Gli Usa, l’Ue e il braccio di ferro sul vaccino anti coronavirus

Gli Stati Uniti puntano ad assicurarsi le prime dosi grazie agli investimenti nella ricerca. Sanofi chiarisce: «Non daremo la priorità a Washington». Ma chiede un maggiore sforzo all'Unione europea.

Il gigante farmaceutico francese Sanofi non distribuirà prioritariamente negli Usa un eventuale vaccino contro Covid-19, come dichiarato il 13 maggio – suscitando un’ ondata di polemiche – dal suo dg. Sanofi ha però sottolineato che non darà preferenza agli Usa se l’Unione Europea si mostrerà «altrettanto efficace» nel finanziare lo sviluppo del vaccino. «In questo periodo gli americani sono efficaci – ha detto a BFM-TV il presidente di Sanofi France, Olivier Bogillot – anche l’Ue deve esserlo altrettanto, aiutandoci a mettere a disposizione molto rapidamente il vaccino».

PARIGI E BRUXELLES ALZANO LA VOCE

Il 13 maggio, Sanofi, attraverso il dg Paul Hudson, aveva fatto sapere che avrebbe distribuito agli Usa, prima che agli altri Paesi, un eventuale vaccino, poiché le autorità americane hanno investito finanziariamente per sostenere le ricerche del gruppo farmaceutico. Hudson aveva precisato che l’anticipo potrebbe essere di qualche giorno o di qualche settimana. L’annuncio era stato definito inaccettabile dalla sottosegretaria all’Economia francese, Agnès Pannier-Runacher. Anche l’Ue, attraverso un portavoce della Commissione europea, si era fatta sentire, spiegando che l’accesso al vaccino contro il coronavirus deve essere universale e ricordando che la «solidarietà e lo stretto coordinamento è la migliore risposta».

Siamo in grado di vedere, se tutto procede come previsto, che alcuni di essi (vaccini) potrebbero essere pronti per l’approvazione tra un anno

Ema

I tempi ancora restano incerti. Il vaccino potrebbe essere pronto in un anno in uno scenario «ottimistico», basato sui dati degli studi in corso, ha affermato l’Agenzia europea del farmaco. «Siamo in grado di vedere, se tutto procede come previsto, che alcuni di essi (vaccini) potrebbero essere pronti per l’approvazione tra un anno», ha detto Marco Cavaleri, responsabile dell’Ema per le minacce alla salute biologica e la strategia dei vaccini, durante una conferenza stampa video.

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Eclissi lunare: le cose da sapere sulla prima del 2020

L'appuntamento è per il 10 gennaio, poco dopo le 18. L'evento durerà circa quattro ore e sarà visibile dall'Italia.

Il 2020 inizia con un fenomeno astronomico spettacolare. Il 10 gennaio, infatti, poco dopo le 18, ci sarà la prima eclissi lunare dell’anno. E sì, sarà visibile dall’Italia. In pratica, questa sera, la Luna sembrerà offuscata da un velo che ne indebolirà la luce, generando un effetto suggestivo. Sarà infatti un’eclissi lunare di penombra, che si verifica quando la Luna passa attraverso la parte più esterna del cono d’ombra che la Terra proietta nello spazio. Il fenomeno astronomico, visibile da Europa, Asia e Africa, durerà circa quattro ore: comincerà alle 18.07, con l’effetto di affievolimento della luce lunare che inizierà sul lato sinistro della Luna, avrà il suo culmine alle 20.10 e terminerà alle 22.10.

SI OFFUSCHERÀ IL 90% DEL DISCO LUNARE

Sarà una delle migliori eclissi lunari di penombra possibili perché al momento massimo dell’evento circa il 90% del disco lunare sembrerà offuscarsi: «Quella è in pratica la percentuale del disco lunare che si troverà all’interno della penombra della Terra», ha detto all’Ansa Paolo Volpini, dell’Unione astrofili italiani (Uai).

LE QUATTRO ECLISSI LUNARI DI PENOMBRA DEL 2020

Quella del 10 gennaio è la prima delle quattro eclissi di penombra previste nel 2020, le altre si verificheranno il 5 giugno, il 5 luglio e il 30 novembre. Quest’anno non ci saranno eclissi lunari parziali o totali che si verificano quando la Luna entra parzialmente o totalmente nel cono d’ombra della Terra.

CHE COS’È L’ECLISSI LUNARE PENOMBRALE

L’eclissi lunare penombrale avviene quando la Luna transita solo ed esclusivamente per la penombra della Terra, senza però essere nascosta dall’ombra. Ci sono due tipi diversi di eclissi lunare penombrale: totale, quando è visibile una piccolissima parte dell’ombra, ma solo se la Luna transita completamente all’interno della penombra; parziale, quando ne viene oscurata solo una parte.

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Eclissi lunare: le cose da sapere sulla prima del 2020

L'appuntamento è per il 10 gennaio, poco dopo le 18. L'evento durerà circa quattro ore e sarà visibile dall'Italia.

Il 2020 inizia con un fenomeno astronomico spettacolare. Il 10 gennaio, infatti, poco dopo le 18, ci sarà la prima eclissi lunare dell’anno. E sì, sarà visibile dall’Italia. In pratica, questa sera, la Luna sembrerà offuscata da un velo che ne indebolirà la luce, generando un effetto suggestivo. Sarà infatti un’eclissi lunare di penombra, che si verifica quando la Luna passa attraverso la parte più esterna del cono d’ombra che la Terra proietta nello spazio. Il fenomeno astronomico, visibile da Europa, Asia e Africa, durerà circa quattro ore: comincerà alle 18.07, con l’effetto di affievolimento della luce lunare che inizierà sul lato sinistro della Luna, avrà il suo culmine alle 20.10 e terminerà alle 22.10.

SI OFFUSCHERÀ IL 90% DEL DISCO LUNARE

Sarà una delle migliori eclissi lunari di penombra possibili perché al momento massimo dell’evento circa il 90% del disco lunare sembrerà offuscarsi: «Quella è in pratica la percentuale del disco lunare che si troverà all’interno della penombra della Terra», ha detto all’Ansa Paolo Volpini, dell’Unione astrofili italiani (Uai).

LE QUATTRO ECLISSI LUNARI DI PENOMBRA DEL 2020

Quella del 10 gennaio è la prima delle quattro eclissi di penombra previste nel 2020, le altre si verificheranno il 5 giugno, il 5 luglio e il 30 novembre. Quest’anno non ci saranno eclissi lunari parziali o totali che si verificano quando la Luna entra parzialmente o totalmente nel cono d’ombra della Terra.

CHE COS’È L’ECLISSI LUNARE PENOMBRALE

L’eclissi lunare penombrale avviene quando la Luna transita solo ed esclusivamente per la penombra della Terra, senza però essere nascosta dall’ombra. Ci sono due tipi diversi di eclissi lunare penombrale: totale, quando è visibile una piccolissima parte dell’ombra, ma solo se la Luna transita completamente all’interno della penombra; parziale, quando ne viene oscurata solo una parte.

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Una ‘sorella’ della Terra distante 100 anni luce

Si chiama TOI 700 d, ed è stata individuata dal nuovo cacciatore di pianeti della Nasa. Una scoperta che parla anche italiano.

A circa 100 anni luce di distanza c’è una ‘sorella’ della Terra, che si trova nella cosiddetta zona abitabile, ossia alla distanza ideale dalla sua stella per avere acqua liquida in superficie. Si chiama TOI 700 d ed è stata individuata dal nuovo cacciatore di pianeti Tess, della Nasa. Il risultato è stato annunciato al convegno della Società astronomica americana, dal gruppo guidato da Emily Gilbert, dell’università di Chicago. Vi partecipano anche gli italiani Giovanni Covone, astrofisico dell’università Federico II di Napoli e associato dell’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf) e Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn), e lo studente Luca Cacciapuoti della Federico II.

IN CERCA DI OSSIGENO E ACQUA

«Questo risultato è molto importante per Tess perché è il primo pianeta simile alla Terra scoperto dal telescopio spaziale», dice Covone. Il prossimo passo, aggiunge, sarà verificare se il pianeta ha un’atmosfera e quale è la sua composizione chimica. «Cercheremo soprattutto tracce di ossigeno e acqua che» – spiega l’esperto – «sono le prime indicazioni importanti dell’eventuale presenza di forme di vita». Lanciato nel 2018, Tess cerca i pianeti osservando eventuali cali nella luminosità della stella causati dal loro passaggio. Così ha trovato tre pianeti intorno alla stella TOI 700, che è una nana rossa, la cui massa è circa la metà di quella del Sole. Dei tre mondi, il più affascinante è TOI 700 d, il pianeta più esterno, che è roccioso e poco più grande della Terra (del 20%). Il pianeta ha un anno lungo 37 giorni e ha temperature miti in superficie perché riceve dalla sua stella l’86% dell’energia che la Terra riceve dal Sole. Altra caratteristica che lo rende simile alla Terra è la tranquillità della sua stella che in 11 mesi di osservazioni non ha mostrato segni di eruzioni.

INCOGNITE SULLA NASCITA DELLA VITA

Il pianeta rivolge sempre la stessa faccia alla sua stella, come fa la Luna con la Terra, perché impiega lo stesso tempo sia per ruotare su se stesso che per girare intorno alla stella, ma questo potrebbe non essere un limite per la nascita della vita. Tuttavia, rileva Covone «bisogna vedere che tipo di vita si potrebbe formare su un pianeta senza l’alternanza di giorno e notte, per questo TOI 700 d sarà un bel laboratorio per l’astrobiologia». La scoperta è stata confermata dal gruppo coordinato da Joseph Rodriguez, del Centro americano Harvard-Smithsonian, grazie alle osservazioni del telescopio spaziale Spitzer della Nasa, mentre il gruppo di Gabrielle Englemann-Suissa, dell’americana Universities Space Research Association, ha tracciato l’identikit del pianeta con delle simulazioni. In una di esse TOI 700 d è un mondo coperto di acqua con un’atmosfera dominata dalla CO2, mentre in un’altra è secco e senza nuvole. “Sono due ipotesi alternative su cui è difficile scommettere ma – conclude Covone – simulazioni come queste sono utili per capire cosa dobbiamo aspettarci quando andremo a osservare il pianeta in modo diretto”.

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Dalla rovente Italia un altro allarme sul riscaldamento globale

Il 2019 è stato il quarto anno più cocente dal 1800. Dopo 2014, 2015 e 2018. Il decennio che si è chiuso risulta dunque il peggiore di sempre per il nostro Paese. Gli effetti dei cambiamenti climatici nei dati del Cnr.

E ora i negazionisti del riscaldamento globale saranno ancora un filo più imbarazzati. Perché dall’Italia è arrivata un’ulteriore conferma dei cambiamenti climatici che stanno interessando il Pianeta. Con il secondo dicembre più caldo dal 1800 a oggi, infatti, il 2019 ha chiuso con un’anomalia di +0,96 gradi sopra la media, risultando il quarto anno più caldo per il nostro Paese dopo il 2014, 2015 e 2018.

DATI DEL CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE

È finito così il decennio più rovente di sempre in Italia, secondo quanto ha rilevato Michele Brunetti, responsabile della Banca dati di climatologia storica dell’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Isac) di Bologna. Con buona pace dei giornali di destra che provano a smontare l’attivismo di Greta Thunberg, ogni volta che la temperatura cala, a suon di “Ma se fa freddo”.

TEMPERATURA IN CONTINUA CRESCITA

Analogamente a quanto è accaduto su scala globale, ha spiegato l’esperto del Cnr in una nota, anche nel nostro Paese ciascuno degli ultimi quattro decenni è risultato più caldo del precedente: dal 1980 a oggi la temperatura è cresciuta in media di 0,45 gradi ogni 10 anni. I dati relativi al 2019 non fanno che confermare questo trend in continua crescita.

NEL 2019 OTTO MESI SU 12 DA RECORD

Con dicembre (+1,9°C di anomalia rispetto alla media del periodo di riferimento 1981-2010), sono otto i mesi dell’anno rientrati nella top 10 delle rispettive classifiche mensili: marzo (nono più caldo, +1,48°C), giugno (secondo più caldo, +2,57), luglio (settimo più caldo, +1,29°C), agosto (sesto più caldo, +1,42°C), settembre (decimo più caldo, +1,27°C), ottobre (quarto più caldo, +1,56°C), novembre (decimo più caldo, +1,33°C).

NEL 2014 E 2015 ANOMALIA DI OLTRE UN GRADO

Peggio del 2019 sono risultati solo il 2014 e il 2015 (+1°C sopra media) e il 2018 (l’anno più caldo con un’anomalia di +1,17°C rispetto alla media del periodo di riferimento 1981-2010). Nonostante tutti, il mondo non riesce a mettersi d’accordo per cercare di arginare il fenomeno, come dimostra il fallimento della Cop25 di Madrid, la conferenza dell’Onu sul clima. Non ci resta che l’ironia del presidente degli Stati Uniti Donald Trump – ora impegnato su un altro fronte altrettanto “caldo”, con l’Iran – : «Il riscaldamento globale? Usiamolo contro il freddo».

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Il problema delle microplastiche nello Stretto di Messina

Tra le 70 e le 130 mila tonnellate di piccoli rifiuti ogni anno contaminano il Mediterraneo. Finendo dentro lo stomaco del 37% del pescato. Il fotografo Bertuccio ha documentato tutto in un reportage a bordo di feluche e lampare. La storia.

Sopra e poi d’un fiato giù, in profondità, negli abissi. “Dove si fermano gli occhi”, appunto. Il reportage di Davide Bertuccio è un pendolo che oscilla tra universi evidenti e nascosti, a volte persino impossibili da esplorare. Il filo conduttore è il mare, il suo, lo Stretto di Messina, con un enorme carico di segreti e uno stato di salute piuttosto precario.

ASSIEME AI RICERCATORI E AI PESCATORI

Lui, 28enne a bagnomaria, grande per la generazione Greta e giovane abbastanza per non sentirsi responsabile dei disastri ambientali, lo ha studiato con i ricercatori dell’università siciliana, lo ha vissuto assieme ai pescatori che a quella distesa blu hanno dedicato la vita, sotto il sole a picco e la pioggia battente. Senza lamentarsi mai, perché, insegnano i Malavoglia, per certe preghiere non è detto ci sia qualcuno disposto ad ascoltarle.

DUE APPROCCI SULLO STESSO PIANO (FOTOGRAFICO)

«Volevo mettere sullo stesso piano i due approcci», spiega il fotografo a Lettera43.it, «chi dice che una determinata situazione secondo criteri oggettivi non possa esistere e coloro che affermano il contrario per averlo vissuto sul campo. Entrambi hanno ragione».

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A bordo delle barche coi pescatori.

L’INQUINAMENTO DA UNA PROSPETTIVA NUOVA

Un lavoro di un oltre un anno, tra laboratori e barche, affrontato con l’obiettivo di raccontare l’inquinamento da una prospettiva nuova, diversa e il più possibile completa: «Cercavo una storia e ho incominciato a leggere articoli sulle microplastiche, incuriosendomi al tema. Ho scoperto che, in proporzione alla grandezza, il Mediterraneo è uno dei mari che sono nelle peggiori condizioni». Qui ogni anno – si legge nel reportage – confluiscono tra le 150 mila e le 500 mila tonnellate di macroplastiche, mentre le micro, cioè con un diametro inferiore a cinque millimetri, oscillano tra le 70 e le 130 mila.

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Foto dall’interno delle imbarcazioni.

EPPURE LO STRETTO DI MESSINA DOVREBBE ESSERE PULITO

Secondo i dati elaborati dall’Ismar-Cnr con l’università di Ancona, se negli oceani le tracce di materiali simili per chilometro quadrato sono 335 mila, soltanto moltiplicandoli per quattro si avrà una fotografia del “Mare Nostrum”. Non esistono isole felici: «Lo Stretto di Messina, per via delle fortissime correnti, dovrebbe rappresentare un’eccezione ed essere pulito. Condizionale d’obbligo perché la realtà è opposta».

Ogni anno nel Mediterraneo finiscono migliaia di tonnellate di microplastiche.

CRATERI SOTTOMARINI PIENI DI PLASTICA

I motivi essenzialmente due: «Innanzitutto i canyon sottomarini», prosegue Bertuccio, «hanno la capacità di attrarre qualunque cosa ruoti nella loro orbita. Dentro si trova di tutto: pneumatici, macchine, elettrodomestici ammassatisi nel tempo che progressivamente si deteriorano nell’acqua. Con le moderne tecnologie si può pensare di fotografarli, tuttavia il mio budget non era sufficiente per intraprendere l’impresa. L’altro fattore è l’inquinamento in senso lato. L’aumento progressivo delle temperature, per esempio, ha comportato modifiche all’ecosistema e lo spostamento definitivo di numerose specie».

Ricercatori che analizzano il pesce inquinato.

UN PESCE SU TRE È MALATO

Il climate change non fa sconti, ma chi resta non se la passa meglio e i numeri sono spietati. «Il 37% sul totale del pescato si porta nello stomaco microplastiche», continua Bertuccio. «Per dimostrarlo, sono stato con gli scienziati al mercato, dove abbiamo comprato tre pesci che sarebbero potuti arrivare facilmente sulle nostre tavole. Giunti in laboratorio li abbiamo aperti e sezionati: come volevasi dimostrare, uno era malato».

Il 37% del pescato ha dei rifiuti nello stomaco.

PICCOLISSIME PARTICELLE ANNIDATE OVUNQUE

A rendere peggiore il quadro c’è una serie di constatazioni: «Nella normalità dei casi ed escludendo pesci che per piccole dimensioni si consumano interi, le plastiche risiedono in parti dell’organismo che non vengono mangiate dagli esseri umani. Siamo ben lontani, però, dal poter tirare un sospiro di sollievo. Esistono, infatti, le nanoplastiche di dimensioni ridottissime e annidate ovunque».

IL FOTOGRAFO SICILIANO CHE HA GIRATO IL MONDO

Trasferitosi dalla Sicilia a Milano dopo il diploma, Bertuccio si era iscritto alla facoltà di biotecnologie mediche, presto abbandonata per inseguire la passione della vita. Quattro anni dopo si è laureato allo Ied e ha iniziato a girare il mondo, macchinetta rigorosamente in spalla. Inserito nel 2014 tra i 10 fotografi under 25 più promettenti d’Italia e nel 2019 tra i nominati al prestigioso 6×6 World Press Photo Global Talent, pur giovanissimo, ha già allestito mostre da Tokyo a Parigi, passando per gli Stati Uniti e facendo ovunque incetta di premi: «Eppure narrare le vicende di casa ha un sapore speciale. Gran parte dei miei coetanei è stata costretta a emigrare per inseguire i propri sogni, soprattutto se coincidevano con professioni creative. Tornare e contribuire nel mio piccolo a fare qualcosa per questo posto è motivo d’orgoglio. Chi ha il mare dentro, d’altronde, se lo porta sempre dietro».

SULLE IMBARCAZIONI SI CONDIVIDE TUTTO

Nell’ultimo anno ha vissuto fianco a fianco con i pescatori, invadendo il loro universo fino a diventarne parte integrante: «Sono stato sulle feluche, le tradizionali imbarcazioni su cui si caccia lo spada nello Stretto o ospite delle “lampare”, piccole barche che attraggono i pesci attraverso un raggio di luce. Si usavano un tempo per pescare le aguglie, ora è l’usanza è praticamente scomparsa». Il motivo piuttosto scontato: «Non si prende nulla, l’ho constatato di persona». Sono le conseguenze dello sfruttamento intensivo: «Le reti hanno certamente apportato un contributo pesante in termini di devastazione, i fondali sono colmi di residui in cui gli animali continuano intrappolarsi». Con la pesca magra rimangono i ricordi, sugellati dagli scatti: «A bordo impari a condividere tutto, non esistono i concetti di mio e tuo. Le giornate sono dure, segnate dal sole: iniziano all’alba e si concludono al tramonto». In mezzo, tanto lavoro e lo spazio di un panino, sperando che almeno stavolta il mare sia clemente.

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Dopo Natale arriva l’eclissi di Sole di Santo Stefano

Visibile dall'Arabia all'Australia sarà anulare. Un'altra seguirà il 21 giugno e poi di nuovo a dicembre 2020.

Se i doni sotto l’albero di Natale saranno deludenti, ci sarà modo di rifarsi il giorno di Santo Stefano, quando il Sole e la Luna ci regaleranno un anello di fuoco disegnato nel cielo: l’ultima eclissi solare del 2019. Lo spettacolo non sarà direttamente visibile dall’Italia, ma potranno goderselo tutti coloro che per le vacanze hanno prenotato un viaggio verso Est: il cono d’ombra spazzerà infatti una vasta fetta del globo che va dall’Arabia Saudita al Kenya fino all’India, la Thailandia, le Filippine e la parte nord-occidentale dell’Australia.

DALL’ARABIA SAUDITA FINO ALL’AUSTRALIA

Per una manciata di minuti il giorno diventerà buio come la notte, anche se nel cielo continuerà a brillare un sottilissimo cerchio di luce: l’eclissi sarà anulare perché, anche nel momento culminante, il disco lunare non riuscirà a coprire completamente quello del Sole. In questi giorni, infatti, la Luna si trova vicina all’apogeo, il punto più distante dalla Terra, e per questo ci appare più piccola del 3% rispetto al Sole. Per quanto scenografico, questo gioco di ombre non sarà innocuo per la vista, per cui non dovrà essere ammirato a occhio nudo senza le dovute precauzioni.

IL 10 GENNAIO ECLISSI DI LUNA IN PENOMBRA

Come tutte le eclissi solari, anche questa avverrà a circa due settimane di distanza da un’eclissi di luna, che cadrà il prossimo 10 gennaio: purtroppo sarà un’eclissi di penombra, quindi difficile da distinguere dalla solita Luna piena.

LE ECLISSI DEL 2020: 21 GIUGNO E 14 DICEMBRE

Il Sole, invece, tornerà a dare grande spettacolo con un’altra eclissi anulare il 21 giugno, visibile anche dall’Italia, e poi il 14 dicembre 2020, con un’eclissi totale visibile dal Sud America e dall’Antartide.

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Il Black Friday ci porta all’acquisto impulsivo per colpa della scarsità

Offerte limitate nel tempo. Pochi prodotti disponibili. Altri utenti sul sito in quel momento. Che vogliono proprio ciò che cerchiamo noi. Come la neuroscienza spiega tutte le leve del marketing capaci di farci spendere soldi solo per il timore di perdere un'occasione.

Ci siamo appena lasciati alle spalle il Black Friday. Quella degli sconti in tempi limitati è ormai una dinamica potentissima di consumo. Un’esca capace di coinvolgere anche i consumatori più refrattari.

FATTURATI CHE SI IMPENNANO IN POCHI MINUTI

Per comprenderne la portata basta pensare al fatturato che ha fatto Amazon durante il Black Friday (37 ordini al secondo) o quanto è successo in Alibaba che in un solo minuto alle 00.01 del Singles’ Day ha venduto prodotti per un miliardo di dollari. La cifra è salita a 4,5 miliardi di dollari nei primi cinque minuti e ha superato i 12 miliardi al termine della prima ora.

QUESTIONE ANCHE DI BELLEZZA E SIMPATIA

Ma perché questi meccanismi hanno una capacità di coinvolgimento così potente? Già nel 1984 Robert Cialdini, in Le Armi della Persuasione, aveva descritto le principali leve di marketing capaci di influenzare profondamente gli acquisti. Nel suo testo vengono riportate le principali tecniche di vendita e di marketing: dal potere del conformismo sociale al ruolo dell’autorevolezza della fonte, dalla sua bellezza e simpatia al valore della somiglianza.

CHE FORZA EVOCATIVA HA IL RISCHIO DELLA PERDITA

Tra queste Cialdini aveva anche citato la forza del principio della scarsità, secondo il quale le offerte ci appaiono molto più desiderabili quando la loro «disponibilità percepita» è limitata. Il rischio della perdita potenziale dell’opportunità ha una forza evocativa impressionante e diviene una potente guida nei processi di acquisto (Russo, 2017).

IL TEMPO LIMITATO FA AUMENTARE GLI ACQUISTI

Così la percezione di scarsità di prodotto ha un forte effetto persuasivo anche se riferita al tempo necessario per acquistare. In una ricerca svolta in un fast food si è fatto credere a due gruppi di consumatori di potere fare un buon affare fruendo di un buono sconto sui dolci. A un gruppo si è fatto credere che lo sconto sarebbe stato disponibile per molto tempo e all’altro per poco tempo. Le vendite sono state quattro volte superiori nel caso in cui i consumatori erano consapevoli di avere un tempo limitato (Brannon e Brock, 2001).

MOTIVATI DAL TIMORE DI FARSI SFUGGIRE LO SCONTO

Non a caso Daniel Kahneman, Premio Nobel per l’Economia nel 2002, ci ha spiegato che, poiché siamo motivati ad agire più dal timore di una perdita che dalla speranza di un guadagno di pari entità, il principio di scarsità ha una potente forza motivazionale nel guidare i comportamenti (Kahneman, 2013).

LEVE DI MARKETING MOLTO POTENTI

Ed è proprio il rischio di perdere l’occasione del prodotto a basso costo alla base dei risultati che sono stati registrati durante il Black Friday o il Singles’ Day. In effetti se analizziamo attentamente le dinamiche che sottostanno alla vendita in occasioni come queste ritroviamo delle leve di marketing potentissime, come per esempio:

  • Avere la percezione di essere di fronte a un forte sconto, soprattutto se confrontato con il costo regolare. La mente dei consumatori funziona sempre per confronto, cosicché posizionare accanto al costo scontato il costo originale permette di avere una forte sensazione di valore. Il prezzo originale serve da àncora per valorizzare il prezzo scontato (si chiama “euristica dell’ancoraggio”).
  • Avere la sensazione che ci si ritrova davanti a un grande affare: i prodotti vengono offerti con una percentuale sempre alta di sconto, cercando di trasmettere la sensazione di “occasione da non perdere”. Ciò viene proposto sia con l’indicazione di sconto, ma anche con la quantità di soldi risparmiati.
  • Percepire che vi è un tempo per l’acquisto molto ristretto e limitato. Ciò spinge i consumatori a subire una sensazione di urgenza che spinge a non procrastinare la spesa.
  • Avere la certezza che vi è un numero dei prodotti limitato attraverso l’indicazione del numero di prodotti ancora disponibili. In genere sono sempre troppo pochi!
  • Avere la consapevolezza che tanti altri consumatori stanno tentando di comprare lo stesso prodotto o che lo hanno appena comperato (effetto conformismo e scarsità). Questo meccanismo ha una duplice funzione, da una parte segnala che l’acquisto rientra tra ciò che anche gli altri desiderano, rendendo ancora più desiderabile l’affare, dall’altra aumenta la percezione del rischio della perdita dell’offerta vista la grande competizione che si percepisce tra i possibili acquirenti.
  • La tangibilità del valore dei prodotti: vedere, in immagini concrete e quanto più possibile oggettive, il prodotto e cosa gli acquirenti acquisteranno. La tangibilità del prodotto e la sua fruizione aumenta la probabilità di acquisto e la disponibilità di spesa, contribuendo ad attivare i meccanismi automatici di acquisto. Si pensi per esempio alla Tissot che ha introdotto la possibilità di interagire con la vetrina del negozio facendo provare l’orologio ai consumatori giocando con la loro immagine con l’orologio in vendita. Questa formula ha fatto aumentare le vendite dell’83% (Barden, 2013).

TECNICHE NOTE A BOOKING.COM E GROUPON

Si tratta di leve molto frequenti nell’e-commerce che associati alla facilità di accesso al prodotto o servizio e all’affidabilità della transazione commerciale rendono molto efficaci queste strategie. Basta pensare alle dinamiche di vendita di Booking.com o di Groupon che, da una parte, ti segnala ciò che hai perso per attivare il senso di probabile scarsità e, dall’altra, oltre a darti indicazione della scarsità di tempo e di prodotti, ti segnala che in quell’istante, mentre stai per comprare quel prodotto, altre 20 persone stanno guardando giusto quel prodotto.

MEGLIO IL PIACERE OGGI CHE LA FELICITÀ DOMANI

Di fronte a queste leve il nostro cervello risponde in maniera immediata. Diversi studi neuroscientifici hanno dimostrato che in linea di massima il nostro cervello è “predisposto” per scegliere il piacere immediato rispetto alla felicità a lungo termine come quello facilitato da queste leve di marketing. Brian Knutson, noto neuroscienziato della Stanford University, con i suoi colleghi (2007) ha dimostrato quali sono i sistemi neurali differentemente coinvolti nella valutazione dei guadagni e delle perdite e nella reazione immediata alle leve di marketing.

BISOGNA SOLO VINCERE IL DOLORE DEL PAGAMENTO

Secondo Knutso la decisione d’acquisto deriverebbe da una competizione tra l’immediato piacere dell’acquisto e l’eventuale immediato dolore provocato dall’esigenza di pagamento. Questa differenza sarebbe mediata da specifici circuiti neuronali che si attivano in previsione di stimoli positivi (guadagni) o di stimoli negativi (perdite), permettendo di predire la decisione d’acquisto.

Nello specifico Knutson ha dimostrato che:

  • l’attivazione del Nucleo Accumbens (Nacc) posto nel nostro Sistema limbico (quell’area deputata alle emozioni) in seguito alla presentazione di un prodotto sarebbe correlata alle preferenze del consumatore e sembrerebbe anticipare il desiderio d’acquisto. Infatti, il Nacc, attivandosi, anticiperebbe le previsione di gradevolezza determinata da uno stimolo percepito piacevole. Tanto più intensa sarà l’attivazione del Nucleo Accumbens (Nacc), tanto più ci si aspetterà di provare piacere dall’acquisto di quel prodotto.
  • l’attivazione dell’Insula, una ghiandola del Sistema limbico deputata alla sensazione di disgusto, sarebbe invece in grado di predire la decisione di non acquistare in virtù di condizioni economiche sfavorevoli poiché avrebbe una funzione importante nella previsione di un risultato negativo.
  • l’attivazione della Corteccia prefrontale mediale (Mpfc), infine, sembrerebbe essere correlata con la valutazione della differenza tra il prezzo del prodotto e il prezzo che il soggetto è disposto a pagare per questo (willingness to pay), bilanciando potenziali guadagni e perdite e correggendo gli errori di previsione di guadagno.

ESPERIMENTI CHE ANTICIPANO LE DECISIONI

Knutson ha quindi dimostrato che vi sono specifiche aree cerebrali correlate alla previsione di guadagni e perdite in grado di potere anticipare la decisione d’acquisto: l’attivazione del Nacc durante la fase di presentazione del prodotto, nel suo esperimento, correlava con le preferenze e sembrava anticipare la decisione d’acquisto, mentre un’eccessiva attivazione dell’insula in seguito all’esposizione a prezzi correlava con la decisione di non procedere all’acquisto; viceversa l’attivazione della Mpfc durante l’esposizione a prezzi ridotti, o comunque non superiori al prezzo che i soggetti avrebbero pagato per il prodotto, correlava con la decisione di acquistare i prodotti

ANSIA DA ESBORSO? CI SONO LE CARTE DI CREDITO

Ulteriori ricerche hanno dimostrato quanto potente siano alcune leve di marketing per attivare maggiormente il Nucleo Accubens. Tra queste sicuramente quelle che hanno animato le promozioni del Balck Friday sopra descritte. Se a queste aggiungiamo l’effetto che ha la possibilità di pagare con carta di credito, rinviando al futuro ciò che può provocare “dolore” oggi, come l’esborso di denaro in contanti, il gioco è fatto.

PIÙ DEL 64% DEGLI ACQUISTI SONO DI IMPULSO

Ricordiamoci che come descritto da Ariley in “Prevedibilmente Irrazionali” (2008) l’uso della carta di credito al momento del pagamento attiva di meno l’insula (legata al disgusto) rispetto all’uso dei soldi contanti. La mancanza di percezione della perdita di soldi è alla base dell’utilizzo a volte compulsivo della carta di credito e dell’acquisto di impulso come quello che agiamo con un solo click sull’App o sul sito di Amazon. Non stupiamoci allora che più del 64% degli acquisti sono di impulso, grazie anche a una probabile alta attivazione del nostro Nucleo Accubens.

  • Barden P. (2013). Decoded: The Science Behind Why We Buy. UK: John Wiley & Sons.
  • Brannon L.A., Brock T.C., (2001). “Limiting Time for Responding Enhances Behavior Corresponding to the Merits of Compliance Appeals: Refutations of Heuristic-Cue Theory in Service and Consumer Settings”, Journal of Consumer Psychology Volume 10, Issue 3, 2001, Pages 135-146.
  • Daniel K. (2017). Pensieri Lenti e Veloci. Mondadori 2017 (trad, 2011 di Thinking, Fast and Slow. New York).
  • Knutson B, Taylor J, Kaufman M, Peterson R, Gloverm G (2005). “Distributed neural representation of expected value” Journal of Neuroscience, volume 25, p. 4806 – 4812.
  • Knutson B, Rick S, Wimmer G E, Prelec D, Loewenstein G (2005). “Neural predictors of purchases” Neuron, volume 53, p. 147 – 156:
  • Russo V. (2017). Psicologia della Comunicazione e Neuromarketing. Pearson. Milano.

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Sull’intelligenza artificiale Violante è prigioniero del passato

Il suo approccio pedagogico è anti-moderno. Figlio di una vecchia cultura organicistica che non fa i conti col presente né tantomeno col futuro.

Può capitare di non condividere le idee di persone con le quali lavori ovvero che vivono nel tuo stesso luogo di lavoro. Il 9 dicembre mi sono imbattuto in una auto-intervista dell’onorevole Luciano Violante, presidente della Fondazione Leonardo (che è altra cosa dalla rivista “Civiltà delle Macchine” che gode di una sua autonomia tutelata dalle leggi sulla stampa e dalla lungimiranza del vertice dell’azienda Leonardo) in cui si riproponevano i temi del convegno svoltosi recentemente alla Camera e promosso da Violante sull’intelligenza artificiale. La materia va molti di moda. Ci sono convegni bisettimanali. La novità e persino l’oscurità della prospettiva sollecitano pareri informati e un nugolo di pensieri approssimativi.

NON È UNA GARA A CHI COSTRUISCE LA GABBIA MIGLIORE

Il tema che si pone Violante, e che si pongono altri, è se mettere un limite all’invadenza dell’intelligenza artificiale e se, e come, va difeso l’umanesimo, chiamato anch’esso digitale, in questa fase storica. Il tema vede molteplici aspetti soprattutto se chiamiamo in campo scienziati che già vivono nel “dopodomani”. Spesso noi, invece, viviamo ancora all’interno di “ieri”, alla storia dei dati privati di cui si impadroniscono aziende e Stati. È un problema serio ma temo che il suggerimento di Violante «pedagogia per arrivare a regole» sia quanto di più anti-moderno si possa proporre ed è prigioniero di una vecchia cultura organicistica. Il tema vero è un altro: è quello di accelerare lo sviluppo dell’intelligenza artificiale in tutti i campi per verificare come e dove nascono, se nascono, i problemi di un nuovo umanesimo. È una sfida di intelligenze e di sapere, non una gara a chi costruisce la gabbia migliore.

PEDAGOGHI E GIURISTI NON SERVONO

Ogni rivoluzione tecnologica ha posto problemi di compatibilità con la natura, con l’umanesimo e con l’antropologia. Non si possono tuttavia stabilire regole e pedagogia, tantomeno regole pedagogiche. Si tratta viceversa di mettere a disposizione di grandi masse umane le risorse che il nuovo mondo ipertecnologico, che viaggia nella Rete e nello Spazio, può suggerire. Non ci servono pedagoghi e giuristi. È del tutto evidente che il tema vero è che gli Stati saranno lentamente logorati dallo sviluppo della conoscenza a disposizione dei singoli. Ci porremo il problema dell’umanesimo quando arriveremo su Marte? No, valuteremo ciò che avremo trovato e come combinare quello che sappiamo con quello che apprendiamo immergendoci nel domani e se quello che sappiamo è in grado di farci apprendere nuove cose e far fare un salto alla nostra umanità.

LE SARDINE E QUEL POPOLO DI INFORMATI CONSAPEVOLI

Il ruolo delle grandi aziende è fondamentale in questa rottura culturale che tende a ricomporre un più alto compromesso. Si parla di imprese che vivono nella società, che di questa si occupano, che danno vita a esperienze, anche attraverso fondazioni e giornali, non al servizio dell’accademia e della casta, ma di quel popolo che oggi si fa chiamare “delle sardine“, domani in altro modo, ma è il mondo degli informati consapevoli che non sanno che farsene di pedagogia e regole. E di giuristi.

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Sull’intelligenza artificiale Violante è prigioniero del passato

Il suo approccio pedagogico è anti-moderno. Figlio di una vecchia cultura organicistica che non fa i conti col presente né tantomeno col futuro.

Può capitare di non condividere le idee di persone con le quali lavori ovvero che vivono nel tuo stesso luogo di lavoro. Il 9 dicembre mi sono imbattuto in una auto-intervista dell’onorevole Luciano Violante, presidente della Fondazione Leonardo (che è altra cosa dalla rivista “Civiltà delle Macchine” che gode di una sua autonomia tutelata dalle leggi sulla stampa e dalla lungimiranza del vertice dell’azienda Leonardo) in cui si riproponevano i temi del convegno svoltosi recentemente alla Camera e promosso da Violante sull’intelligenza artificiale. La materia va molti di moda. Ci sono convegni bisettimanali. La novità e persino l’oscurità della prospettiva sollecitano pareri informati e un nugolo di pensieri approssimativi.

NON È UNA GARA A CHI COSTRUISCE LA GABBIA MIGLIORE

Il tema che si pone Violante, e che si pongono altri, è se mettere un limite all’invadenza dell’intelligenza artificiale e se, e come, va difeso l’umanesimo, chiamato anch’esso digitale, in questa fase storica. Il tema vede molteplici aspetti soprattutto se chiamiamo in campo scienziati che già vivono nel “dopodomani”. Spesso noi, invece, viviamo ancora all’interno di “ieri”, alla storia dei dati privati di cui si impadroniscono aziende e Stati. È un problema serio ma temo che il suggerimento di Violante «pedagogia per arrivare a regole» sia quanto di più anti-moderno si possa proporre ed è prigioniero di una vecchia cultura organicistica. Il tema vero è un altro: è quello di accelerare lo sviluppo dell’intelligenza artificiale in tutti i campi per verificare come e dove nascono, se nascono, i problemi di un nuovo umanesimo. È una sfida di intelligenze e di sapere, non una gara a chi costruisce la gabbia migliore.

PEDAGOGHI E GIURISTI NON SERVONO

Ogni rivoluzione tecnologica ha posto problemi di compatibilità con la natura, con l’umanesimo e con l’antropologia. Non si possono tuttavia stabilire regole e pedagogia, tantomeno regole pedagogiche. Si tratta viceversa di mettere a disposizione di grandi masse umane le risorse che il nuovo mondo ipertecnologico, che viaggia nella Rete e nello Spazio, può suggerire. Non ci servono pedagoghi e giuristi. È del tutto evidente che il tema vero è che gli Stati saranno lentamente logorati dallo sviluppo della conoscenza a disposizione dei singoli. Ci porremo il problema dell’umanesimo quando arriveremo su Marte? No, valuteremo ciò che avremo trovato e come combinare quello che sappiamo con quello che apprendiamo immergendoci nel domani e se quello che sappiamo è in grado di farci apprendere nuove cose e far fare un salto alla nostra umanità.

LE SARDINE E QUEL POPOLO DI INFORMATI CONSAPEVOLI

Il ruolo delle grandi aziende è fondamentale in questa rottura culturale che tende a ricomporre un più alto compromesso. Si parla di imprese che vivono nella società, che di questa si occupano, che danno vita a esperienze, anche attraverso fondazioni e giornali, non al servizio dell’accademia e della casta, ma di quel popolo che oggi si fa chiamare “delle sardine“, domani in altro modo, ma è il mondo degli informati consapevoli che non sanno che farsene di pedagogia e regole. E di giuristi.

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Fallito l’esperimento delle gemelle cinesi col dna modificato

Secondo una rivista del Mit il test del professore Hi Jiankui non sarebbe andato a buon fine. E anzi avrebbe introdotto altre mutazioni.

Il controverso esperimento in cui il ricercatore cinese Hi Jiankui ha affermato di aver fatto nascere due bimbe con il Dna modificato con la tecnica Crispr è probabilmente fallito, e non ha dato alle gemelle alcuna protezione dall’infezione da Hiv. Lo affermano alla rivista del Mit alcuni esperti che hanno visionato lo studio originale che il ricercatore aveva inviato ad alcune riviste scientifiche.

L’intenzione di Jiankui, che aveva annunciato l’esperimento circa un anno fa ad un congresso scientifico, era di conferire alle bimbe una mutazione genetica che protegge dall’infezione da Hiv. Nel manoscritto, che fu rifiutato da Nature e Jama, il ricercatore aveva affermato nell’abstract di essere riuscito a riprodurre la variante nelle bimbe, e che la tecnica poteva aiutare milioni di persone a rischio di contrarre l’Aids.

Dai dati contenuti nello stesso manoscritto, ha spiegato però alla rivista Fyodor Urnov, genetista dell’università di Berkeley, emerge un’altra realtà. «L’affermazione di aver riprodotto la variante è uno sfacciato travisamento della verità, che può essere descritta solo in un modo: un falso deliberato. Lo studio mostra che il team di ricercatori invece ha fallito nel riprodurre la variante, e al suo posto hanno provocato delle altre mutazioni, il cui effetto è sconosciuto».

NESSUN TEST PRIMA DELLE GRAVIDANZE

Secondo il manoscritto inoltre, ha scritto ancora la rivista, i ricercatori non hanno condotto nessun test sulle mutazioni ottenute sugli embrioni per verificarne l’efficacia contro l’Hiv prima di iniziare le gravidanze. I genitori delle gemelline inoltre potrebbero non essere stati informati correttamente sull’esperimento, che non avrebbe ricevuto nessuna approvazione da comitati etici.

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Le alluvioni viste dallo spazio: ferite rosse nella pianura padana

Le immagini del corso del Po realizzate dal satellite europeo Sentinel 1 mostrano il nostro territorio squarciato.

Come ferite sulla pelle dell’Italia, così appaiono le alluvioni degli ultimi giorni rirpese dallo spazio: uno squarcio color rosso sangue che taglia in due la Pianura Padana. Le immagini sono del satellite Sentinel-1 di Copernicus, il programma per l’Osservazione della Terra gestito da Agenzia spaziale europea (Esa) e Commissione Europea.

DUE SCATTI IN UNO CHE VEDONO ATTRAVERSO NUBI E BUIO

L’immagine multi temporale combina due scatti separati, acquisiti il 13 e il 25 novembre: le aree inondate sono rappresentate in rosso, il fiume Po in nero, e le aree urbane in bianco. Milano sembra salva, nella parte alta dell’immagine, mentre i territori dell’alessandrino e del pavese risultano fortemente colpiti. La distinzione tra i corpi idrici dei fiumi e le zone inondate è resa possibile dal radar di Sentinel-1, capace di ‘vedere’ attraverso le nuvole, la pioggia e al buio.

UN SERVIZIO DI MAPPATURA PER LE EMERGENZE

Le immagini acquisite prima e dopo l’inondazione offrono informazioni immediate sull’entità del disastro e danno supporto per la valutazione dei danni materiali e ambientali. Il servizio di mappatura per le emergenze di Copernicus (Copernicus Emergency Mapping Service) era già stato attivato all’inizio del mese per aiutare a fronteggiare le inondazioni nel Nord-Est, dove l’acqua alta a Venezia aveva raggiunto livelli record causando la peggior inondazione degli ultimi 50 anni.

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Scoperta una molecola che blocca l’Alzheimer

L'anticorpo A13 "ringiovanisce" il cervello bloccando la malattia nella prima fase. La scoperta di uno studio italiano effettuato sui topi.

Scoperta dai ricercatori della fondazione Ebri Rita Levi-Montalcini una molecola che “ringiovanisce” il cervello bloccando l’Alzheimer nella prima fase: è l’anticorpo A13, che ringiovanisce appunto il cervello favorendo la nascita di nuovi neuroni e contrastando così i difetti che accompagnano le fasi precoci della malattia. Lo studio, italiano, è stato effettuato su topi che, così trattati, hanno ripreso a produrre neuroni a un livello quasi normale. Una strategia, secondo i ricercatori, che apre nuove possibilità di diagnosi e cura. Lo studio interamente italiano è coordinato da Antonino Cattaneo, Giovanni Meli e Raffaella Scardigli, presso la Fondazione Ebri (European Brain Research Institute) Rita Levi-Montalcini, in collaborazione con il CNR, la Scuola Normale Superiore e il Dipartimento di Biologia dell’Università di Roma Tre. E’ stato pubblicato sulla rivista Cell Death and Differentiation.

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Il creatore della Rete ha lanciato il Contratto per salvare il web

Tim Berners-Lee ha presentato il suo manifesto per «rendere Internet più sicuro e utile per tutti». Il documento rivolto a governi, aziende e cittadini.

Il creatore del web, Tim BernersLee, ha lanciato ufficialmente il suo piano per aggiustare Internet. Lo riporta l’Agi. La Word Wide Web Fondation, una società no profit creata dallo scienziato inglese, ha già ottenuto il sostengo dei giganti tecnologici come Facebook, Google e Microsoft. È lo stesso Berners-Lee ad annunciare il progetto su Twitter: «Se noi non riusciamo a difendere la libertà del web aperto, rischiamo una distopia digitale di disuguaglianza radicale e abuso dei diritti. Dobbiamo agire ora».

Nel tweet Berners-Lee condivide il link a un sito, contractfortheweb.org, dove sono elencati i nove principi del suo Contratto per il web. Tre riguardano i governi: assicurare che ognuno possa connettersi alla rete; fare in modo che tutta la rete internet sia sempre accessibile; rispettare i diritti fondamentali della privacy e dei dati personali.

I PUNTI PER LE AZIENDE E I CITTADINI

Tre riguardano le aziende: avere sempre prezzi accessibili per i servizi di connessione; rispettare e proteggere la privacy e i dati delle persone per creare fiducia a chi accede alla rete; sviluppare tecnologie che valorizzino il meglio dell’umanità, arginandone i lati peggiori. Tre riguardano invece i cittadini: essere creatori e collaboratori del web; costruire community forti e rispettare la civiltà del discorso pubblico e la dignità umana; lottare per la rete.

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Cos’è l’animazione sospesa, la nuova frontiera della chirurgia

Consiste nel rallentare i parametri vitali del paziente e sostituire il sangue con una soluzione salina fredda. Le cose da sapere sulla tecnica sperimentata con successo negli Usa.

Abbassare la temperatura corporea del paziente, rallentandone le funzioni vitali, per dare ai chirurghi il tempo di intervenire: non è fantascienza, ma una tecnica innovativa sperimentata al Centro medico dell’università del Maryland, chiamata “animazione sospesa”. A dare la notizia è stato il settimanale di divulgazione scientifica inglese New Scientist.

LEGGI ANCHE: La scienza potrebbe invertire il processo di invecchiamento biologico

UNA PRATICA UTILIZZATA SOLTANTO NEI CASI GRAVI

Nell’animazione sospesa il sangue del paziente viene sostituito, a cuore fermo, da una soluzione salina fredda. Questa blocca l’attività cellulare del corpo, evitando i danni ai tessuti derivanti dalla scarsa ossigenazione. Viene utilizzata soltanto nei casi molto gravi, come nei traumi da arma da fuoco, quando il soggetto versa già in condizioni di parziale dissanguamento. Durante la procedura, il respiro e il battito cardiaco sono ancora rilevabili, ma soltanto con apposite strumentazioni di misura.

I PRIMI ESPERIMENTI SU CANI E TOPI

Il primo esperimento riuscito di animazione sospesa è stato condotto su un gruppo di topi nel laboratorio del biochimico americano Mark Roth. Gli animali sono stati introdotti in una camera contenente 80 ppm (parti per milione) di acido solfidrico per un periodo di sei ore, fino ad abbassare la loro temperatura intorno ai 13 gradi. Un altro tentativo è stato condotto nel 2005, questa volta da un gruppo di scienziati dell’Università di Pittsburgh. Gli animali in questione, dei cani, sono stati rianimati dopo tre ore di morte clinica, ma alcuni di loro hanno riscontrato notevoli danni al sistema nervoso. La sperimentazione sull’uomo è invece recentissima ed è stata messa in pratica, per la prima volta, al Centro medico dell’università del Maryland.

LEGGI ANCHE: Mappatura del genoma: così la scienza prova a vincere la sfida

A METÀ TRA LA SCIENZA E LA FANTASCIENZA

A partire dal XX secolo, l’animazione sospesa è diventato un tòpos della letteratura di fantascienza, utilizzato come artificio narrativo per giustificare la sopravvivenza dei personaggi per lunghi intervalli di tempo. Tuttavia, recentemente, l’idea è stata presa sul serio con l’obiettivo di condurre viaggi interstellari, della durata di centinaia o anche di migliaia di anni.

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Perché i nuovi casi di peste in Cina non sono il preludio di una pandemia

Tre contagi registrati tra la Mongolia e Pechino hanno riaperto al questione di una possibile epidemia globale. Ma i dati dell'Oms degli ultimi anni suggeriscono che il morbo è sotto controllo. Tra il 2010 e 2017 solo 3 mila contagi con 500 morti. Focolai attivi, ma contenuti, in Madagascar, Congo e Perù.

È presto per parlare di pandemia. Ma i recenti contagi in Asia hanno riaperto la questione legata alla pericolosità della peste. Il 17 novembre le autorità sanitarie cinesi hanno accertato un caso di peste bubbonica nella Mongolia interna. La profilassi è scattata con effetto immediato e 28 persone sono state poste in quarantena per verificare un eventuale contagio. L’uomo, un operaio di 55 anni di una cava della contea di Xilin, ha raccontato di aver scuoiato, cucinato e mangiato il 5 novembre un coniglio selvatico, probabilmente il motivo del contagio. Questo episodio si è aggiunto ad altri due casi di peste polmonare registrati a Pechino nelle ultime settimane. Bisogna quindi preoccuparsi?

DA DOVE ORIGINA LA PESTE

Storicamente, soprattutto per gli europei, la peste richiama alla memoria la “morte nera” che a partire dal 1348 ha devastato il continente uccidendo tra i 25 e 50 milioni di persone. La peste può presentarsi in due forme: bubbonica e polmonare. La prima è la più comune e si contrare per il morso o il contatto con animali infetti. La grande epidemia del 14esimo iniziò infatti con l’arrivo di topi infetti dalla Crimea. Se la peste non viene curata in fretta può intaccare i polmoni trasformandosi in una forma più acuta e contagiosa.

I CONTAGI E I TASSI DI MORTALITÀ

Ancora oggi la peste resta una malattia quasi letale. Quella bubbonica ha un tasso di mortalità compreso tra il 30 e 60% se non viene trattata velocemente. Quella polmonare è ancora più grave se non diagnosticata in tempi brevi. Rispetto al 1348, e alle successive ondate come quella del 1630 raccontata nei Promessi Sposi, oggi le cure sono più efficaci. Se individuata in tempo può essere debellata con antibiotici che sono in grado di ripristinare completamente la salute di un ammalato.

L’ULTIMA GRANDE PANDEMIA TERMINATA NEL 1960

Ufficialmente la peste non è mai stata debellata completamente. L’ultima grande epidemia registrata durò circa un secolo con fasi alterne. Si sviluppò in Cina nella provincia di Yunnan per poi colpire soprattutto il Celeste impero e le regioni indiane tra il 1866 e il 1960. La fase più acuta, a cavallo del secolo, venne spinta anche dalle rotte dell’oppio che partivano da Sud-Est asiatico e avevano proprio nello Yunnan uno snodo fondamentale. Alla fine l’epidemia provocò oltre 12 milioni di morti.

I contagi in Madagascar nel 2017
(Fonte: Oms)

LA SITUAZIONE ATTUALE: GLI UTLIMI CONTAGI

Gli ultimi dati dell’Oms rilevati tra il 2010 e 2017 hanno individuato 3.248 casi, dei quali sono 584 si sono rivelati mortali. I Paesi coi focolai più significativi di peste al momento sono Madagascar (2.348 casi e 202 morti nel 2017), Perù e Repubblica democratica del Congo. Quest’ultima, già alle prese con un’epidemia di Ebola, tra il 1900 e 2012 ha confermato 1.006 casi con quattro morti nel 2015. In realtà anche i Paesi occidentali registrano una decina di casi l’anno, come gli Stati Uniti. Secondo il Centers for Disease Control and Prevention ogni anno vengono registrati poco meno di una ventina di contagi. In questo caso gli Stati più colpiti sono stati quelli di Sud-Ovest: New Mexico, Arizona, Colorado, California, Oregon e Nevada.

I casi di peste in Usa tra il 1970 e il 2017
(Fonte: Centers for Disease Control and Prevention)

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Dall’India è in arrivo la prima “pillola” anticoncezionale maschile

Secondo l'Hindustan Times negli ultimi trials il farmaco ha avuto il 97,3% di risultati positivi e senza effetti collaterali. Si tratta di un prodotto da iniettare già inviato all'Agenzia del farmaco indiana per l'approvazione.

Potrebbe cambiare le nostre abitudini sessuali e avere effetti sociali non da poco: dall’India con tutta probabilità arriverà la pillola maschile. L‘Istituto indiano per la ricerca medica (Indian Council of Medical Research, ICMR) ha infatti completato con successo l’ultima fase dei trials clinici sul primo contraccettivo destinato al maschio, un prodotto iniettabile, che è stato inviato recentemente, per l’approvazione, all‘Agenzia del farmaco indiana, la Drug controller general of India, Dcgi. La notizia è stata anticipata da alcuni ricercatori coinvolti nel progetto, secondo i quali, scrive il quotidiano Hindustan Times, il farmaco avrebbe efficacia per almeno tredici anni.

GLI EFFETTI DURANO 13 ANNI

Pensato come sostituto alla vasectomia chirurgica, il contraccettivo ha una durata di ben tredici, dopodiché perde la sua potenza, spiega il quotidiano di New Delhi. Ricerche simili sono in corso anche negli Stati Uniti dove però sono ancora in fase di sviluppo e in Gran Bretagna dove una pillola maschile ha dato come effetti collaterali acne e cattivo umore e ne è stato bloccato lo studio. Quella dell‘Icmr, istituto biomedico finanziato dal governo di New Delhi, è la ricerca più avanzata a livello globale.

IL 97,3% DI RISULTATI POSITIVI

La terza fase del trial, appena conclusa, è stata condotta su 303 candidati, con il 97,3 di risultati positivi, e senza che siano stati riportati effetti collaterali. «Il farmaco è pronto e può essere definito il primo contraccettivo maschile del mondo», ha detto il dottor Rs Sharma, ricercatore senior dell’Icmr, che ha condotto la supervisione dei trial. L’Icmr è la più qualificata agenzia governativa indiana per la ricerca biomedica, sotto l’egida del ministero della Salute.

ALTRI SETTE MESI PRIMA DELLA FABBRICAZIONE

«Direi che ci vorranno ancora dai sei ai sette mesi prima che tutte le autorizzazioni vengano concesse prima che il prodotto possa essere fabbricato», ha dichiarato all’Hindustan Times VG Sonami, capo dell’agenzia del farmaco indiana. 

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Dall’India è in arrivo la prima “pillola” anticoncezionale maschile

Secondo l'Hindustan Times negli ultimi trials il farmaco ha avuto il 97,3% di risultati positivi e senza effetti collaterali. Si tratta di un prodotto da iniettare già inviato all'Agenzia del farmaco indiana per l'approvazione.

Potrebbe cambiare le nostre abitudini sessuali e avere effetti sociali non da poco: dall’India con tutta probabilità arriverà la pillola maschile. L‘Istituto indiano per la ricerca medica (Indian Council of Medical Research, ICMR) ha infatti completato con successo l’ultima fase dei trials clinici sul primo contraccettivo destinato al maschio, un prodotto iniettabile, che è stato inviato recentemente, per l’approvazione, all‘Agenzia del farmaco indiana, la Drug controller general of India, Dcgi. La notizia è stata anticipata da alcuni ricercatori coinvolti nel progetto, secondo i quali, scrive il quotidiano Hindustan Times, il farmaco avrebbe efficacia per almeno tredici anni.

GLI EFFETTI DURANO 13 ANNI

Pensato come sostituto alla vasectomia chirurgica, il contraccettivo ha una durata di ben tredici, dopodiché perde la sua potenza, spiega il quotidiano di New Delhi. Ricerche simili sono in corso anche negli Stati Uniti dove però sono ancora in fase di sviluppo e in Gran Bretagna dove una pillola maschile ha dato come effetti collaterali acne e cattivo umore e ne è stato bloccato lo studio. Quella dell‘Icmr, istituto biomedico finanziato dal governo di New Delhi, è la ricerca più avanzata a livello globale.

IL 97,3% DI RISULTATI POSITIVI

La terza fase del trial, appena conclusa, è stata condotta su 303 candidati, con il 97,3 di risultati positivi, e senza che siano stati riportati effetti collaterali. «Il farmaco è pronto e può essere definito il primo contraccettivo maschile del mondo», ha detto il dottor Rs Sharma, ricercatore senior dell’Icmr, che ha condotto la supervisione dei trial. L’Icmr è la più qualificata agenzia governativa indiana per la ricerca biomedica, sotto l’egida del ministero della Salute.

ALTRI SETTE MESI PRIMA DELLA FABBRICAZIONE

«Direi che ci vorranno ancora dai sei ai sette mesi prima che tutte le autorizzazioni vengano concesse prima che il prodotto possa essere fabbricato», ha dichiarato all’Hindustan Times VG Sonami, capo dell’agenzia del farmaco indiana. 

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Allarme per la possibile presenza di lattice nel vaccino anti-influenza

I soggetti allergici potrebbero essere esposti al rischio di reazioni. L'Agenzia italiana del farmaco: «Consultate il vostro medico curante».

L’Agenzia italiana del farmaco lancia l’allarme: non si può escludere la presenza di lattice in diverse componenti delle siringhe pre-riempite o degli applicatori nasali di alcuni vaccini anti-influenzali autorizzati per la stagione 2019-2020.

LEGGI ANCHE: Italia prima in Europa per morti da antibiotico-resistenza

Si tratta di un’informazione di estrema importanza per i soggetti allergici al lattice che necessitano della copertura vaccinale, i quali potrebbero essere esposti al rischio di reazioni. Questi pazienti sono quindi invitati a consultare il proprio medico curante prima di scegliere quale vaccino utilizzare.

I vaccini che secondo l’Aifa potrebbero contenere tracce di lattice – non nel farmaco in sé, bensì nelle componenti esterne o a causa di un contatto accidentale durante il processo produttivo – sono i seguenti:

  • Influvac S tetra, per il quale «non si può escludere la possibilità che, durante il processo produttivo, il vaccino sia venuto a contatto con strumenti che contengono lattice»;
  • Agrippal S1, Fluad, Influpozzi subunità, Innoflu e Flucelvax tetra, per i quali «non si può escludere che i cappucci copri ago e i cappucci protettivi delle siringhe non contengano lattice».

Le linee-guida della Commissione europea prevedono già l’inserimento di un’avvertenza nel foglietto illustrativo, nel caso in cui il lattice sia presente nei vaccini in qualsiasi quantità. In caso di assenza di lattice, invece, non è richiesto l’inserimento di specifiche dichiarazioni. L’Aifa ha comunque ritenuto opportuno contattare tutte le aziende autorizzate a operare in Italia chiedendo di certificare, laddove non specificato, la presenza di lattice anche nelle componenti dei confezionamenti primari.

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I soggetti allergici potrebbero essere esposti al rischio di reazioni. L'Agenzia italiana del farmaco: «Consultate il vostro medico curante».

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Si tratta di un’informazione di estrema importanza per i soggetti allergici al lattice che necessitano della copertura vaccinale, i quali potrebbero essere esposti al rischio di reazioni. Questi pazienti sono quindi invitati a consultare il proprio medico curante prima di scegliere quale vaccino utilizzare.

I vaccini che secondo l’Aifa potrebbero contenere tracce di lattice – non nel farmaco in sé, bensì nelle componenti esterne o a causa di un contatto accidentale durante il processo produttivo – sono i seguenti:

  • Influvac S tetra, per il quale «non si può escludere la possibilità che, durante il processo produttivo, il vaccino sia venuto a contatto con strumenti che contengono lattice»;
  • Agrippal S1, Fluad, Influpozzi subunità, Innoflu e Flucelvax tetra, per i quali «non si può escludere che i cappucci copri ago e i cappucci protettivi delle siringhe non contengano lattice».

Le linee-guida della Commissione europea prevedono già l’inserimento di un’avvertenza nel foglietto illustrativo, nel caso in cui il lattice sia presente nei vaccini in qualsiasi quantità. In caso di assenza di lattice, invece, non è richiesto l’inserimento di specifiche dichiarazioni. L’Aifa ha comunque ritenuto opportuno contattare tutte le aziende autorizzate a operare in Italia chiedendo di certificare, laddove non specificato, la presenza di lattice anche nelle componenti dei confezionamenti primari.

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