Com’è andata la vendemmia 2019: in viaggio per i vigneti italiani

Come previsto, berremo meno del 2018, la gradazione alcolica sarà più bassa ma la qualità comunque eccellente. Il bilancio di tre produttori del Südtirol/Alto Adige, delle Marche e della Calabria.

Vi avevamo già anticipato che quest’anno si sarebbe bevuto di meno, ma meglio. Secondo le previsioni vendemmiali di settembre, infatti, l’andamento produttivo delle vigne italiane avrebbe avuto un calo rispetto al 2018, ma la qualità sarebbe stata variabile tra il buono e l’eccellente. Ora che la vendemmia è finita, si possono finalmente tirare le somme per capire se queste stime rispecchiano effettivamente i dati reali.

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ALTO ADIGE: VINI ACIDI E LONGEVI CON GRADAZIONE ALCOLICA BASSA

Per verificarlo Lettera43.it ha sentito i vignaioli dello Stivale, da Nord a Sud.
Partiamo dalla Valle Isarco, in Alto Adige/Südtirol. Qui il clima è atipico per un territorio alpino: la notevole escursione termica tra giorno e notte, le precipitazioni ridotte e le numerose ore di sole favoriscono soprattutto i vitigni a bacca bianca. Manni Nössing produce cinque bianchi e il Kerner è il suo biglietto da visita. Si dice soddisfatto della vendemmia appena finita. «Quest’anno è stata diversa, di solito a settembre era tutto concluso. Ma va bene così perché un bianco, se vive un po’ di guerra, diventa importante. E per guerra mi riferisco a condizioni climatiche ballerine». Sul finale, aggiunge, l’annata è stata elegante, importante e «avremo sicuramente vini acidi e longevi con una gradazione alcolica bassa. Vini che piacciono».

La vendemmia 2019 ha mantenuto le aspettative: quantità inferiore ma qualità eccellente.

MARCHE: QUALITÀ DAVVERO ECCELLENTE

Lasciamo il Südtirol e ci spostiamo in Centro Italia. L’azienda agricola Maria Pia Castelli nasce nel 1999 a Monte Urano, in provincia di Fermo, nelle Marche. Otto ettari sotto il Conero in cui su producono vini di alta qualità con metodi biodinamici. Il clima mite e i terreni di natura argillosa, ricchi di minerali, contribuiscono alla maturazione di uve sane e gustose. «Abbiamo finito la vendemmia la settimana scorsa e siamo molto soddisfatti», dice Alessandro, figlio della titolare Maria Pia. «Il 2019 è stata un’ottima annata: il clima ha reso le uve sane e anche a livello quantitativo non abbiamo perso nulla rispetto allo scorso anno. Ora è difficile dire quali vini sono venuti meglio perché devono ancora finire le fermentazioni, ma la qualità di tutte le uve è eccellente».

Il clima ballerino ha ritardato la vendemmia.

CALABRIA: BUONE ASPETTATIVE PER MALVASIA E BIFORA ROSSO

Finiamo il nostro tour nel Nord della Calabria, a San Marco Argentano, alla masseria Perugini, una delle più longeve realtà agricole della provincia di Cosenza. Ubicata geograficamente tra il Parco Nazionale della Sila e quello del Pollino, la masseria è una fucina di biodiversità, tanto da essere partner dell’Università della Calabria. Tra i 200 e i 400 metri di altitudine la micro-ventilazione dei vigneti è costante e diventa essenziale per la qualità dell’uva. L’azienda oggi è nelle mani di Giampiero Ventura, Pasquale Perugini e Daniela De Marco che hanno fatto della certificazione biologica e dell’ecosostenibilità le loro parole d’ordine.

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«Quest’anno abbiamo avuto una vendemmia tardiva con una maturazione dell’uva che non ha raggiunto un sufficiente livello zuccherino. Questo significa che il grado alcolico sarà più basso», dice Ventura. Un esempio? «La Malvasia, che di solito è sui 14,5 gradi, sarà di 10. Dovremo compensare con una lunga macerazione per arrivare almeno a 12,5». Come qualità, aggiunge il titolare, «l’annata non è stata male, ha espresso il territorio piuttosto bene, ma come quantità abbiamo una resa di meno del 40%. Oltre alla Malvasia, promette bene il Bifora rosso (uve Magliocco, Guarnaccia Nera, Greco Nero, Malvasia Bianca da vigne vecchie, ndr) che rappresenta al meglio la nostra idea di vino».
Ora, per capire se questo 2019 sia stato o no propizio per Bacco, non resta che passare all’assaggio in calice.


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A Centocelle va a fuoco anche il Baraka bistrot

Il Baraka Bistrot aveva espresso solidarietà alla libreria antifascista bruciata per la seconda volta in pochi mesi. Era uno dei primi ad aver aperto nel quartiere.

Ancora un rogo, un altro incendio appiccato in un locale a Centocelle a pochi passi dal punto in cui la notte del 5 novembre è stato dato fuoco per la seconda volta alla libreria antifascista ‘La Pecora elettrica, già oggetto di un attacco incendiario durante la notte del 25 aprile. Ad andare a fuoco, stavolta, nella notte tra l’8 e il 9 novembre, è stato il ‘Baraka bistrot‘ in via dei Ciclamini, vicino allo storico centro sociale Forte Prenestino . Dai primi accertamenti l’atto potrebbe essere doloso: la serranda è stata divelta e ci sono tracce di liquido infiammabile. Sul posto polizia e carabinieri. Con questo sono quattro i locali andati a fuoco nel quartiere di Centocelle in pochi mesi.

NESSUN DANNO STRUTTURALE

Sono stati distrutti dalle fiamme gli arredi interni del pub. La palazzina in cui si trova il locale è stata evacuata a scopo precauzionale. L’incendio è divampato intorno alle 4.30 ed è stato domato dai vigili del fuoco, che sono riusciti così a evitare che si provocassero danni strutturali all’edificio. Nessuno è rimasto ferito o intossicato. Sulla vicenda indagano i carabinieri della compagnia Casilina e della stazione Centocelle. Nei giorni precedenti l’incendio, sulla pagina Facebook del locale erano stati pubblicati post di solidarietà alla libreria antifascista ‘La Pecora elettrica’, che sarebbe dovuta riaprire il 7 novembre dopo il rogo avvenuto nell’aprile del 2019. Il sospetto è che dietro questa serie di incendi ci sia la pista della droga. Un giro di spaccio “infastidito” dalle attività serali nel quartiere. Il ‘Baraka bistrot’ è uno dei primi locali aperti a Centocelle.

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Confessa il padrone della cascina in cui sono morti tre pompieri

L'uomo era fortemente indebitato e ha cercato di frodare l'assicurazione. Indagata anche la moglie.

Voleva frodare l’assicurazione, così ha appiccato il fuoco alla sua cascina di Quargnento, alle porte di Alessandria, dove poco dopo sarebbero morti i vigili del fuoco Antonino Candido, Marco Triches e Matteo Gastaldo. Giovanni Vincenti è stato fermato nella notte dai carabinieri e ha confessato, negando però di aver voluto uccidere. Il fascicolo aperto dal procuratore Enrico Cieri ipotizza i reati di omicidio plurimo, lesioni e crollo doloso per l’esplosione avvenuta nella notte tra il 4 e il 5 novembre. Anche la moglie di Vincenti è indagata a piede libero. Secondo quanto rivelato in conferenza stampa dalla procura, i due erano fortemente indebitati. «Lo scorso agosto l’assicurazione dell’edificio era stata estesa al fatto doloso», ha rivelato il procuratore Cieri, «il premio massimale era di un milione e mezzo di euro».

ERANO FORTEMENTE INDEBITATI

La morte dei tre vigili del fuoco sarebbe da ricondurre a un errore di programmazione del timer, che era stato settato all’1.30, «ma accidentalmente c’era anche un settaggio alla mezzanotte. Questo ha portato alla prima modesta esplosione che, ahimè, ha allertato i vigili del fuoco», ha rivelato Cieri. L’esplosione doveva essere una sola ma l’errore nella programmazione del timer, collegato alle bombole del gas, ha provocato la tragedia. Vincenti avrebbe però potuto salvare la vita ai tre vigili del fuoco: «La notte della tragedia Vincenti è stato informato da un carabiniere che il primo incendio era quasi domato», ha spiega Cieri, «e non ha detto che all’interno della casa c’erano altre cinque bombole che continuavano a far fuoriuscire gas. Era intorno all’1, ci sarebbe stata mezz’ora di tempo per evitare la tragedia».

LA SVOLTA POCO DOPO I FUNERALI

La svolta nelle indagini a poche ore dai funerali solenni dei tre vigili del fuoco nella cattedrale dei Santi Pietro e Marco di Alessandria, alla presenza tra gli altri del premier Giuseppe Conte, del presidente della Camera Roberto Fico e del ministro dell’Interno Luciana Lamorgese. «Dovete beccarli, dovete fare di tutto per beccarli», era stato l’appello che i parenti delle tre vittime hanno rivolto nell’occasione al presidente del Consiglio. «Bisogna capire perché e chi ha fatto questo», è l’invito pressante del comandante provinciale dei vigili del fuoco, Roberto Marchioni, nell’esprimere la «rabbia» dei pompieri di fronte a questa tragedia.

NUMEROSI INTERROGATORI

Le indagini hanno portato in pochi giorni alla soluzione grazie alle attività «serrate e articolate» dei carabinieri, agli ordini del colonnello Michele Angelo Lorusso. Numerosi gli accertamenti tecnici e gli interrogatori, compreso quello di Vincenti. L’uomo, che gli inquirenti avevano già ascoltato più di una volta, ha risposto per diverse ore alle nuove domande degli investigatori. In caserma anche un avvocato, Laura Mazzolini del foro di Alessandria, e due donne, che sono arrivate e andate via in auto nell’arco di una ventina di minuti.

CITTADINI DAVANTI AL COMANDO

Davanti al Comando provinciale anche alcuni cittadini che, saputo dell’interrogatorio, hanno raggiunto gli uffici dell’Arma. La notizia del fermo di polizia giudiziaria era arrivata alle 2.29 con un comunicato di dieci righe che rimandava alle 9 i dettagli dell’operazione. Poco dopo anche Vincenti aveva lasciato la caserma con altre due persone, a bordo di un’Alfa Romeo Giulietta di colore grigio. Non si sa dove fosse diretto.

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Confermata in Appello la condanna a un anno per Maroni

Pena sospesa per l'ex governatore della Lombardia nel secondo grado di giudizio del processo che lo vedeva imputato per le presunte pressioni per favorire due ex collaboratrici. Respinta la richiesta di un aumento.

Niente aumento di pena come aveva chiesto la procura generale, ma nemmeno uno sconto né l’assoluzione chiesta dal legale di Roberto Maroni che, nella scorsa udienza, si era anche difeso di persona con dichiarazioni spontanee. È stata confermata, infatti, la condanna a un anno, con sospensione della pena, e a 450 euro di multa per l’ex governatore lombardo, tra gli imputati nel processo di secondo grado con al centro presunte pressioni per favorire, quando era alla guida del Pirellone, due sue ex collaboratrici di quando era ministro dell’Interno.

RIQUALIFICATO UNO DEI DUE REATI RIMASTI IN PIEDI

«Con una sentenza di condanna di sicuro non è felice. Questo perché è un processo dove chiunque si aspetta di essere assolto», è stato il commento a caldo dell’avvocato Domenico Aiello, difensore dell’ex numero uno della Regione. La terza sezione penale della Corte d’Appello milanese, presieduta da Piero Gamacchio, ha solamente riqualificato, come richiesto anche dalla procura generale, uno dei due reati rimasto in piedi dopo la sentenza di primo grado del giugno 2018, quello di «turbata libertà nel procedimento di scelta del contraente» in «turbata libertà degli incanti». Una riqualificazione, ha aggiunto il legale Aiello, che «necessita di una lettura delle motivazioni. Certamente impugneremo, perché non siamo d’accordo».

PER L’EX GOVERNATORE ERANO STATI CHIESTI DUE ANNI

Quest’accusa, per la quale è stata comunque confermata la pena di un anno, riguardava un incarico in Eupolis, ente di ricerca della Regione Lombardia, «preconfezionato», secondo l’accusa, e con «reddito e termini concordati» con Mara Carluccio (confermata la condanna a sei mesi) e da lei ottenuto anche grazie all’intervento di Andrea Gibelli, ai tempi segretario generale del Pirellone e ora presidente di Fnm spa. Per lui anche in secondo grado una pena di 10 mesi e 20 giorni. Confermata anche la condanna, pure per lui a un anno e a 450 euro di multa, per Giacomo Ciriello, all’epoca capo della segreteria di Maroni. Il sostituto pg Vincenzo Calia, però, coltivando i motivi d’appello del procuratore aggiunto Eugenio Fusco, aveva chiesto per l’ex presidente della Lombardia due anni e mezzo di reclusione (e per Ciriello due anni e due mesi), chiedendo che fosse dichiarato colpevole anche dell’altra imputazione di «induzione indebita». Una contestazione che riguardava il tentativo di fare inserire, a spese di Expo, Maria Grazia Paturzo, altra sua ex collaboratrice, nella delegazione che, nell’ambito del World Expo Tour, tra il 30 maggio e il 2 giugno 2014, aveva come meta Tokyo. Ipotesi che non ha retto nemmeno in secondo grado.

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Chi è Brasile, il neofascista protagonista della rissa con Vauro

Sul corpo i tatuaggi del Duce e di Hitler. Nel passato le spedizioni anti-rom e gli attacchi agli immigrati. Come Massimiliano Minnocci è diventato una star di social e tivù portando avanti le idee dell'estrema destra.

La levata di scudi è già partita. Sono in molti a chiedere che personaggi come Brasile (o il Brasiliano), al secolo Massimiliano Minnocci, vengano lasciati fuori da talk show e rutilanti programmi in prime time della tivù generalista. Per chi se lo fosse perso, Minnocci è l’agitatore di estrema destra arrivato quasi allo scontro fisico con Vauro nel corso del programma Dritto e Rovescio, in onda la sera del 7 novembre su Rete4.

«A ROMA DEVI FARE QUELLO CHE DICO IO»

Lo scambio poco cortese tra i due è arrivato al termine di un vivace botta e risposta tra lo stesso Brasile e la giornalista Francesca Fagnani, nel corso del quale il nostro ha rivendicato con orgoglio «ordine e disciplina» della borgata romana da cui proviene. «Roma non è fascista», è l’opinione Brasile, prima, però, di aggiungere un “energico” «devi fare quello che ti dico io».

Non è nuovo a performance di questo genere Minnocci, diventato negli ultimi mesi un habituée dei salotti televisivi, per nulla inibiti dalle idee poco ortodosse del personaggio, diventato una star sui social con migliaia e migliaia di follower di fronte ai quali non ha esitato ad autoproclamarsi più volte «l’ottavo re di Roma».

«A CHI RUBA TAGLIEREI LE MANI»

Di lui si dice che debba il soprannome alle qualità da calciatore, passione che sfoga quotidianamente da ultrà romanista. Ai microfoni della Zanzara non si è fatto remore, interpellato sulla questione rom, a dire che lui, a chi ruba, «taglierebbe le mani». E gli immigrati? «Dalle mie parti si stavano comportando male ‘sti zozzoni. Non servono le guardie, perché qui la legge la faccio io. Questa è casa mia. Ci penso io, non lo Stato». E ancora: «Io posso sbagliare perché sono italiano, loro no perché sono ospiti in questo Paese».

Sul suo fisico forgiato da ore e ora di palestra fanno “bella” mostra i tatuaggi di Adolf Hitler e Benito Mussolini, oltre a svastiche e croci celtiche su varie parti del corpo. A far compagnia a dichiarazioni da far accapponare la pelle: «In Italia ci vuole un po’ d’ordine. Manca zio Adolfo che fa pulizia. Voi dite che è incompatibile con la cocaina e col casino allo stadio? È vero, ma Hitler prendeva gli allucinogeni…».

«HO PIPPATO L’IRA DIO, MA ORA HO SMESSO»

Un riferimento ai suoi passati problemi di tossicodipendenza. «Ho o pippato l’ira di Dio, i grattacieli proprio. Ma non torno a pippare. Questa è un’altra vita. Ai ragazzini consiglio di non prendere sostanze stupefacenti».

In molti, evidentemente, credono che personaggi come Brasile incarnino alla perfezione lo spirito delle periferie romane e poco importa che finiscano per divulgare in prima serata messaggi razzisti e xenofobi. La tivù preferisce concentrarsi sui disagi del passato, evitando di prendere posizione, per esempio, sulla protesta, di cui è stato protagonista, contro l’assegnazione della casa popolare a una famiglia rom che ne aveva diritto, lo scorso mese di maggio. O sulla sua fedina penale macchiata da una condanna a cinque mesi («pena sospesa», tiene a precisare). Richiesto di un’opinione sulla classe politica italiana, Brasile no ha dubbi: «Salvini mi piace, ma sta militarizzando Roma, mettessero gente delle borgate che davero ce li magnamo i rumeni e i talebani che vanno a rompe’ er cazzo. Adesso non voto niente. Però se dovessi votare, voto ’a Lega Nord, tutta ’avita».

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Mps, tutti condannati a Milano: 7 anni e mezzo all’ex presidente Mussari

I vertici della banca ritenuti colpevoli per le operazioni irregolari usate per finanziare l'acquisizione di Antonveneta. Multe e sequestri per Deutsche Bank e Nomura.

Tutti condannati al processo milanese sulle operazioni irregolari del Monte dei Paschi di Siena. Il Tribunale di Milano ha condannato a 7 anni e 6 mesi di carcere Giuseppe Mussari, a 7 anni e 3 mesi Antonio Vigni e a 4 anni e 8 mesi Gian Luca Baldassarri, ex vertici di Mps tra gli imputati per le presunte irregolarità nelle operazioni effettuate dalla banca senese tra il 2008 e il 2012 per coprire le perdite dovute all’acquisizione di Antonveneta. I giudici hanno anche condannato Daniele Pirondini, ex direttore finanziario di Rocca Salimbeni a 5 anni e 3 mesi.

Antonio Vigni e Giuseppe Mussari in una foto d’archivio. ERNESTO ARBITRAGGIO/ANSA /COC

CONFISCHE PER 150 MILIONI DI EURO A NOMURA E DEUTSCHE

Il Tribunale ha disposto anche confische per un importo complessivo di oltre 150 milioni di euro nei confronti di Deutsche Bank AG, compresa la filiale londinese, e Nomura, imputate a Milano perché coinvolte nelle operazioni Alexandria e Santorini. I giudici della seconda sezione penale hanno anche condannato i due istituti di credito a sanzioni pecuniarie da 3 milioni di euro ed oltre. Nel processo sono stati condannati tutti gli imputati, sia persone fisiche che giuridiche. In particolare, i giudici hanno condannato Deutsche Bank Ag e Deutsche Bank Ag London Branch ad una sanzione pecuniaria da 3 milioni di euro, mentre per Nomura la sanzione pecuniaria comminata è di 3,4 milioni di euro. I pm avevano chiesto sanzioni pecuniarie più basse, da 1,8 milioni. La procura, invece, aveva chiesto confische da 444,8 milioni per la banca giapponese e di 440,9 milioni per quella tedesca, mentre i giudici le hanno disposte per 88 milioni a carico di Nomura e per 64 milioni a carico di Deutsche, compresa la filiale londinese. Per un totale, dunque, di circa 152 milioni di euro.

LA DIFESA DI DEUTSCHE BANK PRONTA AL RICORSO

L’avvocato degli imputati di Deutsche Bank condannati a Milano (tutti ex manager tranne uno) ha annunciato che proporrà il ricorso in appello: «Premesso che le sentenze si rispettano, voglio esprimere un grande stupore per il contrasto tra questo dispositivo e le risultanze emerse in dibattimento. Ma su questo leggerò le motivazioni. Essendo convinto della innocenza dei miei assistiti proporrò ricorso in appello convinto che le conclusioni saranno diverse».

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Predappio nega i fondi per la visita ad Auschwitz

No del Comune ai contributi per due studenti: Per il sindaco Canali (centrodestra), l'iniziativa "Treno della Memoria" è di parte.

Il Comune di Predappio ha negato il contributo alla partecipazione di due studenti della scuola superiore al progetto ‘Promemoria Auschwitz – Treno della Memoria‘. Lo ha reso noto l’associazione Generazioni in Comune, che coprirà i 370 euro necessari per il viaggio. «Non siamo contrari al Treno della Memoria», ha spiegato all’Ansa il sindaco di Predappio Roberto Canali, ma «questi treni vanno solo da una parte e noi non intendiamo collaborare con chi si dimentica di tutto il resto».

«Sono due gli studenti predappiesi che hanno aderito volontariamente al progetto. Una quota è stata messa a disposizione da Anpi Forlì-Cesena e l’altra avrebbe dovuto coprirla l’amministrazione», spiega l’associazione Generazioni in Comune a proposito dell’episodio di cui dà conto l’edizione odierna del Resto del Carlino. Canali, eletto sindaco a maggio nel paese natale di Benito Mussolini con una lista di centrodestra che ha strappato alla sinistra un suo storico feudo, ha chiarito: «Tutti i nostri giovani dovrebbero conoscere la storia e quello che è successo nei campi di sterminio nazisti, come Auschwitz».

Per ‘Generazioni in comune’ è una scelta «preoccupante». Predappio è una «città che più delle altre dovrebbe sentire forte il dovere di impegnarsi per tenere viva la memoria, non abbia ritenuto importante dare questo segnale: ci auguriamo che possa ripensarci, altrimenti sarebbe un atto molto grave». Ma all’ipotesi di un ripensamento il sindaco ha replicato netto: «Assolutamente no». «Quando questi treni faranno sosta anche di fronte ai gulag», ha detto, «ci ripenseremo, perché vorrà dire che la correttezza della memoria è a 360 gradi».

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Arrestato un sacerdote nel Casertano con l’accusa di pedofilia

In manette don Michele Mottola. Dopo le prime segnalazioni, sono state decisive le registrazioni col cellulare fatte dalla ragazzina.

Un sacerdote nel Casertano è stato arrestato con l’accusa abusi su una minore di 12 anni che frequentava la chiesa. L’arresto è stato eseguito dalla Polizia di Stato su ordine del Gip del Tribunale di Napoli Nord. A finire in manette è stato don Michele Mottola della parrocchia di Trentola Ducenta. Era stata la Diocesi di Aversa a inviare la prima segnalazione alla procura guidata da Francesco Greco sui presunti abusi commessi dal prete, che nel maggio scorso era stato sospeso dal servizio.

LE REGISTRAZIONI: «È SOLO UN GIOCO, NON FACCIAMO NIENTE DI MALE»

La ragazzina ha registrato con il telefonino gli incontri tenuti col sacerdote nella canonica della parrocchia, raccogliendo elementi rilevanti che hanno portato all’arresto dell’uomo. «Lasciami stare, non mi devi più toccare», è una delle frasi emblematiche che la piccola ha registrato mentre parlava con il prete; «è solo un gioco, non facciamo niente di male» sono le altre significative parole pronunciate invece dal sacerdote e finite nelle registrazioni consegnate dai genitori della bimba nel maggio scorso ai poliziotti del Commissariato di Aversa e fatte ascoltare alla diocesi, che ha subito sospeso don Michele dal servizio, informando la Procura di Napoli Nord. Nei confronti dell’uomo è stato avviato un processo canonico tuttora in corso.

DELLA VICENDA SI SONO OCCUPATE ANCHE LE IENE

Nel frattempo gli investigatori della Polizia di Stato guidati da Vincenzo Gallozzi hanno raccolto anche delle testimonianze. Il cerchio sulla ricostruzione della vicenda si è chiuso con l’incidente probatorio che ha messo la ragazzina e il sacerdote uno di fronte all’altro. La 12enne ha confermato che gli abusi andavano avanti da tempo, mentre don Michele si è difeso dicendo che la minore stava farneticando. Intanto i genitori della bimba si sono rivolti al programma tivù Le Iene perché la vicenda venisse fuori in tutta la sua drammaticità.

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Arrestato un sacerdote nel Casertano con l’accusa di pedofilia

In manette don Michele Mottola. Dopo le prime segnalazioni, sono state decisive le registrazioni col cellulare fatte dalla ragazzina.

Un sacerdote nel Casertano è stato arrestato con l’accusa abusi su una minore di 12 anni che frequentava la chiesa. L’arresto è stato eseguito dalla Polizia di Stato su ordine del Gip del Tribunale di Napoli Nord. A finire in manette è stato don Michele Mottola della parrocchia di Trentola Ducenta. Era stata la Diocesi di Aversa a inviare la prima segnalazione alla procura guidata da Francesco Greco sui presunti abusi commessi dal prete, che nel maggio scorso era stato sospeso dal servizio.

LE REGISTRAZIONI: «È SOLO UN GIOCO, NON FACCIAMO NIENTE DI MALE»

La ragazzina ha registrato con il telefonino gli incontri tenuti col sacerdote nella canonica della parrocchia, raccogliendo elementi rilevanti che hanno portato all’arresto dell’uomo. «Lasciami stare, non mi devi più toccare», è una delle frasi emblematiche che la piccola ha registrato mentre parlava con il prete; «è solo un gioco, non facciamo niente di male» sono le altre significative parole pronunciate invece dal sacerdote e finite nelle registrazioni consegnate dai genitori della bimba nel maggio scorso ai poliziotti del Commissariato di Aversa e fatte ascoltare alla diocesi, che ha subito sospeso don Michele dal servizio, informando la Procura di Napoli Nord. Nei confronti dell’uomo è stato avviato un processo canonico tuttora in corso.

DELLA VICENDA SI SONO OCCUPATE ANCHE LE IENE

Nel frattempo gli investigatori della Polizia di Stato guidati da Vincenzo Gallozzi hanno raccolto anche delle testimonianze. Il cerchio sulla ricostruzione della vicenda si è chiuso con l’incidente probatorio che ha messo la ragazzina e il sacerdote uno di fronte all’altro. La 12enne ha confermato che gli abusi andavano avanti da tempo, mentre don Michele si è difeso dicendo che la minore stava farneticando. Intanto i genitori della bimba si sono rivolti al programma tivù Le Iene perché la vicenda venisse fuori in tutta la sua drammaticità.

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Esplode tir sull’A1: feriti due vigili del fuoco

Il camion è andato in fiamme in un'area di sosta nel Bolognese prima di detonare. Un pompiere ferito al bacino e l'altro al braccio.

Sono due vigili del fuoco le persone rimaste ferite durante un intervento per l’incendio di un tir, nella notte nell’area di servizio Cantagallo sull’A1, nel Bolognese. C’è stata un’esplosione e i due sarebbero caduti da una scala, riportando fratture, uno al bacino e l’altro a un braccio. Sono stati portati all’ospedale Maggiore Anche altri pompieri della stessa squadra sono finiti a terra per lo spostamento d’aria.

IL TRAFFICO PARZIALMENTE INTERROTTO

La chiamata di soccorso è arrivata alle 2.10 alla sala operativa del 115, per un incendio di un tir parcheggiato nell’area di servizio Cantagallo Ovest, sull’A1, direzione Sud. L’esplosione è avvenuta durante lo spegnimento, portato a termine dai rinforzi arrivati dalla sede centrale di Bologna dei vigili del fuoco e del distaccamento volontario di Monzuno. L’autostrada è stata parzialmente interrotta durante le operazioni di soccorso. È intervenuta anche la Polizia Stradale e personale di Autostrade. Le operazioni si sono concluse alle 6.30.

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Il piccolo Alvin è tornato in Italia dalla Siria

Il bimbo di 11 portato via nel 2014 dalla madre che voleva arruolarsi nell'Isis è atterrato a Fiumicino. Ha passato gli ultimi anni in un campo profughi prima di essere ritrovato dal padre e dagli investigatori italiani.

È tornato oggi in Italia Alvin, il bimbo di 11 anni di origine albanese portato via dall’Italia nel dicembre del 2014 dalla mamma che voleva unirsi all’Isis. Il piccolo, la cui madre sarebbe morta in un’esplosione, era finito poi nel campo profughi di Al Hol, a Nord Est della Siria, dove è stato ritrovato. Alvin è stato trasferito con un volo di linea dell’Alitalia, giunto poco dopo le 7.00 all’aeroporto di Roma Fiumicino da Beirut.

Il grattacielo Pirelli con le finestre che compongono la scritta: “Free Alvin” per l’operazione condotta per il ritrovamento del bimbo.

Il bimbo torna a casa grazie alla tenacia di investigatori, magistrati, 007, donne e uomini della Croce Rossa e dell’Unhcr, abituati a lavorare nelle zone di guerra, e soprattutto la forza di un padre che non si è mai arreso pur di riportare indietro il figlio che ha visto prima gli orrori del Califfato e poi la madre, seguace dell’Isis e che lo aveva portato via dalla sua famiglia, morire in un’esplosione a fianco a lui.

LE INDAGINI E IL RITROVAMENTO

Dopo la caduta dell’Isis e la morte della madre di origine albanese, il bimbo viveva nell’area ‘orfani’ di Al Hol, campo sotto il controllo dei curdi e che ospita oltre 70 mila persone, in gran parte compagne e figli di combattenti jihadisti morti o in prigione. Là il ragazzino è stato individuato a luglio, dopo complesse ricerche dello Scip della Polizia e del Ros dei carabinieri, e riconosciuto grazie ad una foto e ad un dettaglio fisico dal padre Afrim (c’è stata anche un comparazione fisionomica della Polizia scientifica). Padre che più volte in questi anni è partito da Barzago (Lecco) per cercarlo e che a settembre, anche grazie a troupe e giornalisti de Le Iene, era riuscito anche a parlarci, ma non a portarlo via dal campo perché mancava, tra l’altro, una “richiesta di ricongiungimento”.

«RICORDA LE SUE ORIGINI»

Il bambino, poi, in questi giorni è stato prelevato da Al Hol con un’operazione non priva di rischi, a cui hanno partecipato anche uomini dell’Aise con la collaborazione di autorità albanesi (il premier Edi Rama ha voluto ringraziare Giuseppe Conte) e curde, trasferito fino a Damasco da dove poi ha raggiunto l’ambasciata italiana a Beirut e infine Fiumicino. Anche se non parla quasi più italiano, «ricorderebbe le sue origini» e «l’esistenza di due sorelle», ha raccontato un investigatore davanti al gup di Milano Guido Salvini che, nel procedimento aperto a carico della madre per sottrazione di minori, sequestro di persona e terrorismo internazionale, dispose l’attivazione delle ricerche della donna e del figlio anche alla luce della disfatta dello Stato islamico. Accertamenti seguiti passo passo dal capo del pool dell’antiterrorismo milanese Alberto Nobili.

«MIA MAMMA È VESTITA DA NINJA»

«È vestita che sembra una Ninja», diceva, riferendosi alla madre, il bimbo già in Siria, come si legge negli atti dell’indagine del pm Alessandro Gobbis. In Italia dal 2000, con una famiglia ben integrata, ‘Bona’, soprannome di Valbona, era diventata un’estremista islamica ed era fuggita dal Lecchese abbandonando il marito muratore e le altre 2 figlie. La donna avrebbe avuto contatti con esponenti dell’Isis ad alti livelli e avrebbe raggiunto col figlio Al Bab, ad una quarantina di chilometri da Aleppo. Città dove sarebbe arrivata grazie all’aiuto di un foreign fighter albanese che avrebbe comprato il biglietto aereo per lei e per il bimbo, dalla stessa madre messo a disposizione della jihad, obbligandolo a frequentare un campo di addestramento per imparare «l’uso delle armi».

LA MORTE DELLA MADRE

Ci sarà, poi, anche la necessità di sentire il bambino in un’audizione protetta, perché sarebbe stato testimone diretto della morte della madre, ha messo a verbale l’investigatore del Ros che ha seguito tutta l’indagine, in un «non meglio precisato scontro a fuoco», mentre lui sarebbe stato salvato «probabilmente da forze curde». Tra l’altro, ha detto ancora l’investigatore, il piccolo aveva già raccontato «che il suo nome da convertito è Yussuf», nome che ha trovato «riscontro in informazioni che aveva assunto» il padre stesso nei mesi scorsi.

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I dati allarmanti sull’antisemitismo che cresce nel mondo

Nel 2018 +13% di episodi violenti, con 13 ebrei uccisi. L'attentato alla sinagoga in Germania nel 2019 «senza precedenti». In Italia, dove la commissione Segre è stata attaccata dal centrodestra, +60% di casi di minacce e atti vandalici. Il rapporto.

Numeri alla mano, forse la commissione Segre serve davvero. Con buona pace del centrodestra, che prima si è astenuto nella votazione che ha istituito questo organismo contro odio, razzismo e antisemitismo proposto dalla senatrice a vita sopravvissuta ai lager nazisti e poi ha bocciato la stessa proposta in Consiglio regionale della Lombardia. Eppure il numero degli atti antisemiti «violenti e gravi» nel mondo è cresciuto nel 2018 del 13% rispetto all’anno precedente. E il dato riguarda anche l’Italia, un Paese però troppo impegnato a parlare di reati d’opinione (copyright di Silvio Berlusconi) dove Forza nuova esibisce striscioni ostili e dove alla fine alla Segre è stata assegnata una scorta per le minacce ricevute.

MONITORATI ANCHE GLI INSULTI VIA SOCIAL

Guardandoci attorno, la situazione globale è inquietante. Nel 2018 i casi di antisemitismo sono stati 387 (contro i 342 del 2017), con 13 ebrei uccisi: in testa ci sono gli Stati Uniti. Il dato – contenuto nell’ultimo Rapporto del Centro Kantor dell’Università Kantor di Tel Aviv, insieme con l’European Jewish Congress – ha fotografato un’escalation che comprende anche la realtà virtuale dei social, diventati terreno fertile per insulti e minacce antisemite.

L’ATTENTATO DI HALLE «SENZA PRECEDENTI»

L’allarme sulla crescita dell’antisemitismo nel mondo è stato lanciato anche dal Museo della Shoah di Yad Vashem e dal Centro Wiesenthal di Gerusalemme. Quest’ultimo, per esempio, ha definito il recente attacco alla sinagoga di Halle in Germania, nel cuore dell’Europa, «senza precedenti». Il direttore del Centro Efraim Zuroff ha spiegato: «Il peggioramento è in atto».

RECORD NEGLI USA, POI GRAN BRETAGNA E FRANCIA

In base al Rapporto del Centro Kantor, i Paesi con il più alto numero di “atti violenti” sono appunto gli Usa (oltre 100), la Gran Bretagna (68), la Francia (35), la Germania (35, ma con un aumento di quasi il 70% rispetto al 2017), il Canada (20), il Belgio (19), l’Olanda (15) e l’Argentina (11). Secondo lo stesso rapporto, è da notare che «il numero dei casi riportati nell’Europa dell’Ovest è stato più basso rispetto all’Europa dell’Est.

IN ITALIA 197 CASI, AUMENTO DEL 60%

Se si passa poi ad analizzare il complesso degli atti antisemiti, non solo quelli violenti, in testa ci sono quelli vandalici (56%), seguiti dalle minacce (23%). In Italia il rapporto ha segnalato «197 casi di tutti i tipi, con un aumento del 60%».

Gli appelli «Ebrei al gas» e «Morte ai sionisti» sono sempre più frequenti


Il rapporto sull’antisemitismo nel mondo

Nello studio c’è scritto: «Il 2018 e l’inizio del 2019 testimoniano un aumento in quasi tutte le forme di manifestazioni antisemite, nello spazio pubblico come in quello privato. E una sensazione di emergenza è in crescita tra gli ebrei di alcuni Paesi. L’insicurezza fisica e un sentimento di incertezza sono diventati prevalenti. Gli appelli “Ebrei al gas” e “Morte ai sionisti” sono sempre più frequenti».

IN EUROPA IL 44% DEI GIOVANI EBREI HA SUBITO MOLESTIE

Secondo un altro recente rapporto dell’Agenzia europea per i diritti fondamentali, presentato dalla Commissione europea, il 44% dei giovani ebrei europei ha subito molestie antisemite e 4 su 5 hanno dichiarato nel sondaggio che l’antisemitismo è un problema nel loro Paese e credono che sia aumentato negli ultimi cinque anni.

PAURA DI MOSTRARE IN PUBBLICO SEGNI DISTINTIVI

In base allo stesso rapporto, il 45% dei giovani ebrei europei ha scelto di non indossare, portare o mostrare segni distintivi in pubblico in quanto preoccupati per la loro sicurezza. E non è un caso che il ministero israeliano degli Affari della diaspora abbia annunciato l’investimento di più di un milione di euro per la sicurezza delle Comunità ebraiche all’estero e che l’Agenzia ebraica – che ha in programma di destinare una cifra simile allo stesso scopo – abbia fatto sapere di aver cominciato ad aumentare le somme per 50 istituzioni ebraiche in 24 nazioni: un picco di richieste di assistenza più che allarmante.

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Scossa di terremoto di magnitudo 4.4 in provincia dell’Aquila

L'epicentro a 5 chilometri da Balsorano. Paura anche a Napoli e Roma. Tanta paura, ma nessun danno registrato a persone o cose. L'Ingv: «Zona ad alta pericolosità sismica». Il punto della situazione.

Paura nel Centro Italia, dove una scossa di terremoto di magnitudo 4.4 è stata registrata alle 18.35 di giovedì 7 novembre in provincia dell’Aquila. Il sisma è stato avvertito nel Lazio, fino a Roma e anche a Napoli. L’istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv) ha individuato l’epicentro a 5 chilometri a Sud Est di Balsorano, in provincia del capoluogo abruzzese, a una profondità di 14 chilometri. Coinvolti anche i paesi di Pescosolido, Sora e Campoli Appennino.

Subito dopo la scossa la popolazione di Avezzano e in alcune cittadine della Marsica si è riversata in strada. Ma non si sono registrati danni a persone o a cose, secondo quanto riferito dalla Protezione civile.

PRIMA DELLA SCOSSA FORTE 30 PICCOLI TERREMOTI

L’evento era stato annunciato da una serie di scosse di lieve entità nella notte che avevano portato la sindaca di Balsorano, Antonella Buffone, a disporre a scopo precauzionale la chiusura delle scuole, confermata poi per venerdì 8 novembre. Circa 30 piccoli terremoti (tutti inferiori a magnitudo 3) avevano preceduto la scossa più forte. Sono state 15 le repliche nell’ora successiva (la maggiore di magnitudo 2.2).

L’epicentro del terremoto.

UNA ZONA AD ALTA PERICOLOSITÀ SISMICA

Alessandro Amato, sismologo dell’Ingv, ha spiegato che è stata una sequenza sismica diversa da quella dell’Italia centrale ad avere attivato il terremoto. Si tratta «di un altro sistema di faglie. È comunque un’area ad alta pericolosità sismica». In quella stessa zona è infatti avvenuto il terremoto di Avezzano del 1915 e altri due importanti sisma storici si sono registrati nel Frusinate nel 1654 e più a Sud, verso il Molise, nel 1349.

DIPENDENTI DELLA REGIONE ABRUZZO SCESI IN STRADA

Il sismologo ha detto che «nelle ultime ore si era registrata della sismicità nella zona, con alcune piccole scosse e adesso stiamo vedendo piccole repliche». La scossa è stata avvertita distintamente all’Aquila, dove alcuni dipendenti della Regione Abruzzo, in servizio nella sede in via Salaria antica Est, hanno lasciato il palazzo e sono scesi in strada e a Sulmona (L’Aquila).

SEGNALAZIONI ANCHE A ROMA E PERSINO A NAPOLI

Sentita anche in diverse zone di Roma, principalmente nel quadrante Est. Diverse decine le chiamate ai vigili del fuoco di cittadini spaventati. Il presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti ha detto ai cronisti: «Ho appena sentito il 118, tanta paura ma nessun danno». Perfino al centro di Napoli – nei piani alti – ci sono state segnalazioni.

TRAFFICO FERROVIARIO IN PARTE SOSPESO

Per quanto riguarda l’impatto sulla viabilità, dalle 18.40 il traffico ferroviario sulle linee Sulmona-Avezzano, Roccasecca-Avezzano e fra Ceprano e Cassino (linea Roma-Cassino) è sospeso, in via precauzionale, per consentire la verifica dello stato dell’infrastruttura da parte dei tecnici di Rfi.

VERIFICHE SU ALTA VELOCITÀ E AUTOSTRADE

Sulla linea Alta velocità Roma-Napoli i treni già in viaggio procedono con limitazione di velocità fino alla verifica dei tecnici. Tecnici di Strada dei parchi spa, concessionaria delle autostrade A24 e A25 fra Abruzzo e Lazio, si sono impegnati in un’ispezione su tutto il tratto interessato.

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Morta Maria Pia Fanfani, vedova dell’ex leader della Dc

Aveva 97 anni. Staffetta partigiana, scrittrice e fotografa dedicò gran parte della sua vita al volontariato con la Croce rossa.

Maria Pia Fanfani, vedova di Amintore, tra i fondatori della Dc ed ex presidente del Consiglio, è morta a Roma all’età di 97 anni. Staffetta partigiana, scrittrice e fotografa dedicò gran parte della sua vita al volontariato con la Croce rossa: dal 1983 al 1994 fu presidente del Comitato nazionale femminile. Inoltre per quattro anni è stata vicepresidente della Lega internazionale della Croce rossa e della mezzaluna rossa a Ginevra.

LA PARTECIPAZIONE A CENTINAIA DI MISSIONI UMANITARIE

Centinaia le missioni umanitarie alle quali ha partecipato, sia in Paesi in guerra che in quelli colpiti da calamità. A dare notizia della scomparsa la Croce rossa italiana, che la ricorda «per la grande passione e l’impegno attivo che la vide protagonista anche in numerose missioni umanitarie. La sua scomparsa rappresenta una perdita per tutta l’associazione». «Il nostro impegno è quello di trasmetterne la memoria come esempio anche per le nuove generazioni», conclude in una nota la Croce rossa.

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Due persone accoltellate sul Frecciarossa: l’aggressore fermato a Bologna

A colpire un addetto alle pulizie: dietro il gesto un movente di natura passionale. Il convoglio partito da Torino era diretto a Roma.

Un uomo e una donna sono stati colpiti con varie coltellate sul treno Frecciarossa partito da Torino e diretto a Roma: il ferimento è avvenuto poco dopo le 10.30 in territorio modenese, tra le stazioni di Reggio Emilia e Bologna. La donna, una 41enne di Milano, è stata portata via intubata e sarebbe in gravi condizioni, mentre l’aggressore, un calabrese 47enne, è stato bloccato dalla polizia ferroviaria nella stazione sotterranea di Bologna, grazie anche alla collaborazione di alcuni viaggiatori. L’uomo, ora in stato di fermo, affronterà l’udienza di convalida a Bologna. Successivamente gli atti saranno trasferiti alla procura di Modena per competenza territoriale. L’accusa che pende sul suo capo è quella di tentato omicidio. Il treno è stato fermo per diversi minuti per consentire i rilievi della Scientifica.

L’AGGRESSORE È UN ADDETTO ALLE PULIZIE

L’aggressore, secondo una prima ricostruzione fornita da Ferrovie dello Stato, sarebbe un operatore della ditta esterna che effettua servizi di pulizie a bordo dei Frecciarossa. La donna accoltellata è una dipendente della ditta esterna che effettua i servizi di ristorazione sui treni dell’Alta velocità. I controlli a bordo del convoglio, spiega Fs, sono stati necessari per verificare la dinamica e le cause dell’aggressione.

FORSE UN MOVENTE DI NATURA PASSIONALE

Potrebbe esserci un movente passionale all’origine dell’accoltellamento. L’ipotesi è che l’aggressore, fermato dalla Polfer a Bologna, conoscesse la donna e avesse o avesse avuto con lei una relazione. L’altro uomo sarebbe un passeggero, con ogni probabilità intervenuto per separare i due, ma a sua volta rimasto colpito.

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Torna in Italia Alvin, il bimbo portato via dalla madre arruolata nell’Isis

Il bambino era stato preso dalla mamma nel 2014 ed era andato con lei in Siria. Dove vive nel campo profughi di al Hol. Lei sarebbe morta in un'esplosione.

Sta tornando in Italia, dopo ricerche da parte dello Scip della Polizia e del Ros dei carabinieri, il bimbo di 11 anni portato da Barzago (Lecco) in Siria dalla madre Valbona, che lasciò il marito e padre del bimbo per arruolarsi nell’Isis, il 17 dicembre 2014. Il ragazzino di nome Alvin, la cui madre sarebbe morta in un’esplosione, si trovava nel campo profughi di Al Hol in Siria. A Milano, dove pende un procedimento sulla donna coordinato dal pm Alberto Nobili, il gup Guido Salvini attivò le ricerche della donna e del figlio. Il bambino potrebbe rientrare in Italia già l’8 novembre.

«SI RICORDA DELL’ITALIA»

«Ricorda di avere avuto dei pregressi in Italia, il minore», ha spiegato in un verbale di fine settembre, di fronte al gup di Milano Guido Salvini, un investigatore del Ros dei carabinieri raccontando passo passo le ricerche per ritrovare e riportare in Italia il bambino. Una foto del piccolo, che veniva da personale della Croce Rossa, è stata mostrata al padre «che ha riconosciuto nel minore il figlio».

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Seggiolini antiabbandono obbligatori dal 7 novembre

Il decreto fiscale ha creato un fondo che dà un incentivo di 30 euro per ciascun dispositivo acquistato. Per gli automobilisti inadempienti sanzioni da 81 a 326 euro e decurtazione di 5 punti dalla patente.

Doveva partire a marzo dell’anno prossimo, ma scatta invece il 7 novembre 2019 l’obbligo di montare sulle auto i seggiolini antiabbandono per il trasporto di bambini di età inferiore ai quattro anni. Il ministero dei Trasporti ha infatti appena pubblicato una circolare in cui spiega che il regolamento di attuazione dell’articolo 172 del nuovo Codice della Strada, pubblicato il 23 ottobre sulla Gazzetta Ufficiale, entra in vigore 15 giorni dopo, ovvero il 7 novembre. Chi non si doterà dei seggiolini antiabbandono incorrerà in una sanzione amministrativa da 81 a 326 euro e subirà la decurtazione di 5 punti dalla patente.

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Come procedono le indagini sull’esplosione della cascina nell’Alessandrino

Il proprietario dell'edificio saltato in aria e in cui hanno perso la vita tre vigili del fuoco esclude il movente dei dissidi familiari: «Questa è una cattiveria, il movente di questo gesto è l'invidia».

Il giorno dopo la tragedia costata la vita a tre vigili di fuoco nell’esplosione della cascina a Quargnento, piccolo paese in provincia di Alessandria, so indaga ancora sulle origini di un gesto dalla chiara natura dolosa e i cui responsabili non sono ancora stati individuati.

«L’UNICA SPIEGAZIONE PUÒ ESSERE L’INVIDIA»

Giovanni Vincentti, proprietario dell’edificio, non sa darsi spiegazioni: «Il perché non lo so, o meglio, penso per pura e semplice invidia». «Io negli anni ho subito diversi atti dolosi» – ha aggiunto – «non siamo mai stati ben acquisiti da quel paese da quando ci siamo trasferiti, siamo una famiglia un po’ riservata, per questo non abbiamo mai avuto grossi rapporti con il vicinato».

«CHI PARLA DI DISSIDI FAMILIARI DICE UNA CATTIVERIA»

Vincenti, però, ha escluso che all’origine dell’accaduto ci siano, com’è stato ipotizzato nelle prime ore, dei dissidi familiari. «Questa è la cattiveria più grossa che potevano dire, io non ho problemi con mio figlio assolutamente». E ancora: «Andiamo d’amore e d’accordo, ci sono gli alti e bassi, lui se n’è andato via di casa perché la fidanzata voleva andare a Torino, io non l’ho presa benissimo, siamo stati tre-quattro mesi a litigare poi è finita».

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Le novità della guida Michelin Italia 2020

Ampio successo per lo chef Enrico Bartolini al Mudec di Milano. Male Vissani che perde una stella. Nel 2020 11 ristoranti con tre riconoscimenti.

Pioggia di stelle alla 65ma guida Michelin Italia. Una new entry tra le Tre stelle Michelin, Enrico Bartolini al Mudec di Milano. Tutti confermati i dieci al top della guida 2019. Milano entra così nel gotha della ristorazione italiana.

Tra le novità anche doppia stella per Glam di Enrico Bartolini a Venezia, e La Madernessa di Michelangelo Mammoliti, nel cuneese. Perdono una stella, scendendo da due a una, Al sorriso di Soriso (No), Locanda Don Serafino a Ragusa, Vissani a Baschi (Tr) e Locanda Margon a Ravina (Tn). La guida Michelin Italia 2020 ha premiato 11 ristoranti con tre stelle Michelin, 35 locali hanno ricevuto due stelle, e a 328 è stata assegnata una stella per un totale di 374 ristoranti stellati.

Nella nuova guida sono 13 i ristoranti italiani ad aver perso la stella. Sono I due buoi a Alessandria, San Marco a Canelli (At), Pomiroeu a Seregno (Mi), La Locanda del notaio a Pellio Intelvi, Locanda Stella D’oro a Soragna (Pr), Poggio Rosso a Castelnuovo Berardenga (Si), Winter garden by Caino a Firenze, Relais blu a Massa Lubrense, Mosaico a Ischia, Vairo del volturno a Vairano Patenora (Ce), Caffè Les paillotes a Pescara, Alpes a Sarentino (Bz), La Sponda a Positano.

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I funerali di Luca Sacchi a Roma, assente la fidanzata Anastasia

Chiesa gremita per l'ultimo addio al giovane ucciso il 24 ottobre scorso. Le lacrime della famiglia e l'omaggio degli amici.

Era gremita la chiesa del Santissimo nome in Maria all’Appio dove si sono svolti i funerali di Luca Sacchi, il giovane ucciso da un colpo di pistola durante una compravendita di droga a Roma. All’arrivo del feretro qualcuno ha pianto e altri si sono abbracciati. Tante le corone di fiori di amici, parenti e semplici cittadini.

ASSENTE LA FIDANZATA ANASTASIYA

Un lungo applauso ha accompagnato l’uscita del feretro al termine dei funerali. La mamma, tra le lacrime, ha abbracciato a lungo la bara con sopra una grande corona di rose bianche e la fascia «mamma, papà e Federico». Assente alla funzione la fidanzata di Luca, Anastasia, che era con lui la notte dell’omicidio.

LE PAROLE DEL SACERDOTE: «CON UCA MORTI ANCHE NOI»

«Non ci sono parole per colmare il vuoto di una persona cara che ci lascia soprattutto per i genitori. Solo il silenzio», queste le parole del sacerdote durante l’omelia. «La morte di Luca ci ha colpito, in un certo senso ci ha fatto morire», ha sottolineato, «Nel mondo in cui viviamo a volte ci sentiamo scoraggiati. Facciamo che la morte di Luca sia per tutti noi motivo di vita».

IL CUGINO: SARAI IL NOSTRO ANGELO

«Ancora oggi non riesco a realizzare quello che è accaduto. Non è giusto che accadano cose del genere alle persone buone in un mondo ormai allo sbaraglio». A dirlo è stato Roberto, il cugino di Luca Sacchi durante i funerali. «Luca era un ragazzo d’oro che tutti i genitori avrebbero voluto come figlio», ha aggiunto, «Sempre sorridente. Ognuno di noi ha un destino, ma questo è troppo. Non abbandonare mai tuo padre, tua madre e Federico. Da oggi sarai il loro angelo. Non ti dimenticheremo mai».

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