Venezia e quell’Sos inascoltato per decenni

L'intera laguna, fino a Eraclea e Chioggia, continua a mandare un grido d'aiuto. Anni di incuria, di scelte poco strategiche e la corruzione hanno asfissiato un intero eco-sistema. La parola all'architetto Pizzati.

Canali inquinati da troppi anni di incuria e corruzione. Non solo la Venezia allagata e devastata fino all’interno della basilica di San Marco, ma l’intero ecosistema della laguna, che si espande a sud fino a Chioggia e a nord fino a Eraclea, sta mandando un Sos che va raccolto e trasformato in azione nel tempo più breve possibile. 

«È un allarme che il grande storico dell’architettura Bruno Zevi lanciò tramite alcuni articoli scritti subito dopo l’alluvione del 1966», spiega a Lettera43.it Paolo Pizzati, architetto ed ex assistente di disegno e rilievo alla Ca’ Foscari. Zevi poggiava le sue osservazioni «su saperi molto antichi, a cominciare dagli illuminanti studi effettuati nel 500 da un dotto ingegnere idraulico che si chiamava Cristoforo Sabbadin».

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VENEZIA E «L’IMBOSCAMENTO DELLA VERITÀ»

Nella sua lunga esperienza Pizzati si è convinto che i problemi ambientali da affrontare a Venezia e dintorni sono ingigantiti dal contesto storico-politico con cui ci si deve misurare. «Una volta mando un laureando a consultare dei documenti d’archivio teoricamente di pubblico dominio, tanto erano noti e citati in vari studi», racconta, «e questo mi torna a mani vuote: spariti, nascosti chissà dove, forse distrutti, chi può saperlo. È una delle tante parabole che hanno tristemente arricchito la mia esperienza». Purtroppo, allarga le braccia, «chi conosce Venezia sa che l’imboscamento della verità è una costante di tutta la sua storia dal Dopoguerra a oggi. Con il risultato che per noi il Mose è una specie di mostro capace di inghiottire miliardi di denaro pubblico, mentre a Londra la barriera alta come un condominio inserita nel Tamigi funziona a meraviglia».

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Un uomo passeggia con il cane su un salvagente a Venezia.

FONDALI SEMPRE PIÙ PROFONDI

Se i fondali dei canali vengono abbassati di 15 metri in mezzo secolo per fare passare navi da crociera e petroliere, e nello stesso tempo sorgono insediamenti di enormi dimensioni come la zona industriale di Marghera o l’aeroporto di Tessera, l’effetto-asfissiamento della laguna è garantito. «La chiave più significativa è costituita dalle tre bocche di porto, che sono Malamocco, il Lido e Pellestrina», continua l’architetto, «canali dove l’altezza dei fondali è passata in pochi decenni da tre a 15 metri, con il risultato che nelle sei ore di una marea inglobano e riversano il quintuplo dell’acqua rispetto a una volta». Una piattaforma off-shore per le petroliere e un porto attrezzato al Lido per le navi da crociera sembrano tuttora a Paolo Pizzati le soluzioni a cui si doveva ricorrere per non esercitare sul centro storico di Venezia pressioni insostenibili. «Non lo pensavo solo io», precisa, «ma si è voluto fare diversamente. Soprattutto, non si è mai optato per soluzioni strategiche, proiettate nel tempo, in grado di tutelare Venezia e l’ecosistema della laguna».

                                                                                              

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La Verona razzista vista da Fresco della Virtus

Il presidente-allenatore della terza squadra della città dopo Hellas e Chievo guida un gruppo multietnico ed è il simbolo di "sinistra" del calcio di queste parti: «Balotelli? Un nemico per gli ultrà. Il colore della pelle viene dopo. Ma le mele marce vanno buttate via».

«La Verona razzista esiste, allo stadio come fuori, ma è un fenomeno più circoscritto rispetto ad anni fa». Lo assicura Gigi Fresco, 58 anni, veronese. Uno che, in un mondo sempre meno immaginifico, rischia di passare inosservato, talmente fuori dal seminato scorre la sua storia di dirigente scolastico nelle ore d’ufficio, responsabile di sette istituti della Val d’Illasi, e di presidente-allenatore di una squadra di calcio di Serie C, la Virtus Verona Vecomp. Così è – la sua doppia vita, sostenuta prima come studente e poi come lavoratore della scuola – da ormai 37 anni, durante i quali nessuno di simile è comparso sulla scena del calcio italiano, ma senza che l’establishment imperante si sia dato la cura di badarlo granché.

QUESTIONI DI ASTIO PERSONALE

Eppure, quando scoppiano “casi” come quello di Mario Balotelli, 29enne attaccante del Brescia bersagliato dai versi razzisti della curva dell’Hellas Verona durante la partita di Serie A giocata domenica 3 novembre allo stadio Bentegodi, vinta 2-1 dai padroni di casa, Gigi Fresco diventa il testimone più indicato per tastare il polso di una comunità calcistico-civile da sempre incline in certe sue frange alla burrasca e alla provocazione. «È vero, conosco bene la piazza, dove sono nato e dove opero nel mondo del calcio», ammette durante una pausa di giornate più frenetiche del solito, dovute al settimo posto della sua Virtus, dopo Hellas e Chievo terza squadra professionistica di Verona, con vista attualmente puntata sui playoff per salire in Serie B. «E da questo mio punto di osservazione», continua il presidente-allenatore, divenuto uomo simbolo della sinistra calcistica cittadina, «ribadisco che al giorno d’oggi, per la maggior parte degli ultrà gialloblù, le questioni personali vengono prima del colore della pelle».

I NEMICI E I VERSI DI CUI VERGOGNARSI

In che senso? «Provo a spiegarmi», chiarisce Fresco a proposito del Balotelli che, esasperato dagli insulti, ha calciato il pallone nella Curva dell’Hellas. «Gli ultrà del Verona, come tutti, hanno lunghe liste di giocatori e allenatori considerati nemici, o perché sono degli ex irriconoscenti, o perché in carriera si sono divertiti troppo a battere la loro squadra. Il problema nasce quando questi cosiddetti nemici hanno la pelle di un altro colore: allora scatta il solito campionario di versi scimmieschi e cori di cui vergognarsi».

LA DIFFERENZA CON GLI AFRICANI DELLA VIRTUS

Il presidente assimilato all’ex manager scozzese Alex Ferguson per via della sua longevità sulla panca del Manchester United, aggiunge: «Tutto ciò è comunque grave e va condannato, ma va precisato che, in assenza di queste premesse, l’avversario africano diventa uno come gli altri. L’ho verificato di persona nella partita casalinga giocata due mesi fa dalla Virtus contro la Triestina, durante i calci di rinvio del nostro portiere, che è un gambiano sbarcato in Italia a Lampedusa, Sibi Sheikh. In mezzo ai tifosi giuliani un bel numero era dell’Hellas, perché le due curve sono gemellate. Ecco, non c’è stata una volta in cui lo hanno preso di mira per il colore della pelle. Quando calciava, si limitavano a gridargli “scemo” come avrebbero fatto con qualsiasi portiere avversario».

MELE MARCE DA ESTIRPARE

Di fronte a questi dati di fatto, coach Fresco è ancora più convinto della necessità di misure esemplari contro chi ha riversato la sua intolleranza addosso a Balotelli, compresa la proibizione di andare allo stadio «perché una volta buttate via quelle mele marce a situazione può solo migliorare». Quindi il tecnico, prima di tuffarsi negli schemi con cui portare il bomber italo-nigeriano Odogwu a violare la porta della Fermana, conclude: «Verona è una città chiusa e diffidente per cui bisogna sempre ricordare che lo scudetto dell’85 ha dato a tutto l’ambiente una scossa formidabile, di cui si deve tenere conto anche quando si considerano gli eccessi di certi tifosi».

IL FATTORE UMANO CONTRO I RAZZISTI

Profondo conoscitore degli uomini sui banchi di scuola e fuori, prima ancora che dei calciatori, il presidente della società rossoblù ha dato spesso prova di questo suo fattore umano. Anche quando, con la Virtus in Serie D, i tifosi della Sanbonifacense presero di mira Dimas de Oliveira, ex bomber brasiliano della squadra. Il giorno dopo si presentò nel bar di San Bonifacio dove sapeva di trovare i capi ultrà, semplicemente per comunicare loro che disapprovava quei comportamenti razzisti. Nessuno ebbe qualcosa da ridire. Preferirono tutti fare esperienza della saggezza, semplice e realistica, di mister Fresco. Uno di loro, con qualche pensiero di differenza.

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