Sei anni da ex insider della finanza: LoSportello saluta Lettera43

Arrivederci ai lettori e grazie per l'autonomia e la libertà offerte a chi è arrivato da dentro il mondo delle banche per raccontarlo a chi è fuori.

È solo un arrivederci. Con tutti voi della redazione e con il direttore Paolo Madron.

Vi sono riconoscente ( o devo maledirvi? ) per avermi introdotto in questo mondo. Siete stati i primi a credere che avrei potuto fornire un contributo sui temi della finanza (o malafinanza).

Argomenti che, fino a quel momento, nessuno aveva avuto il coraggio di affrontare con la voce di un ex insider. Ricordo ancora la telefonata: «…abbiamo letto il tuo libro e vorremmo che tu scrivessi per il nostro giornale…». E dal 19 dicembre 2014 ogni settimana, ogni venerdì dell’anno, #LoSportello apriva le sue porte per fare informazione, denuncia, analisi. Sono stati 6 anni di assoluta autonomia e indipendenza. Ho scritto 230 articoli, alcuni dei quali hanno creato anche qualche problema 😱, ma mi sono sentito sempre tutelato e protetto.

Mai una censura. E bastava guardare gli inserzionisti del giornale per capire che forse per voi, qualche volta, non è stato facile pubblicare un mio articolo sulla stessa pagina dove compariva la pubblicità di una grande banca.

Ringrazio tutta la redazione (Andrea, Marcello, Sergio, Giovanna) cui auguro nuove e brillanti avventure. Ringrazio il direttore il cui cv non lascia adito a dubbi: ne vedremo ancora delle belle. Come ha scritto su Twitter «le storie iniziano, finiscono, si riprendono. Si vedrà».

E io sarò sempre a tua e vostra disposizione, riconoscente a vita. Nel frattempo Vi rendo onore su altre testate.

#LoSportello non chiude, si sposta semplicemente per un po’.

Ma vi aspetto

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Siano le banche a salvare il sistema creditizio, non lo Stato

Se volete evitare il fallimento di una banca aumentate le quote di partecipazione degli istituti al Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi. Perché stare sul mercato è una cosa seria e richiede correttezza, professionalità e onestà.

La Divina Commedia è sempre attuale. Ma gli ultimi capitoli non sono stati scritti da Dante ma dalla storia (e dalla cronaca) e riguardano i nostri banchieri, peccatori condannati, in base alla legge del contrappasso, a scontare una pena simile alla colpa. È quanto sta avvenendo negli ultimi anni per le banche che hanno dovuto aderire obbligatoriamente al Fondo interbancario di Tutela dei Depositi.

Ricordiamo che il Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi (Fitd) è un consorzio di diritto privato, disciplinato dal Decreto Legislativo 24 marzo 2011, n.49, che ha recepito la Direttiva 2009/14/CE, supervisionato dalla Banca d’Italia, cui devono obbligatoriamente aderire tutte le banche italiane aventi come forma societaria la Società per Azioni, e le banche extracomunitarie (che hanno filiali in Italia) che non aderiscano a sistemi di garanzia equivalenti. Non vi devono aderire le banche di Credito Cooperativo, che devono però al Fondo di Garanzia dei Depositanti del Credito Cooperativo, regolato dalla stessa normativa e con funzioni analoghe.

La finalità del Fondo è di tutelare i risparmi (non gli investimenti) dei clienti di banche che dovessero trovarsi in situazioni di insolvenza, quindi depositi in conto corrente, conti di deposito, certificati di deposito nominativi, libretti di risparmio nominativo e assegni circolari, garantiti in caso di fallimento dell’istituto di credito fino a 100 mila euro. Azioni, obbligazioni, pronti conto termine emessi dalla banca in liquidazione coatta, non rientrano nell’oggetto della tutela offerta dal Fitd. Nessuna scelta, nessuna opzione. Se un tuo collega, caro banchiere, ha gestito male (eufemismo) la sua banca, tu sei costretto a pagare le sue inefficienze! Il meccanismo del consorzio prevede infatti che le banche versino i loro contributi soltanto in caso di necessità (“ex post”) a chiamata entro 48 ore. L’impegno oscilla tra lo 0,4% e lo 0,8% dei fondi rimborsabili (la massa totale dei depositi presenti nelle filiali degli istituti italiani) di tutte le consorziate.

IL MERCATO NON DEVE PRIVATIZZARE GLI UTILI E SOCIALIZZARE LE PERDITE

In questi giorni ho sentito i direttori generali di due piccole banche che smadonnavano per dover assicurare la sopravvivenza di Banca Popolare di Bari con un contributo di circa 100 mila euro ciascuno. E si tratta di due piccole banche sane ed efficienti. Immaginate quanto possa pesare nel conto economico di grandi banche in difficoltà il salvataggio di una consorella in default? Milioni di euro che mettono in pericolo la vita della stessa banca soccorrente! E se, tra le varie misure più volte proposte su queste colonne, si pensasse di regolamentare un settore praticamente devastato anche aumentando la quota di partecipazione delle banche al Fondo e riducendo al minimo l’intervento dello Stato?

Se una banca è fuori mercato, allora fatela salvare dalle altre banche. Altrimenti che fallisca!

In tal modo aumenterebbero le pene all’interno del girone dantesco. La legge del contrappasso rappresenterebbe una sorta di “mano invisibile”, grazie alla quale, in una economia liberista, la ricerca egoistica del proprio interesse gioverebbe a se stessi e all’interesse dell’intero settore tentando di riequilibrarlo attraverso organi di controllo ricettivi agli input che vengono da quei manager che oggi bestemmiano turco perché efficienti, liberi, indipendenti e creditori nei confronti di Bankitalia che ha, invece, chiuso più di un occhio, ad esempio nella individuazione dei requisiti di onorabilità, nei confronti della mala gestione della maggior parte dei banchieri.

Ribadiamo che il mercato non deve più essere il luogo dove si privatizzano gli utili e si socializzano le perdite. Se una banca è fuori mercato, allora fatela salvare dalle altre banche. Altrimenti che fallisca! La prossima volta si eviterà di gestirla in maniera scorretta, spavalda e clientelare. Lo Stato non può fare tutto, né può continuare a essere il padre generoso che salva i suoi figli spericolati e scapestrati. È arrivato il momento di far capire che stare sul mercato è una cosa seria e richiede correttezza, professionalità e onestà. Perché poi lo Stato siamo noi che pagheremo le tasse per salvare quelle catapecchie che sono ormai diventate le banche del nostro Paese.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Quello che Visco fa finta di non capire

Il governatore di Bankitalia non dice bugie, ma omette. Palesando problemi nella distinzione tra malafinanza e finanza inefficiente.

In un paese che non cresce e che non crescerà nei prossimi anni, la funzione del sistema bancario diventa ancor più determinante. Semplicisticamente, nelle fasi di stagnazione, per sostenere l’economia produttiva si ha bisogno di credito. La Bce ha rivisto al ribasso la crescita del Pil nell’eurozona nel 2020 (solo +1,1%) e uno studio del Pardee Center della Università di Denver afferma che nel 2100 il Pil dell’Italia sarà al 23esimo posto nel mondo. Altro che G8. Il nostro Pil varrà un misero 0,82% di quello mondiale, contro il 2,55% di oggi. Davanti all’Italia in rapporto al PIL ci saranno anche paesi come l’Indonesia, la Nigeria, l’Iraq, il Pakistan, l’Etiopia, la Tanzania, e l’Uganda. La decrescita europea non crea benessere ma povertà, i flussi di ricchezza si spostano verso oriente ed il nostro Pil perde slancio. Poca innovazione, poca flessibilità e troppa burocrazia. La ricerca di un nuovo benessere può passare anche da una decrescita ma solo con una sana politica del credito. In questo scenario cosa fa il governatore della Banca d’Italia? Lo struzzo. Facendo finta di non capire.

L’ARCHETIPO DEL BANCHIERE ITALIANO

Il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco è l’archetipo del banchiere e bancario italiano: non dice bugie ma omette. L’omissione è la regola. Anche in occasione della intervista rilasciata al Corsera il numero uno di palazzo Koch ha ribadito che «queste banche (quelle in crisi) rappresentavano, nel complesso, il 10% degli attivi totali, il che vuol dire che il restante 90% ha fatto fronte alle gravissime conseguenze della crisi dell’economia reale». L’arte del minimizzare è spesso l’unica arma che hanno tra le mani i perdenti. È l’ atteggiamento che ha avuto Visco (e alcune penne di sistema) che difende un mondo che presenta ormai più buchi di una fetta di formaggio svizzero. È vero che solo le banche che rappresentavano il 10% degli attivi totali ha manifestato pubblicamente lo stato di crisi. Visco non ha detto una bugia. Ma ha dimenticato di aggiungere, ecco la strategica omissione, che il sistema bancario nella sua interezza ha evidenziato una palese inefficienza più volte ribadita ed analizzata su queste colonne.

LA DIFFERENZA TRA MALAFINANZA E INEFFICIENZA

Ancora oggi si fa fatica a capire la differenza tra malafinanza (bilanci falsi, politiche commerciali violente, abusi sui clienti, corruzione, collusione, ecc.) dalla finanza inefficiente. Quella finanza che non riesce più a fare ricavi e che produce utili (pochi) solo attraverso il contenimento dei costi, quella che continua a fare credito con modelli di analisi superati, quella che non si è ancora accorta dell’arrivo della fintech e dei mostri (Yahoo, Amazon, Google, Facebook, ecc) , quella che ha perso completamente il capitale di fiducia dei clienti, quella con un management obsoleto e vecchio (che non è la stessa cosa). Basta guardare l’andamento del Ftse Italia All Share Banks, l’indice settoriale delle banche italiane quotate, per capire quanto le politiche gestionali dei banchieri nostrani hanno inciso sulla capitalizzazione (il valore di mercato delle azioni in circolazione) complessiva del sistema. A fine 2009 l’indice valeva circa 21.640 punti, oggi vale 9.440 punti. Il 56% di riduzione di valore. E di chi è la responsabilità? Il regolatore dovrebbe ripensare forse ad un modello di sistema bancario più coerente con la nostra economia? Ne riparleremo presto.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

I testimonial delle banche sanno cosa pubblicizzano?

Tanti personaggi di cultura, spettacolo e sport sono chiamati a fare spot per brand finanziari. Senza pensare agli effetti della cattiva reputazione di alcuni istituti di credito coinvolti in scandali e default o di certi prodotti. Questione di etica, troppo spesso trascurata.

Mi sono sempre chiesto, guardando gli spot pubblicitari di banche e società finanziarie, quanto e cosa sapessero di quell’azienda o di quel prodotto i personaggi del mondo della cultura, informazione, spettacolo e sport chiamati a fare i testimonial. Probabilmente nulla. Come la maggior degli italiani, tra l’altro, che in termini di informazione e cultura finanziaria sono tra i meno preparati rispetto ai cittadini dell’Unione europea e in generale di altri Paesi avanzati.

SPESSO AVVIENE UNA SIMBIOSI TRA BRAND E PERSONAGGIO

Una cosa è certa: il testimonial viene scelto per rappresentare un brand. Il marchio, a cui si associa il personaggio-persona fisica che lo pubblicizza, deve rispecchiarsi nel testimonial e viceversa. Si assiste, molto spesso, a una simbiosi tra brand e persona. Talmente forte che i contratti che di solito regolano questo tipo di pubblicità possono prevedere clausole e obblighi comportamentali che devono essere rispettati dal testimonial anche nella vita privata. Perché il personaggio famoso ha delle responsabilità ben precise che riguardano anche la vita privata, nei confronti dei suoi fan e del brand che pubblicizza.

NEI CONTRATTI CI SONO PURE CLAUSOLE MORALI

All’interno dei contratti ci sono molto spesso anche le cosiddette clausole morali. In altri termini la celebrity ha l’obbligo, per esempio, di mantenere nella vita privata comportamenti eticamente corretti oppure di non rilasciare dichiarazioni che in un certo qual modo possano incidere negativamente sulla reputazione dell’azienda.

I TESTIMONIAL SI TUTELANO DALLA BAD REPUTATION DI UNA BANCA?

Ma, in termini di responsabilità, è garantita la reciprocità? Cioè i vip si sono mai preoccupati di tutelarsi dai rischi derivanti dalla bad reputation del brand bancario o del prodotto finanziario? Sono convinto che il simpaticissimo Nino Frassica non sia assolutamente consapevole del fatto che, pubblicizzando una carta di credito revolving (carta Easy di Compass) stia spingendo i cittadini ignari verso un certo tipo di prodotto (tasso medio circa 16%; soglia usura del 24%) e in una spirale di pagamenti imposti prima di poter sancire la chiusura del debito.

PROPAGANDA CHE ARRIVA PERSINO DALL’INFORMAZIONE

Non solo, ma nei miei 22 anni di permanenza in quel sistema mi sono spesso imbattuto in famosi e gloriosi personaggi del mondo dell’informazione che partecipavano, retribuiti profumatamente, a convention aziendali dove si magnificavano i comportamenti virtuosi del management (di banche poi coinvolte in scandali e default). Ho ascoltato peana che la propaganda della Romania di Ceausescu al confronto sembrava ridicola.

NON BASTA L’ONESTÀ, SERVE PURE L’ETICA

Quello che stona, però, è che poi molti personaggi spesso vanno in televisione a fare i moralizzatori del sistema-Paese nel rispetto di una etica dei comportamenti che riguarda però… sempre gli altri. Etica, che parolone. E soprattutto che abuso improprio nel nostro Paese. Spesso confusa con il concetto di onestà. Senza voler scomodare filosofi e sacre scritture, forse è il caso di ricordare semplicisticamente che una persona onesta è «quella che non ruba» mentre una persona orientata a vivere secondo principi etici è «quella che non solo non ruba, ma che se vede un altro rubare lo denuncia». Intendendo come denuncia anche la capacità di dire no a un’agenzia pubblicitaria.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Ottimismo e sangue freddo: identikit del buon investitore

Sappiamo che nei momenti peggiori si colgono le migliori opportunità. Peccato però che quando poi ci si trova a tu per tu con un calo del 50%, le teorie crollano e le emozioni (negative) dominano. Ecco come e perché tenerle a bada.

Nel processo di controllo (e autocontrollo) dei propri investimenti visto nelle ultime settimane occorre analizzare l’ultimo passaggio fondamentale per il risparmiatore alle prime armi: inserire il pilota automatico. Che i mercati non possano solo salire lo sappiamo tutti. Così come tutti, nei momenti peggiori, ci diciamo: «Nelle discese più profonde si colgono le migliori opportunità». Peccato però che quando poi ci si trova a tu per tu con un calo del 50%, le teorie crollano e le emozioni (negative) dominano. La verità, infatti, è che appena i mercati iniziano a scendere riaffiorano i comportamenti irrazionali, e con questi la voglia di entrare e uscire dai mercati, anticipare i crolli, investire nei minimi per uscire sui massimi: comportamenti che nel 99,99999999% dei casi non riescono mai a produrre l’effetto desiderato.

LE VOSTRE SCELTE FORMANO I PREZZI DEI PRODOTTI FINANZIARI

I mercati (azionari, obbligazionari o di qualunque altro tipo) semplicisticamente non sono che la somma di tutte le scelte di acquisto e di vendita di tutti i partecipanti ai mercati stessi. Le scelte formano i prezzi dei singoli prodotti finanziari e determinano i rialzi e i ribassi di un determinato mercato. Può essere interessante osservare come negli ultimi 11 anni, a partire dalla pesantissima crisi del 2008, l’indice della paura, il cosiddetto «VIX» (Volatility Index), utilizzato dalla maggioranza degli analisti per «prevedere» l’imminente crollo dei mercati, abbia dato a più riprese una serie di falsi segnali spiazzando completamente chi, più furbo degli altri, aveva pensato di uscire dal mercato per poi rientrarci a prezzi più convenienti. Bene, in quest’ultimo decennio i «furbetti del mercatino» sono più volte rimasti a bocca asciutta, proprio perché, a dispetto delle previsioni, il mercato ha continuato a salire senza soluzione di continuità. Il singolo investitore, in pratica, può essere paragonato alla classica goccia in un oceano formato da tantissime goccioline che oscillano, scivolano le une sulle altre, creano onde, si mischiano e fluttuano, ma in cui nessuna può condizionare il movimento complessivo del mare. Tutte ne fanno parte, ma nessuna può avere la forza di andare contro corrente, può solo accettare l’evoluzione delle onde.

LA CONSAPEVOLEZZA FINANZIARIA PRIMA DI TUTTO

Per questo per investire bene bisogna maturare buone abitudini finanziarie, quelle piu volte suggerite in questa rubrica, inserire il pilota automatico (magari aiutati da un fedele e professionale consulente-copilota) e lasciarsi trasportare dalla propria consapevolezza (finanziaria). Quella consapevolezza che è stata sempre il vero e unico motivo per cui scrivo. Questa rubrica compie oggi cinque anni e negli oltre 250 articoli scritti per questo giornale non vi ho mai parlato di marche di prodotti. Non vi ho mai consigliato uno specifico strumento. Non ho mai magnificato una determinata griffe. Perché non era e non è l’obiettivo di questa rubrica, che tenta solo di farvi maturare più consapevolezza e sicurezza quando entrate in un negozio e il commesso vi accoglie con la classica frase: «Prego, di cosa ha bisogno? Posso esserle d’aiuto?».

BISOGNA SAPERE SCHIVARE CERTE PRESSIONI

Ma, come già sapete, nei «negozi finanziari» i prodotti non si acquistano, si vendono. I commessi-consulenti vi accolgono con la frase: «Ho questo prodotto per lei, lo deve acquistare», senza nemmeno chiedervi se soddisfa i vostri bisogni. Ecco: spero, mi auguro che in questi cinque anni abbiate avuto quasi tutti gli elementi per acquistare un prodotto e schivare certe pressioni. Un po’ come avviene quando entrate in un negozio per acquistare una cravatta avendo già bene in mente che:
• dovete abbinarla a un abito formale scuro e scarpe classiche nere;
• dovete indossarla per una cerimonia in un ambiente molto chic;
• dovete indossarla in piena estate.
Consapevoli di tutto questo, non credo che riuscirete a farvi convincere dal commesso-venditore ad acquistare una cravatta di lana a motivi floreali di colori sgargianti. Buon Natale a voi tutti.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Quelle opportunità nascoste dietro un crollo della Borsa

Come (e perché) sfruttare il calo di titoli prestigiosi. Gettando lo sguardo oltre i dubbi di breve periodo. Rapida introduzione al "mix in caduta".

Nel processo di controllo dei propri investimenti, anche il risparmiatore alle prime armi deve approfittare del “mix in caduta”. Di cosa si tratta? Il monitoraggio dei portafogli va fatto cogliendo le opportunità che il mercato offre lungo il percorso di investimento. Se applicate il constant mix in automatico a determinate scadenze (almeno ogni 12 mesi, come già visto la settimana scorsa), il mix in caduta si attiva ogni qualvolta un vostro asset subisce un calo importante (nel caso dell’azionario, superiore al 30%; nel caso dell’obbligazionario, superiore al 10%). Riequilibrando il portafoglio secondo la regola del constant mix di cui sopra, o in alternativa investendo nuove risorse (nel rispetto dei vostri obiettivi e del profilo di rischio, naturalmente). Spieghiamo il perché.

UNA QUESTIONE DI PROSPETTIVA

Abbiamo detto a più riprese che l’economia globale cresce sempre e che noi, investendo in strumenti efficienti, siamo in grado di incorporare questa crescita. Ma abbiamo anche sottolineato che i mercati finanziari non crescono in modo costante e lineare, perché nel breve periodo sono condizionati da fattori emotivi e speculativi che generano oscillazioni incontrollabili. Pertanto, ogni volta che il mercato crolla abbiamo un’opportunità unica di acquisto. È un po’ come durante i saldi, ma su prodotti di lusso: chi si farebbe sfuggire l’occasione di acquistare a metà prezzo una Mercedes, un iPhone, una borsa di Louis Vuitton o un Rolex? Ebbene sì: quando crolla la Borsa abbiamo l’occasione unica di comprare a metà prezzo le azioni di tutte queste aziende, quindi perché non farlo? Se non lo fate è perché il vostro sguardo non è rivolto lontano, all’orizzonte temporale giusto, ma è concentrato sul breve periodo, sulla piccola tragedia che state vivendo in quel momento. Vi impantanate a rimuginare che state momentaneamente perdendo il 30-40%. È solo questione di prospettiva.

Se per almeno una settimana sentite al telegiornale commenti del tipo «La Borsa sta crollando», allora è il momento di sedersi al tavolo con il vostro consulente

Mi direte: «E come faccio a seguire i mercati in caduta? Non ho tempo e competenze per poterlo fare!» Non lo accetto più. Si tratta dei vostri soldi e un minimo di attenzione dovere averlo. Ma la soluzione smart c’è. In questo i media contribuiscono parecchio a spaventarvi. Se per almeno una settimana sentite al telegiornale o nei talk televisivi o leggete sul giornale commenti del tipo: «La Borsa sta crollando», «I mercati non reagiscono» e altre frasi a effetto negativo, allora è il momento di sedersi al tavolo con il vostro consulente e verificare se è il caso di approfittare del mix in caduta. E comunque è venuto il momento di non fare l’italiano figlio di Guicciardini perché dietro quelle notizie ci potrebbe essere anche l’opportunità per il vostro investimento.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Negli investimenti la cosa più difficile è controllare e controllarsi

Comportamenti irrazionali talvolta rischiano di compromettere non solo i risparmi degli investitori, ma anche i loro obiettivi di vita. Garantire un «constant mix» può aiutare: ecco come funziona.

L’ultimo passo del processo di investimento analizzato su queste colonne nelle ultime settimane è di sicuro quello più difficile da rispettare per un investitore inesperto: controllare e controllarsi.
È semplice da spiegare ma complicato da seguire, perché a determinare le scelte, ormai lo sapete, non è la ragione ma l’istinto, la paura, l’euforia. Sapete anche che i comportamenti irrazionali talvolta rischiano di compromettere non solo i risparmi degli investitori, ma anche i loro obiettivi di vita.

Per evitare di cadere nei soliti errori, proviamo a ragionare su alcuni comportamenti da adottare per migliorare la gestione del portafoglio e dare vita a un’efficace politica di controllo (o monitoraggio).

In particolare, dovreste osservare tre semplici regole:

  1. Garantire un «constant mix» o peso costante.
  2. Approfittare del mix in caduta.
  3. Inserire il pilota automatico.

IL CONSTANT MIX, VIA PER MONITORARE GLI INVESTIMENTI

Questa settimana ci concentreremo sul «constant mix», una regola semplice ma utilissima e molto efficace per monitorare un investimento nel lungo periodo. In pratica, a intervalli di tempo definiti (almeno di 12 mesi) si può intervenire sul portafoglio per mantenere costante il peso dei differenti asset all’interno del portafoglio.

Il constant mix presenta due vantaggi:

  1. Mantiene inalterati i livelli di rischio;
  2. Consente di avere un approccio razionale: applicato con costanza, infatti, permette di alleggerire (vendere) asset rischiosi dopo fasi di elevata crescita e di investire (acquistare) negli stessi quando scendono pesantemente. Cosa non da poco, se consideriamo che tutte le ricerche dimostrano come l’emotività degli investitori li porti a scappare quando i mercati scendono, e a investire solo dopo avere osservato con lo specchietto retrovisore che da alcuni anni quell’asset è cresciuto. Per esempio, se investite il 50% dei vostri risparmi in azioni e l’altro 50% in obbligazioni, nel tempo questi due asset avranno un rendimento diverso (data la loro differente natura) che potrebbe portare a sbilanciare il portafoglio verso rischi che non volevate assumervi. Nel caso rappresentato nella prossima tabella, l’azionario passa da 50% a 90%, con un’incidenza sul nuovo portafoglio complessivo del 60% (90/150%) e non più del 50%. Pertanto è opportuno riequilibrare il portafoglio nel rispetto dei rischi che ci si era ripromessi di assumere, trasferendo il 15% dalle azioni (che diventano 75%) alle obbligazioni (che si riducono a 75%), in modo da riavere la composizione originaria 50%-50%.

La stessa regola vale anche in caso di performance negativa. Come si nota dalla tabella successiva, un calo importante dell’azionario (da 50% a 30%) e un aumento dell’obbligazionario (da 50% a 56%) alterano pesantemente la struttura di portafoglio: l’azionario in questo caso peserà solo per il 34% (30/86%) e non come da intenzione iniziale per il 50%.

In questa ipotesi è bene aumentare la quota azionaria da 30% a 43% attingendo dall’asset obbligazionario, che scenderà da 56% a 43%, in modo da ritornare alla composizione originaria 50%-50%.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Investite nei mercati che incorporano l’economia reale

Un indice azionario efficiente incorpora sempre la crescita, ha tanti operatori così da impedire che pochi attori possano condizionarne l’andamento ed è in grado di assorbire subito i cambiamenti dell'economia.

Proseguendo nel percorso relativo al comportamento che un investitore alle prime armi deve tenere nei processi di investimento dei propri risparmi, affrontiamo questa settimana la seconda delle tre regole da seguire: investire con strumenti efficienti

Oltre a investire in modo globale, dovete assicurarvi che lo strumento su cui investite sia efficiente. Dovete puntare sulla crescita economica del pianeta, non su singoli titoli (per esempio Telecom, Enel eccetera) o mode del momento (come settori particolari tipo biotecnologie, farmaceutici, energetici e così via), e nemmeno su singoli Paesi (per esempio, esclusivamente su titoli o indici italiani).

Ma cosa s’intende per «efficiente»? Un indice, un mercato o uno strumento finanziario è efficiente quando è in grado di incorporare appieno l’economia reale che rappresenta. Tecnicamente, gli economisti parlano di capacità di incorporare tutte le informazioni che derivano dal mercato. Inoltre, un mercato è efficiente quando ci sono tanti operatori, così da impedire che pochi attori possano condizionarne l’andamento, e anche quando è molto liquido e reattivo, in grado cioè di incorporare immediatamente i cambiamenti che avvengono al suo interno.

IL MERCATO AZIONARIO ITALIANO NON È EFFICIENTE

Un mercato azionario efficiente, dunque, incorpora sempre la crescita economica, che però avviene esclusivamente nel lungo periodo. Come abbiamo visto due settimane fa, nel breve periodo i fattori emotivi e speculativi incidono sulle oscillazioni delle azioni. Per questo è fondamentale saper aspettare che i frutti maturino e non farsi prendere dalla logica di breve periodo: anche se i mercati crollano, bisogna vedere un’eventuale perdita momentanea del 30-40% come un’importante opportunità, più che una tragica fatalità.

Il mercato italiano non non è in grado di incorporare la crescita economica del Paese

Il mercato finanziario italiano, per esempio, non è efficiente. Al di là della nostra economia, che ormai è al palo da decenni, il mercato non presenta le caratteristiche dell’efficienza, e non è in grado di incorporare la crescita economica del Paese, perché condizionato da pochi attori che fanno il bello e il cattivo tempo.

Chi non ricorda le scorribande del finanziere Soros & compagni tra il 2011 e il 2013 sui nostri titoli di Stato, che rischiarono di mettere in ginocchio il Paese? O tutte quelle attività ultra-speculative fatte su singoli titoli azionari che nel tempo hanno affossato anche il mercato nel suo complesso? Questo spiega in parte anche perché dal 2011 a oggi mercati più efficienti come quello americano ed europeo abbiano più che raddoppiato il loro valore, mentre il mercato italiano è ancora in negativo rispetto ai massimi del 2008!

ATTENZIONE AI COSTI E AI GESTORI DEL VOSTRO RISPARMIO

Oltre all’efficienza in senso stretto, la selezione degli strumenti da inserire nel portafoglio deve considerare anche l’efficienza in termini di costi (commissioni e spese varie). Ipotizziamo un investimento di 1.000 euro e un rendimento annuo del 6% per 30 anni. Un prodotto con un costo dell’1% genera in questo arco di tempo, per effetto dell’interesse composto, un capitale finale di 4.248 euro, mentre lo stesso prodotto ma con un costo del 2,5% (quindi 1,5% in più) frutta un capitale finale di soli 2.687 euro. L’incidenza dei costi, dunque, in questo caso quasi dimezza il capitale finale.

È fondamentale avviare un’attività di selezione dei migliori strumenti globali del risparmio gestito

La sintesi di tutto quanto detto finora si chiama «risparmio gestito», ovvero quando il risparmio di un investitore viene gestito da un intermediario finanziario specializzato, sia questo una Sgr o una banca. L’intermediario esegue tutte le operazioni di acquisto e vendita di attività finanziarie per costruire un portafoglio caratterizzato da un livello di rischio e da una modalità di gestione (attiva o passiva). Agli operatori, ovviamente, viene riconosciuta una commissione su tali attività. Forse starete pensando: ma che fa Imperatore, ci ributta di nuovo tra le fauci di quegli squali delle banche?

A questo punto, infatti, è fondamentale avviare un’attività di selezione non più della banca, che abbiamo già scelto secondo i criteri che abbiamo già consigliato su queste colonne, ma dei migliori strumenti globali del risparmio gestito, capaci non solo di incorporare la crescita di aree economiche importanti, ma anche di ridurre al minimo i costi. È la combinazione di questi due fattori a incidere sui rendimenti di portafoglio.

LA DIFFERENZA TRA FONDI ATTIVI E FONDI PASSIVI

Gli strumenti da prendere in considerazione si potrebbero dividere in due grandi categorie: fondi attivi e fondi passivi. I fondi gestiti in maniera attiva cercano di «battere» il mercato selezionando solo alcuni titoli, convinti che questi saliranno più degli altri. Il gestore di un fondo attivo costruisce dunque il portafoglio con un costante lavoro di ricerca, analisi e selezione. Questa complessa attività ha un costo a volte anche elevato che ricade sul fondo, e dunque sull’investitore. I gestori attivi possono applicare differenti strategie d’investimento (stili di gestione) selezionando alcuni titoli piuttosto che altri, aumentando o diminuendo la posizione in un’area geografica piuttosto che in un’altra e così via.

L’esperienza ha dimostrato che pochissimi gestori riescono sistematicamente a battere il mercato

In sintesi, il gestore attivo è libero di operare a livello globale con l’unico obiettivo di guadagnare più del mercato. Questo, però, solo sulla carta. L’esperienza, invece, ha dimostrato che pochissimi gestori riescono sistematicamente a battere il mercato. Meno del 15% è in grado di farlo in maniera costante, e non solo per le enormi difficoltà tecniche di prevedere(e quindi indovinare) quale titolo andrà meglio di altri, ma anche perché sulle performance di questi fondi incidono molto le spese di gestione.

Un fondo passivo (per esempio gli Etf, Exchange Traded Fund) ha invece come obiettivo principale la replica del mercato. Si prefigge di comprare tutti i titoli presenti in un mercato attribuendogli anche lo stesso peso, in modo da avere un andamento identico al mercato stesso. Per questo i fondi passivi, una volta implementati, non hanno bisogno di analisi, strategie o altro e possono ridurre al minimo i costi di gestione.

SERVE DIVERSIFICARE I PROPRI INVESTIMENTI

Quindi, quali fondi scegliere tra attivi e passivi? Dipende. Se siamo in grado di selezionare tra i fondi attivi quei pochi che riescono costantemente a «performare» più del mercato, allora possiamo inserire in portafoglio una buona dose di fondi attivi, consapevoli che il loro andamento non dipenderà solo dal mercato, ma anche dalle scelte del gestore (ci sono molti gestori attivi che da anni ottengono performance eccezionali, come pure gestori attivi che non sono mai riusciti a battere il mercato).

Consiglio di utilizzare come strumenti di base i fondi passivi e come strumenti satellite i fondi attivi

Di solito i fondi attivi sono più efficienti nelle fasi in cui sul mercato c’è maggiore oscillazione (che tecnicamente si chiama «volatilità»), perché nelle situazioni di incertezza riescono a esprimere meglio la loro bravura nel selezionare i titoli vincenti. I fondi passivi, al contrario, sono imbattibili quando l’oscillazione è molto contenuta, anche se avendo costi molto ridotti (come gli Etf, appunto) nel lungo periodo riescono sempre a generare performance positive.

Per questo motivo, e anche per rendervi la vita un po’ più semplice, nel processo di investimento vi consiglio di utilizzare come strumenti di base i fondi passivi, che sono più affidabili e meno costosi, e come strumenti satellite i fondi attivi (ma selezionando quei pochi gestori capaci), che nei momenti di alta volatilità dei mercati potrebbero dare una mano al rendimento del portafoglio.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Investite nei mercati che incorporano l’economia reale

Un indice azionario efficiente incorpora sempre la crescita, ha tanti operatori così da impedire che pochi attori possano condizionarne l’andamento ed è in grado di assorbire subito i cambiamenti dell'economia.

Proseguendo nel percorso relativo al comportamento che un investitore alle prime armi deve tenere nei processi di investimento dei propri risparmi, affrontiamo questa settimana la seconda delle tre regole da seguire: investire con strumenti efficienti

Oltre a investire in modo globale, dovete assicurarvi che lo strumento su cui investite sia efficiente. Dovete puntare sulla crescita economica del pianeta, non su singoli titoli (per esempio Telecom, Enel eccetera) o mode del momento (come settori particolari tipo biotecnologie, farmaceutici, energetici e così via), e nemmeno su singoli Paesi (per esempio, esclusivamente su titoli o indici italiani).

Ma cosa s’intende per «efficiente»? Un indice, un mercato o uno strumento finanziario è efficiente quando è in grado di incorporare appieno l’economia reale che rappresenta. Tecnicamente, gli economisti parlano di capacità di incorporare tutte le informazioni che derivano dal mercato. Inoltre, un mercato è efficiente quando ci sono tanti operatori, così da impedire che pochi attori possano condizionarne l’andamento, e anche quando è molto liquido e reattivo, in grado cioè di incorporare immediatamente i cambiamenti che avvengono al suo interno.

IL MERCATO AZIONARIO ITALIANO NON È EFFICIENTE

Un mercato azionario efficiente, dunque, incorpora sempre la crescita economica, che però avviene esclusivamente nel lungo periodo. Come abbiamo visto due settimane fa, nel breve periodo i fattori emotivi e speculativi incidono sulle oscillazioni delle azioni. Per questo è fondamentale saper aspettare che i frutti maturino e non farsi prendere dalla logica di breve periodo: anche se i mercati crollano, bisogna vedere un’eventuale perdita momentanea del 30-40% come un’importante opportunità, più che una tragica fatalità.

Il mercato italiano non non è in grado di incorporare la crescita economica del Paese

Il mercato finanziario italiano, per esempio, non è efficiente. Al di là della nostra economia, che ormai è al palo da decenni, il mercato non presenta le caratteristiche dell’efficienza, e non è in grado di incorporare la crescita economica del Paese, perché condizionato da pochi attori che fanno il bello e il cattivo tempo.

Chi non ricorda le scorribande del finanziere Soros & compagni tra il 2011 e il 2013 sui nostri titoli di Stato, che rischiarono di mettere in ginocchio il Paese? O tutte quelle attività ultra-speculative fatte su singoli titoli azionari che nel tempo hanno affossato anche il mercato nel suo complesso? Questo spiega in parte anche perché dal 2011 a oggi mercati più efficienti come quello americano ed europeo abbiano più che raddoppiato il loro valore, mentre il mercato italiano è ancora in negativo rispetto ai massimi del 2008!

ATTENZIONE AI COSTI E AI GESTORI DEL VOSTRO RISPARMIO

Oltre all’efficienza in senso stretto, la selezione degli strumenti da inserire nel portafoglio deve considerare anche l’efficienza in termini di costi (commissioni e spese varie). Ipotizziamo un investimento di 1.000 euro e un rendimento annuo del 6% per 30 anni. Un prodotto con un costo dell’1% genera in questo arco di tempo, per effetto dell’interesse composto, un capitale finale di 4.248 euro, mentre lo stesso prodotto ma con un costo del 2,5% (quindi 1,5% in più) frutta un capitale finale di soli 2.687 euro. L’incidenza dei costi, dunque, in questo caso quasi dimezza il capitale finale.

È fondamentale avviare un’attività di selezione dei migliori strumenti globali del risparmio gestito

La sintesi di tutto quanto detto finora si chiama «risparmio gestito», ovvero quando il risparmio di un investitore viene gestito da un intermediario finanziario specializzato, sia questo una Sgr o una banca. L’intermediario esegue tutte le operazioni di acquisto e vendita di attività finanziarie per costruire un portafoglio caratterizzato da un livello di rischio e da una modalità di gestione (attiva o passiva). Agli operatori, ovviamente, viene riconosciuta una commissione su tali attività. Forse starete pensando: ma che fa Imperatore, ci ributta di nuovo tra le fauci di quegli squali delle banche?

A questo punto, infatti, è fondamentale avviare un’attività di selezione non più della banca, che abbiamo già scelto secondo i criteri che abbiamo già consigliato su queste colonne, ma dei migliori strumenti globali del risparmio gestito, capaci non solo di incorporare la crescita di aree economiche importanti, ma anche di ridurre al minimo i costi. È la combinazione di questi due fattori a incidere sui rendimenti di portafoglio.

LA DIFFERENZA TRA FONDI ATTIVI E FONDI PASSIVI

Gli strumenti da prendere in considerazione si potrebbero dividere in due grandi categorie: fondi attivi e fondi passivi. I fondi gestiti in maniera attiva cercano di «battere» il mercato selezionando solo alcuni titoli, convinti che questi saliranno più degli altri. Il gestore di un fondo attivo costruisce dunque il portafoglio con un costante lavoro di ricerca, analisi e selezione. Questa complessa attività ha un costo a volte anche elevato che ricade sul fondo, e dunque sull’investitore. I gestori attivi possono applicare differenti strategie d’investimento (stili di gestione) selezionando alcuni titoli piuttosto che altri, aumentando o diminuendo la posizione in un’area geografica piuttosto che in un’altra e così via.

L’esperienza ha dimostrato che pochissimi gestori riescono sistematicamente a battere il mercato

In sintesi, il gestore attivo è libero di operare a livello globale con l’unico obiettivo di guadagnare più del mercato. Questo, però, solo sulla carta. L’esperienza, invece, ha dimostrato che pochissimi gestori riescono sistematicamente a battere il mercato. Meno del 15% è in grado di farlo in maniera costante, e non solo per le enormi difficoltà tecniche di prevedere(e quindi indovinare) quale titolo andrà meglio di altri, ma anche perché sulle performance di questi fondi incidono molto le spese di gestione.

Un fondo passivo (per esempio gli Etf, Exchange Traded Fund) ha invece come obiettivo principale la replica del mercato. Si prefigge di comprare tutti i titoli presenti in un mercato attribuendogli anche lo stesso peso, in modo da avere un andamento identico al mercato stesso. Per questo i fondi passivi, una volta implementati, non hanno bisogno di analisi, strategie o altro e possono ridurre al minimo i costi di gestione.

SERVE DIVERSIFICARE I PROPRI INVESTIMENTI

Quindi, quali fondi scegliere tra attivi e passivi? Dipende. Se siamo in grado di selezionare tra i fondi attivi quei pochi che riescono costantemente a «performare» più del mercato, allora possiamo inserire in portafoglio una buona dose di fondi attivi, consapevoli che il loro andamento non dipenderà solo dal mercato, ma anche dalle scelte del gestore (ci sono molti gestori attivi che da anni ottengono performance eccezionali, come pure gestori attivi che non sono mai riusciti a battere il mercato).

Consiglio di utilizzare come strumenti di base i fondi passivi e come strumenti satellite i fondi attivi

Di solito i fondi attivi sono più efficienti nelle fasi in cui sul mercato c’è maggiore oscillazione (che tecnicamente si chiama «volatilità»), perché nelle situazioni di incertezza riescono a esprimere meglio la loro bravura nel selezionare i titoli vincenti. I fondi passivi, al contrario, sono imbattibili quando l’oscillazione è molto contenuta, anche se avendo costi molto ridotti (come gli Etf, appunto) nel lungo periodo riescono sempre a generare performance positive.

Per questo motivo, e anche per rendervi la vita un po’ più semplice, nel processo di investimento vi consiglio di utilizzare come strumenti di base i fondi passivi, che sono più affidabili e meno costosi, e come strumenti satellite i fondi attivi (ma selezionando quei pochi gestori capaci), che nei momenti di alta volatilità dei mercati potrebbero dare una mano al rendimento del portafoglio.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Banche tradizionali, il vostro tempo è ormai giunto al termine

Gli istituti di credito classici ascoltano più il loro management che i clienti. Così le nuove realtà fin-tech stanno guadagnando terreno conquistando la fiducia dei risparmiatori.

Le banche hanno perso il loro capitale di fiducia ma continuano a immaginare (basta guardare gli spot pubblicitari) «un mondo che non c’è» basato sui residui deliri di onnipotenza o, peggio ancora, su incompetenze e scarsa visione strategica.

Secondo il Barometro della fiducia di Edelman, la più grande società di consulenza in comunicazione e relazioni pubbliche a livello globale, la fiducia negli istituti finanziari è la più bassa registrata se paragonata ai livelli di fiducia di tutti gli altri settori di business.

Tuttavia, secondo una ricerca, fornitaci in anteprima, condotta da Trustpilot, la piattaforma di recensioni più influente al mondo, il settore del fin-tech costituisce un’eccezione. Più del 40% degli intervistati, infatti, ritiene che le aziende di questa branca del settore finanziario siano «altamente affidabili». Il motivo è semplice: queste attività nate in tempi più recenti non si portano dietro lo stesso pesante bagaglio delle aziende finanziarie tradizionali.

L’ASCOLTO DEL CLIENTE, LA COSA PIÙ IMPORTANTE

La sfida per queste giovani aziende è, dunque, quella di mantenere e rafforzare la fiducia dei clienti. E per questo la riprova sociale è per loro un fattore essenziale. Ma esiste un altro fattore determinante per queste start-up e scale-up: ascoltano il cliente. L’importanza dell’esperienza del cliente è tale da pesare più dell’innovazione agli occhi dei manager di aziende fin-tech.

Per un cliente di una banca sembra che non sia più importante esibire il libretto di assegni di Unicredit o di Deutsche Bank per accreditarsi con gli stakeholders

Secondo un sondaggio effettuato dalla società di ricerca e consulenza London Research, quasi la metà di esse (il 46%) è, infatti, dell’idea che ciò che realmente fa la differenza per il proprio business sia la qualità dell’esperienza del cliente, rispetto al 38% che ritiene «il prodotto/l’innovazione» il fattore più importante, solitamente visto come la stessa ragion d’essere di una startup.

L’esperienza del cliente è, inoltre, ritenuta significativamente più importante della notorietà del brand (7%), della reputazione online (5%) e del prezzo (4%). Per un cliente di una banca sembra quindi che non sia più importante, così come avveniva nel secolo scorso, esibire il libretto di assegni di Unicredit o di Deutsche Bank per accreditarsi agli occhi dei propri stakeholders, in primis i fornitori.

SUPERARE LE BANCHE TRADIZIONALI OFFRENDO SERVIZI NUOVI

Eppure i ragionamenti che fanno i giovani manager delle fin-tech sono di una linearità logica che accentuano ancor di piu l’arretratezza e l’obsolescenza del management delle banche tradizionali. Non sono sicuramente filantropi ma hanno capito che le start-up e le scale-up necessitano di trarre profitto dalla qualità dell’esperienza del cliente per ragioni di marketing. E da cio che dice effettivamente il cliente e non ciò che, nelle indagini di customer satisfaction delle banche tradizionali, gli si fa dire.

Sembra che la rassicurazione più efficace per i consumatori sia quella data dalle recensioni positive e dai punteggi alti lasciati dai clienti

La ricerca mostra, infatti, che più di un terzo delle aziende che hanno partecipato al sondaggio (35%) reputa le recensioni positive «fondamentali» perché un cliente potenziale si trasformi in un cliente effettivo e il 47% le ritiene «importanti». Non fanno altro che trarre buon uso dell’insoddisfazione del cliente legata ai metodi tradizionali di operare delle banche “classiche”, usandola come opportunità per mettere in buona luce la propria attività.

Nonostante le aziende fin-tech possano sempre evidenziare il fatto di operare in un settore altamente regolato, sembra che la rassicurazione più efficace per i consumatori sia quella data dalle recensioni positive e dai punteggi alti lasciati dai clienti che già si affidano a loro. Nel frattempo, dopo Facebook con la sua moneta (Libra), dal 2020 Google offrirà anche il suo conto corrente chiamato Cache. I mostri stanno arrivando e, citando simpaticamente Pippo Baudo, «io lo avevo detto cinque anni fa» (Io so e ho le prove – Chiarelettere, ottobre 2014) e qualche illustre professore di finanza (e anche qualche illustre giornalista) arricciava il naso disgustato da tanto catastrofismo.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Banche tradizionali, il vostro tempo è ormai giunto al termine

Gli istituti di credito classici ascoltano più il loro management che i clienti. Così le nuove realtà fin-tech stanno guadagnando terreno conquistando la fiducia dei risparmiatori.

Le banche hanno perso il loro capitale di fiducia ma continuano a immaginare (basta guardare gli spot pubblicitari) «un mondo che non c’è» basato sui residui deliri di onnipotenza o, peggio ancora, su incompetenze e scarsa visione strategica.

Secondo il Barometro della fiducia di Edelman, la più grande società di consulenza in comunicazione e relazioni pubbliche a livello globale, la fiducia negli istituti finanziari è la più bassa registrata se paragonata ai livelli di fiducia di tutti gli altri settori di business.

Tuttavia, secondo una ricerca, fornitaci in anteprima, condotta da Trustpilot, la piattaforma di recensioni più influente al mondo, il settore del fin-tech costituisce un’eccezione. Più del 40% degli intervistati, infatti, ritiene che le aziende di questa branca del settore finanziario siano «altamente affidabili». Il motivo è semplice: queste attività nate in tempi più recenti non si portano dietro lo stesso pesante bagaglio delle aziende finanziarie tradizionali.

L’ASCOLTO DEL CLIENTE, LA COSA PIÙ IMPORTANTE

La sfida per queste giovani aziende è, dunque, quella di mantenere e rafforzare la fiducia dei clienti. E per questo la riprova sociale è per loro un fattore essenziale. Ma esiste un altro fattore determinante per queste start-up e scale-up: ascoltano il cliente. L’importanza dell’esperienza del cliente è tale da pesare più dell’innovazione agli occhi dei manager di aziende fin-tech.

Per un cliente di una banca sembra che non sia più importante esibire il libretto di assegni di Unicredit o di Deutsche Bank per accreditarsi con gli stakeholders

Secondo un sondaggio effettuato dalla società di ricerca e consulenza London Research, quasi la metà di esse (il 46%) è, infatti, dell’idea che ciò che realmente fa la differenza per il proprio business sia la qualità dell’esperienza del cliente, rispetto al 38% che ritiene «il prodotto/l’innovazione» il fattore più importante, solitamente visto come la stessa ragion d’essere di una startup.

L’esperienza del cliente è, inoltre, ritenuta significativamente più importante della notorietà del brand (7%), della reputazione online (5%) e del prezzo (4%). Per un cliente di una banca sembra quindi che non sia più importante, così come avveniva nel secolo scorso, esibire il libretto di assegni di Unicredit o di Deutsche Bank per accreditarsi agli occhi dei propri stakeholders, in primis i fornitori.

SUPERARE LE BANCHE TRADIZIONALI OFFRENDO SERVIZI NUOVI

Eppure i ragionamenti che fanno i giovani manager delle fin-tech sono di una linearità logica che accentuano ancor di piu l’arretratezza e l’obsolescenza del management delle banche tradizionali. Non sono sicuramente filantropi ma hanno capito che le start-up e le scale-up necessitano di trarre profitto dalla qualità dell’esperienza del cliente per ragioni di marketing. E da cio che dice effettivamente il cliente e non ciò che, nelle indagini di customer satisfaction delle banche tradizionali, gli si fa dire.

Sembra che la rassicurazione più efficace per i consumatori sia quella data dalle recensioni positive e dai punteggi alti lasciati dai clienti

La ricerca mostra, infatti, che più di un terzo delle aziende che hanno partecipato al sondaggio (35%) reputa le recensioni positive «fondamentali» perché un cliente potenziale si trasformi in un cliente effettivo e il 47% le ritiene «importanti». Non fanno altro che trarre buon uso dell’insoddisfazione del cliente legata ai metodi tradizionali di operare delle banche “classiche”, usandola come opportunità per mettere in buona luce la propria attività.

Nonostante le aziende fin-tech possano sempre evidenziare il fatto di operare in un settore altamente regolato, sembra che la rassicurazione più efficace per i consumatori sia quella data dalle recensioni positive e dai punteggi alti lasciati dai clienti che già si affidano a loro. Nel frattempo, dopo Facebook con la sua moneta (Libra), dal 2020 Google offrirà anche il suo conto corrente chiamato Cache. I mostri stanno arrivando e, citando simpaticamente Pippo Baudo, «io lo avevo detto cinque anni fa» (Io so e ho le prove – Chiarelettere, ottobre 2014) e qualche illustre professore di finanza (e anche qualche illustre giornalista) arricciava il naso disgustato da tanto catastrofismo.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Uscite dal vostro orticello e investite nell’economia globale

I risparmiatori allarghino i propri confini: le condizioni della crescita internazionale sono in costante miglioramento, e non si prevedono rallentamenti.

Riprendiamo il discorso avviato due settimane fa sul tema delle tre regole basiche che un investitore alle prime armi deve seguire per avere un giusto comportamento nei confronti dei processi di investimento dei propri risparmi.

Prima regola: investire nell’economia globale e non in settori, singoli titoli o mode del momento. La costante e continua crescita economico-sociale e tecnologica della civiltà umana è l’unica cosa di cui siamo certi da 5 mila anni a questa parte. Dovete puntare sulla crescita economica del pianeta.

Seconda regola: investire con strumenti efficienti; non singoli titoli, ma strumenti di risparmio gestito. Un indice, un mercato o uno strumento finanziario è efficiente quando è in grado di incorporare appieno l’economia reale che rappresenta. Tecnicamente, gli economisti parlano di capacità di incorporare tutte le informazioni che derivano dal mercato. Terza regola: investire per un tempo adeguato, in questo caso non inferiore ai 10 anni.

LA RICCHEZZA MONDIALE È IN COSTANTE AUMENTO

Oggi affrontiamo la prima regola che si basa su un assioma, spesso confutato da pregiudizi o ignoranza: investire nell’economia globale. È questo, infatti, il primo passo per un investimento efficiente. Provo a spiegarmi meglio. La costante e continua crescita economico-sociale e tecnologica della civiltà umana è l’unica cosa di cui siamo certi da cinquemila anni a questa parte.

Dal 1990 al 2015 la popolazione in condizioni di povertà estrema nei Paesi in via di sviluppo si è molto ridotta, passando dal 47% al 14%

Le condizioni economiche globali sono in costante miglioramento, e non si prevedono rallentamenti. E la crescita della ricchezza globale nei prossimi decenni sarà accompagnata dallo sviluppo di tecnologie che miglioreranno di gran lunga la qualità delle nostre vite. Dal 1990 al 2015 la popolazione in condizioni di povertà estrema nei Paesi in via di sviluppo si è molto ridotta, passando dal 47% al 14%.

Anche il numero di persone che ha accesso all’acqua potabile è quasi raddoppiato, da 2,3 a 4,2 miliardi, chiaro segno di un’economia in forte crescita e di un benessere mondiale sempre più diffuso. La dispersione scolastica si è ridotta a 57 milioni di bambini, confermando le migliorate condizioni di vita (spesso la dispersione è dovuta alla necessità per le famiglie povere di far lavorare i bambini fin da piccolissimi, sottraendoli così alla scuola).

In questi decenni pochissimi organi di informazione hanno posto l’accento sull’enorme crescita di ricchezza che si è registrata nel globo

Questi dati mostrano due cose:

  1. La percezione che abbiamo del mondo spesso è condizionata dal nostro microcosmo: quanti in Italia sarebbero disposti a scommettere che negli ultimi decenni a livello globale si è avuta una crescita economica importante?
  2. Le buone notizie non fanno mai notizia. In questi decenni pochissimi organi di informazione hanno posto l’accento sull’enorme crescita di ricchezza che si è registrata nel globo, trainata soprattutto dai Paesi in via di sviluppo. La spinta all’evoluzione e alla crescita economica nei secoli, però, non è dipesa sempre dalla stessa area geografica, ma si è spostata costantemente in funzione di moltissimi fattori, non ultimo quello demografico.

ITALIA ED EUROPA SONO SOLO PROVINCE PER UN INVESTITORE

Se oggi vi chiedessi qual è l’area del mondo a maggiore crescita e sviluppo tecnologico, sicuramente pensereste a India, Cina eccetera, cioè Paesi che vent’anni fa erano considerati poco affidabili sia economicamente sia in termini di stabilità politica e sociale, e che oggi invece rappresentano il motore economico del pianeta. Basti pensare che, secondo le previsioni, nel 2030 l’86% della forza lavoro sarà concentrata in queste aree.

Ecco allora che investire nell’economia globale diventa un modo per agganciarsi a questa crescita e produrre valore nei vostri investimenti. L’Italia o l’Europa sono solo province del riferimento geografico di un investitore. Per far rendere i vostri investimenti dovete chiedere al vostro consulente: «Mi fa vedere qualche prodotto che investe nel mercato globale?».

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Uscite dal vostro orticello e investite nell’economia globale

I risparmiatori allarghino i propri confini: le condizioni della crescita internazionale sono in costante miglioramento, e non si prevedono rallentamenti.

Riprendiamo il discorso avviato due settimane fa sul tema delle tre regole basiche che un investitore alle prime armi deve seguire per avere un giusto comportamento nei confronti dei processi di investimento dei propri risparmi.

Prima regola: investire nell’economia globale e non in settori, singoli titoli o mode del momento. La costante e continua crescita economico-sociale e tecnologica della civiltà umana è l’unica cosa di cui siamo certi da 5 mila anni a questa parte. Dovete puntare sulla crescita economica del pianeta.

Seconda regola: investire con strumenti efficienti; non singoli titoli, ma strumenti di risparmio gestito. Un indice, un mercato o uno strumento finanziario è efficiente quando è in grado di incorporare appieno l’economia reale che rappresenta. Tecnicamente, gli economisti parlano di capacità di incorporare tutte le informazioni che derivano dal mercato. Terza regola: investire per un tempo adeguato, in questo caso non inferiore ai 10 anni.

LA RICCHEZZA MONDIALE È IN COSTANTE AUMENTO

Oggi affrontiamo la prima regola che si basa su un assioma, spesso confutato da pregiudizi o ignoranza: investire nell’economia globale. È questo, infatti, il primo passo per un investimento efficiente. Provo a spiegarmi meglio. La costante e continua crescita economico-sociale e tecnologica della civiltà umana è l’unica cosa di cui siamo certi da cinquemila anni a questa parte.

Dal 1990 al 2015 la popolazione in condizioni di povertà estrema nei Paesi in via di sviluppo si è molto ridotta, passando dal 47% al 14%

Le condizioni economiche globali sono in costante miglioramento, e non si prevedono rallentamenti. E la crescita della ricchezza globale nei prossimi decenni sarà accompagnata dallo sviluppo di tecnologie che miglioreranno di gran lunga la qualità delle nostre vite. Dal 1990 al 2015 la popolazione in condizioni di povertà estrema nei Paesi in via di sviluppo si è molto ridotta, passando dal 47% al 14%.

Anche il numero di persone che ha accesso all’acqua potabile è quasi raddoppiato, da 2,3 a 4,2 miliardi, chiaro segno di un’economia in forte crescita e di un benessere mondiale sempre più diffuso. La dispersione scolastica si è ridotta a 57 milioni di bambini, confermando le migliorate condizioni di vita (spesso la dispersione è dovuta alla necessità per le famiglie povere di far lavorare i bambini fin da piccolissimi, sottraendoli così alla scuola).

In questi decenni pochissimi organi di informazione hanno posto l’accento sull’enorme crescita di ricchezza che si è registrata nel globo

Questi dati mostrano due cose:

  1. La percezione che abbiamo del mondo spesso è condizionata dal nostro microcosmo: quanti in Italia sarebbero disposti a scommettere che negli ultimi decenni a livello globale si è avuta una crescita economica importante?
  2. Le buone notizie non fanno mai notizia. In questi decenni pochissimi organi di informazione hanno posto l’accento sull’enorme crescita di ricchezza che si è registrata nel globo, trainata soprattutto dai Paesi in via di sviluppo. La spinta all’evoluzione e alla crescita economica nei secoli, però, non è dipesa sempre dalla stessa area geografica, ma si è spostata costantemente in funzione di moltissimi fattori, non ultimo quello demografico.

ITALIA ED EUROPA SONO SOLO PROVINCE PER UN INVESTITORE

Se oggi vi chiedessi qual è l’area del mondo a maggiore crescita e sviluppo tecnologico, sicuramente pensereste a India, Cina eccetera, cioè Paesi che vent’anni fa erano considerati poco affidabili sia economicamente sia in termini di stabilità politica e sociale, e che oggi invece rappresentano il motore economico del pianeta. Basti pensare che, secondo le previsioni, nel 2030 l’86% della forza lavoro sarà concentrata in queste aree.

Ecco allora che investire nell’economia globale diventa un modo per agganciarsi a questa crescita e produrre valore nei vostri investimenti. L’Italia o l’Europa sono solo province del riferimento geografico di un investitore. Per far rendere i vostri investimenti dovete chiedere al vostro consulente: «Mi fa vedere qualche prodotto che investe nel mercato globale?».

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Anche la finanza può venire travolta dal climate change

Uno studio dimostra che i cambiamenti climatici influiscono negativamente sui bilanci delle istituzioni finanziarie, a partire dalle banche. Che spesso non calcolano correttamente i rischi correlati agli investimenti che fanno.

Avete mai chiesto, e ne avreste diritto, alla vostra banca: «Ma a chi presti i miei risparmi? Dove vanno a finire i soldi che io deposito presso di te?».

Provate a farla perché se il vostro istituto di credito finanzia aziende che svolgono attività inquinanti potrebbero essere a rischio i vostri risparmi.

Lo tsunami che si sta abbattendo sul mondo della finanza è molto meno metaforico di quel che si pensa.

L’ALLARME DI NATURE CLIMATE CHANGE

Secondo uno studio pubblicato su Nature climate change da quattro ricercatori italiani che lavorano presso il Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici (Cmcc), l’Rff-Cmcc european institute on economics, la Scuola superiore sant’Anna, l’Università Bocconi e il Politecnico di Milano, il rischio climatico influisce negativamente sui bilanci delle istituzioni finanziarie e, pertanto, può essere rilevante per la stabilità finanziaria, in particolare se il mondo della finanza non calcola correttamente i rischi correlati.

I danni alle infrastrutture causati da eventi catastrofici come frane e alluvioni e il calo di produttività delle imprese potrebbero far impennare i fallimenti delle banche

In altri termini i cambiamenti climatici rischiano di minare la stabilità del sistema finanziario su scala globale. Vi starete chiedendo: ma in che modo i rischi fisici di catastrofi ambientali da economici, sociali e poi geopolitici possono diventare finanziari? Partiamo dalla base: le imprese devono ripensare il loro modo di fare business e orientare le loro azioni verso un’economia a basse emissioni di gas (in particolare il carbonio) che sono estremamente dannosi per l’intero ecosistema.

Ma ciò risulta una sfida tutt’altro che semplice perché richiede investimenti che il sistema finanziario, per la crisi strutturale che attraversa e per la cecità del proprio management, non è in grado di sostenere. Di conseguenza i danni alle infrastrutture causati da eventi catastrofici come frane e alluvioni e il calo di produttività delle imprese potrebbero far impennare i fallimenti delle banche (da +26% fino a +248%), mentre il salvataggio di quelle insolventi costerebbe ai governi circa il 5-15% del Pil all’anno, con un’esplosione del debito pubblico che potrebbe arrivare a raddoppiare nel 2100.

TRA LE BANCHE ITALIANE QUASI NESSUNO VALUTA IL RISCHIO AMBIENTALE

Ma cosa stanno facendo le banche, soprattutto del nostro Paese, per salvaguardarsi da un rischio di perdite che tra qualche decennio possono diventare non assicurabili? Quali strategie (!!!) stanno producendo per ridurre l’esposizione nei confronti delle imprese ad alta intensità di carbonio? Nulla o quasi. In base alla mia esperienza diretta sul mercato italiano, al momento nel nostro Paese una sola banca, tralaltro di piccole dimensioni (Banca popolare etica), sta investendo in tal senso concretamente e non con protocolli ed elaborazioni di mission che servono solo a garantire una reputazione di facciata.

Le visioni strategiche delle banche solo concentrate sul breve periodo, all’insegna del “vediamo di tirare avanti ancora un po’”

In questa banca, per esempio, la valutazione del rischio creditizio nei confronti delle imprese e dei privati è effettuata anche da «valutatori sociali», che verificano tralaltro l’impatto ambientale del processo produttivo o commerciale dell’impresa nonché il rischio collegato all’erogazione di un mutuo per l’acquisto di un immobile in aree vulnerabili a inondazioni, incendi o uragani. Per il resto, visioni strategiche solo concentrate sul breve periodo, all’insegna del “vediamo di tirare avanti ancora un po’” .

E i regolatori finanziari, oltre alle necessarie analisi e studi effettuati al riguardo, che ruolo stanno avendo per sollecitare, se non imporre, strategie di mitigazione di tali rischi e adattamento veloce ad un contesto davvero preoccupante? Perché non obbligare (non suggerire) le banche ad adottare sistemi di credit rating che tengano conto di una valutazione ambientale di chi richiede un finanziamento? Forse solo perché, in tal modo, la loro fine sarebbe solo anticipata.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it