La previsione di Banca d’Italia: tra il 2020 e il 2030 230 milioni di migranti

Le stime sono state diffuse dal governatore Ignazio Visco. Eppure la cifra record non riuscirebbe a compensare l'invecchiamento della popolazione europea. Mentre la crisi ambientale rischia di ridurre il nostro reddito pro capite del 25%.

Un mondo spezzato dalla crisi ambientale e in cui i flussi migratori diverranno correnti di esseri umani in movimento da un continente all’altro. Le prospettive per il futuro secondo il presidente della Banca d’Italia Ignazio Visco delineano uno scenario molto complesso da gestire. «Tra il 2020 e il 2030 il flusso di nuovi migranti potrebbe raggiungere la cifra record di circa 230 milioni di persone, quasi quanto la loro attuale consistenza. In Europa, tuttavia, gli arrivi previsti non basterebbero più a impedire una sensibile diminuzione del numero di persone in età attiva». È il quadro tracciato dal governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco. «La crisi ambientale – ha aggiunto – potrebbe ridurre il reddito pro capite mondiale di quasi un quarto entro il 2100 rispetto al livello che si potrebbe altrimenti raggiungere, con riduzioni forti soprattutto nel Sud del mondo e più lievi (in qualche caso aumenti) nel resto del pianeta».

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Sciopero all’ex Ilva: si fermano tutti gli stabilimenti

Dalle 7 di questa mattina i lavoratori incrociano le braccia: «Inaccettabile il disimpegno di ArcelorMittal e il piano di esuberi, il governo non deve fornire alibi». Assemblea anche a Genova.

È in corso dalle 7 di questa mattina lo sciopero di 24 ore indetto da Fim, Fiom e Uilm nello stabilimento siderurgico di Taranto e negli altri siti del Gruppo ArcelorMittal. Decine di lavoratori dell’appalto sono in presidio nei pressi della portineria imprese. Presenti anche lavoratori diretti e rappresentanti sindacali. I metalmeccanici chiedono «all’azienda l’immediato ritiro della procedura di retrocessione dei rami d’azienda e al governo di non concedere nessun alibi alla stessa per disimpegnarsi, ripristinando tutte le condizioni in cui si è firmato l’accordo del 6 settembre 2018 che garantirebbe la possibilità di portare a termine il piano Ambientale nelle scadenze previste». Fim, Fiom e Uilm sostengono che «la multinazionale ha posto delle condizioni provocatorie e inaccettabili e le più gravi riguardano la modifica del Piano ambientale, il ridimensionamento produttivo a quattro milioni di tonnellate e la richiesta di licenziamento di 5 mila lavoratori, oltre alla messa in discussione del ritorno a lavoro dei 2 mila attualmente in Amministrazione straordinaria».

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Ex Ilva, proclamato uno sciopero di 24 ore in tutti gli stabilimenti ArcelorMittal

L'agitazione è stata indetta per venerdì 8 novembre e prenderà il via a partire dalle 7 del mattino. Intanto i lavoratori dell'indotto sono pronti a un blocco a oltranza.

Uno sciopero di 24 ore in tutti gli stabilimenti di ArcelorMittal, prima programmato solo per il sito di Taranto, è stato proclamato dai sindacati Fiom, Fim e Uil per venerdì 8 novembre. La protesta avrà inizio dalle ore 7 del mattino e le segreterie territoriali definiranno le modalità di mobilitazione. ArcelorMittal, sostengono i sindacati, «ha posto condizioni provocatorie e inaccettabili e le più gravi riguardano la modifica del piano ambientale, il ridimensionamento produttivo a 4 milioni di tonnellate e la richiesta di licenziamento di 5 mila lavoratori, oltre alla messa in discussione del ritorno al lavoro dei 2 mila in amministrazione straordinaria». I sindacati «chiedono all’azienda l’immediato ritiro della procedura e al governo di non concedere nessun alibi alla stessa per disimpegnarsi».

I LAVORATORI DELL’INDOTTO PRONTI AL BLOCCO A OLTRANZA

Intanto, i segretari di Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Fist Cisl, Uiltrasporti e Uiltucs Uil, che rappresentano gli operai dell’indotto, hanno fatto sapere di essere pronti al blocco dell’attività. «L’auspicio è che governo e istituzioni creino le condizioni per una soluzione definitiva. Senza una risposta esaustiva, unitariamente alle confederazioni di Cgil, Cisl e Uil e al fianco dei colleghi degli altri settori del siderurgico, saremo pronti a tutte le iniziative fino al blocco a oltranza delle attività lavorative nei propri settori».

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Le pessime previsioni d’autunno dell’Ue sull’Italia

Tagliate le stime del Pil per il 2020: siamo il fanalino di coda in Europa. Deficit in aumento al 2,3%. Debito al 136% e mercato del lavoro in deterioramento.

Deciso aumento del debito italiano nelle previsioni Ue d’autunno: nel 2019 salirà a 136,2% e nel 2020 a 136,8%. Bruxelles rivede così al rialzo le stime di primavera che lo davano a 133,7% e 135,2%. Le cause principali sono «debole crescita del Pil nominale, deterioramento dell’avanzo primario» e «costo in aumento delle misure passate», cioè reddito di cittadinanza e quota 100.

DEFICIT IN LEGGERO AUMENTO NEL 2020

La Commissione Ue prevede per l’Italia un deficit «stabile» al 2,2% per il 2019 e in leggero aumento al 2,3% nel 2020. «La spesa del governo aumenta per l’introduzione del reddito di cittadinanza e delle misure che ampliano la possibilità di pensionamento anticipato», visto che entrambe le misure mostreranno solo a partire dal 2020 «il loro pieno costo annuale», scrive Bruxelles. I dati del deficit delle previsioni di primavera erano molto più alti (2,5% e 3,5%), ma non incorporavano ancora la correzione di bilancio estiva.

ITALIA MAGLIA NERA IN EUROPA NELLE STIME SUL PIL

«L’economia italiana è in stallo dall’inizio del 2018 e ancora non mostra segnali significativi di ripresa», prosegue Bruxelles. Invariata rispetto all’estate la stima sul Pil 2019 (+0,1%), tagliata invece quella sul Pil 2020 (da +0,7% a +0,4%). Nel 2020 c’è una «modesta» ripresa della crescita, «grazie a domanda esterna e spesa delle famiglie, che però è attenuata dal mercato del lavoro in deterioramento». L’Italia si conferma ultima in Europa sia nel 2019 che nel 2020.

MERCATO DEL LAVORO IN DETERIORAMENTO

Nel nostro Paese, «il mercato del lavoro è rimasto resiliente di fronte al recente rallentamento economico, ma gli ultimi dati puntano a un deterioramento» Il calo della produttività è probabile che spinga i datori di lavoro «a tagliare posti o ricorrere a contratti temporanei» e il «numero dei senza lavoro difficilmente calerà anche a causa del nuovo reddito di cittadinanza che indurrà progressivamente più persone a registrarsi come disoccupate». Per il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, le previsioni Ue «sono molto in linea» con quelle del governo, «sul 2019 sono le stesse», e riguardano «una situazione che abbiamo ereditato», anche se «in realtà dati più recenti dell’Istat ci dicono che si potrebbe chiudere anche a 0,2. Sul 2020 lo scostamento è molto limitato, ma noi pensiamo che la nostra previsione sia corretta, e anzi prudente, e quindi contiamo in una crescita maggiore nel 2020».

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Cosa dice l’ultimo bollettino economico della Bce

In evidenza «una protratta debolezza nelle dinamiche di crescita» e «la persistenza di pronunciati rischi al ribasso».

I dati più recenti, fra cui la crescita economica rallentata allo 0,2% nel secondo trimestre dallo 0,4% precedente, «continuano a indicare un’espansione moderata seppur positiva nell’area dell’euro nella seconda metà di quest’anno». Lo scrive la Bce nel bollettino economico, notando tuttavia «una protratta debolezza nelle dinamiche di crescita» e «la persistenza di pronunciati rischi al ribasso».

«PRONTI AD ADEGUARE STIMOLI PER SPINGER L’INFLAZONE»

Anche per questo, il Consiglio direttivo della Bce ribadisce «la necessità di mantenere un orientamento di politica monetaria ampiamente accomodante per un prolungato periodo di tempo» e «resta pronto ad adeguare tutti gli strumenti a disposizione, ove opportuno, per assicurare che l’inflazione continui ad avvicinarsi stabilmente all’obiettivo».

«I RISCHI LEGATI A BREXIT RESTANO ELEVATI»

Infine, «i rischi legati a Brexit restano elevati». Il negoziato per l’addio della Regno Unito all’Ue viene indicato tra gli altri rischi per l’economia internazionale – dai dazi alle incertezze su alcune economie emergenti – che «restano orientati al ribasso».

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Fca & Psa, John Elkann e la maledizione della terza generazione

All'erede Agnelli così deciso a vendere ai francesi non deve importare molto del lascito dell'Avvocato che si è sempre rifiutato di cedere la Fiat. Il che non fa che confermare la teoria di Schumpeter.

Sulle imprese familiari spira il cupo presagio della loro morte con l’arrivo della terza generazione. Non solo Joseph Schumpeter, dalla cattedra di imprenditorialità a Harvard, nel 1929, lanciò la “sua” maledizione alle terze generazioni, ma sono i numerosi detti popolari e i proverbi ad avere cementato questa credenza.

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Dal cinese «Fu bu guo san dai» (la ricchezza non sopravvive mai a tre generazioni) allo spagnolo «la prima generazione commercia, la seconda è benestante, la terza mendica», dal tedesco «di rado le terze generazioni fanno bene» ai proverbi americani «three generations from overalls to overalls» (tre generazioni dalla tuta alla tuta) e «from shirtsleeves to shirtsleeves in three generations» (dalle stalle alle stalle in tre generazioni, ovvero la prima generazione crea, la seconda mantiene, la terza distrugge).

Gianni Agnelli.

L’ISTINTO DIFENSIVO DELL’AVVOCATO AGNELLI

Ne era più che consapevole l’avvocato Gianni Agnelli come ricorda il professor Giuseppe Berta nella biografia scritta per il Dizionario biografico degli italiani della Treccani: «Nel 1985, (Agnelli) si ritrasse dall’intesa con la Ford perché quest’ultima avrebbe voluto avocare a sé la quota azionaria di maggioranza della nuova società 10 anni dopo il suo avvio. Un istinto difensivo lo trattenne dall’impegnarsi in un’iniziativa che, al di là dei patti originari, non si sarebbe comunque potuta predeterminare nei suoi sviluppi, a motivo delle caratteristiche che distinguono un settore industriale complesso come l’automobile. Nel 2000, una preoccupazione analoga, acutizzata con il tempo dal desiderio di Agnelli di non venire meno al lascito del nonno, impedì alla Fiat di accettare l’offerta della Daimler-Chrysler, interessata a rilevare il controllo della sua divisione automobilistica».

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IL CONSIGLIO DI CUCCIA: VENDERE TUTTO

È di quegli anni il consiglio del padre-padrone di Mediobanca Enrico Cuccia all’Avvocato: «Venda tutto a Daimler». «E che ci farei?», confidò Gianni Agnelli a Marcello Sorgi allora direttore de La Stampa. «Ritirarmi nell’isola di Tonga seduto su un pacco di miliardi?». Forse è ancora presto per sapere se John Philip Jacob Elkann presiederà i consigli d’amministrazione della più che probabile Psa&Fca N.V. collegandosi in videoconferenza dall’isola nel Pacifico.

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ELKANN CONFERMA LA MALEDIZIONE DI SCHUMPETER

Ma una cosa è certa: del lascito del co-fondatore della Fiat, a Elkann non deve importare molto essendo determinato a vendere la casa automobilistica ai francesi. Vero che, anagraficamente, Elkann rappresenta la quinta generazione. Ma, dal punto di vista operativo, John conferma perfettamente la “maledizione” di Schumpeter. Infatti, l’ingegnere, nato a New York il primo aprile 1976, è il terzo esponente della famiglia a presiedere Fiat dopo il primo Giovanni Agnelli e il nonno Gianni. Come noto, la seconda (Edoardo Agnelli) e la quarta (Margherita e Edoardo) generazione saltarono il turno.

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ArcelorMittal vuole 5 mila esuberi per tenersi l’ex Ilva

Conte in una drammatica conferenza stampa: «Richiesta inaccettabile, offrano soluzioni che ci rassicurino». Il governo è disponibile a ripristinare l'immunità. Altre 48 ore per trattare, ma lo scenario è fosco.

Il premier Giuseppe Conte ha confermato in conferenza stampa che ArcelorMittal vuole 5 mila esuberi – su un totale di 10.777 dipendenti, di cui 1.200 già in cassa integrazione – per tenersi l’ex Ilva, che ogni giorno a Taranto perde 2,5 milioni di euro. Una condizione durissima, che il governo ritiene «inaccettabile». L’esecutivo, ha detto Conte, «è disponibile al ripristino dell’immunità sul piano ambientale, per sgombrare il campo da un falso problema. Ma nella discussione con l’azienda è venuto fuori che non è questa la vera causa del disimpegno. Lo dico senza timore di essere smentito: lo scudo penale non è il tema. Il tema vero è che ArcelorMittal ritiene che gli attuali livelli di produzione non siano sostenibili per remunerare gli investimenti. Dunque non ritiene possibile garantire l’occupazione».

In diretta da Palazzo Chigi

Posted by Giuseppe Conte on Wednesday, November 6, 2019

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Sul dossier scatta ufficialmente «un allarme rosso» ed è necessario che «il Paese regga l’urto di questa sfida». Ma secondo il premier «nessuna responsabilità sulla decisione dell’azienda può essere attribuita al governo. Siamo disponibili a tenere aperta una finestra negoziale, 24 ore su 24. Invitiamo ArcelorMittal a prendersi un paio di giorni per offrire soluzioni che ci rassicurino sulla continuità dei livelli occupazionali, dei livelli produttivi e sul piano di risanamento ambientale». Ma quali strumenti concreti ha il governo per tentare di convincere l’azienda a tornare sui suoi passi, senza finire in Tribunale? Ben pochi. E Conte lo ha ammesso: «Ho offerto lo scudo penale, è stato rifiutato. Ho quindi chiesto di aprire un tavolo di negoziazione». Ma le mani del governo sono sostanzialmente vuote, a meno di non voler immaginare un ricorso massiccio alla cassa integrazione o un costosissimo subentro dello Stato. «Al momento non c’è nessuna soluzione, nessuna richiesta nostra è stata accettata», ha aggiunto il premier.

PATUANELLI: «LA RIDUZIONE DELLA PRODUZIONE È STRUTTURALE»

Il ministro dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli, visibilmente scosso, ha ribadito il concetto: «Questa è una vertenza industriale. ArcelorMittal vuole ridurre la produzione a 4 milioni di tonnellate e vuole 5 mila persone in meno. Ma ha vinto la gara promettendo 6 milioni di tonnellate e 8 milioni dal 2024. C’è un altro problema: se non si produce, non si investe nemmeno sul risanamento ambientale. Noi siamo disponibili ad accompagnare la situazione attuale, legata alle tensioni commerciali e alla crisi dell’automotive. Ma loro sono stati chiari: la riduzione della produzione è strutturale. Per noi è inaccettabile, il piano industriale di ArcelorMittal è stato proposto nel 2017, di fatto sono dentro da un anno».

SINDACATI CONVOCATI PER IL 7 NOVEMBRE

Conte ha promesso che gli operai e le comunità locali non saranno lasciati soli: «Domani convocheremo i sindacati. C’è l’assoluta determinazione di rilanciare l’ex Ilva e Taranto. Non è questione di minoranza o maggioranza, le polemiche politiche sono assolutamente inutili». Oltre agli esuberi, ArcelorMittal avrebbe chiesto anche una norma ad hoc per tenere in vita l’altoforno 2, che non è a norma e che rischia di essere spento dalla magistratura. Le organizzazioni dei lavoratori sono pronte alla mobilitazione. La Fim-Cisl si è mossa autonomamente con uno sciopero immediato, mentre in serata la Fiom e la Uilm hanno proclamato una giornata di astensione dal lavoro per l’8 novembre e una manifestazione a Roma, «di fronte all’arroganza» di ArceloMittal e alla «totale incapacità della politica».

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L’Ue taglia le stime sul Pil dell’Italia nel 2020

Dal +0,7% previsto d'estate, Bruxelles passa al +0,4%. Invariate, invece, quelle per il 2019, confermate al +0,1%.

Nelle previsioni economiche d’autunno in arrivo giovedì 7 novembre, secondo quanto anticipato dall’Ansa, salvo sorprese dell’ultima ora la Commissione Ue lascerà a +0,1% la stima sul Pil italiano 2019, invariata rispetto alle sue ultime previsioni di luglio. Rivedrà invece al ribasso la stima sul 2020: dal +0,7% previsto d’estate, a +0,4%.

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