La cerimonia degli arrivederci

Lettera43 chiude dopo avere sfiorato i 10 anni. E senza avere mai tradito la propria vocazione. Il pessimismo della ragione porterebbe a considerare terminata questa esperienza. Ma l'insano attaccamento al mestiere lascia aperto uno spiraglio per una ripartenza.

Chiudiamo, dopo aver sfiorato i 10 anni. Li avremmo compiuti ufficialmente il prossimo 7 ottobre, il giorno in cui nel 2010 Lettera43 ha debuttato. Ricordo la temperie dell’epoca, l’entusiasmo per le magnifiche sorti e progressive dell’informazione digitale, la convinzione dell’ineluttabile declino della carta stampata. Diciamo che è andata così per la seconda, mentre per la prima non è stato il pranzo di gala che allora ci si aspettava. Piuttosto, un desco frugale.

UNA VOCAZIONE MAI TRADITA

Lettera43 è nata e cresciuta con una vocazione mai tradita: quella di dare notizie, retroscena, alzare il velo sui ben paludati mondi del potere economico-finanziario (e non solo) che certo non gradiscono di essere scandagliati oltre la superficie. Di questo, anche molti che sono stati bersaglio dei nostri articoli, ci hanno alla fine reso merito. Abbiamo sempre cercato di andare dentro e dietro le cose, i fatti e i personaggi, fedeli alla convinzione che l’apparenza nasconde i veri accadimenti, che la realtà è diversa dal racconto che la filtra, dalla sua versione dominante.

LA PRODUZIONE CONTA, LA DISTRIBUZIONE PURE

Ho sempre considerato che dare le notizie, possibilmente scrivendole bene, fosse una filosofia che prescindeva dalla specificità del mezzo. In parte è vero, in parte mi sono sbagliato: ho capito con ritardo che sul digitale, per dirla all’ingrosso, la distribuzione conta più della produzione. Il più clamoroso scoop o la più bella inchiesta possono risultare inefficaci se non sai come immetterli nel micidiale circuito dove il combinato di indicizzazione sui motori di ricerca e social media la fa da padrone. Il non averlo da subito compreso ci ha fatto perdere treni importanti e tempo prezioso. Siamo comunque stati un giornale che nei momenti più alti poteva contare, stando alle classifiche e agli Analytics, su una media quotidiana di 250 mila lettori. Purtroppo, e questo sin dal primo anno, mai su un bilancio in pareggio per via di una struttura dei costi che, ancorché progressivamente ridotta, è risultata sempre pletorica.

Il passaggio della raccolta pubblicitaria dalle campagne premium al programmatico ha ridotto i prezzi e conseguentemente i ricavi

Crudo dirlo, ma sarebbe sciocco edulcorare. Il modello di business non ha mai trovato un equilibrio anche perché la diversificazione sulla carta con l’esperienza di Pagina99 ha aggravato la situazione. È stato un settimanale che tutti hanno riconosciuto di grande qualità, che ha vinto il premio della critica ma non quello dell’edicola e degli inserzionisti, indispensabile per la sua sopravvivenza. La gratuità dell’informazione online, unitamente ad una tanto invocata quanto disattesa riforma dell’editoria che prendesse in carico la peculiarità dei nuovi media e i mutamenti del mercato, hanno fatto il resto. Così come il passaggio della raccolta pubblicitaria dalle campagne premium al programmatico ha ridotto i prezzi e conseguentemente i ricavi.

Ciò nonostante quella di Lettera43 resta una preziosa esperienza: per la precisione e autorevolezza dell’informazione che su alcuni temi le sono state riconosciute, per aver potuto contare su un editore che ad essa ha garantito grande libertà. E per l’impegno di chi, giornalisti e non, in questi anni vi ha partecipato. Ora la casa editrice prosegue la sua attività con i periodici, Rivista Studio e Undici, che hanno saputo nel tempo trovare un equilibrio economico e un modello editoriale i cui risultati confortano e fanno sperare in un futuro di ulteriore crescita.

PORTE SOCCHIUSE PER UNA RIPARTENZA

Per quanto riguarda noi, questa non vorrebbe essere una cerimonia degli addii ma degli arrivederci. E così l’abbiamo titolata. Alla notizia della chiusura abbiamo ricevuto attestazioni di affetto e stima oltre ogni aspettativa. E parevano davvero sincere, non di circostanza o piaggeria (se pensi di aver svolto un ruolo importante sei un presuntuoso, se te lo riconoscono gli altri cominci a credere che possa essere vero). Sono stati comunque, nella buona come nella cattiva sorte, 10 anni belli e intensi. Il pessimismo della ragione, unito a un po’ di stanchezza e scoramento, porterebbe a considerarla finita qui. Ma l’ottimismo, la passione, l’insano folle attaccamento a un mestiere che ovviamente è il più bello del mondo, fanno sperare e lasciano le porte socchiuse per una ripartenza. Chissà.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Lo spazio di Lettera43 e il tempo mancato per dire addio a Salvini

Questo giornale è stato un felice azzardo. Ringrazio e saluto, con il rimpianto per un giornale che aveva spazio e futuro. Anche per vedere la fine del leader della Lega.

Non so se oggi è l’ultimo o il penultimo giorno di Lettera43, ma preferisco andar via prima dei padroni di casa. È buona creanza.

In questa casa sono stato bene, ho trovato un direttore, Paolo Madron, molto bravo, di larghe vedute, un vero liberale e una redazione che ho sentito come una grande famiglia. Ringrazio anche la segreteria di redazione, in molti casi veramente amichevole.

IL FELICE AZZARDO

Potrei chiudere qui con questi ringraziamenti rivolti, di cuore, verso persone a cui non ho mai stretto la mano e tanto meno dato o ricevuto un abbraccio. Non c’entra la Covid-19, c’entra la particolarità di questo strumento di comunicazione che descrivono freddo ma non lo è.

Io nel giornalismo ho provato tutte le esperienze, i quotidiani, il settimanale, la radio, qualche comparsata in tv ma il giornalismo online mi si è presentato davanti all’improvviso per merito di Jacopo Tondelli, direttore de Linkiesta. Quando Jacopo, con Massimiliano Gallo, lasciò la sua creatura, andai via anche io per solidarietà e poco dopo ricevetti una bella telefonata di Paolo Madron che mi invitava a scrivere su Lettera43.

Pensai che sarebbe stato un azzardo cambiare, ma è stato un felice azzardo perché Lettera43 si è rivelato un giornale vero, con notizie tempestive, commenti puntuali, interazione con i lettori divertenti, urticanti, sempre utili.

AVREI VOLUTO DARE L’ADDIO A SALVINI

Mi sarebbe piaciuto che questa esperienza fosse durata di più. Avrei voluto scrivere una pagina di addio a Matteo Salvini quando sarà fatto fuori dalla Lega che cercherà di riconquistare uno status di partito serio, di governo, internazionalmente stimato. Mi sarebbe anche piaciuto celebrare anche il ritorno a casa di Luigi Di Maio la cui fragilità e mutevolezza di opinioni mi sembrano leggendarie. Pazienza.

Ho la soddisfazione di aver colto tempestivamente la crisi del governo giallo verde e il lento declino del facinoroso che guida la Lega.

Lettera43 nel panorama dell’informazione ha svolto un ruolo prezioso schierandosi, senza fanatismi, per un’Italia seria, aperta alle riforme, occidentale.

QUEI GIORNALI DIVENTATI MICRO PARTITI

L’equilibrio fra giornalismo di carta e giornalismo online, malgrado la crisi in cui questa testata è precipitata, dice che sul medio periodo sarà la carta a lasciare il passo, non a cedere, ma a lasciare il passo ai giornali in Rete. C’è nell’online e in altri forme di comunicazione tecnologicamente avanzate una rapidità, una interrelazione con i fatti, una immediata percezione del rapporto con chi legge che la carta non ha mai realizzato né potrà mai realizzare. Non solo per ragione del tutto evidenti. La carta arriva dopo, ma anche perché i giornali di carta, ancora preziosissimi, sono in Italia micro-partiti politici. Ogni collega, è un “vizietto” anche mio, crede di essere il miglior leader del proprio schieramento. Cosa che a sinistra è riuscita solo a Ezio Mauro e a Paolo Mieli, mentre il mitico Scalfari, pur essendo un numero uno, non ce l’ha mai fatta.

A destra abbiamo molti replicanti di Vittorio Feltri, inarrivabile. È l’unico collega che cerca di apparire più respingente di quanto sia nella realtà, forse. Però sia la Repubblica di Ezio Mauro, sia il giornalismo tutto intero quando era egemonizzato da Paolo Mieli, sia il giornalismo feltrizzato appartengono a un’era che si sta esaurendo.

LO SPAZIO DI LETTERA43

Nel centro sinistra si vedono le tracce di questa crisi con la vicenda dell’estromissione di Verdelli a favore di un giornalista-senatore come Molinari. A destra non è visibile ancora perchè la pancia della destra e i suoi pensieri ribollono. Ma la destra, se non sceglie la strada della eversione (che non sceglierà), a un certo punto taglia le sue ali, e l’effetto di un mondo pieno di Trump, di Johnson, di Bolsonaro e Orban si rivelerà fragile perché tutti loro danno risposte a problemi che la loro cultura ha creato e perché nessuno di loro, o tutti loro in gruppo, non valgono la furbizia della classe dirigente cinese. E questo, da occidentale, non mi fa piacere.

Lo spazio per Lettera43, come si può capire da queste parole, secondo me c’era. Non l’ha pensata così l’editore. Spero solo che questa conclusione non disperda le qualità umane e intellettuali di una redazione di serie A. Questa sarebbe colpa grave.

Arrivederci a tutti e grazie.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

A Repubblica nasce il premio al giornalista della settimana

L'iniziativa del neodirettore Molinari istituisce un riconoscimento di 600 euro per chi saprà distinguersi con la proposta migliore.

Tra le doti richieste a un buon direttore di giornale c’è, ai primi posti, la capacità di motivare il proprio corpo redazionale. E spendersi ogni giorno per valorizzare un team di giornalisti dalle diverse capacità e visioni, riuscendo a mantenere il giusto equilibrio tra una sana competizione e lo spirito di squadra che necessariamente dovrebbe animare le stanze di un quotidiano.

UN RICONOSCIMENTO DI 600 EURO LORDI IN BUSTA PAGA

Non sempre accade, purtroppo, ma sarà forse questa la ragione che ha spinto il neodirettore di Repubblica, Maurizio Molinari, a pochi giorni dal suo insediamento, a istituire una sorta di riconoscimento individuale per il “giornalista della settimana”. Il premio consiste, si legge in un messaggio recapitato da Molinari ai suoi cronisti, in una R stilizzata con il nome del vincitore e un riconoscimento di 600 euro lordi in busta paga. Il “trofeo”, si legge ancora, sarà assegnato ogni lunedì mattina, scegliendo tra le proposte illustrate da ogni responsabile di settore, sia su carta che sul digitale.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

BASILICATA | www.basilicataonline.com,È morto il giornalista Giampaolo Pansa

La storica firma si è spenta a Roma a 84 anni. Sulle pagine di tutti i più prestigiosi quotidiani nazionali ha messo in luce per decenni i difetti della politica e degli italiani. Giampaolo Pansa, storica firma del giornalismo italiano, è morto a Roma a 84 anni. Ha scritto negli anni per La Stampa, il Giorno, il Corriere della Sera e soprattutto Repubblica, di cui è stato anche vicedirettore. Nato a Casale Monferrato nel 1935, iniziò a lavorare a La Stampa nel 1961 e lo scorso settembre aveva ripreso a scrivere per il Corsera. Autore di diversi libri sulla Resistenza e sul fascismo, è stato per decenni il grande fustigatore della politica italiana e in particolare la bestia nera della sinistra.

I REPORTAGE E LA POLITICA

Dagli esordi torinesi con un memorabile reportage sulla Strage del Vajont agli articoli sull’attentato di Piazza Fontana e quelli sullo scandalo Lockheed, nella sua lunga carriera ha messo a segno tanti colpi. Sua per esempio l’espressione “Balena Bianca” per definire la democrazia cristiana. Alla fine degli anni ’80 del Novecento lancia dalle pagine di Panorama la sua celebre rubrica Il Bestiario , che poi porta sull’Espresso ed infine su Libero.

LE ACCUSE DI REVISIONISMO

Tra i libri più noti, Il Sangue dei vinti, nel quale mette a punto le sue idee poi accusate di revisionismo sulla Resistenza. Provocatore fino all’ultimo con un autoritratto intitolato Quel fascista di Panza e poi con un pamphlet su Salvini Ritratto irriverente di un seduttore autoritario. Nel 2016 aveva perso il figlio Alessandro, ex ad di Finmeccanica morto di malattia a 55 anni. Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Comunicato della redazione di Lettera43.it e LetteraDonna.it

I giornalisti proclamano tre giorni di sciopero dopo la decisione della società di procedere alla richiesta di Cassa integrazione guadagni straordinaria a zero ore per riorganizzazione aziendale.

L’8 gennaio 2020 la società editoriale News3.0 ha presentato ai redattori un documento scritto sull’apertura della procedura di richiesta della Cassa integrazione guadagni straordinaria a zero ore per riorganizzazione aziendale. Un provvedimento pronto a colpire otto giornalisti sugli attuali 14 assunti, che con le dimissioni di un altro lavoratore ridurrebbero l’organico a sole cinque unità.

La redazione considera gravissime e sproporzionate le misure, che tra l’altro non sono stato oggetto di discussione o trattativa con l’azienda per cercare eventuali alternative possibili. In gioco, oltre al posto dei giornalisti, c’è anche la sopravvivenza delle testate Lettera43.it e LetteraDonna.it che dopo anni di lavoro vengono così di fatto smantellate o chiuse.

Le motivazioni addotte alla decisione di chiedere la Cigs, e cioè la necessità di sistemare i conti in un contesto di crisi generalizzata del settore dell’editoria, vengono usate come scuse per nascondere incapacità manageriali e per falcidiare in questa misura il corpo redazionale, che tra l’altro negli anni e tra diverse difficoltà, ripetute riduzioni di organico e licenziamenti improvvisi non ha mai fatto mancare il suo apporto e la sua professionalità, a ogni ora del giorno e della notte, in ogni giorno dell’anno e fuori dalle mansioni contrattuali.

Ora i redattori pagano sulla loro pelle le ripercussioni di vecchie esperienze fallimentari, come FreeJourn, Pagina99, Sextelling, ExpoNotizie e altri progetti abortiti negli anni che hanno portato allo sperpero di risorse e alla perdita di opportunità di investimenti, a cui si sono sommate le ultime scelte che si sono rivelate profondamente sbagliate, come la decisione di affidarsi a un inefficace restyling del sito e a un disastroso Content management system che ha impattato negativamente sulle prestazioni del quotidiano online, sul lavoro dei giornalisti e sui risultati in termini di traffico, mentre nessuno di chi ha preso le suddette decisioni ha subìto conseguenze.

La società nella sua comunicazione si è data l’obiettivo di recuperare con il nuovo assetto un «gap di competenze» identificando «personale con soft skill» legate all’«ambiente digitale», che però la redazione attuale possiede già, a differenza di quanto dimostrato dalla dirigenza negli anni.

La redazione, già in stato di agitazione da mesi dopo la richiesta mai soddisfatta di ottenere un piano editoriale, condanna la decisione presa dall’azienda, che nelle figure del direttore e dell’amministratore delegato non ha avuto neanche la decenza di comunicare direttamente ai redattori l’avvento della Cigs, e proclama sciopero per le giornate di venerdì 10 gennaio, lunedì 13 e martedì 14.

Il cdr di Lettera43.it e LetteraDonna.it

LA RISPOSTA DELL’AZIENDA

Prendiamo atto del comunicato della redazione, non ne condividiamo ovviamente l’analisi e soprattutto le conseguenze adombrate sul futuro della casa editrice, che non ha alcuna intenzione di chiudere. Anzi, il ricorso alla cassa integrazione a fronte del progressivo deterioramento del settore è un modo per assicurarne la continuità. Ricordiamo alla redazione che ne suoi oramai dieci anni di vita questa azienda non è mai ricorsa a nessun ammortizzatore, caso forse unico nel panorama editoriale italiano, né ha goduto di finanziamenti pubblici. Il comunicato della redazione, nei toni e nella strumentalità delle accuse, preclude evidentemente qualsiasi forma di dialogo.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Repubblica, Ceccherini alza il tiro

Dopo la causa civile a Calabresi, Gatti e Pier Luca Santoro per un articolo del 2018 ritenuto diffamatorio, il fondatore dell’Osservatorio Giovani-Editori sta valutando l’azione penale.

Un inizio anno non dei migliori per Claudio Gatti, Mario Calabresi e Pier Luca Santoro, fondatore del sito Datamedia hub. A guastare le feste dei due giornalisti di Repubblica e di Santoro ci ha pensato un vecchio articolo dedicato all’Osservatorio Permanente Giovani-Editori apparso nel marzo 2018 sul Venerdì di Repubblica, considerato fin da subito gravemente diffamatorio dagli interessati, e ripreso poi sul sito online del quotidiano romano.

SCENDONO IN CAMPO I PENALISTI

Inizialmente Andrea Ceccherini, fondatore e anima dell’Osservatorio, sembrava voler limitare la propria azione contro i due giornalisti e Santoro al classico ambito civile. Perciò aveva messo in pista un pool di avvocati di rango, guidato dal professor Guido Alpa, balzato agli onori della cronaca per essere stato storico sodale del presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Tuttavia qualcosa di nuovo deve essere emerso se solo qualche giorno fa i civilisti sono stati affiancati da un pool di penalisti dai nomi eccellenti (tra cui lo studio fiorentino Taddeucci-Sassolini) cui è stato dato l’incarico di verificare se, nell’ambito della conduzione dell’indagine giornalistica, si siano consumate fattispecie di reati o se invece tutto si sia svolto correttamente. I penalisti dovranno riferire nei primi mesi dell’anno le loro valutazioni, per permettere all’Osservatorio di decidere se procedere o limitarsi all’originaria causa civile.

NO COMMENT DA FIRENZE

L’Osservatorio, che fin dall’inizio aveva reagito al servizio di Gatti con durezza, sembra oggi intenzionato ad alzare ulteriormente il livello dello scontro, probabilmente consigliato dagli stessi legali. Anche se, secondo quanto risulta a Lettera43, sembra che Ceccherini voglia approfondire adeguatamente i fatti e gli atti, prima di muovere un ulteriore passo. Quello che è certo è che il recente cambio di proprietà del giornale, passato dalla famiglia De Benedetti alla Exor di John Elkann, non sembra abbia indotto il manager fiorentino a recedere. Anzi. Interpellati sulle indiscrezioni raccolte da questo giornale, al quartier generale di Firenze hanno preferito non rilasciare dichiarazioni in materia. L’unica cosa di cui sono disposti a parlare è la grande soddisfazione per la partnership strategica con Apple, celebrata in pompa magna a Firenze lo scorso 13 ottobre, che ha contribuito a ispessire il profilo internazionale dell’Organizzazione, tanto da meritare il plauso del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Facebook spiega ai giudici che CasaPound è «odio organizzato»

Il social network ha presentato un reclamo contro l'ordinanza del tribunale di Roma che aveva chiesto di riattivare l'account del movimento neofascista: «Abbiamo una policy sulle organizzazioni pericolose».

Facebook ha presentato un reclamo contro l‘ordinanza del Tribunale di Roma che il 12 dicembre scorso aveva ordinato al social di riattivare gli account di CasaPound. «Ci sono prove concrete che CasaPound sia stata impegnata in odio organizzato e che abbia ripetutamente violato le nostre regole. Per questo motivo abbiamo presentato reclamo», fa sapere un portavoce di Facebook.

«ABBIAMO UNA POLICY SULLE ORGANIZZAZIONI PERICOLOSE»

«Non vogliamo che le persone o i gruppi che diffondono odio o attaccano gli altri sulla base di chi sono utilizzino i nostri servizi, non importa di chi si tratti. Per questo motivo abbiamo una policy sulle persone e sulle organizzazioni pericolose che vieta a coloro che sono impegnati in ‘odio organizzato’ di utilizzare i nostri servizi», ha dichiarato il portavoce di Facebook.

«LE REGOLE VALGONO AL DI LÁ DELLA IDEOLOGIA»

«Partiti politici e candidati, così come tutti gli individui e le organizzazioni presenti su Facebook e Instagram, devono rispettare queste regole, indipendentemente dalla loro ideologia». Il reclamo di Facebook è contro l’ordinanza con cui il 12 dicembre il tribunale civile di Roma ha ordinato al social network la riattivazione immediata della pagina Facebook di CasaPound, oltre che del profilo personale e della pagina pubblica dell’amministratore Davide Di Stefano. Tali account erano stati disattivati da Facebook il 9 settembre.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Tensione alle stelle tra Mainetti e il Foglio

L'editore, che era all'oscuro, disconosce la battaglia tra la direzione del giornale e il Dipartimento per l'Editoria. Negli anni contestati i proprietari erano altri. Nel 2018 fu la redazione a criticare un suo intervento in difesa del primo governo Conte.

L’editore del Foglio Valter Mainetti prende le distanze dalla battaglia sui contributi pubblici tra la testata e il governo che rischia di portare alla chiusura del giornale fondato da Giuliano Ferrara. Un articolo molto informato di Primaonline racconta come l’immobiliarista editore, in scontro aperto con la redazione, consideri gli accertamenti della Guardia di Finanza come un problema non lo riguarda, perché sono relativi a 6 milioni di contributi versati al giornale nel 2009 e 2010, anni in cui lui non ne era ancora diventato proprietario.

MAINETTI IN BUONI RAPPORTI CON IL DIPARTIMENTO PER L’EDITORIA

Una presa di distanze dovuta anche, secondo le indiscrezioni, al fatto che la direzione del Foglio non l’abbia avvisato prima di sferrare alla vigilia di Natale il suo attacco al governo, e in particolare al Dipartimento per l’Editoria con il quale Mainetti sarebbe in buoni rapporti.

Valter Mainetti.

Un «cavatevela da soli» che suona anche come una vendetta servita fredda per un contro editoriale pubblicato dal Foglio e titolato “La voce del padrone” in cui la redazione si dissociava da un intervento di Mainetti sul quotidiano diretti da Claudio Cerasa a favore del Conte I. Una ferita apertasi nel giornale tra proprietario e direzione nel giugno 2018 che da allora non si è mai rimarginata.

IL PASSAGGIO DI MANO DAL 2016

La società di Mainetti, spiega Primaonline, «ha acquisito il completo controllo della società proprietaria del Foglio solo nel 2016, mentre all’epoca delle contestazioni della Guardia di Finanza le quote appartenevano ancora a Veronica Lario (38%), all’imprenditore Sergio Zancheddu (25%), a Denis Verdini (15%), a Giuliano Ferrara (10 %) e allo stampatore Luca Colasanto (10%)». 

TOTALE AUTONOMIA DEL GIORNALE RISPETTO ALLA PROPRIETÀ

Da quando l’immobiliarista è diventato proprietario, continua il giornale online, «il rapporto con ‘Il Foglio Quotidiano società cooperativa’ (…) editore e destinataria dei contributi statali, è regolato da un dettagliato contratto di affitto per la pubblicazione della testata (…) che prevede a fronte di un ‘canone’ anche la totale autonomia, tanto nella gestione economica che nella linea politica».

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Il Conte bis ha messo nel mirino i contributi al Foglio

L'allarme della testata: «Il governo ci ha escluso dai finanziamenti all'editoria». Secondo il quotidiano, un cavillo burocratico viene usato per coprire un attacco politico.

Dopo gli attacchi alla storica Radio Radicale avvenuti durante il primo governo Conte, sembra che ora nel mirino del governo sia entrato il quotidiano il Foglio, da sempre critico del M5s e non solo. In un editoriale firmato dalla redazione in prima pagina, il giornale fondato da Giuliano Ferrara e diretto da Claudio Cerasa parla di un “Tentativo che non riuscirà per colpire il Foglio e cercare di chiuderlo“.

«ESCLUSI DAI CONTRIBUTI ALL’EDITORIA»

«Un giornalista già consulente di Vito Crimi, indimenticabile maestro e padrone per un anno e mezzo dei contributi per l’editoria in area governativo-grillina, ha anticipato ieri via blog una decisione del Dipartimento, di cui è direttore il dottor Ferruccio Sepe e responsabile politico il sottosegretario Andrea Martella», si legge, «la decisione è di escludere il Foglio dai contributi all’editoria per il 2018, segnalata nel sito della presidenza del Consiglio».

LA RICHIESTA DI 6 MILIONI DA PARTE DEL GOVERNO

La motivazione dello Stato sarebbe un accertamento fiscale sul biennio 2009-2010. In quegli anni il Foglio non avrebbe raggiunto la diffusione sufficiente a ottenere i finanziamenti e inoltre il giornale sarebbe stato organo di un movimento inesistente. Accuse che la redazione nega e dichiara false. «La pretesa dell’autorità politica e burocratica delegata a confermare o cancellare l’erogazione dei contributi all’editoria è di indurre il Foglio a una grave crisi editoriale, eventualmente alla chiusura», scrive il quotidiano, «intimandogli la restituzione di sei milioni circa di euro per il biennio già menzionato e nel frattempo sospendendo l’erogazione di contributi a titolo di garanzia, procedendo senza nemmeno ancora avere acquisito la controrelazione del giornale rispetto al verbale dei finanzieri».

PROVVEDIMENTO MOTIVATO ENTRO FINE FEBBRAIO

In relazione a quanto pubblicato in data odierna dal Foglio, il Dipartimento per l’informazione e l’editoria precisa che «l’istruttoria tecnica in corso, conseguente agli esiti degli accertamenti condotti dalla Guardia di Finanza, non si è ancora conclusa». Infatti, a riscontro della espressa richiesta formulata dal Foglio, in data 9 dicembre di quest’anno, il Dipartimento ha concesso ulteriori 30 giorni. per acquisire le controdeduzioni della Testata. Premesso che l’anticipo pari al 50% del contributo 2018 risulta regolarmente erogato, in quanto anteriore alle comunicazioni della Guardia di Finanza, «la mancata erogazione del saldo non può al momento configurarsi quale diniego. Il termine finale di legge per l’adozione del provvedimento conclusivo verrà infatti a scadenza soltanto il prossimo 28 febbraio 2020. Per quella data sarà adottato, come richiede la legge n. 241/90, un provvedimento motivato ed espresso».

CRIMI: «LA LIBERTÁ DI STAMPA NON C’ENTRA»

Da parte sua l’ex sottosegretario, e oggi senatore Vito Crimi ha scritto un post di suo pugno sul Blog delle stelle per rispondere agli attacchi: «Il Foglio” è al centro di un’indagine della Guardia di Finanza. Motivo: nel biennio 2009-2010 avrebbe incassato 6 milioni di euro di contributi pubblici all’editoria senza averne avuto diritto. Soldi che adesso dovrebbe restituire. Ora, a causa di questo debito, il Dipartimento per l’Informazione e per l’Editoria ha bloccato l’erogazione dei nuovi contributi. E “Il Foglio” cosa fa?», si chiede Crimi. «Accusa il M5S e il sottoscritto. E qualche sprovveduto gli va dietro, urlando alla libertà di stampa (che non c’entra niente)».

«QUELLA DEL FOGLIO NON È INFORMAZIONE È LETAME»

«Mi chiedo: cosa c’entro io, il M5S o i collaboratori che hanno “osato” lavorare con noi, se “Il Foglio” si ritrova a dover restituire 6 milioni di euro che la Guardia di Finanza ritiene abbia incassato illecitamente 10 anni fa, quando il MoVimento quasi nemmeno esisteva? Quella prodotta oggi da “Il Foglio”, purtroppo, non è informazione. È letame. Letame che evidentemente a qualche sostenitore della “libera stampa” (a targhe alterne) piace rimestare e rilanciare per i suoi obiettivi», conclude.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Per la Rai è stato un 2019 da dimenticare

Veti incrociati Pd-M5s sulle nomine alle direzioni di tg e reti. La bandiera del cambiamento già ammainata dall'ad Salini. Alle prese con la questione dei soldi da extra gettito gestita male, il caso dell'intervista ad Assad oltre che la vicenda delle società Stand by Me e Mn Italia.

È la Rai dei veti incrociati, il cui consiglio di amministrazione si ritrova per l’ennesima volta giovedì 19 dicembre, e per l’ennesima volta rischia di concludersi con un nulla di fatto.

VETI DI DI MAIO E ZINGARETTI SU ORFEO E DI MARE

Un esempio di come i veti si incrociano viene dalle tormentate nomine alle direzioni dei telegiornali e delle reti: e per un Luigi Di Maio che mette il veto su Mario Orfeo alla guida del Tg3, c’è un Nicola Zingaretti che non vuole assolutamente vedere Franco Di Mare, in quota grillina, alla direzione della rete che ospita la testata.

ANCHE IN VIALE MAZZINI CONFUSIONE POLITICA

Del resto, da sempre, Viale Mazzini è lo specchio della situazione politica: e se quest’ultima è confusa e caotica, non si può certo pensare che all’interno della tivù di Stato regnino decisionismo e chiarezza.

IL CAMBIAMENTO PROMESSO DA SALINI DOV’È?

Di questa paralisi, questa impossibilità di procedere ad avvicendamenti che si trascinano da tempo, ne paga il prezzo l’amministratore delegato Fabrizio Salini che pure era arrivato pieno di propositi brandendo la bandiera del cambiamento poi laconicamente ammainata. E a nulla serve, evidentemente, che a suo tempo gli siano stati conferiti i pieni poteri: in Rai non si muove foglia che capo partito, di corrente, o di sotto corrente non voglia.

L’ad della Rai Fabrizio Salini (a sinistra) con il presidente Marcello Foa (Ansa).

FARO DEL MISE SULLE RISORSE DA EXTRA GETTITO

L’ultima spina nel fianco dell’ad viene dal capitolo risorse da extra gettito (80 milioni in due anni) gestito in modo non proprio ineccepibile, tanto che dal ministero dello Sviluppo economico è arrivato chiaro l’avvertimento: se mai arrivassero, vogliamo sapere come vengono spesi i soldi fino all’ultimo centesimo.

IL REGOLAMENTO SOCIAL E LA GRANA MAGGIONI

In precedenza, c’è stata la bocciatura in cda del regolamento per l’uso dei social network che aveva fortemente richiesto la commissione di vigilanza sin dall’estate. Infine l’episodio, ai limiti del parossismo, del caso Monica Maggioni, grottesco rimpallo di responsabilità sull’intervista che l’ex presidente della Rai aveva fatto a Bashar al Assad, tenuta per giorni nei cassetti per poi mandarla semi clandestinamente su Rai Play senza alcuna comunicazione preventiva, dopo che i canali siriani e libanesi l’avevano trasmessa.

maggioni assad intervista raiplay
L’intervista di Monica Maggioni al presidente siriano Bashar al Assad.

RETROMARCIA SUI CONTRATTI DI SANREMO E FIORELLO

È poi scoppiato il caso Stand by Me e Mn Italia, due società che furono vicine all’ad e a Marcello Giannotti, il direttore della comunicazione, che hanno portato la Rai alla frettolosa retromarcia sui contratti di Sanremo e Fiorello.

PRESSIONI PER “LA PORTA DEI SOGNI” DELLA VENIER

Ma nonostante la martellante campagna di Striscia la notizia, la vicenda Mn lascia ancora qualche propaggine. Per La porta dei sogni, programma condotto da Mara Venier il venerdì in prima serata su cui punta molto la rete ammiraglia, l’ufficio stampa – seppur a carico dalla società di produzione – è ancora di Mn da cui proviene l’attuale direttore della comunicazione. Non a caso Giannotti si sarebbe attivato con il Tg1 facendo una richiesta del tutto insolita: un servizio lancio su La porta dei sogni da mandare in onda dentro il telegiornale.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Il sindacato dei giornalisti contro il governo: «Non distruggete l’Inpgi»

La Federazione nazionale stampa italiana si dice pronta allo sciopero contro il piano di pre-pensionamenti previsto in manovra: «Attacco del M5s. L'istituto previdenziale non può sostenere una nuova perdita».

La giunta esecutiva della Federazione nazionale stampa italiana «considera inaccettabile la decisione del governo, nella manovra di bilancio 2020, di permettere altre uscite anticipate dal mondo del lavoro senza la contestuale messa in sicurezza del bilancio dell’Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani attraverso l’allargamento della platea degli iscritti a professioni affini a quella giornalistica». La Fnsi si è detta pronta a proclamare lo sciopero generale. Il motivo sono le risorse stanziate nella manovra appena passata al Senato per sostenere l’accesso anticipato alla pensione per i giornalisti professionisti iscritti all’Inpgi. Un emendamento ha garantito 7 milioni nel 2020 e 3 milioni l’anno dal 2021 al 2027. Nell’ambito di piani di ristrutturazione aziendale presentati dopo il 31 dicembre 2019, è prevista un’assunzione a tempo indeterminato ogni due prepensionamenti, di giovani sotto i 35 anni di età o di giornalisti che già collaborino con lo stesso gruppo.

PERDITA DI ISCRITTI SENZA L’ALLARGAMENTO DELLA PLATEA

«La situazione dell’Inpgi», ha detto la presidente dell’Inpgi Marina Macelloni, «è fortemente critica, con il rischio di avere un commissario. Noi stiamo chiedendo da molto tempo che ci sia consentito di allargare dal 2021 la platea degli iscritti facendo arrivare all’istituto figure non giornalistiche ma vicine, come i comunicatori o i lavoratori della rete. Questo non è ancora avvenuto, ma nello stesso tempo purtroppo il governo ha stanziato nuove risorse per i prepensionamenti». «Si tratta», ha rilevato, «di risorse importanti che comporteranno una nuova perdita di iscritti per l’istituto, e quindi di risorse. E l’istituto in questo momento non può sostenere questa nuova perdita di contribuenti senza avere un allargamento della platea». «Quindi», ha concluso, «noi insistiamo a chiedere questa possibilità, la legge dice che possiamo avere questa possibilità dal 2023, chiediamo che sia anticipata al 2021».

IL SOTTOSEGRETARIO: «RISOLVEREMO COL MILLEPROROGHE»

«Ho proposto di inserire, nell’ambito del dl milleproroghe, una norma orientata a rendere più rapido ed efficace il processo di risanamento dell’Inpgi», è stata la risposta del sottosegretario alla Presidenza con delega all’editoria Andrea Martella.

LA FNSI PUNTA IL DITO CONTRO IL M5S

Secondo la Federazione nazionale della stampa italiana, dietro alla misura ci sarebbero pressioni del M5s. «La parte più oltranzista del Movimento 5 Stelle cerca di sferrare l’ennesimo attacco al pluralismo dell’informazione e all’autonomia dell’Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani», affermava l’11 dicembre in una nota Raffaele Lorusso, segretario generale della Fnsi, «dopo aver escluso con una norma interpretativa ad hoc, inserita in un decreto del luglio scorso dall’allora sottosegretario Vito Crimi, la testata Italia Oggi dai contributi del fondo per il pluralismo dell’informazione, i parlamentari pentastellati si schierano adesso contro l’emendamento correttivo che riammetterebbe la testata ai contributi del fondo, incuranti del fatto che in caso contrario sarebbe costretta a chiudere e a licenziare 25 giornalisti. È un atteggiamento inaccettabile che richiede la reazione di tutte le forze politiche, a prescindere dagli schieramenti. Per questo è auspicabile che su questo tema, così come sugli emendamenti sulla messa in sicurezza e sull’autonomia dell’Inpgi, il governo si rimetta al voto dell’aula, esattamente com’è avvenuto nel recente passato per Radio Radicale».

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Il piano di Elkann per trasformare il gruppo Gedi

Maurizio Scanavino nuovo direttore generale al posto di Laura Cioli, che resta ad fino al completamento della vendita di Cir a Exor. La nuova gestione punterà tutto sulla transizione al digitale. L'obiettivo: raddoppio degli utenti in «pochi mesi».

«Per il settore sono stati anni molto difficili. Per rispondere a queste difficoltà abbiamo deciso di impegnarci in un progetto in cui personalmente credo tantissimo. Un progetto non nostalgico, ma che anzi guarda avanti per accelerare le trasformazioni in Gedi», ha spiegato John Elkann alla redazione della Stampa, nel giorno in cui Laura Cioli ha lasciato il ruolo di direttore generale che il cda ha affidato a Maurizio Scanavino. Cioli mantiene invece la carica di amministratore delegato fino all’esecuzione della cessione della quota detenuta da Cir in Gedi a Exor. Il comitato di redazione di Repubblica ha diffuso un comunicato in cui critica la buonuscita elargita alla Cioli di 1.950.000 euro lordi. «Pur trattandosi di riconoscimenti in linea con regole e consuetudini diffuse nelle dinamiche manageriali di ogni società», scrive il cdr, «non possiamo sottrarci al dovere di sottolineare che i risultati raggiunti dal management del Gruppo Gedi sono stati possibili in larga misura grazie al sacrificio economico e professionale dei lavoratori dipendenti».

IL RILANCIO DEL DIGITALE

Scanavino – già direttore generale di Itedi e poi amministratore delegato di Gnn, per la divisione La Stampa e Il Secolo XIX – ha messo l’accento sulla transizione digitale: «L’informazione digitale a pagamento sarà la nostra principale sfida: in molti Paesi e anche in Europa il passaggio al digitale sta avvenendo con successo e si stanno consolidando modelli editoriali sostenibili».

L’OBIETTIVO DEL RADDOPPIO DEGLI UTENTI

Oltre ai casi di successo come il New York Times, ricorda Scanavino «il gruppo svedese Bonnier e gli svizzeri di Tamedia hanno superato i 300 mila abbonati digitali e Le Monde ha annunciato la scorsa settimana la previsione di arrivare a 230 mila a fine anno. I quotidiani del gruppo Gedi hanno superato i 100 mila e dobbiamo puntare a raddoppiarli nei prossimi mesi, facendo leva sul grande potenziale delle nostre testate. Repubblica ha superato i 3 milioni di audience complessiva nel giorno medio ed ha una community di quasi 7 milioni di fan, mentre La Stampa ne conta 1,1 milioni e 2,5 milioni di fan».

«CREARE PRODOTTI DI QUALITÀ»

«Il futuro è nelle nostre mani», ha concluso Elkann, «dipende da come ciascuno di noi saprà cogliere la sfida della trasformazione. L’obiettivo è generare maggiore interesse nei lettori, quelli di oggi e quelli di domani, creando prodotti di grande qualità. Siamo portatori di un giornalismo serio, indipendente e fatto con grande senso di responsabilità: e questo continuerà a essere il nostro punto di riferimento. Dobbiamo cambiare la nostra prospettiva e affrontare il 2020 come una grande opportunità: l’occasione per ritornare a cogliere nuove soddisfazioni».

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

“Patata bollente”: Feltri a processo per il titolo sulla Raggi

Il direttore editoriale di Libero rinviato a giudizio insieme al responsabile Senaldi con l'accusa di diffamazione aggravata.

«Molti ricorderanno un “raffinatissimo” titolo che mi dedicò oltre due anni fa il quotidiano Libero, “La patata bollente“, ed un articolo di Feltri condito dai più beceri insulti volgari, sessisti rivolti alla mia persona: nessun diritto di cronaca esercitato né di critica politica… semplicemente parole vomitevoli», ha scritto su Facebook la sindaca di Roma Virginia Raggi, annunciando che il Gup di Catania «accogliendo la richiesta della procura, ha disposto il rinvio a giudizio per il direttore Vittorio Feltri per diffamazione aggravata».

«Avevo annunciato che avrei querelato il giornale e i suoi responsabili per diffamazione. L’ho fatto», ha spiegato la sindaca Raggi sul Facebook, «e oggi voglio darvi un aggiornamento: mi sono costituita parte civile ed il Gup di Catania ieri, accogliendo la richiesta della procura, ha disposto il rinvio a giudizio per il direttore Vittorio Feltri e per il direttore responsabile Pietro Senaldi. Andranno a processo per rispondere di diffamazione aggravata».

«VITTORIA PER TUTTE LE DONNE»

«È un primo importante risultato. Non tanto per me, ma per tutte le donne e tutti gli uomini che non si rassegnano a un clima maschilista, a una retorica fatta di insulti o di squallida ironia», continua la sindaca di Roma, «e il mio pensiero va a tutti coloro, donne e uomini, che hanno subito violenze favorite proprio da quel clima. Gli pseudointellettuali, i politici e alcuni giornalisti che fanno da megafono ai peggiori luoghi comuni, nella speranza di vendere qualche copia o conquistare qualche voto in più, arrivano persino a infangare la memoria di figure istituzionali come Nilde Iotti o a insultare le donne emiliane e romagnole. Patata bollente e tubero incandescente mi scrivevano..io non dimentico… vediamo come finisce in Tribunale questa vicenda».

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

“Patata bollente”: Feltri a processo per il titolo sulla Raggi

Il direttore editoriale di Libero rinviato a giudizio insieme al responsabile Senaldi con l'accusa di diffamazione aggravata.

«Molti ricorderanno un “raffinatissimo” titolo che mi dedicò oltre due anni fa il quotidiano Libero, “La patata bollente“, ed un articolo di Feltri condito dai più beceri insulti volgari, sessisti rivolti alla mia persona: nessun diritto di cronaca esercitato né di critica politica… semplicemente parole vomitevoli», ha scritto su Facebook la sindaca di Roma Virginia Raggi, annunciando che il Gup di Catania «accogliendo la richiesta della procura, ha disposto il rinvio a giudizio per il direttore Vittorio Feltri per diffamazione aggravata».

«Avevo annunciato che avrei querelato il giornale e i suoi responsabili per diffamazione. L’ho fatto», ha spiegato la sindaca Raggi sul Facebook, «e oggi voglio darvi un aggiornamento: mi sono costituita parte civile ed il Gup di Catania ieri, accogliendo la richiesta della procura, ha disposto il rinvio a giudizio per il direttore Vittorio Feltri e per il direttore responsabile Pietro Senaldi. Andranno a processo per rispondere di diffamazione aggravata».

«VITTORIA PER TUTTE LE DONNE»

«È un primo importante risultato. Non tanto per me, ma per tutte le donne e tutti gli uomini che non si rassegnano a un clima maschilista, a una retorica fatta di insulti o di squallida ironia», continua la sindaca di Roma, «e il mio pensiero va a tutti coloro, donne e uomini, che hanno subito violenze favorite proprio da quel clima. Gli pseudointellettuali, i politici e alcuni giornalisti che fanno da megafono ai peggiori luoghi comuni, nella speranza di vendere qualche copia o conquistare qualche voto in più, arrivano persino a infangare la memoria di figure istituzionali come Nilde Iotti o a insultare le donne emiliane e romagnole. Patata bollente e tubero incandescente mi scrivevano..io non dimentico… vediamo come finisce in Tribunale questa vicenda».

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Salini cede ad Agnes e la Rai rifà Check-up

Collocata nel palinsesto 2020 sul secondo canale la trasmissione ideata negli Anni 70 dallo storico direttore generale. Ora la figlia Simona ha convinto l'attuale ad dopo i no di Gubitosi, Campo Dall'Orto e Orfeo. Arriva dunque l'ennesimo programma sulla salute.

La Rai del cambiamento che a detta di presidente e amministratore delegato dovrebbe cambiare linguaggi, contenuti editoriali e modalità di fruizione, sta decidendo in queste ore per un ritorno al passato. L’idea è quella di riprogrammare Check-up, una famosa trasmissione ideata negli Anni 70 da Biagio Agnes che è stato per lungo tempo direttore generale a Viale Mazzini.

SU RAIDUE NEL PERIODO FEBBRAIO-MARZO 2020

Perciò si sta lavorando per trovargli una collocazione in palinsesto e, salvo sorprese, l’ipotesi è che la nuova edizione di Check-up possa essere inserita nella programmazione di RaiDue nel periodo febbraio-marzo 2020.

PRESSING ASFISSIANTE PER IL FORMAT

Simona Agnes, figlia di Biagio, e presidente della fondazione che porta il nome del padre, aveva già tentato più volte in passato di riproporre il format ricevendo sempre un cortese quanto fermo no da parte degli ultimi tre direttori generali della tivù pubblica, ossia Luigi Gubitosi, Antonio Campo Dall’Orto e Mario Orfeo.

salini-rai-Check-up-agnes
Simona Agnes. (Ansa)

UNA MIRIADE DI PROGRAMMI SULLA SALUTE

Invece con Fabrizio Salini è riuscita nell’impresa, avendo anche trovato una buona sponda in un consigliere del consiglio di amministrazione. L’attuale ad, dopo una serie di riunioni operative che hanno visto coinvolte alcune direzioni, avrebbe dato semaforo verde. L’appalto è esterno, visto che il nuovo Check-up sarà un prodotto fornito chiavi in mano da una società della Agnes. E andrà ad aggiungersi alla miriade di programmi sulla salute che già esistono nei palinsesti delle tre reti.

SULLA RETE DI CUI SALINI È DIRETTORE AD INTERIM

Unica novità rispetto all’originale che andava in onda sul primo canale, per il nuovo Check-up è stata scelta RaiDue, la rete di cui dopo l’uscita di Carlo Freccero l’ad Salini è direttore ad interim.

Quello di cui si occupa la rubrica Corridoi lo dice il nome. Una pillola al giorno: notizie, rumors, indiscrezioni, scontri, retroscena su fatti e personaggi del potere.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Greta Thunberg sulla copertina di Time come persona dell’anno

L'attivista svedese che si batte contro i cambiamenti climatici ha conquistato il riconoscimento tributato dal 1927 alle figure più influenti: «Ha trasformato vaghe ansie sul futuro del pianeta in un movimento mondiale».

L’attivista Greta Thunberg è stata scelta da Time come persona dell’anno 2019. La 16enne svedese che si batte contro i cambiamenti climatici ha conquistato la copertina del numero di dicembre, assegnata dal 1927 alla figura capace di segnare l’anno in maniera indelebile, nel bene o nel male.

LEGGI ANCHE: Chi è Greta Thunberg, la giovane attivista che difende il Pianeta

PREFERITA A NANCY PELOSI E AI MANIFESTANTI DI HONG KONG

Greta ha battuto il presidente Donald Trump, la speaker della Camera Nancy Pelosi, la ‘talpa’ che ha messo in moto la procedura per l’impeachment e i manifestanti di Hong Kong. È la più giovane persona dell’anno ad aver mai conquistato la prestigiosa copertina di Time. La foto mostra la ragazza in piedi su uno scoglio davanti al mare, con la scritta: «Il potere della gioventù». La motivazione? «Per aver suonato l’allarme sulla relazione predatrice dell’umanità con l’unica casa che abbiamo, riuscendo a trasformare vaghe ansie sul futuro del pianeta in un movimento mondiale che chiede un cambiamento globale».

L’INTERVENTO ALLA COP25

L’11 dicembre Greta ha parlato alla Cop25, la Conferenza dell’Onu sul clima in corso a Madrid: «I leader dei Paesi più ricchi non provano panico, non hanno un senso d’emergenza» nell’affrontare il tema del riscaldamento globale. «Com’è possibile?», si è chiesta l’attivista, «non abbiamo più tempo per ignorare la scienza, il problema coinvolge tutti e bisogna evitare che le future generazioni respirino solo CO2».

L’APPELLO AD ABBANDONARE IL CARBONE

Oggi, secondo Greta, «le persone sono più consapevoli, ma senza pressioni i politici non si muovono». Quindi ha rivolto un appello ad agire in fretta, «perché ci sono le chance per fermare lo scioglimento dei ghiacci, la deforestazione e gli eventi meteo estremi provocati dal riscaldamento globale». Alla Cop25 gli Stati «hanno l’opportunità di negoziare le loro ambizioni», fissando gli obiettivi per tagliare le emissioni di gas serra che nel 2020 dovranno essere ufficializzate alla Cop26. Ma una cosa va fatta immediatamente: «Abbandonare subito l’uso del carbone».

VON DER LEYEN E IL PIANO PER UN’EUROPA VERDE

Dopo Greta ha preso la parola la presidente della Commissione europea, Ursula Von Der Leyen. Come promesso a luglio, ha presentato una nuova strategia ambientale il cui successo dipenderà però dagli Stati membri, chiamati a fare la loro parte per trasformare l’Europa nel primo continente neutrale dal punto di vista climatico entro il 2050.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

La rottura di Barbara D’Amico col Corriere e le difficoltà dei giornalisti freelance

L'addio dopo l'ultimo taglio dei compensi: «Il sistema deve creare condizioni di sostenibilità». Scarse tutele dei collaboratori, frettolosità per gareggiare coi social, informazione sempre più scadente: intervista sui mali di un settore in crisi.

Rinunciare a una collaborazione importante e prestigiosa per una questione di principio. Barbara D’Amico ha detto basta. Quando il Corriere della sera le ha tagliato il compenso per articolo per la seconda volta nel giro di poco tempo, ha deciso di dire addio, motivando la sua scelta con un lunghissimo thread sul suo profilo Twitter.

Non una questione meramente economica, tutt’altro. Perché sì, prendere 15 euro lordi a pezzo quando prima erano 40 è «lavorare quasi gratis», ma ciò che le ha fatto perdere la pazienza è stata l’assenza di comunicazione. Non le hanno detto nulla, l’ha scoperto ancora una volta a cose fatte, ad articoli scritti e pubblicati, all’atto di emettere la fattura.

«LA MIA È UNA STORIA DI LIBERA SCELTA»

Una storia fin troppo comune, ma nei suoi tweet non troverete mai la parola “sfruttamento”. «Sono una vera partita Iva, non una falsa, non ho il giornale che mi ha sfruttato per anni. La mia è una storia di libera scelta. Io ho detto “se non vi potete più permettere di finanziare il progetto non è un problema, basta che me lo diciate”».

barbara-damico-giornalista-corriere-della-sera
Barbara D’Amico.

DOMANDA. La vita del freelance è dura.
RISPOSTA.
Sì, ma chiariamolo, il lavoro autonomo non è una cosa brutta, cattiva, che non va scelta. Anzi, io sono orgogliosa di essere freelance e voglio continuare a esserlo. Bisogna però capirsi sulla sostenibilità.

In che senso?
La mattina mi sveglio e devo fare io le proposte. Oppure vengo chiamata per fare il mio lavoro. Va bene, bisogna però intendersi sui tempi e le modalità. Se si è chiari fin dall’inizio va benissimo, poi può certamente capitare l’elemento esterno che cambia le carte in tavola, ma non deve mai mancare il rapporto di rispetto reciproco. Anche comunicare come sono messe le cose è una forma di rispetto del lavoro altrui.

Invece a volte questo rispetto viene meno.
Sì, e io ho deciso di fare la mia parte con un gesto di responsabilità e simbolico: quello di interrompere la collaborazione.

Perché l’ha fatto?
Perché questo è un settore che si deve rendere conto che se ha bisogno di certe figure deve creare delle condizioni di sostenibilità.

E come è andata?
Bene. Ho avuto una grande risposta, messaggi di colleghi freelance che mi ringraziano perché sono nella stessa situazione ma non hanno il coraggio di dirlo e tanti colleghi anche delle redazioni internet che riconoscono lo stato delle cose. So che non è che da domani alzeranno i compensi o cambieranno le cose, ma ho cercato di avviare una riflessione.

Di chi è la colpa della situazione attuale?
Su Twitter i sovranisti dicono che è colpa dell’euro, della svalutazione dei salari, tutte cose che non c’entrano niente.

E allora dov’è il problema?
È un problema di cultura del lavoro. Noi abbiamo un impianto normativo molto completo in Italia che già dovrebbe tutelare il lavoro, ma nella pratica non viene applicato e per farlo applicare bisogna andare in causa. E non credo che sia sempre lo strumento migliore, sebbene a volte sia indispensabile. Serve concertazione di tutti, corpi intermedi, aziende, editori, sedersi su un tavolo e capire cosa si vuole fare da grandi. Perché se l’informazione cala di qualità ci vanno a perdere tutti.

La colpa è solo degli editori?
No, tutta la filiera è colpita. Il punto vero è che se nessuno inizia a prendere delle responsabilità interne e continua a dare colpe esterne all’euro o a internet, non si va da nessuna parte. Bisogna capire quali sono le disfunzionalità e agire.

I giornalisti freelance che responsabilità hanno?
Quella di dire sì incondizionatamente a chiunque. Non c’è niente di male nel collaborare a pezzo, ma attenzione a prestarsi sempre e comunque. Ogni tanto se uno dice no, non succede niente e magari arrivano altre proposte.

A lei è successo?
Sì. Ho ricevuto più proposte di lavoro negli ultimi due giorni che in sei mesi. Ci può essere una via d’uscita.

I sindacati tutelano più i giornalisti dipendenti che i freelance?
Occupandomi di lavoro ho potuto vedere come lavorano i sindacati. La verità è che per tutelare chi è dentro ci sono gli strumenti, per chi è fuori sono molto più scarsi. Il lavoro autonomo non è regolato perché poggia su dei presupposti che sono in parte diversi, anche se le tutele dovrebbero essere uguali per tutti i lavoratori.

E così ancora non è.
È quello che si sta cercando di fare con lo Statuto del lavoro autonomo, che non sarà forte come lo Statuto dei lavoratori del 1970 ma è un primo passo. Sarebbe bello avere uno strumento che non mi costringa a scegliere tra il lavoro e la mia salute quando mi ammalo, e si sta andando in quella direzione. A oggi l’unica forma di tutela è una forma di rispetto reciproco, anche se mi rendo conto che sia utopico.

E come si può migliorare la situazione?
Faccio un esempio. Per i rider, in Belgio, c’è una cooperativa che si chiama Smart che è andata dai grandi player del food delivery e ha detto che avrebbe contrattualizzato lei i rider. Le aziende avrebbero mantenuto il pagamento a consegna lasciando una piccola percentuale alla cooperativa per la previdenza e tutele. Questo modello è una strada. Ci sono anche oggettivi mutamenti di mercato che riguardano l’editoria, coi social e internet che stanno cambiando il contesto, bisogna saper affrontare dotandosi di strumenti.

Si parla tanto di equo compenso, si era anche raggiunto un accordo tempo fa.
Dirò una cosa un po’ forte, ma secondo me l’equo compenso è già uno strumento un po’ superato, andava fatto tempo fa. Oggi il mondo si muove velocemente e non è più un problema di equo compenso. Non è inutile del tutto, sia chiaro, ci sono colleghi che prendono 2 o 3 euro al pezzo, ma il rischio è che nel momento in cui lo fai urti il sistema di formazione del prezzo e rischia di diventare un tetto salariale, non un minimo.

E cosa si dovrebbe fare?
Coinvolgere esperti di settore nella discussione per valutare pro ed effetti collaterali, come si sta facendo col salario minimo, che potrebbe fare da modello. Che poi il problema è alla base, è proprio stupido pagare a pezzo. Noi non scriviamo e basta, quello è l’ultimo step di un processo più lungo. Noi ricerchiamo e verifichiamo. Il compenso deve essere fatto sul servizio, non a pezzo.

Si dice che manchino i lettori e che il settore sia in crisi per questo. Che ne pensa?
Per me il lettore non ha colpe ed è imbarazzante dargliene. Anzi, la domanda di informazione è cresciuta, aziende come Facebook e Twitter ci campano sopra.

E allora cosa è successo?
Che il settore giornalistico si è azzoppato da solo perché in molti casi ha abdicato al metodo giornalistico. Il lavoro del giornalista non è pubblicare cose, ma verificarle. Andare a rompere le scatole alla fonte, prendere informazioni, incrociarle, ricostruire i fatti.

Una cosa che si fa sempre meno.
Perché il giornalismo ha avuto paura di Twitter e dei social e, all’inizio comprensibilmente, ha cominciato a scimmiottare la comunicazione social per l’ansia di arrivare prima di uno strumento che non si può battere in velocità. Si è prodotta un’informazione di scarsa qualità, frettolosa. Ma se è lo stesso tipo di informazione che si trova gratis online, perché il lettore dovrebbe pagarla?

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Il caso Assad in Rai travolge Salini e Maggioni

L'intervista non ancora trasmessa fatta dalla giornalista al presidente siriano e il successivo ultimatum di Damasco sulla messa in onda imbarazzano Viale Mazzini. Per l'ad non c'era alcuna data concordata. La sua posizione traballa dopo la figuraccia. L'Usigrai: «In gioco la credibilità dell'azienda». Irritato il presidente Foa.

Il caso Bashar al Assad è scoppiato in casa Rai, suscitando imbarazzi, tensioni e irritazione ai vertici. La vicenda ha aperto una tale crisi all’interno dell’azienda che in Viale Mazzini si aspettano persino che voli qualche testa, anche molto in alto. Ma cosa è accaduto?

CONTEMPORANEITÀ PREVISTA DAGLI ACCORDI?

Monica Maggioni, amministratrice delegata di Rai Com, ha realizzato un’intervista al presidente siriano. Il colloquio però non è ancora stato trasmesso dalla Rai. Nella tarda serata di sabato 7 dicembre è arrivato via Facebook l’ultimatum del governo di Damasco: se Viale Mazzini non dovesse mandare in onda entro lunedì 9 dicembre l’intervista, che avrebbe dovuto essere «trasmessa il 2 dicembre su Rainews 24», allora i siriani sarebbero pronti a programmarla sui media del Paese, senza la contemporaneità prevista dagli accordi.

assad-intervista-rai-maggioni-salini
Monica Maggioni. (Ansa)

MESSA IN ONDA RINVIATA: PERCHÉ?

Secondo la versione di Damasco, RaiNews 24 ha chiesto di posticipare la messa in onda «senza ulteriori spiegazioni». Poi sono seguiti, sempre stando all’ufficio stampa della presidenza Assad, altri due rinvii. Per i siriani insomma «questo è un ulteriore esempio dei tentativi occidentali di nascondere la verità sulla situazione in Siria e sulle sue conseguenze sull’Europa e nell’arena internazionale».

Statement from Political and Media Office of the Syrian Presidency:On 26 November 2019, President al-Assad granted an…

Posted by Syriana Analysis on Saturday, December 7, 2019

L’amministratore delegato della Rai, Fabrizio Salini, si è ritrovato al centro della delicata questione senza sapere come comportarsi: prendere provvedimenti o concordare con la Maggioni una linea che tutelasse la Rai dalla figuraccia? La sua è una delle posizioni che traballano, e alla fine in una nota ha provato a rimediare così: «L’intervista non è stata effettuata su commissione di alcuna testata Rai. Pertanto non poteva venire concordata a priori una data di messa in onda».

nomine-rai-salini-m5s-pd
L’amministratore delegato della Rai Fabrizio Salini.

IMPASSE CON ALCUNE TESTATE RAI

A quanto è trapelato, Salini sarebbe stato informato che la Maggioni, già inviata di punta del Tg1, ex direttore di Rainew24 ed ex presidente Rai, aveva la possibilità di effettuare l’intervista ad Assad e che sarebbe andata a realizzarla in qualità di ad di Rai Com. Il colloquio sarebbe stato poi proposto ad alcune testate della Rai, che tuttavia non lo avrebbero trasmesso rivendicando la professionalità dei propri giornalisti. E quindi l’impasse ha provocato la reazione del governo siriano. Che ora ha fissato la messa in onda per la serata di lunedì.

L’esecutivo Usigrai, il sindacato dei giornalisti di Viale Mazzini, ha commentato così: «Chiarito che né Rainews24 né alcuna altra testata della Rai ha commissionato l’intervista al presidente della Siria Assad, né quindi ha preso impegni a trasmetterla, chi ha assunto accordi con la presidenza della Siria per conto della Rai? E perché? Fermo restando che non si può cedere ad alcun ultimatum da parte di nessuno, men che meno da parte del capo dello Stato di un Paese straniero, siamo di fronte a una vicenda imbarazzante».

Questa volta è in gioco l’autorevolezza della Rai, la credibilità internazionale sua e dell’Italia


L’Usigrai

Per l’Usigrai «la Rai deve fare chiarezza con urgenza e individuare le responsabilità. Senza alcun tentennamento. Questa volta è in gioco l’autorevolezza della Rai, la credibilità internazionale sua e dell’Italia».

Il presidente della Rai Marcello Foa.

IL PRESIDENTE FOA VUOLE SPIEGAZIONI

Il presidente della Rai, Marcello Foa, non ha preso bene l’accaduto, manifestando forte irritazione per non essere stato informato dell’intenzione di intervistare Assad e tanto meno dei successivi sviluppi e delle decisioni via via assunte in azienda sulla gestione dell’intervista. Secondo quanto è trapelato, è ferma la volontà del presidente di ottenere spiegazioni e fare quindi chiarezza sull’intera vicenda.

Il presidente siriano Bashar al Assad.

LA LEGA: «È UNO SCOOP, VENGA TRASMESSO»

Anche la politica si è intromessa. Alessandro Morelli, deputato e responsabile Editoria della Lega, ha parlato di «pressapochismo in Rai rispetto a rapporti internazionali delicatissimi. Lo scoop sarebbe stato stoppato e non si capisce il motivo: se questa intervista è stata fatta, è una testimonianza e deve andare in onda». E ancora: «La Rai faccia una volta tanto servizio pubblico e non politica. La dirigenza dimostra ancora di essere incapace di gestire un’azienda tanto importante per gli interessi nazionali. Dilettanti allo sbaraglio che rischiano di far saltare difficili equilibri, il cui responsabile, l’ad Salini, deve perdere più tempo a evitare polemiche che potrebbero riguardarlo piuttosto che lavorare per lo sviluppo dell’azienda».

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Ultimatum di Damasco alla Rai per la messa in onda di un’intervista ad Assad

Viale Mazzini ne avrebbe rinviato più volte la trasmissione senza spiegazione. L'ufficio stampa della presidenza siriana dà fino al 9 dicembre. Poi la diffonderà sui media locali.

Meno di 48 ore. Se la Rai non manderà in onda entro lunedì 9 dicembre l’intervista realizzata da Monica Maggioni al presidente siriano Bashar al Assad, che doveva essere trasmessa il 2 dicembre scorso, Damasco programmerà sui media del Paese il colloquio senza la contemporaneità prevista dagli accordi. Lo rende noto l’Agi.

L’ACCORDO CON DAMASCO

«Il 26 novembre 2019, il presidente al-Assad ha rilasciato un’intervista alla Ceo di RaiCom, Monica Maggioni», ha scritto l’ufficio stampa della presidenza siriana in una nota pubblicata su Facebook in cui spiega i termini dell’accordo. «Si è convenuto che l’intervista sarebbe andata in onda il 2 dicembre su Rai News 24 e sui media nazionali siriani». Così però non è andata. Il 2 dicembre RaiNews24 ha chiesto di posticipare la messa in onda senza, stando alla versione di Damasco, ulteriori spiegazioni. A questo sono seguiti, sempre secondo l’ufficio stampa della presidenza siriana, altri due rinvii. «Questo», conclude la nota, «è un ulteriore esempio dei tentativi occidentali di nascondere la verità sulla situazione in Siria e sulle sue conseguenze sull’Europa e nell’arena internazionale». Così è scattato l’ultimatum: o l’intervista va in onda oppure la presidenza siriana la trasmetterà alle 21 di lunedì.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Diminuisce la fiducia dei comunicatori: come invertire la tendenza

Davanti alle nuove sfide dovute alla digitalizzazione occorre mettere in piedi sinergie solide tra pubbliche relazioni, giornalisti e leader. Solo così sarà possibile consolidare la corporate reputation.

Le aspettative della società nei confronti del business, delle aziende e dei leader sono in costante aumento.

In un contesto sfidante dove emergono tematiche quali quelle ambientali, della crisi economica e della digitalizzazione è sempre più facile comunicare la propria opinione e parlare alle persone attraverso l’uso delle tecnologie.

In particolare, l’utilizzo di queste ha permesso lo sviluppo della comunicazione disintermediata, quel tipo di comunicazione tramite la quale vengono eliminati i filtri e i corpi intermedi. Questo modo di comunicare aiuta a mantenere vivo il rapporto con la propria platea e a garantire contatti con nuovi soggetti.

ESPORSI SU TEMATICHE CRUCIALI AIUTA A MANTENERE CREDIBILITÀ

In un mondo così complesso, dunque, esporsi in tempo reale su tematiche cruciali per il proprio business è necessario per ottenere e mantenere una certa credibilità. Attraverso genuini scambi di opinione su social, siti web e piattaforme dedicate, è possibile trasmettere i valori della propria azienda alla luce degli obiettivi che questa si è prefissa di perseguire. Mission, vision e valori sono elementi imprescindibili per garantire un buon andamento dell’attività e rappresentano un faro per le attività di comunicazione. La comunicazione è, dunque, uno degli strumenti chiave per la gestione della reputazione ed è una leva di successo per le performance di business, in grado di creare una profonda cultura di impresa. Per questi motivi, anche per i leader di grandi aziende, la comunicazione e il ruolo dei comunicatori sta diventando sempre più centrale. 

LA SFIDUCIA NEI PROFESSIONISTI NELL’ERA DELLA DISINTERMEDIAZIONE

Nonostante il ruolo cruciale che la comunicazione riveste per il business e per il funzionamento di grandi e medie aziende, il ruolo dei comunicatori professionisti sembra sperimentare una profonda crisi. Secondo quanto riportato nel rapporto Euprera (European Public Relations Education and Research Association) realizzato in Germania, Italia e Regno Unito dalla Leipzig University, la Leeds Beckett University e lo Iulm sul livello di fiducia nei confronti dei professionisti della comunicazione, la popolazione generale ha una forte diffidenza. Questo è dovuto, in particolare, alle percezioni confuse sugli obiettivi e le attività di pubbliche relazioni da parte della popolazione. Non è un caso, dunque, che il 50% degli intervistati sia indifferente alle attività di pubbliche relazioni e il 38% degli intervistati non abbia fiducia nei confronti di chi fa attività di pubbliche relazioni. Questi dati risultano essere in forte contrasto con la percezione che i professionisti della comunicazione hanno di se stessi: ritengono di ottenere il 55% della fiducia, mentre in realtà arrivano a sfiorare solo il 12%. L’unico modo per affrontare questa situazione critica risiede, dunque, nello sviluppo di sinergie solide tra pubbliche relazioni, giornalisti, leader e comunicatori. 

QUALE FUTURO PER I LEADER E I COMUNICATORI?

Come ho scritto nel mio ultimo libro Comunicazione integrata e reputation Management, edito dalla Luiss University Press, populismi, cambiamenti climatici, demografici e digitalizzazione stanno influenzando e impatteranno sempre più sul nostro modo di vivere, lavorare e comunicare. I nuovi sistemi di comunicazione sfidano i divari geografici e temporali accorciando le distanze, disintermediando e, allo stesso tempo, accrescendo problemi relativi a reputazione e credibilità. La comunicazione integrata, come ho scritto e ripetuto più volte nel libro, può rispondere a questi problemi, definendo un filo logico in cui gli strumenti comunicativi e le tecniche impiegate in ciascuna delle aree di comunicazione siano allineati con la strategia complessiva dell’impresa. Solo in questo modo sarà garantita la possibilità di far leva sulle tecniche di comunicazione per consolidare la corporate reputation e conseguire una posizione distintiva rispetto ai concorrenti in un orizzonte di lungo termine. Infine, se questa strategia viene accompagnata da una elevata dose di empatia, risulterà certamente vincente, come dimostrato dai risultati della ricerca pubblicata questo mese sul McKinsey Quarterly, basati su sondaggi e interviste con un gruppo di borsisti di Ashoka, una delle comunità di imprenditori sociali più importanti al mondo.

*Professore di Strategie di Comunicazione, Luiss, Roma

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it