L’altra faccia di Consip oltre alle indagini sui renziani

Non c'è solo il caso finito sui giornali che ha riguardato il Giglio magico. La centrale degli acquisti della Pubblica amministrazione dal 1997 ha rappresentato una piccola rivoluzione. Tra web, sistema di contratti, gare e agenda digitale. I conti e la mission di una società per azioni di cui si conosce poco.

Consip significa Concessionaria servizi informativi pubblici, ma c’è il rischio che il grande pubblico finisca per associarla unicamente all’indagine sulla famiglia Renzi. E magari per concepirla come qualcosa da eliminare, in quanto occasione di corruzione. Invece si tratta di una sigla che ha rappresentato una rivoluzione nella Pubblica amministrazione italiana.

UNICO AZIONISTA IL TESORO

Società per azioni il cui unico azionista è il ministero dell’Economia e delle finanze, Consip è stata infatti la prima centrale di committenza in Italia e tra le prime in Europa a ricevere quella certificazione di qualità Iso 9001:2008 per i processi d’acquisto di beni e servizi che è ricercato riconoscimento internazionale. Al servizio esclusivo della Pubblica amministrazione, attualmente definisce la propria missione aziendale come «quella di rendere più efficiente e trasparente l’utilizzo delle risorse pubbliche, fornendo alle amministrazioni strumenti e competenze per gestire i propri acquisti e stimolando le imprese al confronto competitivo con il sistema pubblico».

L’INIZIO CON LA RIVOLUZIONE INFORMATICA

Ma quando nacque, nel 1997, doveva soprattutto adeguare lo Stato italiano alla rivoluzione informatica in corso. Attenzione alla data: è nel 1996 che il fenomeno internet esplose in tutto il mondo. Presto si capì che l’e-government, come venne ribattezzato, poteva rivoluzionare i rapporti tra Stato e cittadini. Il decreto legislativo del 19 novembre 1997 numero 414 affidò dunque alla Consip le attività informatiche dell’Amministrazione statale in materia finanziaria e contabile, mentre con i decreti del ministero del Tesoro del 22 dicembre 1997 e del 17 giugno 1998 fu assegnato alla società l’incarico di gestire e sviluppare i servizi informatici dello stesso ministero.

SISTEMA DA RIVEDERE DOPO TANGENTOPOLI

Se però a livello mondiale quelli erano stati gli anni della ascesa del web, in Italia un tema che era percepito come ancora più importate era di assicurare l’onestà nel sistema dei contratti della Pa, dopo che Tangentopoli aveva portato al passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica. Poteva essere la tecnologia il modo per assicurare correttezza e professionalità? Il nuovo millennio iniziò con quel decreto ministeriale attraverso il quale il 24 febbraio 2000 il ministero dell’Economia e delle finanze attribuì alla Consip anche l’attuazione del Programma per la razionalizzazione degli acquisti della Pubblica amministrazione, previsto dalla Legge finanziaria per il 2000. Un ruolo ulteriormente rafforzato tra 2013 e 2014.

OLTRE 400 PERSONE E 90 MILA CENTRI DI SPESA ABILITATI

Oggi Consip si presenta come «un’azienda di oltre 400 persone con un know-how ventennale sul procurement». Sono oltre 90 mila i centri di spesa abilitati, attraverso cui gestisce le gare per la Pubblica amministrazione. L’intervento è in tre principali ambiti. Il primo è il Programma di razionalizzazione degli acquisti della Pa. Offre alle amministrazioni strumenti di e-procurement, cioè il modo per gestire i propri acquisti via internet: convenzioni, accordi quadro, mercato elettronico, sistema dinamico di acquisizione, gare su delega e in Application service provider.

AGENDA DIGITALE E REVISIONE DELLA SPESA

Il secondo è il procurement di specifici “progetti-gara”, per singole amministrazioni e per tutte le amministrazioni, sulle iniziative per realizzare l’Agenda digitale italiana. Il terzo è lo sviluppo di Progetti specifici: assegnati con provvedimenti di legge o atti amministrativi, a seguito dell’esperienza maturata nella gestione di iniziative complesse, in tema di revisione della spesa, razionalizzazione dei processi e innovazione nella Pubblica amministrazione.

ANCHE SULL’INNOVAZIONE QUALCHE PROBLEMA GIUDIZIARIO

La Consip sostiene che lo sviluppo della sua attività «è caratterizzato da un modello organizzativo del tutto innovativo nella realtà italiana, che coniuga le esigenze delle amministrazioni con l’attenzione alle dinamiche del mercato, in un’ottica di massima trasparenza ed efficacia delle iniziative». In realtà la vicenda della famiglia Renzi dimostra che neanche l’innovazione riesce a sottrarsi del tutto a un certo tipo di problemi che continuano a scombussolare la politica italiana.

REALTÀ IMPONENTE AL DI LÀ DEI GUAI

Tuttavia, la Consip resta una realtà imponente. Alla fine del 2019 il valore di tutti gli acquisti della Pubblica amministrazione effettuati nel 2019 attraverso la Consip è arrivato a 14,5 miliardi: il 16% in più rispetto all’anno precedente, e con un risparmio di spesa per la Pa che è stato stimato in oltre 3 miliardi. Sono stati 700 mila gli ordini di spesa, con aggiudicatari oltre 130 mila fornitori: per il 99% Piccole e medie imprese. Negli ultimi tre anni il valore degli acquisti è aumentato del 77%, mentre nell’ultimo biennio è salito del 38% il numero delle gare aggiudicate.

UTILE NETTO 2019 A 7 MILIONI

Altri dati appena resi noti: 87 gare sopra la soglia comunitaria da 200 mila euro, per un totale di 350 lotti e un valore bandito di 14 miliardi, 80 aggiudicate per un totale di 190 lotti e un valore offerto sul mercato di oltre 7 miliardi. Oltre 1.150 le gare bandite dalle singole amministrazioni in autonomia sulla piattaforma di e-procurement Mef/Consip, per un valore di 5,2 miliardi. Un utile netto di esercizio che la società prevede in chiusura 2019 a 7 milioni di euro, con un aumento del 30% rispetto al 2018.

L’AZIENDA PROVA A RIPOSIZIONARSI

L’amministratore delegato della Consip Cristiano Cannarsa ha commentato dicendo che «tutti gli indicatori della gestione da luglio 2017 indicano una crescita a doppia cifra, confermando la fiducia di amministrazioni e imprese nel progetto di riposizionamento dell’azienda e premiando il nostro sforzo per soluzioni efficaci e innovative». Particolare orgoglio è mostrato per inclusione delle piccole e medie imprese «che oggi hanno raggiunto una partecipazione media di 5,7 pmi per ogni lotto messo a gara con un aumento del 73% rispetto a due anni fa».

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Lo scontro tra Autostrade e governo sulle concessioni

Durissima lettera di Aspi al governo contro la misura contenuta nel Milleproroghe. Si minaccia la risoluzione del contratto e la richiesta di 23 miliardi di danni allo Stato.

Scontro durissimo tra Autostrade e il governo, col Consiglio d’amministrazione di Aspi che ha lanciato il contrattacco sulla norma inserita nel decreto Milleproroghe che stabilisce, in casi eccezionali, il trasferimento immediato del controllo delle strade e della rete all’Anas. Uno strumento destinato a sbloccare i cantieri fermi, ma che potrebbe avere un effetto diretto sulla revoca della concessione chiesta a più riprese dal Movimento 5 stelle dopo il crollo del Ponte Morandi.

LA LETTERA DI AUTOSTRADE A MINISTERI E PALAZZO CHIGI

Con una lettera spedita a Palazzo Chigi, al ministero dei Trasporti e al ministero dell’Economia è la stessa società di Atlantia a minacciare a sua vota la revoca delle concessioni, con tutte le conseguenze del caso. A cominciare dal risarcimento del 100% del valore della concessione (23 miliardi di euro) in ragione dei  «molteplici diritti e principi sanciti dalla Costituzione e dal diritto comunitario, incluso il rispetto del principio di affidamento e a tutela del patrimonio della società e di tutti gli stakeholders». La risposta del ministro Paola De Micheli è stata altrettanto perentoria: minaccia intollerabile, non in linea con il ruolo di un concessionario di un bene dello Stato.

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Crisi 737 Max: licenziato il ceo di Boeing

Il cda ha deciso di non rinnovare la fiducia a Dennis Muilenburg. Per l'azienda è stato un anno disastroso, con due dei suoi aerei caduti e 346 vittime.

L’amministratore delegato di Boeing, Dennis Muilenburg, si è dimesso dopo che il cda dell’azienda ha deciso di non rinnovargli la fiducia. Il colosso dell’aviazione nomina David Calhoun presidente a amministratore delegato a partire dal 13 gennaio. Il cambio ai vertici è legato alla crisi del 737 Max. «Credo fermamente nel futuro di Boeing e del 737 Max», ha affermato Calhoun in una nota.

«PIÙ TRASPARENZA CON AUTORITÀ E CONSUMATORI»

Il consiglio di amministrazione di Boeing ha deciso che un cambio della leadership «era necessario per riportare fiducia nella società. Sotto la nuova leadership, Boeing», si legge in una nota, «opererà con un rinnovato impegno alla trasparenza», inclusa una migliore comunicazione con la Federal Administration Aviation, le autorità a livello globale e i consumatori.

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Visco gioca in difesa sulla Popolare di Bari

Dopo le critiche sui mancati interventi sulla banca pugliese, il capo di via nazionale spiega il perché il commissariamento è arrivato solo ora.

«La Banca d’Italia ha sempre svolto il proprio compito rispettando le regole, ha sempre collaborato e continuerà a farlo ed è pronta a fornire, come sempre», tutte le informazioni disponibili, così come è pronta a rendere conto del proprio operato, nelle sedi istituzionali.

Una veduta esterna di una filiale della Banca Popolare di Bari davanti alla quale risparmiatori e azionisti hanno inscenato una protesta, Bari, 18 dicembre 2019. ANSA / DONATO FASANO

Intervistato in apertura di prima pagina dal Corriere della Sera, il governatore di Bankitalia Ignazio Visco interviene sul caso della Popolare di Bari. E spiega che il commissariamento è stato disposto «quando le perdite hanno ridotto i livelli di capitale al di sotto dei minimi stabiliti dalle regole prudenziali».

«UNA COSA È LA VIGILANZA, L’ALTRA LA RISOLUZIONE DELLE CRISI»

«Bisogna esaminare individualmente – osserva Visco dopo le critiche arrivate in questi giorni sui compiti di Bankitalia – le due attività: quella di vigilanza e quella di gestione e risoluzione delle crisi, che sono cose diverse. La vigilanza sulle banche ha svolto il suo compito, con il massimo impegno e io reputo positivamente. La scelta di porre in amministrazione straordinaria questa banca – aggiunge – è il risultato, come sempre in questi casi, di un’attenta analisi, è un atto possibile in termini di legge solo dopo aver rilevato gravi perdite o carenze nei sistemi di governo societario. Ma la vigilanza non può intervenire nella conduzione della banca, che spetta agli amministratori scelti dagli azionisti. La banca deve seguire delle regole, la vigilanza verifica che ciò effettivamente accada».

DAL 2007 80 BANCHE COMMISSARIATE

«Dal 2007 – continua Visco – abbiamo posto in amministrazione straordinaria circa 80 intermediari: più della metà è tornata alla gestione ordinaria, per quelli liquidati o aggregati con altre banche, non vi sono state, nella generalità dei casi, perdite per depositanti e risparmiatori. La soluzione ordinata delle crisi bancarie, di per sé non semplice, è complicata dal nuovo approccio europeo in materia di gestione delle crisi e aiuti di Stato. Ma questo non ha niente a che fare con l’essere arbitro e giocatore». Comunque, puntualizza Visco, «sono stati difesi correntisti e risparmiatori. E sulla Tercas, secondo Visco, la Popolare di Bari paga la mancata trasformazione in società per azioni.

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Guida ai regali di Natale 2019 più stravaganti e inaspettati

Giochi per bambini con escrementi protagonisti. Monopoli rivisitati. Scacchi cinesi. Profumi al sushi o all'hamburger. Salva-Nutella. Accessori per fare i selfie al gatto. Tutte le idee last minute più originali (e un filo trash) se siete in crisi di ispirazione.

È spesso un problema fare i regali di Natale. Soprattutto quando vanno talmente a ruba che spariscono. A quanto pare, il regalo più gettonato dai bambini su Amazon è in uno scatologico “Acchiappa la cacca in cui i concorrenti devono far schizzare via un modello di escremento da un gabinetto a colpi di sturalavandino.

«Devi spingere lo sturalavandini sul water per il numero di volte indicato sul dado. Quando la cacca salta fuori dallo scarico, afferrala per primo. Se riesci a prenderla al volo, guadagni due gettoni! Vince chi ottiene più gettoni!», è la pubblicità. «Gioco per serate all’insegna delle risate e del divertimento, da due a quattro giocatori da 5 anni in su». Una icona dei tempi non del tutto gradevoli che stiamo vivendo? A ogni modo è andato totalmente sold out: su Amazon non è disponibile prima di due mesi. Chi ci tiene, forse può iniziare a prenotarsi per il Natale prossimo.

ESCREMENTI DA EVITARE A OCCHI BENDATI

In attesa si può ripiegare su “Non calpestarla. Il gioco dello sorprese birichine”, che è al numero 13 tra le vendite. Tanto la materia prima è sempre la stessa. «Evita le pupù a occhi bendati. Modella il composto incluso con lo stampo per farlo sembrare una vera pupù. Calpesta meno pupù possibile per vincere. Sfida i tuoi amici o gareggia contro te stesso».

IL REGALO FATEVELO DA SOLI: CON I BUONI

Anche quando l’articolo non è esaurito, c’è ovviamente poi il problema della scelta. Cosa si può prendere che il destinatario gradisca veramente e soprattutto non abbia già? Non sarebbe tutto più facile se la gente i regali se li facesse da sola? Fermi tutti! Proprio pensando a ciò Amazon ha inventato i Buoni regalo. E best seller in questo momento sono quelli presentati in formato natalizio. Primo quello da 30 euro in Cofanetto Fiocco, secondo da 50 in Cofanetto renne di Natale, terzo da 30 in Cofanetto Babbo Natale, eccetera.

MONOPOLI: CHI PIÙ NE HA PIÙ NE METTA

Ma torniamo ai giochi e giocattoli, che secondo tutte le rilevazioni sono al primo posto tra i regali natalizi. A parte quelli per bambini, tra i più intellettuali spopola sempre il Monopoli, che fu inventato ai tempi della grande crisi per esorcizzare quello che stava accadendo, e in qualche modo può forse continuare a svolgere una funzione del genere. Il Monopoli classico, sia pure rinnovato con una serie nuova di pedine, è al numero 7 delle vendite.

VERSIONI CON FORTNITE, ELETTRONICA E TEX

Al numero 19 è il Monopoly Fortnite, che integra il gioco sul capitalismo al videogioco del 2017 ambientato invece in un mondo apocalittico, sposando in modo originale lo schema del monopolio a quello del combattimento senza tregua. Numero 20 è Monopoly Ultimate Banking, con banca elettronica e carta di credito. Numero 59 Monopoly Junior, con pedine per bambini piccoli. Ma forse la variante più originale può essere il Monopoli di Tex. Le pedine sono cactus, stivali, ferri di cavallo, stelle da sceriffo, cappelli da cowboy e totem. Case e hotel sono in stile West, e anche la toponomastica. Il “per tutti i Satanassi”! lo potete aggiungere voi, per entrare meglio nella parte durante il gioco.

SCHERZI CINESI: COME QUESTI SCACCHI

La Cina è vicina, e anzi sempre più invadente. Dalla Belt and Road all’ambasciatore a Roma che incontra Beppe Grillo, passando per Donald Trump che blocca il Wto appunto perché dice che da quando ci sta in mezzo Pechino tutte le regole sono saltate. È vero che i cinesi hanno regole loro che sembrano partire dagli stessi principi nostri, ma poi diventano una cosa incomprensibile? Forse per verificarlo empiricamente nulla è più efficace di una partita di Xiangqi: o scacchi cinesi, perché si tratta dell’evoluzione cinese dello stesso ancestrale wargame che da noi ha dato gli scacchi.

SIMBOLOGIA DI UN ESERCITO ANTICO

Alcuni pezzi sono gli stessi. I pedoni in particolare, anche se sono solo cinque e non otto, mangiano come muovono, e una volta passato il fiume simbolico a metà della scacchiera possono andare anche di lato. O i cavalli, che però non possono scavalcare. Altri sono rimasti fedeli alla originale simbologia descrittiva di un esercito dell’antichità, che nelle traduzioni occidentali si è persa. Le torri sono dunque carri da guerra, con le stesse mosse. Quelli che in Occidente sono diventati alfieri o vescovi sono elefanti, solo che in diagonale possono muovere solo di due passi alla volta. Senza regina, un re o generale e due consiglieri o mandarini che non possono uscire da una “casa” o “reggia” dividono le mosse del re occidentale: solo avanti o indietro o di lato; solo in diagonale; sempre di una mossa.

NON HANNO DISEGNI MA IDEOGRAMMI

Ma ci sono soprattutto due cannoni o bombarde che sparano in avanti come un carro ma devono avere una pedina di mezzo per colpire: una cosa che da sola basta a mandare il giocatore occidentale fuori fase, quasi come le nostre aziende quando si trovano alle prese con il codice cinese sulla proprietà intellettuale. In più le pedine non hanno disegni ma ideogrammi: però, giusto per condiscendenza, ne sono state create versioni appunto simili agli scacchi occidentali. Chi vuole può provare anche a cimentarsi online con il computer: versione iconica o ideografica. Per regalare, su Amazon si può compare una magnifica versione iconica ispirata al famoso esercito di terracotta, o un’altra un po’ più cara ispirata al Romanzo dei Tre Regni. Versioni ideografiche ve ne sono in quantità.

ALLA CONQUISTA DEL MONDO: I VIDEOGIOCHI STRATEGICI

Il percorso idealmente iniziato con scacchi e xiangqi passando per il classico RisiKo! e varianti arriva ai videogiochi strategici di oggi, dove non si cerca più di vincere una semplice battaglia simbolica, ma addirittura di conquistare il mondo. Dalla tattica alla strategia. Da regalare sia ai sovranisti nostalgici di guerre tra nazioni sia ai globalisti vogliosi di dimostrare che di riffa o di raffa comunque a un mondo integrato si arriva. La svedese Paradox ha per esempio come sue ultime offerte Imperator: Rome e Age of Wonders: Planetfall. Nella prima si deve a provare a gestire una superpotenza del Mediterraneo nell’anno 450 a.C.: la Roma repubblicana, malgrado il nome, ma anche Cartagine o l’Egitto. Nel secondo invece si è proiettati in un futuro alla Star Wars. Comunque le regole della strategia e del potere restano le stesse: ieri, oggi, domani. Al massimo le si può prendere con un sorriso: cosa che suggerisce di fare Tropico, videogioco di God Games che affronta la lotta per il potere dal 1950 in poi in un immaginario Paese caraibico con un tono da dittatore dello Stato Libero di Bananas.

PROFUMI APPETTITOSI: DAL SUSHI ALL’HAMBURGER

Non ci sono comunque solo i giochi a Natale, anche se piacciono a grandi e piccini. Come spiegano le rilevazioni della Unione nazionale consumatori, al secondo posto dopo giochi e giocattoli tra i regali preferiti ci sono i prodotti per la cura della persona: profumi, cosmetici, creme viso-corpo, trousse trucchi. Gli alimentari sarebbero invece solo decimi, ma perché comunque più che regalarli a Natale e Capodanno li si consuma direttamente. Sarebbe possibile un regalo che rientri sia nella categoria profumi sia in quella cibo? Ormai, sì! In particolare, l’americana Demeter mette in vendita una fragranza per donne al profumo di sushi. L’azienda avverte che comunque non c’è odore di pesce ma «sentori di alghe, riso, zenzero e limoni». Quasi a ricambiare il favore agli Usa, in Giappone avevano creato una fragranza al Burger King, ma purtroppo non è più in vendita. O forse la si può trovare ancora?

INDOVINA CHI VIENE A CENA? L’INSETTO

Dal panettone al torrone passando per pandoro, tacchino, lenticchie e cotechino o zampone, gran parte della spesa alimentare per Natale è comunque tradizionale. Ma se qualcuno volesse sperimentare qualcosa di diverso? Ormai con l’e-commerce la gastronomia esotica non è più qualcosa solo da leggere nei libri di Tarzan o di Sandokan. In particolare carne di serpente «eccezionalmente buona» e carne di coccodrillo secca sono in vendita a prezzi competitivi su Multivores: un sito la cui principale specializzazione sono comunque gli insetti commestibili. In proposito c’è un “pacco scoperta” che permette di gustare uno snack che esplora tutte le principali specialità della casa: cavallette, grilli, bachi da seta e tarme della farina.

TOGLIETEMI TUTTO MA NON LA MIA NUTELLA

Anche i casalinghi sono un must: sesta categoria nelle vendite. E un gadget domestico lanciato qualche anno fa ma tornato di grande attualità è il lucchetto per non farsi rubare la Nutella. È stato infatti un tema delle ultime settimane la grande sfida tra la Barilla che ha lanciato una crema Pan di Stelle rivale della Nutella e la Ferrero che ha risposto con i Nutella Biscuits: una guerra commerciale con retroscena la polemica sull’olio di palma, che la Ferrero si vanta di usare come materia prima sostenibile e la Barilla invece si vanta di non usare.

SALVINI E IL BOICOTTAGGIO DELLE NOCCIOLE TURCHE

Sembra che qualche esperto in algoritmi abbia suggerito a Salvini di «dire qualcosa di sovranista» sul tema, per finire in testa ai clic. E così lui ha avuto la pensata di chiamare al boicottaggio della Nutella per “uso di nocciole turche”: ignorando del tutto che un anno e mezzo prima proprio la Ferrero aveva lanciato un programma per ridurre la dipendenza dalla materia prima turca (70% della produzione mondiale) facendo aumentare la produzione italiana dal 13 al 30% planetario entro il 2025 (la Nutella per la sua fabbricazione succhia da sola ogni anno tra il 25 e il 33% della produzione mondiale).

Avvertito che la battuta era risultata controproducente, Salvini ha corretto il tiro, tornando a farsi vedere mentre si abbuffa di Nutella. Insomma, per chi se lo vede girare davanti al frigo, il Nutella Lock-protect può essere indispensabile.

ROBA DA GATTI: L’ACCESSORIO PER I SELFIE

Anche l’elettronica è sempre un genere che va: quinto posto tra i settori merceologici. E qua ovviamente le offerte si sprecano. Nell’epoca di smartphone, selfie e social, sembra essere però sorto un grave problema: come postare il ritratto del proprio micio? Come ricorda il sito che mette in vendita questo accessorio, «a) i gatti hanno la fastidiosa abitudine di girare la testa, senza preavviso, b) preferiscono ampiamente dare un colpo di zampa sul telefono o graffiarti piuttosto che posare per una foto c) non hanno abbastanza pazienza per prestarsi a un gioco umano spesso scomodo. Ciononostante, lo sappiamo bene: le foto con più like su Instagram sono quelle in cui mettiamo le nostre palle di pelo». Allora come fare? L’idea è, appunto, un accessorio per fare il selfie al gatto. «Un gadget con una campanella che si collega al telefono e inizia a squillare quando lo sposti. Un modo per catturare immediatamente l’attenzione del tuo gatto». I venditori mettono però le mani avanti: «Dovrai essere reattivo perché i gatti non si lasciano ingannare facilmente e potrebbero capire lo stratagemma in pochi minuti». Anche perché «potrebbe non funzionare con gatti con problemi di udito, ipovedenti o di cattivo umore».

GIOIELLI DELL’ELETTRONICA: AURICOLARI SWAROVSKI

Infine, una cosa che costa, ma che permette di regalare due al prezzo (sia pure non modico) di uno: gioielli e elettronica attraverso appunto una coppia di auricolari rosa con cristalli Swarovski. Trovata del brand indiano iWave. Se non si sente bene, se non altro abbellisce.

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Pietro Gaffuri lascia la Rai

Viale Mazzini perde l'uomo a cui era stata affidata la direzione per la messa in opera del piano industriale. Un'altra tegola per l'azienda, già scossa dalle tensioni tra Foa e Salini.

Avevamo titolato “un 2019 da dimenticare per la Rai“, e ne abbiamo avuto conferma dopo la riunione del Cda e della Commissione di Vigilanza di giovedì 19 dicembre. Come se non bastasse, si aggiunge anche l’uscita di un dirigente di peso come Pietro Gaffuri. Ma andiamo con ordine.

IL GELO TRA FOA E SALINI

È gelo tra Marcello Foa e Fabrizio Salini sulle conseguenze della finta mail firmata Tria e spedita da un sedicente avvocato ginevrino al presidente di Viale Mazzini su cui i due hanno dato interpretazioni diametralmente opposte. Se il presidente ha lamentato la vulnerabilità informatica dell’azienda, sottolineando di aver chiesto più volte all’ad di provvedere ad alzare il livello di sicurezza, al contrario Salini ha riferito che Foa non aveva sollevato alcuna obiezione né perplessità sul contenuto della mail, che altro non era che un tentativo di estorsione attraverso una richiesta di soldi. Come se non bastasse, nel corso dell’audizione in Cda che doveva fornire un aggiornamento sullo sviluppo del piano industriale, il direttore generale Corporate Alberto Matassino e il Transformation Officer, Gaffuri, hanno ammesso che la partenza operativa del piano industriale targato Salini- Foa non potrà avvenire prima dell’autunno 2020.

LA MANCATA NOMINA DI TEODOLI

In questo quadro non desta stupore la mancata nomina di Angelo Teodoli alla direzione distribuzione dei generi che avrebbe rappresentato comunque un primo tassello per l’avvio del nuovo progetto. Ma la notizia incredibile che Lettera43.it è riuscita ad avere in via confidenziale è che Gaffuri, a cui Salini e Matassino avevano affidato la direzione cruciale per la messa in opera del piano industriale non più tardi del maggio di quest’anno, ha firmato con la Rai la sua uscita dall’azienda a far data dal 31 marzo 2020. Non sono note le ragioni dell’uscita, ma certo è che Salini e Matassino dovranno fare presto a individuare un sostituto capace di assumere l’incarico e di entrare nell’operatività immediata per evitare uno stop che allungherebbe ulteriormente i tempi di un piano che, complice la paralisi su nomine e i veti incrociati, nonostante agli inizi di ottobre abbia ricevuto il via libera del Mise, non è riuscito ancora a partire.

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Prima intesa sull’Ilva tra i commissari e ArcelorMittal

Messe nero su bianco le basi della futura negoziazione che si protrarrà fino al 31 gennaio per trovare un accordo vincolante. Resta irrisolta la questione degli esuberi.

I commissari straordinari dell’Ilva e ArcelorMittal hanno raggiunto un’intesa di base per la trattativa della ristrutturazione del contratto originario di affitto e vendita degli stabilimenti e per l’operazione finanziaria di rilancio del polo siderurgico con base a Taranto. «Mi risulta che si stia firmando in questo momento un documento che si chiama heads of agreement che si limita a indicare le basi per una futura negoziazione che si svolgerà fino al 31 gennaio al fini dei raggiungere un accordo vincolante», ha anticipato uno degli avvocati di ArcelorMittal in tribunale a Milano.

RINVIATA L’UDIENZA CON AL CENTRO IL RICORSO

L’avvocato Ferdinando Emanuele, uno dei legali che assistono il gruppo franco-indiano, davanti all’aula dove si terrà l’udienza con al centro il ricorso cautelare presentato dai commissari, ha spiegato che anche loro, come ha fatto la controparte, chiederanno un rinvio. «Siamo abbastanza soddisfatti», ha detto il direttore generale Claudio Sforza dopo la firma del protocollo d’intesa con ArcelorMittal. «Abbastanza perché questo è solo un pre-accordo, ora c’è un percorso da fare, ma ci sono elementi per poter lavorare. La soddisfazione piena arriverà soltanto dopo».

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Due arresti per il crack di Banca Base

Si tratta del presidente del Consiglio d'amministrazione Bottino e del direttore generale Sannolo. Accuse di aggiotaggio, bancarotta fraudolenta e ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza.

Il presidente del Consiglio d’amministrazione e il direttore generale di Banca Base, Piero Bottino, di 63 anni, e Gaetano Sannolo, di 47, sono stati arrestati, e posti ai domiciliari, da militari della guardia di finanza di Catania e del nucleo speciale di polizia valutaria nell’ambito dell’inchiesta sul crack dell’istituto di credito. Militari delle Fiamme gialle stanno inoltre notificando un avviso di conclusione indagini nei confronti di 18 indagati emesso dalla procura distrettuale.

TRA LE IPOTESI DI REATO BANCAROTTA E AGGIOTAGGIO

I reati ipotizzati, a vario titolo, per gli arrestati e i 18 indagati, sono, in concorso, bancarotta fraudolenta, falso in prospetto, ostacolo all’esercizio delle funzioni di vigilanza e aggiotaggio. Al centro dell’inchiesta lo stato d’insolvenza della Banca Sviluppo Economico s.p.a. (Banca Base) dichiarato dal tribunale civile di Catania nel dicembre 2018 e confermato in appello nell’aprile 2019. L’operazione delle Fiamme Gialle, denominata “Fake Bank“, secondo l’accusa, avrebbe consentito di «tracciare la perpetrazione ripetuta di illecite condotte operate dalla governance della ‘fallita’ banca etnea consistenti in operazioni finanziarie anti-economiche e dissipative del patrimonio societario in dispregio dei vincoli imposti dall’Autorità di Vigilanza».

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Di Maio dice che Lannutti non guiderà la commissione banche

Luigi Di Maio ha confermato che il senatore grillino ha deciso di fare un «passo di lato» rinunciando alla presidenza. In pole per sostituirlo Maniero e Ruocco.

A piccoli passi verso l’intesa sulla commissione banche. Luigi Di Maio, dopo giorni di polemiche, ha annunciato il «passo di lato» di Elio Lannutti dalla presidenza della commissione banche fornendo così il suo volto più dialogante al Pd. È stato il segno di una relativa tregua che, all’indomani dell’arrivo di Beppe Grillo, ha sembrato caratterizzare le fine dell’anno della maggioranza. La nomina del senatore grillino aveva fatto scoppiare diverse polemiche. Da un lato c’era chi lo attaccava per vecchi post antisemiti, dall’altro chi evidenziava come il figlio fosse un dipendente della Banca popolare di Bari, salvata recentemente da un intervento del governo.

AL SUO POSTO FORSE RUOCCO O MANIERO

Di Maio ha annunciato il ritiro di Lannutti in tv, nel salotto di Bruno Vespa. Un ritiro volontario, ci ha tenuto a dire il capo politico, ben consapevole che, tuttavia, con il senatore M5s l’accordo con i Dem era impossibile. E ora gli occhi sono puntati sui secondi più votati dal M5S, il deputato Alvise Maniero e la presidente della commissione Finanze Carla Ruocco. Senza escludere dalla gara il Questore del Senato Laura Bottici e il deputato Raphael Raduzzi.

UN PASSAGGIO PER RINSALDARE LA MAGGIORANZA

L’accordo con il Pd ora è alla portata. La presidenza resterebbe comunque al M5s e si potrebbe incrociare con una girandola di nuove nomine (in sostituzione di Ruocco o di Bottici) e con l’elezione del presidente della commissione sui fatti di Forteto. Intesa che sarà concretizzata a gennaio, mese comunque decisivo per Conte: all’inizio del 2020 il premier lancerà il decreto sul “cantiere Taranto“, dove si potrebbe recare alla metà del mese, e conta di trovare un punto di caduta anche sul nodo prescrizione. Nelle prossime ore – o venerdì – un vertice di maggioranza sulla giustizia potrebbe invece trovare l’intesa sul dossier intercettazioni: il suo rinvio dovrebbe andare nel milleproroghe, che il Cdm varerà venerdì 20. Ma sarà un rinvio meramente tecnico, al quale il Pd vuole accompagnare un accordo politico.

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Di Maio dice che Lannutti non guiderà la commissione banche

Luigi Di Maio ha confermato che il senatore grillino ha deciso di fare un «passo di lato» rinunciando alla presidenza. In pole per sostituirlo Maniero e Ruocco.

A piccoli passi verso l’intesa sulla commissione banche. Luigi Di Maio, dopo giorni di polemiche, ha annunciato il «passo di lato» di Elio Lannutti dalla presidenza della commissione banche fornendo così il suo volto più dialogante al Pd. È stato il segno di una relativa tregua che, all’indomani dell’arrivo di Beppe Grillo, ha sembrato caratterizzare le fine dell’anno della maggioranza. La nomina del senatore grillino aveva fatto scoppiare diverse polemiche. Da un lato c’era chi lo attaccava per vecchi post antisemiti, dall’altro chi evidenziava come il figlio fosse un dipendente della Banca popolare di Bari, salvata recentemente da un intervento del governo.

AL SUO POSTO FORSE RUOCCO O MANIERO

Di Maio ha annunciato il ritiro di Lannutti in tv, nel salotto di Bruno Vespa. Un ritiro volontario, ci ha tenuto a dire il capo politico, ben consapevole che, tuttavia, con il senatore M5s l’accordo con i Dem era impossibile. E ora gli occhi sono puntati sui secondi più votati dal M5S, il deputato Alvise Maniero e la presidente della commissione Finanze Carla Ruocco. Senza escludere dalla gara il Questore del Senato Laura Bottici e il deputato Raphael Raduzzi.

UN PASSAGGIO PER RINSALDARE LA MAGGIORANZA

L’accordo con il Pd ora è alla portata. La presidenza resterebbe comunque al M5s e si potrebbe incrociare con una girandola di nuove nomine (in sostituzione di Ruocco o di Bottici) e con l’elezione del presidente della commissione sui fatti di Forteto. Intesa che sarà concretizzata a gennaio, mese comunque decisivo per Conte: all’inizio del 2020 il premier lancerà il decreto sul “cantiere Taranto“, dove si potrebbe recare alla metà del mese, e conta di trovare un punto di caduta anche sul nodo prescrizione. Nelle prossime ore – o venerdì – un vertice di maggioranza sulla giustizia potrebbe invece trovare l’intesa sul dossier intercettazioni: il suo rinvio dovrebbe andare nel milleproroghe, che il Cdm varerà venerdì 20. Ma sarà un rinvio meramente tecnico, al quale il Pd vuole accompagnare un accordo politico.

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Popolare di Bari, nel 2016 un’ispezione di Bankitalia rilevò ritardi e incertezze

Palazzo Koch ha pubblicato gli esisti di un'ispezione nell'istituto pugliese avvenuto nel novembre di tre anni fa. Trovati ritardi e incertezze del management, errori sui prestiti rischiosi e troppa tolleranza del cda.

«Ritardi e incertezze» sul rafforzamento del capitale della Popolare di Bari, e un’azione del cda «non pienamente adeguata» ad affrontare l’acquisizione di Tercas, che ha generato «in misura rilevante l’elevata incidenza» dei crediti deteriorati (il 40% degli Npl derivavano dalla banca teramana e da Caripe). È quanto rilevava Bankitalia in un’ispezione condotta nel 2016 e terminata il 10 novembre di quell’anno sulla Banca popolare di Bari.

LEGGI ANCHE: Le vere cause della bancarotta della Popolare di Bari

ERRORI SULLE RISCHIOSITÀ DEI PRESTITI

L’ispezione evidenziò anche «errori», sia pure di «portata non significativa», nel quantificare i prestiti ponderati al rischio emergevano nel 2016, nel mezzo del piano di risanamento successivo all’acquisizione di Tercas. Nel dossier si legge anche che l’ispezione su 383 ‘rapporti’, pari a crediti soppesati per il rischio per 165 milioni ha fatto emergere «errori nel 20% dei casi esaminati, con punte del 30% per quelle garantite da immobili».

SOTTOSTIMATO L’IMPATTO DELL’USCITA DEI SOCI

In uno dei passaggi dell’ispezione si legge anche che le stime della Popolare di Bari sul proprio capitale «non hanno finora tenuto conto dei potenziali impatti dei rischi derivanti dall’imponente stock di azioni della Banca poste in vendita da oltre undicimila soci» pari a 281 milioni di controvalore, quasi un quarto del capitale sociale. «Le formulazioni delle ipotesi a base degli stress test sono risultate non sufficientemente conservative con riferimento all’emissione di strumenti di capitale».

QUEL CDA TOLLERANTE SUL RIENTRO DEI PRESTITI

Tra i vari aspetti portati alla luce dall’indagine c’erano anche «profili di debolezza» nel gestire i crediti che non rientravano, «mancata definizione» da parte del cda su tempi e modi del rientro, e «una gestione improntata a tolleranza». Le «ipotesi a base degli stress test», si legge el dossier, «sono risultate non sufficientemente conservative». Per alcune sofferenze, poi, «ai fini dell’attualizzazione è stato utilizzato, in luogo del tasso originario, l’ultimo applicato, di sovente inferiore, generando una sottostima della rettifica». E ancora, per valutare gli immobili a garanzia «non sono definiti i criteri e le metodologie per le stime affidate a soggetti esterni» e «per numerose posizioni esaminate riferibili alle due banche incorporate (Tercas e Caripe, ndr) le perizie degli immobili a garanzia non erano aggiornat».

I RISCHI SULLA FATTIBILITÀ DELL’AUMENTO DI CAPITALE

Altra criticità messa in luce dall’ispezione ha riguardato la ricerca di nuovi soci. Nel rapporto di Palazzo Koch si legge ancora che «la concreta realizzabilità degli interventi di ‘capital raising dovrà misurarsi con l’attuale sentiment non positivo» degli investitori verso le banche; con le incertezze sulla trasformazione in spa; con 281 milioni di controvalore messo in vendita dagli azionisti; con un prezzo delle azioni della Popolare di Bari che, anche dopo il ribasso da 9,53 a 7,5 euro nell’aprile 2016, «esprime multipli di patrimonio significativamente superiori” rispetto a banche comparabili. Considerando la scarsa reddivitità, ha avvertito poi il documento, «non è da escludere che nel breve periodo il valore dell’azione possa essere oggetto di un deprezzamento».

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Via libera ufficiale alla fusione tra Fca e Psa

I due cda hanno raggiunto l'accordo sul Memorandum. Elkann presidente e Tavares ceo. Dividendo da 5,5 miliardi agli azionisti di Fiat Chrysler. La nuova società sarà il quarto costruttore di auto al mondo.

I gruppi Fca e Psa hanno raggiunto l’accordo per la fusione. La nuova società sarà il quarto costruttore automobilistico al mondo in termini di volumi e il terzo in base al fatturato, con vendite annuali di 8,7 milioni di veicoli e ricavi congiunti di quasi 170 miliardi di euro. Il gruppo genererà sinergie annuali che a regime sono stimate in circa 3,7 miliardi di euro, senza chiusure di stabilimenti in conseguenza dell’operazione e con un flusso di cassa netto positivo già nel primo anno. Il perfezionamento dell’aggregazione tra i gruppi Fca e Psa è previsto in 12-15 mesi.

DIVIDENDO DA 5,5 MILIARDI DA FCA

Prima del closing, Fca distribuirà ai propri azionisti un dividendo speciale di 5,5 miliardi di euro mentre Psa distribuirà ai propri azionisti la quota del 46% detenuta nella società di componentistica Faurecia.

ELKANN PRESIDENTE, TAVARES CEO

Il nuovo gruppo avrà John Elkann alla presidenza e Carlos Tavares ceo. «Avrà forte supporto da parte degli azionisti di lunga data (Exor, famiglia Peugeot, Stato francese) che avranno una rappresentanza nel consiglio», si legge nella nota congiunta. Il cda avrà 11 membri, con una maggioranza di consiglieri indipendenti. Sarà consigliere anche Tavares che avrà un mandato iniziale di cinque anni.

LA NUOVA SEDE IN OLANDA

La nuova capogruppo della società che nascerà dalla fusione tra Fca e Psa avrà sede in Olanda sarà quotata su Euronext (Parigi), Borsa Italiana (Milano) e al New York Stock Exchange e beneficerà della sua forte presenza in Francia, Italia e negli Stati Uniti.

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Tutti i guai di Lannutti, il candidato grillino alla commissione banche

I post antisemiti e complottisti, il figlio assunto alla Popolare di Bari: perché il senatore M5s è diventato un impresentabile per presiedere le indagini sul settore del credito.

Come la volpe e l’uva, adesso che il suo nome è di fatto impresentabile, dice che lui alla Commissione banche nemmeno ci voleva andare. E però è stato solo il 17 dicembre quando è emerso che il figlio era stato assunto dalla popolare di Bari, che Elio Lannutti, il senatore M5s paladino dei consumatori divenuto noto per post antisemiti e complottisti, ha spiegato che non ambiva all’incarico. Ma, contemporaneamente, che non ha nessuna intenzione di farsi da parte.

«FACEVO IL TIFO PER PARAGONE»

«Alla commissione banche io non mi volevo neppure candidare: me lo hanno chiesto, io facevo il tifo per Paragone! Ma poi, con le procedure del M5S, mi hanno scelto. Dunque io sono il candidato del M5s e confermo che non farò nessun passo indietro», ha dichiarato spiegando che «chi spacca non sono io ma chi non voterà la mia persona».

DI PIETRO A FARGLI DA AVVOCATO

«Non mi ritiro dalla corsa alla presidenza della commissione banche. Fin quando non mi chiederanno di lasciare io sono il candidato», ha ribadito Lannutti, dopo la notizia che suo figlio Alessio lavora alla Banca Popolare di Bari. «Io non ho mai voluto denunciare nessun collega, ma ora ho affidato la tutela del mio onore ad Antonio Di Pietro e ad Antonio Tanza, presidente dell’Adusbef», ha spiegato. «Cosa significa che mio figlio lavora in banca? Dov’è il conflitto di interesse? Andate a vedere il conflitto di interesse di coloro che hanno fatto i crack e non di uno che lavora onestamente. Vi dovete vergognare! Di Pietro mi difenda anche da questo!», ha detto dopo aver incontrato a Roma sia il fondatore del Movimento Cinque stelle Beppe Grillo che l’ex leader di Italia dei valori Antonio Di Pietro.

Antonio Di Pietro e Lannutti escono dall’hotel Forum, dopo aver incontrato Beppe Grillo il 17 dicembre 2019. (Ansa)

«QUESTA È MACCHINA DEL FANGO»

Questa si chiama macchina del fango, Alessio è il più giovane giornalista professionista, è stato giornalista parlamentare, si è laureato con 110 e lode, è stato licenziato, gli ho sconsigliato di continuare a fare il giornalista e ha trovato lavoro come impiegato”. Lei si deve occupare di banche quando suo figlio lavora alla Popolare di Bari: non c’è conflitto di interessi? “Ma lui lavora come impiegato”. Lei potrebbe avere un occhio di favore nei confronti della popolare di Bari anche per il fatto che suo figlio lavora come impiegato. “E dov’è il conflitto di interessi? Non esiste, è l’ennesima macchina del fango. Con grande rammarico ma ora ci saranno denunce penali e civili nei confronti di colleghi per questa campagna diffamatoria»”, conclude

Il senatore M5s Elio Lannutti in Aula. (Ansa)

IL PD: «SI RITIRI E CI TOLGA DALL’IMBARAZZO»

Contro la sua candidatura si erano espressi sia esponenti di Italia viva come Luigi Marattin che del Partito democratico Alessia Morani. «Dovrebbe essere Lannutti a ritirarsi dalla candidatura per la presidenza della commissione banche. Mi auguro che abbia la sensibilità di togliere la maggioranza da questo grande, gigantesco imbarazzo», ha dichiarato pubblicamente l’esponente dem.

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Cosa dicono gli audio tra i vertici della Banca popolare di Bari

Fanpage.it ha pubblicato i nastri di una riunione tra manager in cui si sentono il presidente Giannelli e dell'ad De Bustis parlare della Popolare di Bari sui conti «taroccati» e l'aiuto di Bankitalia.

«Quando sono arrivato la prima volta c’era un signore coi capelli bianchi a capo della pianificazione e controllo, a cui chiesi di vedere i dati delle filiali. Tutti truccati. Truccavate persino i conti economici delle filiali. Taroccati». Le parole sono quelle di Vincenzo De Bustis, ad della Popolare di Bari che si rivolgeva a Gianvito Giannelli, presidente, in una riunione del 10 dicembre scorso. La conversazione è contenuta in un file audio pubblicato da Fanpage.it. «È stato veramente irresponsabile quello che è successo negli ultimi tre, quattro anni. Questa banca è un esempio di scuola di cattivo management, irresponsabile, esaltato».

GIANNELLI: «ABBIAMO IL SOSTEGNO DI GOVERNO E BANKITALIA»

Nella registrazione si sente anche l’intervento di Giannelli, in particolare per quanto riguarda il salvataggio: «Non c’è rischio di commissariamento. C’è un piano industriale serio che prevede gli interventi di investitori istituzionali, una parte pubblica e una parte privata, cioè il Fondo interbancario, con un percorso light, non stiamo parlando di Genova, passata per il commissariamento, e meno che mai delle banche venete». «Abbiamo iniziato un percorso di messa in sicurezza della banca, un percorso ufficiale che è assistito dalla vigilanza in tutti i suoi passaggi. Sarà un percorso molto breve per i primi passaggi che si chiuderà prima di Natale», assicurava Giannelli.

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Cosa c’è dietro allo stop della produzione di 737 Max da parte di Boeing

Il colosso americano ha deciso di bloccare tutto da gennaio 2020. Pesano le mancate autorizzazioni al volo dopo gli incidenti della Lion Air e Ethiopian Airlines. E il titolo crolla in borsa.

Nuova grana per Boeing. I tempi per il ritorno in volo del 737 Max si allungano e costringono il colosso dell’aviazione a una sospensione della produzione del velivolo, a terra da mesi dopo due incidenti mortali che hanno causato 346 vittime. Non è chiaro quanto durerà lo stop: l’unica certezza è che scatterà in gennaio 2020.

AEREI PRODOTTI ANCHE DOPO LO STOP DELLE AUTORITÀ MODNIALI

L’annuncio ha affondato i titoli Boeing che, in una giornata record per Wall Street, sono arrivati a perdere l’1% nelle contrattazioni after hours dopo aver chiuso la seduta in calo del 4,92%. Al momento lo stop non si tradurrà in alcun taglio della forza lavoro. «Il ritorno in servizio del 737 Max in sicurezza resta la nostra priorità», ha affermato la società in una nota. Lo stop temporaneo segue il taglio di un quinto della produzione deciso lo scorso aprile. Boeing ha continuato a produrre 40 aerei 737 Max al mese da marzo, quando le autorità mondiali hanno deciso la messa a terra del velivolo. Ora però la società è costretta a una mossa più estrema in seguito all’incertezza per un ritorno nei cieli del velivolo.

INCERTI I TEMPI PER UN RITORNO AL VOLO

Inizialmente la messa a terra del velivolo sembrava essere destinata a durare un periodo limitato. Ma è da marzo che il 737 Max non vola, e non è chiaro quando e se potrà tornare a volare. Di sicuro, secondo le indicazioni delle autorità americane, nessuna certificazione sarà rilasciata prima degli inizi del 2020. Potrebbe essere gennaio o febbraio. American Airlines non prevede un ritorno in volo prima di marzo. La Federal Administration Aviation non si sbilancia sui tempi, consapevole che la posta in gioco è alta: l’agenzia federale è stata travolta dalla critiche per il 737 Max e per il processo di certificazione attuato. E le rilevazioni delle ultime settimane hanno complicato ulteriormente la posizione della Faa. Secondo indiscrezioni, l’agenzia sapeva già dopo il primo incidente della Lion Air che l’aereo era a rischio ma nonostante questo non è intervenuta. E non lo ha fatto fino all’incidente dell’Ethiopian Airlines.

GLI EFFETTI DELLO STOP SUI CONTI DI BOEING

Per Boeing una sospensione della produzione rappresenta un duro colpo a uno dei suoi modelli di punta: sono 383 i 737 Max a terra da marzo e sono 400 quelli pronti per la consegna ma che sono stati bloccati. E di un colpo costoso: la società ha già visto calare il proprio utile di 5,6 miliardi di dollari per compensare i clienti e ha previsto ulteriori 3,6 miliardi di dollari di costi per il programma 737. La sospensione della produzione potrebbe aumentare la pressione sull’amministratore delegato, Dennis Muilenburg, al quale è già stato strappato il titolo di presidente. Ma lo stop preoccupa anche l’economia americana per la quale Boeing, il maggiore esportatore manifatturiero statunitense, e la sua produzione rappresentano un motore importante. L’incapacità di Boeing di consegnare i velivoli da marzo ha già avuto ripercussioni negative sul deficit commerciale americano.

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Cosa c’è dietro allo stop della produzione di 737 Max da parte di Boeing

Il colosso americano ha deciso di bloccare tutto da gennaio 2020. Pesano le mancate autorizzazioni al volo dopo gli incidenti della Lion Air e Ethiopian Airlines. E il titolo crolla in borsa.

Nuova grana per Boeing. I tempi per il ritorno in volo del 737 Max si allungano e costringono il colosso dell’aviazione a una sospensione della produzione del velivolo, a terra da mesi dopo due incidenti mortali che hanno causato 346 vittime. Non è chiaro quanto durerà lo stop: l’unica certezza è che scatterà in gennaio 2020.

AEREI PRODOTTI ANCHE DOPO LO STOP DELLE AUTORITÀ MODNIALI

L’annuncio ha affondato i titoli Boeing che, in una giornata record per Wall Street, sono arrivati a perdere l’1% nelle contrattazioni after hours dopo aver chiuso la seduta in calo del 4,92%. Al momento lo stop non si tradurrà in alcun taglio della forza lavoro. «Il ritorno in servizio del 737 Max in sicurezza resta la nostra priorità», ha affermato la società in una nota. Lo stop temporaneo segue il taglio di un quinto della produzione deciso lo scorso aprile. Boeing ha continuato a produrre 40 aerei 737 Max al mese da marzo, quando le autorità mondiali hanno deciso la messa a terra del velivolo. Ora però la società è costretta a una mossa più estrema in seguito all’incertezza per un ritorno nei cieli del velivolo.

INCERTI I TEMPI PER UN RITORNO AL VOLO

Inizialmente la messa a terra del velivolo sembrava essere destinata a durare un periodo limitato. Ma è da marzo che il 737 Max non vola, e non è chiaro quando e se potrà tornare a volare. Di sicuro, secondo le indicazioni delle autorità americane, nessuna certificazione sarà rilasciata prima degli inizi del 2020. Potrebbe essere gennaio o febbraio. American Airlines non prevede un ritorno in volo prima di marzo. La Federal Administration Aviation non si sbilancia sui tempi, consapevole che la posta in gioco è alta: l’agenzia federale è stata travolta dalla critiche per il 737 Max e per il processo di certificazione attuato. E le rilevazioni delle ultime settimane hanno complicato ulteriormente la posizione della Faa. Secondo indiscrezioni, l’agenzia sapeva già dopo il primo incidente della Lion Air che l’aereo era a rischio ma nonostante questo non è intervenuta. E non lo ha fatto fino all’incidente dell’Ethiopian Airlines.

GLI EFFETTI DELLO STOP SUI CONTI DI BOEING

Per Boeing una sospensione della produzione rappresenta un duro colpo a uno dei suoi modelli di punta: sono 383 i 737 Max a terra da marzo e sono 400 quelli pronti per la consegna ma che sono stati bloccati. E di un colpo costoso: la società ha già visto calare il proprio utile di 5,6 miliardi di dollari per compensare i clienti e ha previsto ulteriori 3,6 miliardi di dollari di costi per il programma 737. La sospensione della produzione potrebbe aumentare la pressione sull’amministratore delegato, Dennis Muilenburg, al quale è già stato strappato il titolo di presidente. Ma lo stop preoccupa anche l’economia americana per la quale Boeing, il maggiore esportatore manifatturiero statunitense, e la sua produzione rappresentano un motore importante. L’incapacità di Boeing di consegnare i velivoli da marzo ha già avuto ripercussioni negative sul deficit commerciale americano.

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Confindustria, a Sud non regge il patto della sfogliatella

Sfuma l'accordo per sostenere Bonomi. Colpa della fuga in avanti del presidente partenopeo Grassi. Così si è sbriciolata l'unità d'intenti degli industriali del Mezzogiorno.

È durato poco l’accordo di unità delle Confindustrie del Sud per sostenere Carlo Bonomi e, come sta avvenendo per le territoriali lombarde, ci si avvia in ordine sparso al confronto per la designazione del nuovo presidente di Confindustria. Ma facciamo un passo indietro. Al Mezzogiorno spetta di diritto un posto nella squadra del presidente, frutto dell’alternanza Nord/Sud prevista dalla riforma Pesenti. Nell’ultimo quadriennio nella squadra di Vincenzo Boccia era stato designato per il Nord il presidente di Bolzano, Stefan Pan. Nel prossimo mandato toccherà dunque a un presidente di una territoriale del Sud.

L’OK A BONOMI IN CAMBIO DI DUE POSIZIONI DI VERTICE

Un paio di mesi fa ci fu il “patto della sfogliatella“. Tutti i presidenti delle territoriali meridionali si ripromisero unità nella corsa al successore di Boccia, promettendo di avere un occhio benevolo verso il lombardo Bonomi, in cambio di due posizioni di vertice, quella di diritto e quella frutto dello scambio per portare compatti i voti del Sud. L’importante è stare uniti e non fare fughe in avanti, si dissero convinti. Strette di mano, pacche sulle spalle e tutti tornarono nelle proprie territoriali. Ma come spesso sanno i cultori delle materie confindustriali, spesso queste intese durano lo spazio di un mattino.

LA FUGA IN AVANTI DI NAPOLI

Passata qualche settimana, la prima a smarcarsi è stata Napoli: il posto di diritto spetta a noi, ha detto all’orecchio di Bonomi il presidente partenopeo Vito Grassi, che tra l’altro si è fatto votare dai suoi iscritti una proroga per non arrivare scaduto al maggio prossimo quando si incoronerà il nuovo leader degli imprenditori italiani. È allora che pugliesi, calabresi, siciliani e tutti gli altri del patto della sfogliatella sono insorti. Ma come, hanno obiettato irritati, noi ci impegniamo a essere uniti e Grassi negozia per conto suo con Bonomi?

Dal Sud sussurrano che a mettere pepe nel sistema ci si sia messo anche il past president D’Amato che ha fatto filtrare la disponibilità di Illy a scendere in campo

Risultato? Si è sbriciolata l’unità di intenti del Sud con grande scorno del presidente di Assolombarda e con il sorriso degli altri contendenti, il bresciano Giuseppe Pasini, il re del legno emiliano Emanuele Orsini, e l’industriale orafa torinese Licia Mattioli. E dal Sud sussurrano che a mettere pepe nel sistema ci si sia messo anche il past president Antonio D’Amato che ha fatto filtrare la disponibilità del triestino Andrea Illy (il più importante cliente della sua società, la Seda) a scendere in campo nella corsa alla presidenza di Confindustria.

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Confindustria, a Sud non regge il patto della sfogliatella

Sfuma l'accordo per sostenere Bonomi. Colpa della fuga in avanti del presidente partenopeo Grassi. Così si è sbriciolata l'unità d'intenti degli industriali del Mezzogiorno.

È durato poco l’accordo di unità delle Confindustrie del Sud per sostenere Carlo Bonomi e, come sta avvenendo per le territoriali lombarde, ci si avvia in ordine sparso al confronto per la designazione del nuovo presidente di Confindustria. Ma facciamo un passo indietro. Al Mezzogiorno spetta di diritto un posto nella squadra del presidente, frutto dell’alternanza Nord/Sud prevista dalla riforma Pesenti. Nell’ultimo quadriennio nella squadra di Vincenzo Boccia era stato designato per il Nord il presidente di Bolzano, Stefan Pan. Nel prossimo mandato toccherà dunque a un presidente di una territoriale del Sud.

L’OK A BONOMI IN CAMBIO DI DUE POSIZIONI DI VERTICE

Un paio di mesi fa ci fu il “patto della sfogliatella“. Tutti i presidenti delle territoriali meridionali si ripromisero unità nella corsa al successore di Boccia, promettendo di avere un occhio benevolo verso il lombardo Bonomi, in cambio di due posizioni di vertice, quella di diritto e quella frutto dello scambio per portare compatti i voti del Sud. L’importante è stare uniti e non fare fughe in avanti, si dissero convinti. Strette di mano, pacche sulle spalle e tutti tornarono nelle proprie territoriali. Ma come spesso sanno i cultori delle materie confindustriali, spesso queste intese durano lo spazio di un mattino.

LA FUGA IN AVANTI DI NAPOLI

Passata qualche settimana, la prima a smarcarsi è stata Napoli: il posto di diritto spetta a noi, ha detto all’orecchio di Bonomi il presidente partenopeo Vito Grassi, che tra l’altro si è fatto votare dai suoi iscritti una proroga per non arrivare scaduto al maggio prossimo quando si incoronerà il nuovo leader degli imprenditori italiani. È allora che pugliesi, calabresi, siciliani e tutti gli altri del patto della sfogliatella sono insorti. Ma come, hanno obiettato irritati, noi ci impegniamo a essere uniti e Grassi negozia per conto suo con Bonomi?

Dal Sud sussurrano che a mettere pepe nel sistema ci si sia messo anche il past president D’Amato che ha fatto filtrare la disponibilità di Illy a scendere in campo

Risultato? Si è sbriciolata l’unità di intenti del Sud con grande scorno del presidente di Assolombarda e con il sorriso degli altri contendenti, il bresciano Giuseppe Pasini, il re del legno emiliano Emanuele Orsini, e l’industriale orafa torinese Licia Mattioli. E dal Sud sussurrano che a mettere pepe nel sistema ci si sia messo anche il past president Antonio D’Amato che ha fatto filtrare la disponibilità del triestino Andrea Illy (il più importante cliente della sua società, la Seda) a scendere in campo nella corsa alla presidenza di Confindustria.

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Come può cambiare la governance di Atlantia

In arrivo due Ceo, uno dei quali concentrato sulle attività estere. Vendita di una quota di Aeroporti di Roma. E futuro da scrivere per Mion. le indiscrezioni del Sole 24 Ore.

Un processo di rafforzamento della governance di Atlantia, con l’arrivo di due Ceo, uno dei quali focalizzato sulle attività estere. E poi l’avvio della procedura per la vendita di una quota di Aeroporti di Roma, fino al 49%, insieme a un percorso per la valorizzazione di un pacchetto di Telepass, anche in questo caso rilevante. Sarebbe questa, secondo quanto riportaIl Sole 24 Ore, la strategia messa a punto dalla famiglia Benetton che ha tenuto a Treviso un Consiglio d’amministrazione di Edizione e che si prepara a riscrivere la governance di Atlantia guardando anche ai mercati esteri.

LA POSSIBILE USCITA DI SCENA DI MION

L’articolo racconta che per la famiglia Benetton il prossimo anno rappresenta sotto diversi aspetti un banco di prova e ipotizza anche che, finito il mandato la prossima estate, il presidente di Edizione, Gianni Mion, decida di uscire di scena, con una scelta che sarà definita in prossimità del passaggio di consegne. La famiglia Benetton, invece, «seppure in un sistema che resterà collegiale, dovrà decidere un rappresentante interno che possa sostituire lo storico braccio destro di Gilberto Benetton. Improbabile l’innesto di un manager esterno». È evidente che su Atlantia potranno pesare le decisioni che il governo prenderà sulle concessioni di Autostrade per l’Italia ma gli azionisti si starebbero preparando a riscrivere – riporta Il Sole 24 Ore – governance e struttura di controllo di Atlantia ma anche a rivederne ruolo e obiettivi in termini di investimenti attuali e futuri.

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OpenCUP, l’informazione al centro

Giunto alla fine della seconda fase, il progetto del DiPE, Invitalia e Sogei mette a disposizione i dati sugli investimenti pubblici.

Si è tenuto il 16 dicembre 2019 a Roma presso il Talent Garden, l’evento conclusivo del progetto OpenCUP, dati che creano valore.

L’iniziativa, nata dall’idea del Dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica (DiPE), ha voluto valorizzare la banca dati del Sistema Codice Unico di Progetto – CUP con la pubblicazione in formato open dell’Anagrafe dei progetti d’investimento pubblico sulPortale OpenCUP.  All’indirizzo opencup.gov.it, il portale, infatti, mette a disposizione di tutti, cittadini, istituzioni ed altri enti, i dati, in formato aperto, sulle decisioni di investimento pubblico finanziate con fondi pubblici nazionali, comunitari o regionali o con risorse private registrate con il Codice Unico di Progetto.

L’iniziativa è giunta al compimento della sua seconda fase ed è finanziata dai fondi europei (PON Governance e Capacità istituzionale 2014-2020): l’evento è stato l’occasione per condividere l’esperienza maturata negli ultimi tre anni anche nell’ambito delle solide collaborazioni che si sono instaurate con i partner Invitalia e Sogei; illustrare i risultati raggiunti e prospettare gli sviluppi futuri del progetto OpenCUP.

Tra i presenti, oltre ai protagonisti dell’iniziativa, l’Autorità di Gestione del PON finanziatore del progetto, Invitalia S.p.A. e Sogei S.p.A, i testimonial del riuso dei dati OpenCUP, da Bankitalia fino al caso di Tom Tom che attraverso i dati OpenCUP può creare servizi di geo-referenziazione ad alto valore aggiunto. Presente anche il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Mario Turco, che ha dichiarato: “I sistemi di monitoraggio degli investimenti pubblici sono diventati strumenti cruciali nell’attuazione degli interventi programmati, perché consentono sia di seguirne i progressi, che di evidenziare i casi di blocco nei processi e di effettuare le opportune riprogrammazioni di risorse. Bisogna però precisare che in questo ambito, ci sono ad oggi delle criticità a più livelli che ne impediscono una piena operatività. Il rafforzamento del monitoraggio deve necessariamente passare per un cambiamento culturale che porti gli attori coinvolti, monitoranti e monitorati, ad un dialogo tra centro e periferia per ritenere tale azione non solo come un onere ma anche come un’opportunità.”  

I NUMERI DEL PORTALE OPENCUP

La seconda fase del progetto ha ingrandito e ampliato il pannel dei dati. Opencup.gov.it, online dal dicembre del 2015, ha reso disponibili ad oggi i dati su 3,3 milioni di interventi pubblici (tra questi 1 milione di records riguardano i lavori pubblici (erano già 800mila nel 2015); 2,2 milioni di dati sugli incentivi alle imprese e circa 100mila records sui contributi per la ricostruzione post eventi sismici. Tutto è rilasciato in formato aperto e scaricabile in un unico dataset complessivo.

Durante l’evento il DiPE ha annunciato anche la consegna delle chiavi di accesso al sistema MGO per il monitoraggio delle grandi opere a favore della DIA, per aumentare la legalità e contrastare le infiltrazioni mafiose negli appalti. Attualmente sono monitorate 67 grandi opere per 66 miliardi di euro.

IMPORTANTI COLLABORAZIONI

Un portare che propone, dunque, uno sguardo d’insieme sugli investimenti pubblici. Tutto questo è stato possibile grazie all’interoperabilità tra diversi sistemi informativi e all’ottimizzazione del corredo informativo. Tramite il portale OpenCUP, infatti, è possibile ricercare un determinato progetto e se esistono dati su quest’ultimo, si può cercare anche su altri portali. Le cooperazioni già attive sono con OpenCoesione, OpenCantieri e Italia sicura scuole. Collaborazioni come quella con il Centro Nazionale delle ricerche e il Politecnico di Milano hanno contribuito, infine, all’innalzamento della qualità dei dati.

«Oggi tradurre le esigenze di innovazione del Paese in benefici per i cittadini significa mettere il cittadino stesso al centro dei servizi pubblici e consentirgli di interagire con lo Stato in trasparenza anche attraverso canali e strumenti digitali di Open Government – ha dichiarato Andrea Quacivi, Ad di Sogei. #NoidiSogei supportiamo i nostri Clienti in progetti reali, Open Cup rappresenta una eccellenza dell’Italia, un esempio di progetto innovativo digitale, oltre ad essere un servizio pubblico precursore nell’uso degli Open data, creato e sviluppato per favorire la conoscenza e la consapevolezza dei cittadini sulle decisioni di investimento pubblico. L’Italia si posiziona al 4’ posto nell’ambito della componente Open data dell’indice DESI 2019, dietro solo all’ Irlanda, alla Spagna e alla Francia, questo è un risultato significativo di cui si parla troppo poco, gli Open data costituiscono una risorsa primaria, un bene comune come l’aria e l’acqua, disponibile senza barriere tecniche, giuridiche, di prezzo».

I RICONOSCIMENTI PER OPERNCUP

Il progetto, per la sua utilità e trasparenza, ha ricevuto importanti riconoscimenti come l’Open Data Maturity Report 2018 – Best practice europea (20 novembre 2018); il Premio “Agenda digitale” dell’Osservatorio del Politecnico di Milano (13 dicembre 2018) e il Premio Innovazione 2018 conferito dal Senato della Repubblica in collaborazione con la Fondazione COTEC (Roma, 4 marzo 2019).

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