondo, così da aggiungere ulteriori opportunità all’export delle nostre aziende.

Molti operatori lamentano criticità relative ai sistemi di controllo in dogana. Cosa non funziona e come si potrebbe ovviare per agevolare il lavoro di molti?

Non parlerei di Dogana, perché proprio sul fronte delle verifiche doganali si è messo in atto un deciso miglioramento e oggi le verifiche doganali a Salerno risultano tempestive e in linea con gli standard europei. Il problema sorge particolarmente per le verifiche complesse, che richiedono l’intervento di più organismi di controllo e ciò accade in particolare con le verifiche sanitarie o fito-sanitarie di merci di origine animale e non animale destinate al consumo umano. In questo ambito Salerno, che per certi versi è la capitale italiana della food-industry, ha assunto una funzione preminente, ma – a mio avviso – gli uffici pubblici destinati ai controlli ancora non hanno recepito questa centralità e si registra quindi una carenza di personale e una non sempre adeguata capacità di coordinamento tra le singole funzioni. Inoltre, credo che si debba maggiormente puntare ad una informatizzazione spinta dei processi. In altre parole, poiché si tratta di controlli su merci destinate al consumo umano, assolutamente non meno controlli, ma controlli molto più efficienti.

Di anno in anno cresce il suo Marina d’Arechi. Progetti per il futuro?

Marina d’Arechi beneficerà certamente della apertura dell’aeroporto e quindi punteremo ancora di più all’attrazione di clientela internazionale. Alla offerta di ormeggi di altissima qualità, affiancheremo sempre maggiormente una gestione di quella che definisco l’atmosfera “village”, con l’offerta food & beverage e del tempo libero di qualità ancora più elevata affinché il marina sia percepito come “destination” e come “experience”, non riservata ai soli diportisti, ma del tutto aperta alla città.

Lei da sempre crede nell’insostituibilità dell’industria manifatturiera. Ne resta convinto e ritiene che la politica incentivi la diffusione e condivisione di questa tesi?

Non c’è dubbio. Il manifatturiero resta centrale e svolge una funzione propulsiva rispetto al sistema economico e produttivo del nostro Paese. Talvolta si sente dire che l’Italia potrebbe vivere di solo turismo. È ovvio che il nostro sia un paese a vocazione turistica, ma l’Italia è innanzitutto un grande paese manifatturiero e la sua tradizione industriale deve essere salvaguardata. Per altro, la posizione nel Mediterraneo la pone al centro delle grandi rotte marittime verso Est e verso Ovest, con un potenziale ancora più elevato nell’ambito della internazionalizzazione del proprio scambio commerciale, innanzitutto all’export.

È una premessa indispensabile, che vale sempre la pena ripetere. Occorre, da un lato, continuare a investire negli apparati produttivi, con il credito d’imposta che rappresenta una insostituibile misura di sostegno, dall’altro è necessario migliorare la rete delle infrastrutture, poiché la cifra del nostro secolo è quella globalizzazione che si basa sulla gestione competitiva della mobilità, di merci e persone, che a sua volta si fonda su un sistema competitivo di infrastrutturazione del paese. Infine, il costo del denaro. Una azione più decisa rispetto alla riduzione o normalizzazione dei tassi di interesse non è più rinviabile, per evitare un rallentamento dello slancio verso la crescita.

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Il turismo come industria di pace

Non solo opportunità di risorse, occupazione e flusso di persone e merci; viaggiare è da sempre motore di armonia, scoperta e costante scambio di conoscenza

 

Presidente, che anno è stato il 2023 per il comparto alberghiero? La clientela estera è tornata a scegliere il nostro Paese come un tempo?

Il 2023 è stato caratterizzato da una generale espansione della domanda turistica. Secondo i dati ISTAT sono state 317 milioni le presenze registrate fino ad agosto, in aumento del +3,9% rispetto all’analogo periodo 2022. Un trend positivo che è proseguito ancora nell’ultima parte dell’anno. Nello specifico, si è registrato il boom di turisti stranieri rispetto ad un arretramento della clientela domestica.

Tra gennaio e agosto le presenze degli stranieri sono aumentate del 10,2% rispetto all’analogo periodo del 2022, a fronte di una flessione del 2% della domanda turistica da parte della componente nazionale. La clientela internazionale si è confermata la locomotiva del nostro turismo, una tendenza in corso da svariati anni – fatta eccezione per il periodo del covid – e che aveva portato addirittura nel 2019 le presenze straniere a superare quelle italiane. Un dato ancora più importante se si considera che, secondo i dati del CSC, nel 2023 la spesa del turismo internazionale in Italia ha superato i 50 miliardi di euro. Un recupero che si è riflesso nelle performance alberghiere rilevate dal nostro Osservatorio Confindustria Alberghi – STR: i dati a dicembre 2023, hanno infatti evidenziato un TOC medio (Tasso di Occupazione Camere) al 68,5%, di poco al di sotto (-1,9%) rispetto al 2019.

E per il 2024 quali sono le aspettative? La preoccupano i riflessi di eventuali peggioramenti degli scenari geoeconomici e geopolitici internazionali? 

La ripresa dei viaggiatori è evidente e l’Italia ha avuto anche maggior successo rispetto ad altri paesi europei. Nel 2023 il confronto con l’anno precedente in termini di occupazione camere, gli alberghi di Roma, Milano e Firenze hanno registrato rispettivamente +10, +13 e +14%, a fronte del +4% di Parigi e +9% di Madrid, +8% di Berlino, +9% Londra. Segno questo di un particolare dinamismo del nostro mercato che continua anche nel primo trimestre 2024 a far registrare prenotazioni in crescita: Roma +3%, Milano +6%, Parigi -2%, Madrid e Londra +3%. La crisi geopolitica in atto ha provocato un aumento esponenziale dei costi, in primis quelli energetici, e poi anche l’inflazione a due cifre e un aumento dei tassi che ha fatto schizzare in alto i costi dei mutui, rallentando la ripresa e rendendo più lungo e difficoltoso il percorso di recupero delle imprese alberghiere. Detto ciò, ricordo sempre che il turismo è un’industria di pace che crea flussi di persone e merci, che concorre allo sviluppo dell’intera economia. Motivo in più per augurarci finisca presto lo stato di tensioni legato ai conflitti in atto.

La sostenibilità quanto sta cambiando la domanda di turismo?

Il trend dei viaggi sostenibili nello scenario post pandemico si è imposto come un vero e proprio modello turistico, in risposta alla necessità dei viaggiatori di collezionare esperienze green, in armonia con il contesto ambientale e con le comunità locali.

Mai come negli ultimi due anni abbiamo utilizzato e sentito usare la parola sostenibilità e quella che sembrava essere una moda, ora pare essere uno stile di vita e anche molto cool. Nel mondo dei viaggi e delle vacanze si sente spesso parlare di sostenibilità e sono sempre di più gli hotel eco-friendly e le strutture che investono risorse per trasformarsi.

Una trasformazione/transizione che ci viene imposta in parte dallo stesso mercato, da un turista sempre più attento all’impatto ambientale del proprio viaggi e abituato a determinati comportamenti (ad es. la raccolta differenziata dei rifiuti) che vogliono poter replicare anche durante il soggiorno in hotel. In realtà la sostenibilità non si riduce solo all’aspetto “ecologico”.

Troppo spesso ci riferiamo a pratiche “green” attente a salvaguardare l’ambiente, come per esempio l’uso di fonti rinnovabili per la produzione di energia o l’eliminazione di plastica monouso, ma la definizione da manuale di sostenibilità è un’altra e significa soddisfare i bisogni del presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i propri.

Per il turista attento alla sostenibilità, andare in vacanza comporta un’assunzione di responsabilità nei confronti dell’ambiente e delle economie locali. Non basta solo progettare strutture rispettose della natura ma è necessario anche avere a cuore la cultura del luogo, salvaguardare le tipicità locali generando ricchezza.

Gentrificazione e aumento esponenziale di alloggi che sfuggono a qualsivoglia controllo: come si combattono questi due fenomeni “bui” legati al comparto turistico?

Il fenomeno degli affitti brevi è profondamente cambiato nel tempo e oggi produce effetti dannosi per le città. Le caratteristiche di spontaneità ed occasionalità che caratterizzavano forse gli inizi e la stessa idea di una economia condivisa e collaborativa, hanno lasciato il posto ad un’attività consolidata e “industrializzata” che sino a poco tempo fa si svolgeva in un quadro di pressoché completa assenza di regole, controlli e fiscalità. Gli effetti negativi si avvertono sul territorio e dai cittadini che assistono alla trasformazione dei nostri centri soggetti a un rapido spopolamento. Uno spopolamento che colpisce proprio quel “way of life” che costituisce una delle maggiori attrazioni del nostro Paese. È importante tutelare il nostro patrimonio più unico e prezioso, quelle comunità, quel modello di vita tipicamente italiano che non può sopravvivere alla trasformazione dei nostri centri in dormitori turistici. Bene quindi l’attivazione della banca dati nazionale che permetterà di monitorare e riconoscere le diverse situazioni sul mercato, così come la previsione di regole capaci di offrire trasparenza e garanzie ai clienti.

Una soluzione indispensabile che ci auguriamo possa contrastare il Far West di attività senza controllo che stanno condizionando le nostre città e le principali destinazioni turistiche.

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TURISMO: UN 2024 DI BELLE SPERANZE

Marina Lalli, presidente Federturismo

I dati ISNART per ENIT-Unioncamere indicano come già venduto il 40% delle camere disponibili nelle strutture ricettive italiane per tutto il primo trimestre e per la Pasqua. Nello stesso periodo si attendono, inoltre, quasi 967mila arrivi aeroportuali, di cui l’11% dagli Usa, il 5% dalla Francia e il 4,5% da Spagna e Germania con la montagna e le città d’arte che risultano prime destinazioni vendute

 

Presidente, che anno è stato il 2023 per il comparto alberghiero? La clientela estera è tornata a scegliere il nostro Paese come un tempo?

Complessivamente nel 2023 sono stati oltre 431 milioni i pernottamenti (+4.6%) nelle strutture ricettive italiane, di cui 222.6 milioni di turisti stranieri (+10.7%) e 208.5 di connazionali (-1.1%).

L’Italia, in termini di occupazione camere, ha riportato i risultati migliori a livello europeo, con gli alberghi di Roma, Milano e Firenze che hanno fatto registrare rispettivamente +10, +13 e +14%, a fronte del +4% di Parigi, +9% di Madrid e di Londra e +8% di Berlino. Un dinamismo che sembra promettere bene anche per il 2024 con prenotazioni in crescita sia a Roma (+3%), sia a Milano (+6%).

Abbiamo assistito ad un forte ritorno di una clientela straniera qualificata e alto spendente – (+14% di arrivi, +10,7% di presenze) – con americani, cinesi e francesi in testa che hanno scelto come destinazione di viaggio preferite: Milano, Roma e Firenze, città in cui si concentrano anche maggiormente gli acquisti.

E per il 2024 quali sono le aspettative? La preoccupano i riflessi di eventuali peggioramenti degli scenari geoeconomici e geopolitici internazionali?

Il 2024 si preannuncia un anno positivo anche se le incertezze politiche ed economiche sottolineano l’importanza di implementare strategie flessibili e mantenere misure di sostegno per assicurare la stabilità e la crescita duratura nel panorama turistico italiano. Per il 2024 i dati ISNART per ENIT-Unioncamere, indicano come già venduto il 40% delle camere disponibili nelle strutture ricettive italiane per tutto il primo trimestre (42,6% gennaio, 42,5% febbraio, 39,8% marzo, 41,7% aprile) e per la Pasqua. Nello stesso periodo si attendono, inoltre, quasi 967mila arrivi aeroportuali, di cui l’11% dagli Usa, il 5% dalla Francia e il 4,5% da Spagna e Germania con la montagna e le città d’arte che risultano prime destinazioni vendute.

La sostenibilità quanto sta cambiando la domanda di turismo?

Stiamo assistendo ad un cambiamento della domanda, con un consumatore sempre più orientato verso una condotta sostenibile che porta a scelte precise di destinazione, attività svolte e conseguenze socio-ambientali. Gli italiani valutano attentamente se e quanto sia sostenibile la destinazione che si accingono a visitare.

Tra gli elementi presi maggiormente in considerazione, la possibilità di alloggiare in strutture green (per oltre 3 viaggiatori su 4), raggiungere la meta con mezzi poco impattanti, muoversi in loco con biciclette. Ma questi comportamenti devono essere accompagnati anche da un cambio di passo dal lato dell’offerta e da azioni politiche in grado di gestire i flussi in modo più sostenibile. Non sono ancora molte le destinazioni e le aziende che hanno una certificazione di sostenibilità in ambito turistico.

Gentrificazione e aumento esponenziale di alloggi che sfuggono a qualsivoglia controllo: come si combattono questi due fenomeni “bui” legati al comparto turistico?

Le città di tutto il mondo si espandono, nuovi territori vengono urbanizzati e i vecchi sono riqualificati per essere destinati ad altri scopi: nasce così il fenomeno della gentrificazione al quale si accompagna la crescita incontrollata del numero di alloggi. In Italia sono oltre 600.000 gli appartamenti e le stanze proposti con la formula dell’affitto breve per scopo turistico, frutto di una totale assenza di regolamentazione del mercato che in molti centri ha creato problemi di overtourism. 

Nonostante il governo stia lavorando per mettere mano alla questione degli affitti brevi, definendo la norma che istituisce il Codice identificativo nazionale e avviando un tavolo tecnico con le Regioni sull’interoperabilità tra le banche dati regionali e nazionale, è indispensabile accelerare e facilitare il contenimento del fenomeno per ristabilire un giusto equilibrio e per restituire le città ai propri abitanti.

Quali risultati ha portato il progetto TOURISM4.0 e quale lezione ha impartito? Più in generale quali sono i primi esiti relativi agli investimenti in digitale agevolati dal PNRR?

TOURISM4.0 è stato un progetto strategico per la Federazione che ci ha visto protagonisti in Europa e che risponde all’esigenza ormai imprescindibile per le imprese turistiche di sfruttare le tecnologie digitali emergenti per migliorare le proprie performance aziendali. Siamo soddisfatti per la grande adesione manifestata dalle imprese, in particolare da quelle italiane, che hanno dimostrato di comprendere quanto sia importante aggiornarsi e agire su leve fondamentali come l’innovazione tecnologica e organizzativa, la valorizzazione delle competenze e la qualità dei servizi per poter essere sempre più competitive sul mercato.

Avere a disposizione uno standard digitale di riferimento come il Tourism Digital Hub, al quale il PNRR ha assegnato 114 milioni di euro, rappresenta un cambio di passo della promozione turistica del territorio italiano, un nuovo sistema digitale per la gestione integrata e unitaria dell’informazione, promozione e marketing dell’offerta turistica italiana, per rilanciare le economie territoriali, aumentare la visibilità dei luoghi meno conosciuti, migliorare il coordinamento delle azioni di promozione delle destinazioni turistiche e personalizzare le esperienze dei viaggiatori.

È uno strumento che può aiutare le imprese a valorizzare e promuovere l’offerta online e a sfruttarne i benefici incrementando l’attrattività e a capire insieme come, grazie alla raccolta dei dati, gli operatori del settore potranno conoscere in anticipo i flussi turistici futuri in modo tale da prepararsi al meglio a gestire la domanda e a dirottare i turisti dalle grandi città alle aree meno conosciute del Paese.

 

 

 

 

 

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Parità di genere, Bonduelle Italia ottiene la certificazione

Federico Odella, Ad Bonduelle Italia

Il percorso di certificazione – che ha visto il coinvolgimento della Fondazione Libellula – ha preso in esame sei diverse aree tematiche quali: la tutela della genitorialità e conciliazione vita-lavoro, l’equità remunerativa e di genere, le opportunità di crescita e inclusione delle donne in azienda, la cultura aziendale e la strategia ed infine la governance e processi HR

 

Bonduelle Italia, azienda leader nel mondo vegetale che opera nel fresco, surgelato e ambient, ha ottenuto da Bureau Veritas la certificazione per la parità di genere (UNI/PdR 125) conferita a chi promuove politiche aziendali che mirano a ridurre il gender gap e sostenere l’avanzamento professionale femminile. Bonduelle Italia è stata affiancata da Fondazione Libellula, l’impresa sociale per la prevenzione e il contrasto alla violenza di genere, nel percorso che ha portato a questo importante riconoscimento, attraverso attività di consulenza, training ed empowerment.

Bonduelle ha sempre considerato le persone come pilastro centrale della propria realtà e il raggiungimento di questa certificazione ne è testimonianza. L’obiettivo di Bonduelle è creare un ambiente di lavoro che sia improntato su equità e uguaglianza.

Il percorso di certificazione ha preso in esame sei diverse aree tematiche quali: la tutela della genitorialità e conciliazione vita-lavoro, l’equità remunerativa e di genere, le opportunità di crescita e inclusione delle donne in azienda, la cultura aziendale e la strategia ed infine la governance e processi HR.

A seguito della certificazione, Bonduelle ha avviato una serie di attività come training interni per promuovere la cultura contro la violenza e la discriminazione di genere ed ha preso parte al progetto MentorSHE, il programma di mentoring interaziendale promosso da Fondazione Libellula, pensato per favorire i percorsi di crescita al femminile ed il women empowerment.

Ottenere la certificazione per la parità di genere è un risultato che ci rende orgogliosi”, ha dichiarato Federico Odella, Amministratore Delegato di Bonduelle Italia. “Le persone rappresentano la nostra ricchezza e vogliamo costruire per loro un ambiente di lavoro che sia sempre più equo, dove ognuno possa essere sempre se stesso per esprimere il suo pieno potenziale e crescere. Abbiamo avviato con Fondazione Libellula un percorso per diffondere in azienda una cultura inclusiva, supportata da azioni concrete che tutti noi possiamo praticare nel quotidiano”.

 La Certificazione per la Parità di Genere è uno dei segnali netti che le aziende possono dare per ribadire di essere contro ogni forma di violenza, discriminazioni comprese – ha commentato Debora Moretti, Presidente di Fondazione Libellula – Bonduelle con questo segnale rappresenta perfettamente uno dei punti del Manifesto del Network Libellula, il primo network di aziende impegnate nella prevenzione e ne contrasto alla violenza di genere. È stato un onore accompagnarla nel raggiungimento di questo obiettivo, ora guardiamo al prossimo.”

 

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Salute: ampi i divari territoriali. Equità orizzontale sempre più a rischio

Presentato a Roma il Report “Un paese, due cure. I divari Nord – Sud nel diritto alla salute”, promosso dalla Svimez in collaborazione con Save the Children

 

Al Sud i servizi di prevenzione e cura sono più carenti, minore la spesa pubblica sanitaria, più lunghe le distanze da percorrere per ricevere assistenza, soprattutto per le patologie più gravi. Aumentare la spesa sanitaria è la priorità nazionale. Andrebbe inoltre corretto il metodo di riparto regionale del Fondo Sanitario Nazionale per tenere conto dei maggiori bisogni di cura nei territori a più elevato disagio socio-economico. L’autonomia differenziata rischia di ampliare le disuguaglianze nelle condizioni di accesso al diritto alla salute. Queste le principali considerazioni emerse dal Report SVIMEZ “Un Paese, due cure. I divari Nord-Sud nel diritto alla salute”, presentato oggi a Roma in collaborazione con Save the Children.

Il Report, pubblicato nell’ultimo numero di Informazioni Svimez, curato da Luca Bianchi, Serenella Caravella e Carmelo Petraglia, offre una fotografia delle condizioni territoriali del SSN al quale si rivolgono i cittadini per le cure. Nel corso della presentazione è stato proiettato un video con le storie immaginarie di due donne, una calabrese e una emiliana, che affrontano la stessa patologia oncologica. Storie che riflettono la realtà dei divari Nord-Sud nella qualità dei Sistemi Sanitari Regionali (SSR) e della conseguente “scelta” di molti cittadini del Mezzogiorno di ricevere assistenza nelle strutture sanitarie del Centro e del Nord, soprattutto per curare le patologie più gravi.

Contestualmente, Save the Children ha ribadito come i divari territoriali siano evidenti già a partire dalla nascita. Sebbene nel panorama mondiale il Servizio Sanitario nazionale si posizioni come una eccellenza per la cura dei bambini, sia dal punto di vista delle professionalità che della universalità di accesso alle cure, le disuguaglianze territoriali sono molto accentuate. Secondo gli ultimi dati ISTAT disponibili, il tasso di mortalità infantile (entro il primo anno di vita) era di 1,8 decessi ogni 1000 nati vivi in Toscana, ma era quasi doppio in Sicilia (3,3) e più che doppio in Calabria (3,9). Già prima della pandemia, il numero dei consultori familiari si era andato assottigliando, con la conseguente carenza di presidi territoriali di prossimità fondamentali per sostenere la salute e il benessere materno-infantile.

Dopo l’emergenza Covid-19 si arresta la crescita della spesa sanitaria e restano ampi i divari territoriali

I divari territoriali sono aumentati in un contesto di generalizzata debolezza del Sistema Sanitario che, nel confronto europeo, risulta sottodimensionato per stanziamenti di risorse pubbliche (in media 6,6% del PIL contro il 9,4% di Germania e l’8,9% di Francia), a fronte di un contributo privato comparativamente elevato (24% della spesa sanitaria complessiva, quasi il doppio di Francia e Germania). Dai dati regionalizzati di spesa sanitaria (di fonte Conti Pubblici territoriali) risultano livelli di spesa per abitante, corrente e per investimenti, mediamente più contenuti nelle regioni meridionali. A fronte di una media nazionale di 2.140 euro, la spesa corrente più bassa si registra in Calabria (1.748 euro), Campania (1.818 euro), Basilicata (1.941 euro) e Puglia (1.978 euro). Per la parte di spesa in conto capitale, i valori più bassi si ravvisano in Campania (18 euro), Lazio (24 euro) e Calabria (27 euro), mentre il dato nazionale si attesta su una media di 41 euro. Il monitoraggio LEA (Livelli Essenziali di Assistenza), che offre un quadro delle differenze nell’efficacia e qualità delle prestazioni fornite dai diversi SSR, fa emergere i deludenti risultati del Sud: 5 regioni del Mezzogiorno risultano inadempienti.

1,6 milioni di famiglie italiane in povertà sanitaria, di cui 700 mila al Sud

In base alle recenti valutazioni del CREA (Centro per la ricerca economica applicata in sanità), sono il 6,1% le famiglie italiane in povertà sanitaria, perché hanno riscontrato difficoltà o hanno rinunciato a sostenere spese sanitarie. Nel Mezzogiorno la quota la povertà sanitaria riguarda l’8% dei nuclei familiari, una percentuale doppia rispetto al 4% del Nord-Est (5,9% al Nord-Ovest, 5% al Centro).

Speranza di vita minore al Sud di 1,5 anni: più alta anche la mortalità per tumore

Il Mezzogiorno, secondo gli indicatori BES (Benessere Equo e Sostenibile) sulla salute, è l’area del Paese caratterizzata dalle peggiori condizioni di salute. Gli indicatori relativi alla speranza di vita mostrano un differenziale territoriale marcato e crescente negli anni: nel 2022, la speranza di vita alla nascita per i cittadini meridionali era di 81,7 anni, 1,3 anni in meno del Centro e del Nord-Ovest, 1,5 rispetto al Nord-Est. Analoghi differenziali sfavorevoli al Sud si osservano per la mortalità evitabile causata da deficit nell’assistenza sanitaria e nell’offerta di servizi di prevenzione. Il tasso di mortalità per tumore è pari al 9,6 per 10 mila abitanti per gli uomini rispetto a circa l’8 del Nord. È cresciuto il divario per le donne: 8,2 al Sud con meno del 7 al Nord; nel 2010 i due dati erano allineati.

Nel Mezzogiorno meno prevenzione oncologica

Secondo le valutazioni dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS), nel biennio 2021-2022, in Italia circa il 70% delle donne di 50-69 anni si è sottoposta ai controlli: circa due su tre lo ha fatto aderendo ai programmi di screening gratuiti. La copertura complessiva è dell’80% al Nord, del 76% al Centro, ma scende ad appena il 58% nel Mezzogiorno. La prima regione per copertura è il Friuli-Venezia Giulia (87,8%); l’ultima è la Calabria, dove solamente il 42,5% delle donne di 50-69 anni si è sottoposto ai controlli.  I dati relativi agli screening organizzati dai SSR confermano i profondi divari regionali nell’offerta di servizi che dovrebbero essere garantiti in maniera uniforme in quanto compresi tra i LEA. La quota di donne che ha avuto accesso a screening organizzati oscilla tra valori compresi tra il 63 e il 76% in Veneto, Toscana, Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, P.A. di Trento, Umbria e Liguria e circa il 31% in Abruzzo e Molise. Le quote più basse si registrano in Campania (20,4%) e in Calabria, dove le donne che hanno effettuato screening promossi dal Servizio Sanitario sono appena l’11,8%, il dato più basso in Italia.

Mobilità sanitaria: è ‘fuga’ dal Sud, in particolare per le patologie più gravi. Il 22% dei malati oncologici del Sud si fa curare al Nord.

La “fuga” dal Sud per ricevere assistenza in strutture sanitarie del Centro e del Nord, soprattutto per le patologie più gravi. Nel 2022, dei 629 mila migranti sanitari (volume di ricoveri), il 44% era residente in una regione del Mezzogiorno. Per le patologie oncologiche, 12.401 pazienti meridionali, pari al 22% del totale dei pazienti, si sono spostati per ricevere cure in un SSR del Centro o del Nord nel 2022. Solo 811 pazienti del Centro-Nord (lo 0,1% del totale) hanno fatto il viaggio inverso. È la Calabria a registrare l’incidenza più elevata di migrazioni: il 43% dei pazienti si rivolge a strutture sanitarie di Regioni non confinanti. Seguono Basilicata (25%) e Sicilia (16,5%). Al Sud, i servizi di prevenzione e cura sono dunque più carenti, minore la spesa pubblica sanitaria, più lunghe le distanze da percorrere per ricevere assistenza.

Save the Children evidenzia numeri crescenti anche nelle migrazioni sanitarie pediatriche da Sud verso il Centro-Nord, segno di carenze o di sfiducia nel sistema sanitario delle regioni del Mezzogiorno: l’indice di fuga – ovvero il numero di pazienti pediatrici che vanno a farsi curare in una regione diversa da quella di residenza – nel 2020 si attesta  in media all’8,7% a livello nazionale, con differenze territoriali che vanno dal 3,4% del Lazio al 43,4% del Molise, il 30,8% della Basilicata, il 26,8% dell’Umbria e il 23,6% della Calabria. In particolare, un terzo dei bambini e degli adolescenti si mette in viaggio dal Sud per ricevere cure per disturbi mentali o neurologici, della nutrizione o del metabolismo nei centri specialistici convergendo principalmente a Roma, Genova e Firenze, sedi di Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico (IRCCS) pediatrici.

L’autonomia differenziata in ambito sanitario aggrava le disuguaglianze interregionali

L’obiettivo dell’equità orizzontale della sanità è ulteriormente messo a rischio dal progetto di autonomia differenziata. Sulla base delle risultanze del Comitato per l’individuazione dei Livelli Essenziali delle Prestazioni, in particolare, tutte le Regioni a Statuto Ordinario potrebbero richiedere il trasferimento di funzioni, risorse umane, finanziarie e strumentali ulteriori rispetto ai LEA in un lungo elenco di ambiti: gestione e retribuzione del personale, regolamentazione dell’attività libero-professionale, accesso alle scuole di specializzazione, politiche tariffarie, valutazioni di equivalenza terapeutica dei farmaci, istituzione e gestione di fondi sanitari integrativi. La concessione di ulteriori forme di autonomia potrebbe determinare ulteriori capacità di spesa nelle Regioni ad autonomia rafforzata, finanziate dalle compartecipazioni legate al trasferimento di funzioni e, soprattutto, dall’eventuale extra-gettito derivante dalla maggiore crescita economica. Tutto ciò, in un contesto in cui i LEA non hanno copertura finanziaria integrale a livello nazionale e cinque delle otto Regioni del Mezzogiorno risultano inadempienti, determinerebbe una ulteriore differenziazione territoriale delle politiche pubbliche in ambito sanitario. Con l’autonomia differenziata si rischierebbe dunque di aumentare la sperequazione finanziaria tra SSR e di ampliare le disuguaglianze interregionali nelle condizioni di accesso al diritto alla salute.

Per il direttore generale della Svimez Luca Bianchi, intervenuto nella tavola rotonda coordinata dal giornalista di Repubblica Antonio Fraschilla, “La necessità di incrementare le risorse complessivamente allocate alla sanità convive con la priorità di potenziare da subito le finalità di equità del SSN. I dati del report offrono la fotografia preoccupante di un divario di cura che si traduce in minori aspettative di vita e più alti tassi di mortalità per le patologie più gravi nelle regioni del Mezzogiorno. La scelta, spesso obbligata, di emigrare per curarsi oltre ai costi individuali finisce per amplificare i divari nella capacità di spesa dei diversi sistemi regionali. Rafforzare la dimensione universale del Sistema sanitario nazionale è la strada per rendere effettivo il diritto costituzionale alla salute. Una direzione opposta a quella che invece si propone con l’autonomia differenziata dalla quale deriverebbero ulteriori ampliamenti dei divari territoriali di salute e una conseguente crescita della mobilità di cura”.

“La condizione di povertà familiare incide fortemente sui percorsi di prevenzione e sull’accesso alle cure da parte dei bambini. È necessario un impegno delle istituzioni a tutti i livelli per assicurare una rete di servizi di prevenzione e cura per l’infanzia e l’adolescenza all’altezza delle necessità, con un investimento mirato nelle aree più deprivate. Occorre conoscere e superare i divari territoriali che oggi condizionano l’accesso ad un servizio sanitario che rischia di essere “nazionale” solo sulla carta. È un investimento da mettere al centro dell’agenda della politica”, ha dichiarato Raffaela Milano, responsabile dei Programmi Italia – Europa di Save the Children.

Per Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione Gimbe, “Il nostro SSN è ormai profondamente indebolito e segnato da inaccettabili diseguaglianze regionali. E con l’attuazione delle maggiori autonomie in sanità si legittimerà normativamente la “frattura strutturale” Nord-Sud: il meridione sarà sempre più dipendente dalla sanità del Nord, minando l’uguaglianza dei cittadini nell’esercizio del diritto costituzionale alla tutela della salute. Uno scenario già evidente: su 14 Regioni adempienti ai Livelli Essenziali di Assistenza solo 3 sono del Sud (Abruzzo, Puglia e Basilicata) e tutte a fondo classifica mentre la fuga per curarsi verso il Nord vale € 4,25 miliardi”.

“I dati del report restituiscono l’immagine di un Paese diviso a metà nell’accesso alle cure sanitarie. Dal nostro osservatorio, ed è un ulteriore elemento di preoccupazione, emerge una frammentazione che si aggiunge alle disuguaglianze Sud-Nord poiché riguarda questioni diffuse come la desertificazione dei professionisti e dei servizi. Medici di medicina generale ed infermieri, ad esempio, sono carenti al Nord più che al Sud, ma mancano in generale nelle aree interne, come anche alcuni servizi caratterizzati da alta innovazione e specializzazione. In questo quadro la riforma della autonomia differenziata, sulla quale si continua a ragionare – e per giunta con scarsissimo coinvolgimento dei cittadini – senza la definizione dei Livelli essenziali delle prestazioni, dà come unica certezza quella di amplificare questa frammentazione e di consegnarci un Paese ulteriormente diviso nella garanzia del diritto alla salute”, ha dichiarato Anna Lisa Mandorino, Segretaria generale di Cittadinanzattiva.

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Il tempo dei desideri minori

Per il Censis, la nostra società è intorpidita al punto di mostrarsi passiva rispetto a processi dai cupi presagi, come l’inverno demografico, il cambiamento climatico e le incertezze relative a un quadro internazionale sempre più in fibrillazione. «Ci si rifugia nei piccoli piaceri del quotidiano», come ci racconta il direttore generale Massimiliano Valerii

 

Siamo completamente immersi nelle transizioni – digitale, climatica, demografica, energetica – ma sembriamo andare avanti senza seguire una traiettoria concreta. Il Censis, nel suo ultimo Rapporto, definisce il nostro un Paese di sonnambuli, a tutti i livelli: a tenerci prigionieri è il sonno della ragione, la rassegnazione o cosa altro?

L’immagine di sintesi scelta quest’anno capace, in un colpo solo, di rendere al meglio lo spirito del tempo è quella di un Paese sonnambulo.

I sonnambuli sono apparentemente vigili, ma incapaci di vedere realmente. Rispetto infatti a tutta una serie di processi sociali ed economici, largamente prevedibili nei loro effetti, non si prendono le decisioni giuste, quelle che sarebbero efficaci.

L’esempio emblematico è la radicale transizione demografica che stiamo vivendo. Dire che di qui al 2050, ovvero in un tempo brevissimo, meno di 30 anni, avremo quasi 8 milioni di persone in età lavorativa in meno, lascia facilmente intuire quanto forte sarà l’impatto sul sistema produttivo, sulla nostra capacità di generare valore, di distribuire ricchezza in termini di sostenibilità del nostro ingente debito pubblico, in termini di sostenibilità finanziaria della spesa sociale, sanità, previdenza, assistenza. Della questione demografica, però, soltanto ultimamente se ne parla un po’ di più, quando il processo di denatalità è nei fatti iniziato da molto tempo, poiché è dal 2014 che la popolazione italiana ha cominciato a diminuire. Dal 2014 ad oggi abbiamo già perso un milione e mezzo di residenti in Italia. Finora il fenomeno della denatalità è stato sottovalutato, quando non addirittura rimosso o affrontato con un certo fatalismo, quasi giustificandolo come un fenomeno che riguarda tutte le società occidentali, cosa peraltro assolutamente falsa. Sonnambuli significa sostanzialmente questo: si vive il tempo dei desideri minori, cioè si cerca l’appagamento nei piccoli piaceri della vita quotidiana, quelle micro felicità che si possono magari ricavare nel presente, senza affrontare in concreto la complessità delle sfide che la società contemporanea si trova davanti.

Questo, si badi bene, non è un atto d’accusa esclusivamente rivolto alle classi dirigenti del Paese o al ceto politico, perché riguarda più in generale tutti gli italiani, anche quella maggioranza silenziosa che si sveglia al mattino, va a lavorare, fa quel che deve fare, e poi inspiegabilmente ad un appuntamento determinante per la vita sociale e civile, quale è quello delle elezioni politico-amministrative, stabilisce record di astensionismo, la vera ferita profonda della storia repubblicana del nostro Paese. Questa insipienza diffusa è la risposta a una serie di aspettative deluse accumulatesi nel tempo; negli anni passati noi del Censis abbiamo prima parlato della società del rancore, poi di quella in cui imperava una sorta di sovranismo psichico che è facile rintracciare in una conflittualità latente, individualizzata; una società in cui diminuisce la fiducia in sé stessi e negli altri. Rinunciare per esempio al voto è un atto proprio di una società votata all’irrazionale perché la promozione del cambiamento è possibile solo con il voto politico. Gli italiani sono delusi dalle promesse mancate della modernità, prima tra queste l’accrescimento della propria prosperità economica, del proprio benessere sociale.

Un tradimento nei fatti e nei numeri: negli ultimi trent’anni, tra il 1990 e il 2020, il valore reale delle retribuzioni medie lorde in Italia si è ridotto di quasi il 3%, caso unico tra tutti i paesi Ocse, basti pensare che nello stesso lasso temporale, in Francia e in Germania le retribuzioni sono aumentate di oltre il 30%, nel Regno Unito addirittura del 40%. Questa delusione per le mancate promesse, in una prima fase si era trasformata in rancore, nella sensazione di aver subito un torto, ricevendo dal Paese meno di quanto si era dato. Rancore che però non muta oggi in rivalsa.

Dopo che è andata persa anche la scommessa elettorale sul Movimento 5 Stelle, che in qualche modo rappresentava l’onda anticasta, il tentativo di ricambio del ceto politico, nel nostro Paese ha preso grande forma l’astensionismo elettorale fino a prendere i contorni preoccupanti di oggi. Sono proprio le promesse mancate a far ripiegare gli italiani sui desideri minori, sprofondandoli in questo sonnambulismo che rende passivi rispetto a processi dai cupi presagi, come l’inverno demografico, il cambiamento climatico, le incertezze relative a un quadro internazionale sempre più in fibrillazione. Alla “nottata” che si vive, non corrisponde al risveglio alcuna decisa presa di consapevolezza, né tanto meno un’azione conseguente.

Quale sogno allora può rimetterci insieme, direttore? Visto che – il Rapporto lo dice tra le righe – è la collettività a essersi disunita innanzitutto. Forse questo è l’allarme più forte.

Guardi, ci sono due piani di analisi. Non tutto dipende tutto da noi; anzi siamo molto subordinati a quanto accade a livello internazionale. Il bilancio della globalizzazione che ha interessato anche il nostro Paese negli ultimi trent’anni è controverso, ma di certo le classi medie occidentali hanno pagato un prezzo alto, che le ha viste assistere impotenti all’ascesa delle classi medie asiatiche, prima tra tutti la Cina, con l’effetto di dare vita ad esempio ai famosi forgotten men di Trump, uomini e donne “dimenticati” d’America che non si sentono né visti, né rappresentati.

Va formandosi un nuovo ordine mondiale da cui dipende anche il sentiment del nostro Paese, ma esistono anche delle specificità italiane di cui non possiamo non tener conto. Il nostro quadro demografico non si ritrova uguale né in Europa, né tanto meno negli Stati Uniti. Cosa potrebbe rimetterci insieme? Ricucire e rinvigorire un immaginario collettivo oggi compromesso, primo responsabile dei grandi flussi di espatrio che avvengono nel nostro questo Paese. Solo nel corso dell’ultimo anno, 36.000 giovani tra i 18 e i 34 anni hanno trasferito la loro residenza all’estero. 36.000 giovani equivalgono – come dimensione – a una piccola città italiana. Giovani che vanno via perché nel loro immaginario collettivo si è radicata l’idea di un decadimento irreversibile di questo Paese. A volte è anche sproporzionato ed eccessivamente pessimistico ma è senz’altro la spia di un patrimonio di ideali non più fertile, propulsivo, come è stato negli anni migliori in questo Paese.

La dimensione immateriale poi si intreccia con quella materiale. Ricordiamoci che al primo censimento dell’Italia Repubblicana, nel 1951, le persone con meno di 35 anni, i giovani, rappresentavano il 57% della popolazione.

Oggi sono meno del 33%. La demografia quindi incide sia sui processi produttivi, sia proprio sull’immaginario collettivo. Un Paese tendenzialmente anziano, come il nostro, è facile preda di paure e incertezze e manca di quella forza propulsiva che potrebbe spingerlo a guardare avanti con ritrovata fiducia proprio perché i giovani più talentuosi, gli unici che avrebbero il vigore ideale per rimetterlo in piedi, abdicano e vanno via.

In questa situazione a tinte fosche i corpi intermedi potrebbero assumere un ruolo di valore?

Devono. Come le dicevo siamo sulla soglia di una nuova epoca, in cui si si sta mettendo in discussione il paradigma della globalizzazione che, nei fatti, ha marginalizzato i corpi intermedi, riducendone la funzione sociale.

Nella nuova fase, auspico che i corpi intermedi possano ritrovare la loro funzione sociale, perché questo meccanismo del liderismo, in cui da un lato c’è il leader, dall’altro il popolo e nulla in mezzo, non ha funzionato. I corpi intermedi devono recuperare la loro funzione di cinghia di trasmissione tra le istanze sociali ed economiche di diversi gruppi sociali, delle diverse categorie produttive, affinché quelle stesse istanze vengano correttamente trasferite e ascoltate nelle sedi decisionali.

Aggiungo anche un’altra cosa. Negli Stati Uniti, si parla molto di reshoring, di rimpatrio delle produzioni.

È sorprendente leggere, per esempio, sul Financial Times, espressioni perentorie del tipo «all economics is local», mentre fino a pochi anni fa anche i territori avevano perso la loro incidenza politica, dovevano funzionare solo come trampolino di lancio affinché le imprese del Made in Italy agganciassero i flussi globali. Oggi, il rimpatrio delle produzioni potrebbe accompagnarsi a una nuova valorizzazione del ruolo dei territori e dell’incidenza politica delle forze sociali ed economiche presenti nei territori, anch’esse negli anni recenti svuotate di senso. Nel nostro Paese abbiamo dapprima abolito le province, poi accorpato le camere di commercio e reso residuali le comunità montane; anche il dimezzamento del numero dei parlamentari ha comportato, tra i vari effetti, il fatto che molti territori italiani oggi non esprimono neanche un deputato o un senatore.

Questa è stata la stagione in cui a contare erano solo i flussi globali: i territori stavano lì ma perdevano anche incidenza politica.

Mi auguro allora che si inauguri una stagione diversa, in cui sia i corpi intermedi, sia i territori possano recuperare la loro funzione sociale innanzitutto, la stessa che hanno ben svolto nel periodo migliore di sviluppo del nostro Paese.

Quando dice territori fa riferimento all’autonomia differenziata? Che giudizio dà del progetto di legge Calderoli?

Credo non sia un caso che il tema sia tornato centrale nell’agenda politica proprio ora. L’autonomia differenziata è una delle soluzioni, non necessariamente la soluzione.

Nella sua impostazione di ridare valore ai territori è assolutamente condivisibile. Si deve tornare a parlare di un assetto poliarchico che valorizzi il policentrismo italiano, restituendo ai territori la capacità di incidere politicamente.

Ritiene che la politica terrà nel dovuto conto la vostra analisi?

Dovrebbe. Il Paese ha bisogno di riforme strutturali condivise, da attuare subito ma che necessiteranno di tempo per dispiegare i loro effetti. Forse resteremo inascoltati perché ciò che suggeriamo non ha e non può avere consenso politico immediato.

È lo stesso meccanismo per cui si presta scarsa attenzione ai nostri giovani che, incompresi e ignorati, rinunciano a sentirsi parte di un processo che genera valore condiviso e fuggono all’estero.

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Inaugurata la sede dell’ITS TE.LA. A Salerno parte il primo corso in Agri-Food Tech 4.0 in Campania

Con il taglio del nastro della sede didattica di Via Fatigati 10, alla presenza del presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca, parte l’attività della Fondazione ITS TE.LA., il primo Istituto Tecnologico Superiore per l’Agroalimentare in Campania

La cerimonia inaugurale, presso la sede legale della Fondazione in Via Madonna di Fatima 194, ha visto la partecipazione dei 25 allievi del corso Agri-Food Tech 4.0, dei Soci della Fondazione, di esponenti di Istituzioni ed Enti di riferimento del territorio regionale.

Nel suo intervento di apertura, il Presidente di Confindustria Salerno, Antonio Ferraioli, ha sottolineato: <<Abbiamo fortemente voluto l’ITS Agroalimentare in Campania con l’obiettivo di costruire un nuovo sistema occupazionale di qualità che guardi al futuro dell’agrifood. Punto di forza del Made in Italy, traino dell’export provinciale, l’agroalimentare è un settore in costante evoluzione, spinto dalle sfide legate ai cambiamenti climatici e dalla necessità di produrre in modo sostenibile, utilizzando al meglio le più moderne tecnologie e garantendo la sicurezza alimentare. È, pertanto, fondamentale costruire quelle competenze necessarie per affrontare tale scenario>>.

Sabato D’Amico, Presidente della Fondazione ITS TE.LA., ha ricordato: <<L’offerta dei 3 percorsi formativi biennali della Fondazione è stata progettata proprio “dal basso”, coinvolgendo l’intera filiera che va dal campo alla tavola. Grazie alla collaborazione tra associazioni datoriali, aziende, Istituzioni, sistema bancario, mondo della formazione e dell’istruzione scolastica ed universitaria, abbiamo dato vita ad un progetto che ha inteso attivare le migliori sinergie per un obiettivo comune: formare profili specializzati con un elevato livello di occupabilità, per trattenere sui nostri territori giovani energie in grado di colmare il divario tra domanda ed offerta di competenze nei comparti target. Il primo corso in partenza, Agri Food Tech 4.0, è pensato per la gestione e la supervisione dei processi “smart” di produzione lungo l’intera filiera produttiva. Gratuito per i partecipanti, con il 50% dei docenti proveniente dal mondo del lavoro, è organizzato con ben 700 delle 2000 ore tra stage in azienda, laboratori, esercitazioni pratiche, visite didattiche e project work. Avvieremo prossimamente l’Agri-Food Sustainability e il Food Marketing 2.0, per tecnici specializzati nell’innovazione sostenibile e nella valorizzazione e commercializzazione dei prodotti Made in Italy>>.

 <<Il difficile incontro tra domanda e offerta di lavoro – ha rimarcato il Presidente di Unioncamere, Andrea Prete – quest’anno ha raggiunto il 48% delle assunzioni programmate dalle aziende, 5 punti percentuali in più rispetto al 2022. Il mismatching è oggi una delle grandi strozzature del mercato del lavoro italiano, fattore che incide fortemente sul sistema produttivo del Paese. In tale scenario, lo scorso ottobre, abbiamo sottoscritto un accordo con Confindustria, finalizzato a valorizzare i dati del Sistema informativo Excelsior di Unioncamere e Anpal sui fabbisogni professionali richiesti dalle imprese. L’intesa intende promuovere iniziative di orientamento formativo e professionale dei giovani, anche attraverso i percorsi ITS Academy, uno dei principali strumenti in grado di colmare il gap tra la ricerca di figure specializzate e le competenze dei lavoratori. Con questa convinzione, a livello territoriale, la Camera di Commercio di Salerno ha aderito all’ITS Agroalimentare della Fondazione TE.LA. mettendo anche a disposizione i locali di Via Fatigati per la sede didattica>>.

 

foto Massimo Pica

Il presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca, in chiusura dei lavori, prima del taglio del nastro, ha evidenziato: <<La Regione punta sugli ITS. L’obiettivo è il lavoro, è evitare l’esodo dei nostri giovani, farli rimanere in Campania in una fase particolarmente critica per l’economia nazionale e internazionale. Per questo sosteniamo e incrementiamo l’apertura degli istituti ad alta specializzazione tecnologica post diploma nella nostra regione, guardando a tutti i territori e assecondando le diverse vocazioni. Per Salerno era doveroso puntare sul settore agroalimentare per la storia, la tradizione e la qualità delle produzioni di questa provincia. Questo corso, finanziato dalla Regione Campania, è stato avviato lo scorso 30 ottobre e consente ora a 25 giovani diplomati di conseguire la qualifica di Tecnico Superiore Responsabile delle produzioni e delle trasformazioni agrarie e agroindustriali, specializzato in agritech e smart agri-food 4.0, con competenze specifiche per la gestione e la supervisione dei processi “smart” di produzione lungo l’intera filiera. Una grande opportunità di formazione e soprattutto di lavoro per i giovani>>.

 

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Flogofilm, la nutraceutica che migliora la vita

Sul podio della categoria Agritech un’innovazione rivoluzionaria nella gestione delle infezioni batteriche, presto disponibile anche a uso pediatrico. Ce ne parla Gianni Luccheo, R&D manager Anvest Health

 

Primi nella categoria Agritech dell’edizione 2023 del Premio BPI di Confindustria Salerno: ci racconta in cosa consiste la vostra innovazione, qual è la vision e quali frontiere supera?

È Flogofilm® l’innovazione presentata al Best Practices per l’Innovazione 2023. Si tratta di una soluzione nutraceutica contenente la tecnologia brevettata Flogomicina®, nata dall’ambizione della ricerca scientifica Anvest Health di offrire una terapia multimodale per la gestione delle infezioni batteriche con biofilm. L’80% delle infezioni causate da batteri presentano biofilm, uno strato che riveste la colonia batterica al fine di proteggerla dal nostro sistema immunitario. Il biofilm causa quella che viene definita “resistenza agli antibiotici”, dal momento che essi non riescono fisicamente ad oltrepassarlo. Si stima che un batterio in biofilm sia da 10 a 1000 volte meno sensibile all’antibiotico. L’efficacia di Flogofilm è validata da uno studio pre-clinico condotto in collaborazione con il Dipartimento di Farmacia dell’Università degli Studi di Salerno, studio pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica Life®. Inoltre, un documento clinico realizzato in collaborazione con il Policlinico di Napoli Federico II e pubblicato sulla rivista Journal of Clinical Medicine, ha dimostrato l’efficacia di Flogofilm® in combinazione a Fluorochinolonici nel trattamento delle prostatiti batteriche. Il concetto di affiancare alla terapia antibiotica un trattamento mirato per disgregare il biofilm ha inoltre raccolto il gradimento da parte di Urologi, Ortopedici, Otorini e Ginecologi. Flogofilm® supera le precedenti frontiere terapeutiche e determina benefici per il sistema sanitario, dal momento che l’utilizzo tradizionale di antibiotici in mono-terapia, senza considerare la presenza di biofilm, causa troppo spesso il fallimento terapeutico con il conseguente aumento dei tempi di ospedalizzazione, della spesa sanitaria e dello sviluppo di ceppi batterici resistenti. Nel Gennaio 2023 Flogofilm ha acquisito lo status di Brevetto Europeo grazie alla novità e originalità di tutti i punti evidenziati nella ricerca.

Che tipo di difficoltà – burocratiche, normative, economiche – avete incontrato sul vostro percorso e come le avete superate?

La principale difficoltà riscontrata è stata la ricerca, tra le essenze già impiegate in altri ambiti, dei principi attivi utili alla formulazione di questo nutraceutico. È seguito lo sforzo della nostra area Informazione scientifica nello stimolare la conoscenza clinica delle implicazioni derivanti dalla presenza del biofilm nel sito di infezione e nell’illustrare ai medici i vantaggi della sua disgregazione grazie a Flogofilm, vista l’assenza in commercio di un nutraceutico finalizzato alla disgregazione del biofilm batterico.

Progetti per il futuro?

Le innovazioni Anvest Health nell’ambito della ricerca di nuovi preparati rappresentano spesso formule genitore, a partire dalle quali si proseguono gli studi per trovare nuove applicazioni terapeutiche.

Nel caso di Flogofilm®, siamo attualmente impegnati nella ricerca di una formula destinata all’uso pediatrico, utile alla risoluzione delle infezioni batteriche con biofilm e, contestualmente, a ridurre i sintomi ad esse correlati come febbre, otiti, faringotonsilliti, ecc.. Un percorso che richiede sforzi notevoli in termini di risorse finanziarie e intellettuali, ma che sosteniamo con slancio, consapevoli dell’impatto positivo che innovazioni come la nostra possono avere sulla qualità della vita delle persone.

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Rigel, la piattaforma per una intelligente gestione dei rifiuti

Corre veloce, senza fermarsi, il progetto innovativo targato Flugantia. Come racconta Bruno Uccello, presidente del C.d.A.: «Ci stiamo preparando alla produzione su scala industriale e, al contempo, stiamo svolgendo le attività di ricerca e sviluppo relative ad un nuovo sensore che andrà ad allargare la gamma»

Primi nella categoria Digitalizzazione dell’edizione 2023 del Premio BPI di Confindustria Salerno: ci racconta in cosa consiste la vostra innovazione, qual è la vision e quali frontiere supera?

Condividiamo la vision della European Environment Agency: la capacità di applicare la tecnologia dei sensori a qualsiasi contenitore sarà essenziale per migliorare le pratiche di gestione dei rifiuti. Da questa riflessione è nata Rigel, una piattaforma cloud con sensori IoT per monitorare e gestire rifiuti urbani e industriali, pensata per i Comuni, le aziende di gestione dei rifiuti, i trasportatori e i facility manager. Per realizzare Rigel sono state impiegate le canoniche Tecnologie 4.0: Industrial Internet of Things, Cloud Computing, Big Data & Analytics, Intelligenza artificiale, Blockchain. I nostri sensori sono progettati per essere posizionati all’interno dei contenitori dei rifiuti, rilevano lo stato di riempimento dei contenitori e trasmettono i dati alla IA che, prevedendo il momento del riempimento, ottimizza per tempo i percorsi di raccolta. I sensori forniscono inoltre letture utili a reagire a situazioni impreviste come riempimenti anomali, furti, incendi o atti vandalici. Il sistema software e i sensori sono autonomi e non impegnano infrastrutture dei clienti. I risultati ottenuti in campo sono interessanti: miglioramento del servizio con riduzione dei costi, maggiore produttività degli automezzi, riduzione del consumo di carburante e dunque delle emissioni di CO2.

Che tipo di difficoltà – burocratiche, normative, economiche – avete incontrato sul vostro percorso e come le avete superate?

Bruno Uccello, presidente del C.d.A. Flugantia

Il progetto è stato portato avanti da un raggruppamento composto da Flugantia, B.Energy, Netcom Engineering ed EITD, con la collaborazione esterna del DIETI dell’Università Federico II. Inoltre, Meditech, centro di competenza per l’industria 4.0, ha cofinanziato Rigel come progetto di innovazione, ricerca industriale e sviluppo sperimentale 4.0. La forza del raggruppamento ci ha consentito di superare le inevitabili difficoltà, legate soprattutto allo sviluppo dei sensori e al loro adattamento ad un ambiente operativo “ostile” come sono i contenitori di rifiuti.

Per il futuro?

Il riconoscimento ottenuto alla XVII edizione del Premio Best Practices per l’Innovazione è stato per noi motivo di grande soddisfazione. In questi mesi ci stiamo preparando alla produzione su scala industriale della soluzione attuale e allo stesso tempo stiamo svolgendo le attività di ricerca e sviluppo relative ad un nuovo sensore che andrà ad allargare la gamma Rigel.

 

 

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Space Frontier, verso l’infinito con gli scarti vegetali

Vincitore assoluto dell’edizione 2023 del Premio Best Practices per l’Innovazione la startup napoletana che progetta e sviluppa sistemi di propulsione ibrida a emissioni zero. Ambizione e zero paura di fallire nelle parole dell’ad Tommaso De Angelis

Primi nella categoria Aerospazio e vincitori assoluti dell’edizione 2023 del Premio BPI di Confindustria Salerno: ci racconta in cosa consiste la vostra innovazione, qual è la vision e quali frontiere supera?

È stato un grande onore per noi poter partecipare al premio BPI, la concorrenza era di elevato livello e la giuria di grande spessore, per cui siamo davvero contenti di essere riusciti a vincere grazie alla nostra tecnologia di propulsione a razzo. Si tratta di un motore ibrido (liquido-solido) assolutamente non esplosivo e ad impatto zero di CO2, poiché utilizza scarti organici stampati in 3D come combustibile. Il nostro obiettivo è poter offrire soluzioni di propulsione sicure, efficienti, affidabili e 100% green in un mercato che sarà protagonista di una crescita vertiginosa nei prossimi anni. È assolutamente necessario, per non incorrere negli errori del passato, che gli impatti di questa crescita sul nostro pianeta siano sostenibili. Un sistema di propulsione non esplosivo, come il nostro, mitiga il rischio del lancio orbitale avendo, in aggiunta, le potenzialità per salvare vite umane. Purtroppo, lo spazio continua ad essere un business che non perdona.

Il team di Space Frontier

Perché lo spazio? Come ci siete arrivati?

È il grande pallino di Francesco Renzulli, l’ingegnere aerospaziale (giovanissimo) che ha costruito il primo prototipo funzionante e oggi nostro responsabile tecnico. Ci siamo incontrati quasi per caso al Fab Lab di Napoli; la sua idea e la sua determinazione ci hanno convinti e coinvolti. Dalla nostra abbiamo offerto il valore della nostra esperienza pregressa in ambito startup. Insieme abbiamo l’obiettivo di rendere lo spazio più accessibile al mercato privato, attraverso delle soluzioni tecnologiche a basso impatto e basso costo.

È un modello scalabile quello realizzato?

Certo. Poco dopo la vittoria del premio abbiamo deciso di premere il piede sull’acceleratore, utilizzando questa tecnologia come base per la costruzione del primo micro-lanciatore orbitale per satelliti non esplosivo e a emissioni zero. Siamo attivamente a lavoro per costruire dei motori più potenti, con l’obiettivo entro due anni di lanciare il nostro primo dimostratore tecnologico in volo suborbitale. In questa scelta audace abbiamo trovato il supporto di Volodymyr Usov, Co-founder di Kurs Orbital e di Orbit Boy ed ex presidente dell’Agenzia Spaziale Ucraina, del team di propulsione di Avio, dei nostri mentor di ASI ed ESA incontrati grazie a Takeoff, con i quali collaboriamo attivamente per lo scaling up della nostra tecnologia. A loro un immenso grazie. Continuano a darci il coraggio di osare.

Che tipo di ostacoli avete incontrato sul vostro percorso e come li avete superati?

Ci sono da un lato le difficoltà comuni a chiunque decida di fare azienda, legate principalmente alla validazione della propria idea, e dall’altro i problemi dell’accesso ai capitali. Per quanto riguarda le prime, credo che un buon imprenditore debba essere in grado di fare il meglio con le risorse che ha, ottenendo il massimo sapendo valutare oggettivamente il rischio.

Forti delle nostre esperienze precedenti (e – in qualche caso – dei fallimenti) abbiamo lavorato per minimizzare l’investimento al fine di validare la nostra tecnologia dal punto di vista scientifico. In due anni e con poche decine di migliaia di euro, siamo riusciti a costruire più prototipi funzionanti e raccogliere dati certi. Questo ci ha permesso di risolvere il secondo grande problema sopracitato di accesso ai capitali, reggendo il confronto con professionisti del settore e riuscendo a interessare un fondo come CDP al nostro progetto, che ha investito nella nostra realtà a metà maggio. Credo che a questi, si aggiungano alcuni temi propri dell’aerospazio e di chi in questo settore si occupa di propulsione o di hardware. È molto complesso accedere alle infrastrutture utili per testare le tecnologie. Ma siamo stati fortunati. Abbiamo un vicino di casa simpatico e molto disponibile, che come noi ha intrapreso un difficile ma visionario percorso nel settore dello spazio. Mattia Barbarossa, CEO e CTO di Sidereus, si è da subito dimostrato disponibile nel mettere a nostra disposizione le sue strutture per permetterci di migliorare. Non è da tutti, a lui va un sincero grazie da parte di tutto il nostro team.

Sembra un campo lontano per definizione ma l’economia dello Spazio che contributo può dare alla società?

In realtà lo spazio è da sempre molto vicino alla vita di tutti i giorni. Tutti da piccoli abbiamo avuto delle scarpe con il velcro, ad esempio. Questo materiale, prima di semplificare la vita di tanti genitori e bambini, veniva utilizzato dagli astronauti per fissare gli oggetti nelle cabine mentre si trovavano in orbita. Lo spazio è più che vicino. In futuro le principali infrastrutture di comunicazione e internet potrebbero essere trasferite in orbita, con enormi vantaggi in termini di efficienza e di costo per gli utenti finali.

Più in generale cosa serve e cosa manca al sistema innovativo italiano?

Sicuramente ciò che non manca sono i talenti. Quello che potrebbe migliorare è l’ecosistema in grado di valorizzarli, avvicinandoli all’imprenditoria. Nonostante i grandi passi avanti fatti negli ultimi anni, rimangono moltissime barriere per l’accesso al credito nelle prime fasi di attività. Un imprenditore che vuole utilizzare il debito come leva, oggi ha più probabilità di riuscirci con una pizzeria che con un progetto innovativo.

Progetti per il futuro?

Costruire il primo accesso allo spazio completamente italiano, a basso costo e impatto zero. L’importanza di questo settore dal punto di vista strategico è massima, e nei prossimi anni lo sviluppo di una tecnologia come la nostra potrebbe aiutare l’Italia ad acquisire un ruolo centrale.

Un passo alla volta, però. Prima ci concentreremo nel trovare nuovi finanziatori, uno spazio per i nostri test da chiamare casa, e nuove intelligenze per completare il nostro team. Professionisti ambiziosi senza la paura di fallire, come noi.

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Serravalle: «L’innovazione è un lavoro di squadra»

Nell’edizione del Premio Best Practices per l’Innovazione di Confindustria Salerno di quest’anno coinvolto anche SRM, Centro Studi di Intesa Sanpaolo, che ha curato i paper scientifici utili per sapere come e dove investire risorse nei settori aerospazio, green e agritech. Un bilancio entusiasta nelle parole del project leader Francesco Serravalle 

 

Edizione 2023 del Premio Best Practices per l’Innovazione di Confindustria Salerno: in cosa si è distinta dalle precedenti?

Differente è stata quest’anno la premessa: nell’organizzare la competizione ci siamo messi alla ricerca delle opportunità inespresse, piuttosto che concentrarci sull’individuazione degli ostacoli. Innanzitutto, abbiamo spinto perché arrivasse in gara il meglio dell’innovazione già disponibile nelle 4 categorie scelte quest’anno, ovvero greentech, aerospazio, digitalizzazione e agritech.

Pertanto, degli oltre cento progetti rispondenti alla call, ne abbiamo selezionati 40 – 10 per ambito – capaci di rafforzare rapidamente la competitività e l’autonomia tecnologica dei settori di pertinenza, permettendo anche lo sviluppo di nuovi servizi e applicazioni a valle.

Abbiamo poi voluto ancor di più incoraggiare lo spirito di condivisione, elemento costitutivo del Premio Best Practices per l’Innovazione.

Diversamente dagli altri anni, infatti, nessuno dei 40 progetti in gara è stato presentato in modo isolato ma integrato in uno spazio tematico più ampio.

Francesco Serravalle, project leader Premio Best Practices per l’Innovazione di Confindustria Salerno

Il metodo della cross fertilization ha fatto sì che innovatori, investitori, big player, specialisti ed esperti dell’innovazione abbattessero gli steccati – che pure esistono tra le differenti discipline – per aprire, sconfinare e ragionare in termini sistemici e creare, di rimando, aumentato valore. Del resto i progetti sono per natura un’esperienza collettiva, la cui realizzazione ha effetti accrescitivi per una comunità, non certo per il singolo. Anche per questo abbiamo deciso di evidenziare lo stato di innovazione dell’aerospazio, filiera produttiva che riveste un ruolo strategico nel sistema economico-territoriale campano, rappresentando un elemento di sviluppo sia per insediamenti industriali, sia per l’elevato contenuto di innovazione tecnologica possibile anche grazie alla presenza di un’eccellente rete di ricerca scientifica e di alta formazione.

A proposito di ricerca scientifica di elevato valore, una delle novità più rilevanti è stato quest’anno il coinvolgimento di SRM, cui è stata affidata l’elaborazione di paper scientifici. Perché questa scelta?

Sempre in nome e in ragione del miglioramento del format complessivo e dei suoi esiti. Grazie al prestigioso contributo scientifico di SRM il Centro Studi del Gruppo Intesa Sanpaolo, partendo da un’analisi molto accurata dei bisogni di innovazione rilevati, i paper che presenteremo nelle prossime settimane – richiamando alcune innovazioni selezionate in questa edizione come esemplari – diranno con chiarezza come e dove investire risorse ed energie in 3 ambiti che avevano in gara: aerospazio, agritech, greentech. Risultanze da cui prendere le mosse per orientare e incidere significativamente sullo sviluppo dell’intero Paese.

Curiosità, competenza e confronto: quale di queste tre peculiarità interdipendenti ritiene venga accelerata dalla partecipazione a competizioni come il Premio BPI?

Si cresce senz’altro con la curiosità e con lo studio ma solo aprendo la propria azienda a pareri, posizioni e contributi esterni si migliora davvero. Il Premio Best Practices nel tempo ha consolidato un network con attori come università, startup, incubatori, banche, associazioni e istituti pubblici e privati, capace di creare un flusso di informazione e scambio costante, reciproco, continuo che consente di crescere. L’innovazione del resto è un lavoro di squadra e solo con la collaborazione e l’integrazione delle competenze tra soggetti diversi un progetto può avere futuro. L’appuntamento è alla prossima estate, con l’edizione numero 18.

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CRESCITA, LA SPINTA PROPULSIVA DELLE TRANSIZIONI GEMELLE

Andrea Prete, presidente Unioncamere

Quando le imprese investono nella Duplice Transizione (digital e green) il guadagno di produttività sale al 14%, addirittura al 17% se ci aggiungono investimenti nel capitale umano

 

Presidente, facciamo il punto sulle doppie transizioni. A che punto siamo e cosa ci aspetta?

Nel 2026 la spesa mondiale in digitalizzazione raddoppierà rispetto al 2022 arrivando a 3,4 trilioni di dollari. Secondo le stime del World Economic Forum questo incremento comporterà una perdita di lavoro pari a 85 milioni, compensata però da un aumento di nuova occupazione di 97 milioni, con un saldo attivo di 12 milioni. Le imprese sono consapevoli già oggi di quanto sia necessaria la svolta digitale per incrementare la produttività e innovare il modello di business. Infatti, il 64% del sistema produttivo mondiale la ritiene una scelta necessaria e non più opzionale. Nel nostro Paese, permane il divario che ci separa dai principali competitors a livello europeo e mondiale. Solo il 46% della popolazione di età compresa tra 16 e 74 anni possiede infatti almeno un livello base di competenze digitali. Siamo ancora distanti pertanto dall’obiettivo dell’80% fissato dall’Ue al 2030. Non va molto meglio sul versante produttivo, anche se un avanzamento degno di nota c’è stato negli ultimi anni, complice anche la pandemia. Ad oggi il 9% delle imprese italiane utilizza i big data, il 62% il cloud mentre solo il 6% l’Intelligenza Artificiale. Restano quindi ancora molti passi in avanti da compiere per raggiungere quel 75% di imprese che utilizzano almeno una di queste tre tecnologie, posto come obiettivo al 2030 dall’Ue. Nel nostro Paese, solo il 20% delle imprese ha un’intensità digitale alta o molto alta, un valore al di sotto del 22,1%, (media europea) a causa di competenze digitali inadeguate, tanto che solo il 28% della forza lavoro italiana ne ha di superiori al livello base, contro una media UE del 31,2%.

Ma perché alcune imprese sono ancora refrattarie alla digitalizzazione?

Lo sono per diverse ragioni. Secondo i risultati dell’indagine del nostro Centro Studi Tagliacarne, le Pmi italiane pongono in cima alla lista degli ostacoli innanzitutto la difficoltà di non trovare professionalità in grado di utilizzare al meglio le tecnologie 4.0 (31%), fenomeno ben noto quello del disallineamento tra i processi formativi e le competenze di cui le imprese necessitano per restare competitive. Esiste, poi, un timore elevato (29%) di attacchi informatici, seguito dalla difficoltà che hanno le imprese di non riuscire a utilizzare al meglio le tecnologie per carenze di infrastrutture tecnologiche. Vanno pertanto rimosse con decisione tutte le barriere che ostacolano la transizione, relative in primis ai costi, con il 37% delle imprese che denuncia scarsità di risorse, problemi di accesso al credito, tassi di interesse elevati, costi delle tecnologie altrettanto onerosi. Esiste però anche un problema di maggiore dimensione – il 41% – che attiene alla sfera culturale: le imprese non investono nella digitalizzazione perché ancora trascurano, o non conoscono del tutto, gli effetti positivi delle tecnologie 4.0 sulla competenze di vita dell’azienda. Infine, oltre 10 imprese su 100 dichiarano la mancanza di competenze digitali e l’eccesso di burocrazia come barriera ancora insormontabile per iniziare a investire nella Transizione Digitale.

E sul green quali sono le prospettive e la fotografia attuale delle performance italiane?

Le proiezioni dicono che per raggiungere l’obiettivo della neutralità climatica nel 2050, dapprima occorre aumentare la spesa mondiale in investimenti green dal 7 al 9% del Pil. In termini assoluti, saranno quindi necessari investimenti per 275 trilioni di dollari. Siamo però ancora indietro rispetto all’obiettivo Ue al 2030 del -55% di riduzione dei gas serra, con il solo 19% di quota di energia da fonti rinnovabili sul consumo finale che per l’Ue dovrà essere del 30%. Senz’altro in parte ciò è dovuto ai gangli burocratici che ancora insistono nel nostro Paese, rallentando la costruzione di impianti di rinnovabili. La buona notizia è però che l’Italia al primo posto in Ue per efficienza nella produzione e per riciclo. Tenendo conto, infatti, del riciclo totale tra rifiuti speciali e urbani prodotti il nostro Paese segna 83, 4%, ben al di sopra della media europea del 53,8%. I ritardi europei sulla transizione green sono sostanzialmente connessi alla dipendenza estera dalle materie prime critiche (80%). Una strada per affrancarsi potrebbe venire però dalla stessa economia circolare: a titolo esemplificativo, al 2040 tramite il riciclo delle batterie esauste, la Ue potrebbe soddisfare oltre la metà della domanda di litio e di cobalto attivata dalla mobilità elettrica. Come per la transizione digitale, migliori risultati si avrebbero anche su questo fronte se le imprese – opportunamente sostenute – prendessero maggiore coscienza dei vantaggi legati alla sostenibilità e se fossero abbattuti i muri di inefficienza burocratica che scoraggiano la voglia di investire.

Le transizioni gemelle potrebbero concretamente cambiare la fisionomia del sistema produttivo del nostro Paese grazie alla loro spinta propulsiva: sempre secondo l’analisi del Centro Studi Tagliacarne, quando le imprese investono nella Duplice transizione (digital e green) il guadagno di produttività sale al 14%, addirittura al 17% se ci aggiungono investimenti nel capitale umano. Come sistema camerale abbiamo da tempo ben chiaro che la rotta, ineludibile, da seguire sia questa e che soprattutto le pmi vadano informate, accompagnate e coinvolte come facciamo da anni e con ottimi risultati attraverso i PID. Continueremo a farlo, certi che la sfida per una crescita sostenibile passi da qui.

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GRASSI: «INDIVIDUARE LE COMPETENZE DA DECENTRARE ALLE REGIONI»

Per il Presidente del Consiglio delle Rappresentanze Regionali e per le Politiche di Coesione Territoriale di Confindustria é auspicabile una devoluzione focalizzata su “ambiti di materie” funzionali alle peculiarità territoriali e all’effettiva capacità delle rispettive amministrazioni di esercitarle

Mentre l’Europa scommette sul mettere insieme le potenzialità dei differenti paesi, nel nostro torna in agenda l’autonomia differenziata. Quali potrebbero essere gli impatti sul Mezzogiorno e, più in generale, per l’economia italiana?

Per rispondere a questa domanda è doverosa una premessa. L’autonomia differenziata costituisce un principio costituzionale, in sé meritevole di attuazione. Se ben calibrata, essa può rappresentare un’occasione per rafforzare la competitività e valorizzare le specificità dei territori. In Confindustria guardiamo quindi con interesse a un’attuazione del regionalismo differenziato che, senza aumentare i divari tra le Regioni, rafforzi i territori nel solco dei principi di sussidiarietà, unità, efficienza e solidarietà. Inoltre, il dibattito attuale potrebbe e dovrebbe essere l’occasione per riaprire il confronto sul Titolo V della nostra Costituzione, che a distanza di 22 anni dalla sua riscrittura, mostra ormai con chiarezza alcune “crepe”, tra contraddizioni e lacune normative, incertezze interpretative e inattuazioni. Si pensi soltanto, ad esempio, che solo ora sembra avviarsi il percorso per l’individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP) e che non ha ancora trovato attuazione quanto previsto dall’art. 119, vale a dire la creazione del fondo perequativo che dovrebbe compensare gli squilibri “sofferti” dai territori con minore capacità fiscale. Peraltro, il superamento di queste due lacune rappresenta, a mio avviso, una condizione necessaria per avviare il percorso verso un’autonomia differenziata “giusta”.

Quanto potrebbe rivelarsi inefficace, se non dannoso, che scelte strategiche per l’economia nazionale, come quelle nel campo dell’energia e delle infrastrutture, vengano decentralizzate? E quelle relative a sanità e istruzione?

Se da un lato il regionalismo differenziato può costituire un’opportunità per i territori, dall’altro è necessario porre grande attenzione alle materie – o agli ambiti di materie – che saranno oggetto di devoluzione. Per noi c’è un punto irrinunciabile: alcune materie strategiche, che contribuiscono a creare le condizioni per la competitività e lo sviluppo debbono essere “gestite” a livello nazionale, se non addirittura europeo, per garantire efficienza, ma anche omogeneità normativa e amministrativa e condizioni di partenza più simili, a tutela del mercato. Mi riferisco, per citare gli esempi più eclatanti, alle infrastrutture energetiche e di trasporto e, più in generale, ai servizi a rete, nonché al commercio con l’estero. Materie che necessitano di meccanismi di coordinamento, volti anche a superare veti o inerzie, che possono essere assicurati solo da una gestione unitaria, strettamente connessa, peraltro, agli orientamenti europei. Sarebbe opportuno, poi, individuare le attribuzioni devolute alle Regioni secondo un approccio graduale. Infatti, modifiche massive delle competenze legislative e amministrative potrebbero impattare in negativo sull’assetto delle organizzazioni regionali, a danno della loro stessa efficienza. In quest’ottica, sarebbe auspicabile una devoluzione focalizzata – più che su intere materie – su “ambiti di materie” (come peraltro previsto dal DDL Calderoli) funzionali alle peculiarità territoriali e all’effettiva capacità delle rispettive amministrazioni di esercitarle, individuando, quindi, specifici spazi di competenza regionali e spazi, invece, lasciati alla competenza statale.

Della rivendicazione regionale del residuo fiscale cosa ne pensa?

Credo sia un tema da ricondurre a una logica di rivendicazione politica, più che alla costruzione di un percorso equilibrato di attuazione della norma costituzionale in tema di autonomia differenziata. Si tratta, infatti, di un tema sensibile, molto discusso sia a livello politico che tra gli esperti, ma che non risulta, a oggi, all’ordine del giorno della discussione sull’autonomia, tant’è che non è richiamato, né regolato dal “DDL Calderoli” in quanto, su un piano generale, il trattenimento del residuo fiscale può rappresentare una soluzione disallineata rispetto alle esigenze e ai principi di perequazione, che a loro volta, com’è ormai chiaro a tutti, rappresentano alcuni dei criteri cui deve uniformarsi l’attuazione della norma costituzionale sul regionalismo asimmetrico.

L’attuazione del PNRR potrebbe essere ostacolata da questo processo di riforma?

Il PNRR è un piano di riforme e di investimenti caratterizzato, sin dalla sua ideazione, da un forte protagonismo del livello nazionale. Per assicurare il raggiungimento degli obiettivi del piano, quindi, ritengo che l’attuazione dell’autonomia differenziata dovrebbe tener conto anche del fatto che un passaggio di competenze dal livello centrale a quello regionale potrebbe, in questa fase storica, generare incertezze nell’attribuzione delle competenze e, di conseguenza, potenziali ritardi nell’attuazione. È uno dei motivi per cui riteniamo vada privilegiato un approccio graduale e al tempo stesso flessibile nell’individuazione delle materie, per garantire un “passaggio di consegne” fluido e coordinato, anche nell’ottica del rispetto degli impegni presi con l’Unione Europea.

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CER, OLTRE L’INDIVIDUALISMO

La CCIAA di Salerno potrebbe favorire le Comunità Energetiche Rinnovabili contribuendo a finanziare studi di fattibilità, che rappresentano l’investimento iniziale di cui devono farsi carico

Sul territorio salernitano si sta lavorando per rendere presto realtà le Comunità Energetiche Rinnovabili. Quale potrebbe essere il ruolo delle Camere di Commercio?

C’è molto interesse per questo strumento che può rivelarsi prezioso per lo sviluppo dell’economia del nostro territorio e foriero di un nuovo modo di ragionare per e tra le imprese. La Camera potrebbe favorire le CER contribuendo a finanziare gli studi di fattibilità, che rappresentano l’investimento iniziale di cui la CER deve farsi carico. Nel caso di Buccino, Confindustria Salerno ci ha manifestato l’interesse di un gruppo di imprese di costituire una CER. La stessa proposta, in futuro, potrebbe arrivare anche da altre associazione di imprese energivore con grossi spazi disponibili per l’installazione degli impianti. La Camera vuole sostenere tale iniziativa non solo per gli effetti benefici che potrebbe comportare ma anche per enfatizzare la positività che c’è dietro a questo approccio, capace finalmente di  superare frammentazioni e individualismi che tanto hanno nuociuto alla crescita del nostro territorio. La sinergia è la chiave giusta per lo sviluppo.

Avete pensato a misure di sostegno mirate per il caro energia?

Attualmente due sono gli interventi allo studio. Il primo potrebbe essere un voucher per audit energetici, in grado di restituire all’azienda una diagnosi puntuale sui consumi e sulle soluzioni per un miglioramento in termini di efficientamento energetico. La seconda, invece, l’istituzione di uno sportello di consulenza che consenta alle imprese di leggere nel modo corretto la bolletta energetica, così da ricevere informazioni e soluzioni specifiche per l’ottimizzazione delle fatture.

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DECARBONIZZAZIONE, ELETTRIFICAZIONE E DIGITALIZZIONE: I TRE PILLAR DI ENEL

L’impegno del Gruppo per rendere ogni comunità energetica un vero e proprio ecosistema efficiente e sostenibile. Ne parliamo con Roberto Marconi, Key Account Manager Flexibility Solutions Enel X Italia

 

Ingegner Marconi, complice la fame energetica e lo slancio del PNRR nel favorire la diffusione delle modalità di autoproduzione e autoconsumo collettivo, le Comunità energetiche rinnovabili cominciano a diffondersi anche nel nostro Paese. Ma cosa sono le Cer e quali sono i vantaggi di aderire a una comunità energetica per cittadini e imprese?

Grazie al recepimento della Direttiva Europea RED II (2018/2001/UE), anche in Italia è possibile sviluppare modelli associativi tra cittadini, attività commerciali, pubbliche amministrazioni locali e PMI che decidono di unire i propri sforzi con l’obiettivo di produrre, scambiare e consumare energia da fonti rinnovabili su scala locale. Le CER stimoleranno l’autonomia energetica e la decarbonizzazione delle aree industriali, riducendo il costo energetico e rendendo sempre più sostenibile l’uso della rete elettrica locale. È importante infatti che tutta l’energia rinnovabile prodotta dagli impianti interni alla CER sia consumata contemporaneamente, così da minimizzare gli impatti sulla rete elettrica e massimizzare l’incentivo ricevuto. In sintesi, quindi i vantaggi si riassumono in:

  • Economici – gli incentivi per l’energia prodotta e autoconsumata creano un “reddito energetico” da redistribuire;
  • Ambientali – riduzione della CO2 e annullamento delle perdite di rete;
  • Sociali – l’aggregazione sociale stimola i partecipanti alla condivisione rivolta alla sostenibilità urbana, diventando così protagonisti della transizione energetica.

Qual è la differenza tra sistemi di autoconsumo e una CER?

Il sistema di autoconsumo collettivo premia il comune interesse di utenze collocate tutte in un unico edificio, si presta quindi ad avere benefici limitati dalle effettive capacità di generazione e consumo al di sotto di un unico tetto. La Comunità energetica rinnovabile, invece, estende questo confine fino a tutto il territorio coperto dalla stessa cabina elettrica primaria, permettendo quindi di disporre di un portafoglio di utenze differenziato e soprattutto di capacità di generazione rinnovabile più ampia.

Enel ha una grossa tradizione nelle rinnovabili ma, nello specifico, qual è il ruolo di Enel X in una Comunità Energetica Rinnovabile tipo?Roberto Marconi

Enel X, che ha da sempre l’obiettivo di velocizzare l’innovazione e guidare la transizione energetica, si pone come importante acceleratore del processo di diffusione delle comunità energetiche rinnovabili. Possiamo offrire ai soggetti interessati le soluzioni e i servizi per dar vita e far crescere in modo virtuoso la comunità energetica: dalla realizzazione degli impianti fotovoltaici alla creazione e gestione tecnico/economica della comunità stessa, dal monitoraggio dello stato di servizio della comunità agli stimoli all’elettrificazione dei consumi attraverso tecnologie efficienti (pompe di calore, piani cottura a induzione ecc.) e piattaforme digitali. Per rendere ogni comunità energetica un vero e proprio ecosistema efficiente e sostenibile.

La burocrazia pesa molto nell’avvio di una CER?

Il modello necessita di una particolare attenzione e conoscenza di dettaglio della materia, in modo da poterne assicurare l’avvio e la corretta gestione per gli interi 20 anni di vita. Enel X offre la migliore expertise in tal senso, derivante dai diversi progetti che stiamo studiando in Italia e all’Estero.

Il limite dei 1000 kilowatt di produzione massima non è un freno allo sviluppo delle comunità energetiche tra imprese?

La forte propensione alla elettrificazione dei consumi richiederà, in un futuro ormai prossimo, importanti quantità di energia rinnovabile, soprattutto nelle vicinanze di aree industriali, per questo il limite ad 1MW per ciascun impianto potrebbe non essere il miglior risultato per la minimizzazione dei costi di realizzazione.

Quali regole tecniche sono necessarie per calibrare bene gli impianti perché produzione e consumo si equivalgano o quasi?

Lo scopo della CER è la “socializzazione” della produzione e del consumo di energia rinnovabile locale quindi, fondamentale, sarà lo sviluppo della sua capacità generativa in risposta ai fabbisogni energetici sottostanti: nessun kWh dovrà essere prodotto senza che ci sia un utente ad attenderlo.La CER di Enel X deve essere vista come vivente, nasce con un suo progetto “ancora” e si sviluppa massimizzando gli sforzi di tutti coloro che manifestano il loro interesse, anche in tempi diversi!

In Sardegna avete portato a compimento un importante progetto. È un modello ideale e scalabile quello realizzato?

Le CER si rivolgono, tra l’altro, anche alle PA, così da rendere “sociale” l’energia che può essere generata attraverso le superfici nella loro disponibilità, aumentando il contrasto alla povertà energetica e sviluppando un supporto alle attività imprenditoriali del luogo. Il caso Sardegna si inserisce proprio in questo contesto; per Enel è ulteriore motivo di orgoglio perché sta investendo molto nel progetto Sardinia Isola Verde, che mira a renderla la prima regione Carbon Neutral di Italia.

Green e digitale offriranno nei prossimi anni nuovi spazi di occupazione. Anche le CER possono creare nuovo lavoro?

Assolutamente sì! La transizione energetica in Enel viene declinata secondo 3 pillars: Decarbonizzazione, Elettrificazione e Digitalizzazione; riteniamo quindi che il futuro sostenibile di questo Paese, come per l’intero pianeta, non potrà prescindere dalle skill innovative che le nuove generazioni saranno capaci di iniettare nel mondo del lavoro.

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Muoversi facile con Babilot

Una migliore mobilità urbana grazie alle soluzioni proposte dalla startup napoletana guidata da Giuseppe Carannante, prima nella categoria IoT del Premio Best Practices per l’Innovazione 2022

 

Babilot è stata la startup vincitrice della categoria IoT dell’edizione 2022 del Premio dedicato all’innovazione di Confindustria Salerno. Come funziona il vostro dispositivo e quali esigenze soddisfa?

Babilot è una startup innovativa che rende l’Internet of Things una realtà concreta attraverso la Progettazione e lo Sviluppo di sistemi intelligenti per semplificare la vita quotidiana, creando nuovi modelli di mobilità urbana per le Smart City. Le soluzioni proposte promettono di rendere città, dispositivi e veicoli completamente interconnessi grazie all’alto livello di integrazione dei servizi.  La nostra architettura di sistema è strutturata in tre moduli: P-carpet affidabile Dispositivo IoT brevettato che rileva la presenza delle auto e dimensiona autonomamente lo spazio libero disponibile, informando in tempo reale sullo stato degli stalli di sosta e parcheggi; P-cloud la piattaforma gestionale per i nostri clienti, Comuni e parcheggi privati, che grazie alla suite di servizi offerti, garantisce un impatto rapido sulla gestione e controllo della mobilità, aumentandone la redditività, grazie alla lotta contro l’evasione dei pagamenti e la lotta contro la sosta selvaggia e non autorizzata; App dedicata che assiste i nostri user alla guida, automobilista – disabile – p. auto elettrica, contro gli inconvenienti della mobilità quotidiana, gestendo il tutto con semplici click dal proprio smartphone.

Il vostro target di riferimento qual è e quale, invece, il vostro tasso di crescita?

La startup è partner chiave delle città e delle strutture private di parcheggio, proponendo soluzioni innovative che tutelano in primis i disabili. Grazie alle interazioni con i potenziali clienti, municipalità e proprietari/gestori di parcheggi privati, oltre al target di utenti, automobilisti e disabili, abbiamo constatato che il problema è reale e sentito, nonostante le soluzioni ad oggi presenti. Ne mancava una che facesse dell’interconnessione e della digitalizzazione i propri valori aggiunti in quanto i servizi attualmente disponibili propongono informazioni e servizi frammentati, ripartiti tra le tante piattaforme e realtà. I servizi che la Babilot dedica ai disabili forniscono gli strumenti necessari per rispondere agli abusi, disagi e garantire pronta assistenza contro la “sosta non autorizzata e selvaggia” relativa all’occupazione indebita degli stalli a loro adibiti. Bisogni ed esigenze che si sono trasformati, dopo i primi confronti, in crescenti manifestazioni di interesse da parte di enti pubblici, privati e associazioni nazionali di categoria, interessati alle nostre soluzioni innovative.

Rispetto ad applicativi concorrenti in cosa si distingue il vostro?

Ad oggi per poter trovare un posto auto libero impegniamo più di 15 minuti, per non parlare delle segnalazioni relative alla sosta selvaggia subita dai disabili e disservizi vari. L’obiettivo è alleviare l’automobilista dal frustrante onere della ricerca di uno stallo di sosta libero, giusto e vicino alla propria destinazione, supportando i disabili contro la sosta non autorizzata e, allo stesso tempo, apportare benefici alle Città e ai privati attraverso dispositivi e sistemi innovativi che possano migliorare la qualità della Mobilità quotidiana. I nostri dispositivi e sensori risultano essere i più economici presenti sul mercato, i primi a essere riciclati in quanto siamo molto attenti alle politiche green e di sostenibilità, possono adattarsi a qualsiasi forma e tipologia di area di sosta. La digitalizzazione dei servizi permette un’interconnessione tra tutti questi e quindi non più singole soluzioni a “silos”, aumentando la tempestività di intervento, controllo e sicurezza stradale. Il settore della sosta è importante economicamente in quanto se il sistema generale dispone dei giusti equilibri e un Modello di business sostenibile, oltre ad assicurare un importante flusso di ricavi, è anche in grado di generare investimenti bancabili per permettere l’ampliamento dell’offerta di strutture di sosta pubblica con un ricorso minimo ai contributi pubblici. Insomma se da una parte una migliorata gestione della mobilità in ambito parking può ridurre l’inquinamento, lo stress, la qualità della vita in città e lo spreco di denaro e tempo per le municipalità, dall’altro, e non in contrapposizione, c’è la semplice voglia di non girare in tondo alla ricerca di un posto auto libero o ancor peggio vederlo occupato ingiustamente.

Generalmente tra gli elementi per avere credito il team che idea e anima un progetto risulta determinante. Il vostro da chi è costituito e che forza crede abbia oggi e, ancor di più, in prospettiva?

Il nostro team è composto da uomini e donne che amano il proprio lavoro e che ogni giorno si mettono alla prova con nuove sfide, cercando di dare il loro contributo a rendere la nostra realtà ogni giorno sempre migliore. Attualmente siamo pronti ad accogliere anche una persona affetta da disabilità, in veste di disability manager, perché chi più di chi ogni giorno subisce questi disagi può apportare un notevole valore aggiunto al team. Insomma un gruppo dinamico e in continua evoluzione!

C’è più tecnologia o più “umanità” nella vostra innovazione?

Per noi non c’è innovazione senza umanità. Siamo particolarmente attenti verso i nostri utenti cui diamo voce puntualmente attraverso questionari, interviste e campagne di sensibilizzazione.

In ambito innovazione in cosa siamo bravi in Italia?

Come popolo abbiamo una spiccata dote di creatività che, supportata da competenze tecniche, genera grandi risultati. Spirito di sacrificio e capacità di adattamento ci aiutano poi a superare le barriere create dalla burocrazia, dalla mancanza di infrastrutture e dallo scetticismo.

Di cosa ha bisogno il sistema dell’innovazione italiano per creare realtà imprenditoriali che possano avere futuro, mercato e tempo?

Tre elementi essenziali: riduzione della burocrazia, maggiore supporto alle startup in una fase di “early stage” e, infine, agevolazioni dirette a chi cerca di creare impresa innovativa.

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