Nomine: lo stallo del governo su Istat, Covip e non solo

Niente di nuovo sul fronte nomine. Il governo Meloni non è ancora riuscito a trovare una quadra definitiva sulle presidenze Istat e Covip (la Commissione di vigilanza sui fondi pensione). Il presidente dell’Istituto nazionale di statistica infatti è ancora pro tempore. Francesco Maria Chelli indicato come reggente dell’Istituto dopo la scadenza, lo scorso 22 marzo, del mandato di Gian Carlo Blangiardo, il 9 maggio è stato nominato con un decreto della Presidenza del Consiglio come “facente funzione”. Insomma, è presidente ma senza prospettive, visto che l’esecutivo ha altre intenzioni. Il problema è che in parlamento non si riescono a trovare i numeri per riportare Blangiardo su quella poltrona. E la stessa situazione rischia di riproporsi alla Covip dove al momento siede una presidente supplente.

Nomine, lo stallo del governo su Istat, Covip e non solo
Francesco Maria Chelli (Imagoeconomica).

Lo stallo sull’Istat: il centrodestra non ha i numeri per riconfemare Blangiardo

Il caso dell’Istat è emblematico, perché va avanti da ormai tre mesi senza che si intraveda uno sbocco. La presidenza è ostaggio di una forzatura politica, una sorte di ossessione, mentre al comando si è accomodato Chelli che rischia di diventare un “facente funzioni” a tempo indeterminato. Palazzo Chigi è intenzionato a riconfermare Blangiardo, fortemente voluto dal vicepremier Matteo Salvini, che lo aveva già indicato già ai tempi del governo gialloverde, il primo di Giuseppe Conte. In questo modo il leader leghista sa di poter contare su un profilo amico in una casella importante, l’Istituto che fotografa il Paese. E che, soprattutto, è allineato alla destra sulla battaglia per l’incremento demografico. Per rieleggerlo serve però il passaggio nelle commissioni Affari costituzionali di Camera e Senato, chiamate a esprimere il proprio parere con una votazione vincolante. E al governo hanno fatto i conti senza l’oste: per avallare la nomina è necessaria la maggioranza qualificata dei due terzi, significa 20 voti su 30 nella commissione a Montecitorio e 14 su 21 a Palazzo Madama. Nonostante i numeri schiaccianti in entrambi i rami del Parlamento, il centrodestra non può farcela da solo. Da qui è iniziato il lungo braccio di ferro con le opposizioni che, almeno una volta, si sono trovate compatte nel respingere la proposta. Nemmeno la mano del Terzo polo sarebbe sufficiente e per questo è stata intavolata una trattativa con Movimento 5 stelle e Partito democratico, provando sotto traccia a inserire una contropartita con le presidenze delle altre commissioni. Un tentativo naufragato e che ha provocato lo stallo per settimane. Le opposizioni hanno dato la disponibilità a votare un tecnico voluto dalla destra, a patto che non sia Blangiardo, anche perché non è sopita l’irritazione per il modus operandi della maggioranza che inizialmente ha pensato di tirare dritto. Fatto sta che all’ordine del giorno delle commissioni è sparito il parere sulla presidenza dell’Istat. Secondo fonti interpellate da Lettera43, l’unica soluzione sarebbe la rinuncia del presidente uscente. Inevitabilmente Chelli è stato investito della presidenza, nelle vesti del facente funzione, in attesa di trovare una soluzione.

Nomine, lo stallo del governo su Istat, Covip e non solo
Gian Carlo Blangiardo (Imagoeconomica).

Il lungo braccio di ferro su Inps e Inail e i tentennamenti sulla presidenza Covip

Il caso-Istat segue la lunga querelle su Inps e Inail: con un decreto, il governo aveva azzerato la vecchia governance, ma poi ha impiegato un mese e mezzo per indicare i commissari. La scelta, quasi per sfinimento, è caduta su Micaela Gelera per l’ente di previdenza e Fabrizio D’Ascenzo per l’istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni. Lo stesso film si sta per ripetere sulla presidenza Covip: Mario Padula ha concluso a marzo il mandato di presidenza. Da allora è subentrata, sempre come facente funzione, l’ex vice sindaca di Milano (giunta Pisapia), Francesca Balzani, che nel frattempo ha illustrato in parlamento la relazione sullo stato della previdenza complementare. Aveva tutti i titoli per farlo, certo, ma anche in questo caso, senza l’assegnazione ufficiale dell’incarico da parte del governo, manca una prospettiva a lungo termine. Si prospettano tempi non proprio brevi: occorre trovare l’accordo politico per individuare il profilo adatto da sottoporre poi al vaglio delle commissioni parlamentari competenti.

Nomine, lo stallo del governo su Istat, Covip e non solo
Francesca Balzani, presidente supplente Covip (Imagoeconomica).

Il commissario per l’alluvione in Emilia-Romagna? Può attendere

Sul fronte delle nomine in stand-by c’è inoltre quella a più elevato impatto mediatico: l’indicazione del commissario per l’alluvione in Emilia-Romagna. Il niet sul nome del presidente della Regione Stefano Bonaccini da parte di Meloni e Salvini è irremovibile. Così, in linea con la propria strategia, si va avanti a tentoni. Anzi a facente funzioni.

Il caso dei 2 miliardi bloccati per cultura e turismo

C'è un tesoretto che potrebbe salvare il patrimonio storico di molte piccole comunità d'Italia. Soldi stanziati ma non ancora spesi o neppure programmati. Ritardi burocratici, territori in attesa e poche spiegazioni dal ministro Franceschini: radiografia di un pantano.

Almeno 2 miliardi di euro per cultura e turismo bloccati. Un tesoretto che potrebbe aiutare la conservazione e la valorizzazione del patrimonio storico, spesso di piccole comunità. Ma che è finito alla voce “soldi stanziati e non ancora spesi”.

ASSEGNAZIONE CON RENZI E GENTILONI

Si tratta infatti di fondi già assegnati nella precedente legislatura, prima dal governo Renzi e poi da quello presieduto da Paolo Gentiloni, per lavori mai partiti in molti casi. O che, in alcune situazioni, si trovano nella fase iniziale dopo aver superato le procedure burocratiche.

ESEMPI: CAPITALI DELLA CULTURA E INTERVENTI ANTICENDI

Secondo la tabella che Lettera43.it ha visionato, addirittura lo stanziamento di 8 milioni per l’iniziativa Capitali italiane della Cultura risulta assegnato, ossia a disposizione, ma non ancora elaborato per la sua attuazione pratica. Situazione simile si è verificata per il decreto di programmazione straordinaria di fondi risalenti al 2007/2013 per interventi antincendio: si parla di oltre 12 milioni e mezzo assegnati e nemmeno ancora messi in programma.

DIVERSI MILIONI IN ATTESA DI DESTINAZIONE

Del Piano operativo stralcio cultura e turismo 2014-2020, invece, ci sono 231 milioni ancora in attesa di destinazione: dei 740 assegnati infatti ne sono stati programmati solo 509. In altri contesti, per esempio per Matera, lo scenario è lievemente migliore: il totale (per il progetto Capitale della Cultura e per l’intervento su rione Sassi) è di 48 milioni di euro stanziati e in gran parte pianificati.

UN PROBLEMA GENERALE DI PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Insomma, un quadro complesso per un settore molto delicato. Il ministro dei Beni culturali e del Turismo, Dario Franceschini, ha spiegato: «C’è un problema generale della Pubblica amministrazione italiana che è avere risorse e non avere capacità di spesa adeguate, mentre avremmo un grande bisogno di fare investimenti, di attuarli, sia per le opere sia per i parametri da rispettare che ci richiede l’Unione europea».

MA NELLO SPECIFICO PERCHÉ QUEL PANTANO?

Il titolare del Mibact ha quindi generalizzato la questione. Nel caso specifico, però, ci sono in ballo circa due miliardi di euro per vari interventi e progetti legati al suo ministero. Un insieme di risorse nazionali e comunitarie e per politica di coesione che, stando a quanto riferito in Aula da Italia viva, risulta in gran parte impantanato.

IL CASO È SBARCATO ALLA CAMERA

Il caso è finito così all’attenzione del parlamento. Il deputato di Iv Marco Di Maio ha presentato un’interrogazione alla Camera per avere un chiarimento. Franceschini si è difeso, sostenendo di non aver «trovato riscontro di questa cifra dei 2 miliardi» ed elencando una serie di interventi: «Per il programma operativo “Cultura e sviluppo”, 490 milioni sono stati interamente programmati e in corso d’attuazione, tant’è vero che questo ha consentito, raggiungendo gli obiettivi di target e performance, di riprogrammare 29 milioni. I fondi Fesr e FdR sono 161 progetti, 426 milioni, 22 in fase di gara, 80 cantieri in corso, 28 cantieri conclusi». Tutto bene, quindi? Non proprio. «Ci sono 15 operazioni, per un importo di 314 milioni, che presentano dei ritardi attuativi», ha detto Franceschini nell’Aula di Montecitorio.

MENTRE I TERRITORI RESTANO IN ATTESA

Fatto sta che su quei due miliardi non è arrivata la delucidazione richiesta dall’interrogazione. Il deputato renziano Di Maio ha spiegato a Lettera43.it: «Questi non sono solo numeri, dietro ai fondi fermi ci sono progetti di grande impatto per piccole comunità, per territori che attendono da tempo la riqualificazione del proprio patrimonio, per pezzi di Italia che insieme formano una parte fondamentale della nostra identità nazionale». Insomma «l’investimento in cultura e turismo sarà uno dei vettori che potrà trainare la crescita nei prossimi anni e generare nuove opportunità di occupazione».

FRANCESCHINI HA PROMESSO IL SUO IMPEGNO

Franceschini ha comunque garantito il suo impegno per velocizzare le procedure di svolgimento dei lavori: «Prevedremo un servizio apposito che si occupi di contratti, quindi gare, relativi ai beni culturali, un ufficio apposito che si occupi di monitoraggio costante sullo stato di attuazione delle gare e, contemporaneamente, insisteremo nell’utilizzo, come sono le indicazioni di carattere generale, di Invitalia come stazione appaltante».

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Fondazioni e Think Tank, perché i controlli non funzionano

Aver equiparato associazioni e partiti e istituto una Commissione ad hoc non ha risolto i problemi. I cinque magistrati designati dovrebbero monitorare 6 mila organizzazioni e 56 mila persone. Ma mancano risorse e personale. Il report di OpenPolis.

Fatta la legge per i controlli sulle fondazioni, trovata la mancanza. Di risorse e personale. Con la conseguenza di vanificare gran parte delle intenzioni della riforma.

La norma, che equipara le fondazioni ai partiti, è entrata in vigore con il decreto Spazzacorrotti ed è stata ritoccata dal decreto Crescita e impone alle associazioni di pubblicare gli organi direttivi, il bilancio, lo Statuto e le donazioni. Ma presenta comunque un grande bug: non ci sono adeguate dotazioni di personale per verificare chi opera nelle fondazioni, tornate al centro della cronaca per le indagini su Open, la cosiddetta cassaforte renziana.

Su questo caso sarà l’inchiesta a chiarire le cose, ma un fatto è già assodato: la riforma voluta dal governo gialloverde non cambia le cose, almeno se si parla di controllo. Anzi fa perdere i magistrati, responsabili delle verifiche, in un mare magnum di nomi e informazioni. Smarriti in una platea sterminata da monitorare. 

LA COMMISSIONE DI GARANZIA È COMPOSTA SOLO DA 5 MAGISTRATI

La Commissione di garanzia degli statuti e per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti politici, chiamata a monitorare su questi enti, è formata infatti da cinque magistrati, esattamente come quando è stata istituita. Alla nascita aveva però solo il compito di controllare i partiti e i movimenti politici, che – per quanto numerosi – sono comunque inferiori alla fioritura di fondazioni. Uno studio OpenPolis, pubblicato qualche giorno fa, fornisce numeri impressionanti: dovrebbero essere sottoposti a verifiche quasi 54 mila persone, per un totale di oltre 6 mila organizzazioni.

IL MARE MAGNUM DELLE ORGANIZZAZIONI

«Per la legge rientrano nel novero delle organizzazioni da monitorare tutte quelle strutture i cui organi direttivi sono composti per un terzo da persone che hanno avuto incarichi politici negli ultimi sei anni nel parlamento europeo e nazionale, nel governo, nelle regioni e nei comuni con più di 15 mila abitanti», spiega nel dettaglio il dossier. «Stiamo parlando di 53.904 persone, un numero talmente elevato che rende la fattibilità stessa dell’operazione un’illusione. Di fronte a questi numeri gli allarmi lanciati dalla commissione di garanzia sul non avere i mezzi per svolgere il proprio mandato sembrano legittimi». Il giudizio è quindi tranchant: «La normativa per com’è ora serve infatti solo ad anestetizzare il problema: una legge scritta male e un organo di controllo che non ha i mezzi per vigilare».

SEIMILA ASSOCIAZIONI DA MONITORARE

Una relazione della stessa Commissione, risalente allo scorso maggio, ha evidenziato la questione dell’immane lavoro da svolgere a fronte di risorse limitate: «Nell’ampliamento della nozione di partito e di movimento politico segue il notevole incremento dei compiti di controllo e sanzionatori della Commissione, a cui si aggiunge un’intensa attività istruttoria per l’identificazione delle diverse realtà associative destinatarie della nuova normativa, che si possono ipotizzare in circa 6 mila unità», si legge nel documento consegnato alla Camera. Nel passaggio successivo c’è la denuncia della situazione: «Funzioni da espletare con risorse umane e organizzative invariate e in assenza di ogni supporto economico dei compiti di istituto». Insomma, una precisa richiesta di potenziamento dell’organico, uno degli ultimi atti dell’ex presidente, Luciano Calamaro, che ha rassegnato le dimissioni a giugno. Al suo posto è stato nominato Amedeo Federici, affiancato dagli altri quattro componenti dell’organismo, Fabrizio Di Marzio, Salvatore Cacace, Laura Cafasso e Luisa De Petris. Peraltro, ai componenti della Commissione «non è corrisposto alcun compenso o indennità per l’attività prestata», come recita la legge istitutiva.

NEL MIRINO SOPRATTUTTO CONSIGLIERI, ASSESSORI E SINDACI

OpenPolis ha messo insieme un po’ di numeri, utili a capire le dimensioni del fenomeno. La fetta maggiore delle persone da monitorare riguarda chi ha occupato ruoli nei comuni con più di 15 mila abitanti: si parla di 48.955 tra consiglieri, assessori e sindaci. Il 90% del totale. Mentre sono 4.949 i politici in ambito nazionale ed europeo, così suddivisi: 208 nel parlamento europeo, 245 nel governo, 663 nel Senato, 1.303 nella Camera, 2.530 nelle Regioni. Una cifra impegnativa, ma che renderebbe possibile uno screening. «È ingenuo mettere sullo stesso piano organizzazioni strutturate come Italianieuropei o Aspen, con realtà associative locali coinvolte dalla normativa solamente perché un terzo degli organi apicali è composto da politici con incarichi comunali», chiosa OpenPolis.

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