Italia prima in Europa per morti da antibiotico-resistenza

Su 33 mila decessi oltre 10 mila si registrano nel nostro Paese. Le raccomandazioni dell'Istituto superiore di sanità per un uso più consapevole.

Su 33 mila decessi che avvengono ogni anno in Europa per infezioni causate da batteri resistenti agli antibiotici, oltre 10 mila si registrano in Italia.

Il nostro Paese è primo in questa triste classifica, secondo i dati appena pubblicati dall’Istituto superiore di sanità in occasione della Settimana mondiale per l’uso consapevole degli antibiotici, dal 18 al 24 novembre. Nonostate il trend sia in leggero calo, i valori superiori alla media Ue necessitano di un approfondimento.

In Italia, nel 2018, le percentuali di resistenza alle principali classi di antibiotici per gli otto patogeni sotto sorveglianza (Staphylococcus aureus, Streptococcus pneumoniae, Enterococcus faecalis, Enterococcus faecium, Escherichia coli, Klebsiella pneumoniae, Pseudomonas aeruginosa e Acinetobacter species), spiega l’Iss sul proprio sito, “si mantengono dunque più alte rispetto alla media europea, pur nell’ambito di un trend in calo rispetto agli anni precedenti”.

Inoltre, gli oltre 2.000 casi diagnosticati nel 2018 – anche questo un dato costante – di infezioni nel sangue causate da batteri produttori di carbapenemasi (CPE), ovvero di enzimi che distruggono i carbapenemi (una classe di antibiotici ad ampio spettro) evidenziano la larga diffusione del fenomeno nel nostro Paese. I dati arrivano dai programmi di ‘Sorveglianza Nazionale dell’antibiotico-resistenza (AR-ISS)’ e ‘Sorveglianza delle CPE’, coordinate entrambe dall’Iss.

“Purtroppo, il nostro Paese detiene il triste primato, nel contesto europeo, della mortalità per antibiotico-resistenza – afferma Annalisa Pantosti, responsabile della Sorveglianza AR-ISS -. Gli ultimi dati disponibili mostrano infatti che i livelli di antibiotico-resistenza e di multi-resistenza delle specie batteriche sotto sorveglianza sono ancora molto alti, nonostante gli sforzi notevoli messi in campo finora, come la promozione di un uso appropriato degli antibiotici e di interventi per il controllo delle infezioni nelle strutture di assistenza sanitaria. In questo contesto, il Piano Nazionale di Contrasto dell’Antibiotico-Resistenza (PNCAR) 2017-2020 rappresenta un’occasione per migliorare e rendere più incisive le attività di contrasto del fenomeno a livello nazionale, regionale e locale”.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Diminuiscono del 20% le diagnosi di Aids in Italia

Dopo anni di stallo, nel 2018 sono calati decisamente i nuovi casi registrati. La riduzione dovuta all'efficacia delle terapie antiretrovirali.

Dopo diversi anni di stallo nel 2018 sono calate decisamente (-20%) le nuove diagnosi di infezione da Hiv, soprattutto grazie all’efficacia delle nuove terapie che portando quasi a zero la presenza del virus nel sangue di chi è in cura lo rende non infettivo. Alle luci sottolineate dal rapporto pubblicato oggi dall’Istituto Superiore di Sanità fanno da contrappunto alcune ombre evidenziate dagli esperti, prima tra tutte la percentuale in aumento di persone che scoprono la propria sieropositività con anni di ritardo. Nel 2018, scrivono gli esperti del Centro Operativo Aids, sono state segnalate 2.847 nuove diagnosi di infezione da Hiv pari a un’incidenza di 4,7 nuovi casi ogni 100 mila residenti che mette l’Italia lievemente al di sotto della media dei Paesi dell’Unione Europea (5,1 casi per 100 mila residenti).

L’EFFICACIA DELLE TERAPIE ANTIRETROVIRALI

L’incidenza delle nuove diagnosi di infezione da Hiv, sostanzialmente stabile negli ultimi anni, nel 2018 ha avuto un deciso calo del 20%, osservato in tutte le Regioni. La riduzione interessa tutte le modalità di trasmissione, sia eterosessuali che omosessuali ed è probabilmente da attribuire in modo principale all’efficacia delle terapie antiretrovirali ed alle nuove Linee Guida Terapeutiche che prevedono di iniziare la terapia precocemente dopo la diagnosi. «Purtroppo continua ad aumentare la quota di persone (57% nel 2018) che scoprono di essere sieropositive molti anni dopo essersi infettate», si legge nel rapporto del Centro Operativo Aids (Coa), «e vengono pertanto diagnosticate quando il loro sistema immunitario è già compromesso; questo è evidentemente l’effetto di una scarsa consapevolezza sulla diffusione ancora ampia di Hiv nel nostro Paese e del rischio che si corre di contrarre l’infezione attraverso rapporti sessuali non protetti».

LE MODALITÀ DI TRASMISSIONE

Le persone che hanno scoperto di essere sieropositive nel 2018 erano maschi nell’85,6% dei casi. L’età mediana era di 39 anni per i maschi e di 38 anni per le femmine. L’incidenza più alta è stata osservata tra le persone di 25-29 anni e 30-39. Per quanto riguarda le modalità di trasmissione nel 2018 la maggioranza delle nuove diagnosi era attribuibile a rapporti sessuali non protetti, che costituivano l’80,2% di tutte le segnalazioni (eterosessuali 41,2%; maschi che fanno sesso con maschi. 39,0%). I casi attribuibili a trasmissione eterosessuale erano costituiti per il 56,1% da maschi e per il 43,9% da femmine. Sempre nel 2018 il 29,7% delle persone con una nuova diagnosi di Hiv era di nazionalità straniera, e tra questi il 53,5% di casi era costituito da eterosessuali.

NEL 2018 I NUOVI CASI SONO STATI 661

Per quanto riguarda l’Aids, nel 2018 sono stati diagnosticati 661 nuovi casi. Dal 1982, anno della prima diagnosi di Aids in Italia, al 31 dicembre 2018 sono stati notificati 70.567 casi. A disposizione dei cittadini, ricorda l’Istituto, c’è il Telefono Verde Aids 800 861 061 da lunedì a venerdì dalle 13 alle 18. In occasione della Giornata Mondiale dell’Aids, domenica 1 dicembre, il servizio sarà attivo dalle 10 alle 18.

«MAI ABBASSARE LA GUARDIA»

Contro l’Hiv-Aids «non bisogna mai abbassare la guardia: è fondamentale promuoverne l’uso del preservativo in scuole e università. Anche se i nuovi casi di infezione nell’ultimo anno sono diminuiti in tutto il Paese, il fatto che l’incidenza più alta continui a essere registrata tra i giovani adulti, di età compresa tra i 25 e i 29 anni, ci deve preoccupare», ha detto il viceministro alla Salute, Pierpaolo Sileri, commentando i dati. Sileri per questo ricorda che «c’è già un protocollo d’intesa del 2015 tra il ministero della Salute e il Miur per l’educazione alla salute e alla sessualità in favore degli studenti e dei docenti». Sulla base di questa intesa, ha concluso, «è già pronta una proposta di linee di indirizzo».

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

I rischi del cambiamento climatico per l’Italia

In un dosser pubblicato dalla rivista The Lancet mette in luce tutti i rischi del cambiamento climatico soprattutto per l'Italia.

I cambiamenti climatici rappresentano una delle più grandi minacce per la salute dell’umanità. Sono in buona parte causati dalle emissioni di CO2, quindi dall’inquinamento che fa già le sue vittime in maniera diretta, e l’Italia su questo fronte è tristemente in prima fila: è prima in Europa (e 11/ima nel mondo) per morti premature da esposizione alle polveri sottili PM2.5.

È l’allarme lanciato sulla rivista The Lancet nel report ‘Countdown on Health and Climate Change‘ sull’impatto dei cambiamenti climatici sulla salute. «Solo nel 2016», ha spiegato uno degli autori, Marina Romanello della University College di Londra, «nel nostro Paese sono stati ben 45.600 i decessi in età precoce, con una perdita economica di oltre 20 milioni di euro, la peggiore in Europa».

Proprio i cambiamenti climatici hanno già fatto moltissime vittime nel mondo a colpi di ondate di calore, inondazioni, incendi, e tante altre ne faranno sferzando armi quali infezioni, povertà e denutrizione, se non si riuscirà a limitare il surriscaldamento del pianeta. La «salute futura di un’intera generazione è minacciata dai cambiamenti climatici», hanno scritto gli autori del report, «se non saranno raggiunti gli obiettivi dell’accordo di Parigi, in primis limitare il riscaldamento globale ben al di sotto dei 2º C rispetto ai livelli preindustriali».

IL RISCHIO DELLA DIFFUSIONE DELLE MALATTIE INFETTIVE

Ad esempio il cambiamento climatico ha reso sempre più plausibile l’arrivo in Paesi come il nostro di nuove malattie infettive come la febbre Dengue: in Italia, ha sottolineato Romanello, «la probabilità che una zanzara vettore trasmetta l’infezione a partire da un individuo infetto è raddoppiata dal 1980 e a farne le spese potrebbero essere in primis i più piccoli. E non solo Dengue; anche il colera fa più paura nel mondo, aumentando, via via che salgono le temperature, la possibilità di epidemie anche in paesi normalmente non interessati dall’infezione».

SEMPRE PIÙ ESPOSTI ALLE ONDATE DI CALORE

E ancora, il clima arroventato ha già causato molte vittime attraverso le ondate di calore che aumentano il rischio di ictus e problemi renali gravi nelle persone vulnerabili, tipicamente gli anziani. Basti pensare che solo per l’Italia si sono contati ben 9,3 milioni di casi in più di over-65 esposti a ondate di calore nel 2017 rispetto al 2000. Il dato mondiale riportato su Lancet ha indicato per il 2018 un record di 220 milioni di over-65 esposti a ondate di calore in più rispetto al 2000, con gli anziani che vivono in Europa e Mediterraneo orientale tra quelli più a rischio.

I RISCHI PER LE COLTIVAZIONI

Le ondate di calore estremo causano anche povertà, riducendo le ore di lavoro: si stimano in 45 miliardi le ore di lavoro perse in più nel 2018 rispetto al 2000 (1,7 milioni le ore perse in più in Italia, soprattutto nel settore agricolo). I problemi climatici causano poi malnutrizione, perché minacciano i raccolti: solo in Italia il potenziale di raccolto si è ridotto per tutte le coltivazioni alimentari di base (dagli anni ’60 quello del mais si è ridotto del 10,2%, quello del grano invernale del 5%, della soia del 7%, del riso del 5%). È dunque cruciale rispettare l’accordo di Parigi sul clima: solo così un bambino nato oggi, concludono i ricercatori, potrà festeggiare il suo 31/imo compleanno in un mondo a emissioni zero e le prossime generazioni potranno avere un futuro più sano e sicuro.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

I rischi del cambiamento climatico per l’Italia

In un dosser pubblicato dalla rivista The Lancet mette in luce tutti i rischi del cambiamento climatico soprattutto per l'Italia.

I cambiamenti climatici rappresentano una delle più grandi minacce per la salute dell’umanità. Sono in buona parte causati dalle emissioni di CO2, quindi dall’inquinamento che fa già le sue vittime in maniera diretta, e l’Italia su questo fronte è tristemente in prima fila: è prima in Europa (e 11/ima nel mondo) per morti premature da esposizione alle polveri sottili PM2.5.

È l’allarme lanciato sulla rivista The Lancet nel report ‘Countdown on Health and Climate Change‘ sull’impatto dei cambiamenti climatici sulla salute. «Solo nel 2016», ha spiegato uno degli autori, Marina Romanello della University College di Londra, «nel nostro Paese sono stati ben 45.600 i decessi in età precoce, con una perdita economica di oltre 20 milioni di euro, la peggiore in Europa».

Proprio i cambiamenti climatici hanno già fatto moltissime vittime nel mondo a colpi di ondate di calore, inondazioni, incendi, e tante altre ne faranno sferzando armi quali infezioni, povertà e denutrizione, se non si riuscirà a limitare il surriscaldamento del pianeta. La «salute futura di un’intera generazione è minacciata dai cambiamenti climatici», hanno scritto gli autori del report, «se non saranno raggiunti gli obiettivi dell’accordo di Parigi, in primis limitare il riscaldamento globale ben al di sotto dei 2º C rispetto ai livelli preindustriali».

IL RISCHIO DELLA DIFFUSIONE DELLE MALATTIE INFETTIVE

Ad esempio il cambiamento climatico ha reso sempre più plausibile l’arrivo in Paesi come il nostro di nuove malattie infettive come la febbre Dengue: in Italia, ha sottolineato Romanello, «la probabilità che una zanzara vettore trasmetta l’infezione a partire da un individuo infetto è raddoppiata dal 1980 e a farne le spese potrebbero essere in primis i più piccoli. E non solo Dengue; anche il colera fa più paura nel mondo, aumentando, via via che salgono le temperature, la possibilità di epidemie anche in paesi normalmente non interessati dall’infezione».

SEMPRE PIÙ ESPOSTI ALLE ONDATE DI CALORE

E ancora, il clima arroventato ha già causato molte vittime attraverso le ondate di calore che aumentano il rischio di ictus e problemi renali gravi nelle persone vulnerabili, tipicamente gli anziani. Basti pensare che solo per l’Italia si sono contati ben 9,3 milioni di casi in più di over-65 esposti a ondate di calore nel 2017 rispetto al 2000. Il dato mondiale riportato su Lancet ha indicato per il 2018 un record di 220 milioni di over-65 esposti a ondate di calore in più rispetto al 2000, con gli anziani che vivono in Europa e Mediterraneo orientale tra quelli più a rischio.

I RISCHI PER LE COLTIVAZIONI

Le ondate di calore estremo causano anche povertà, riducendo le ore di lavoro: si stimano in 45 miliardi le ore di lavoro perse in più nel 2018 rispetto al 2000 (1,7 milioni le ore perse in più in Italia, soprattutto nel settore agricolo). I problemi climatici causano poi malnutrizione, perché minacciano i raccolti: solo in Italia il potenziale di raccolto si è ridotto per tutte le coltivazioni alimentari di base (dagli anni ’60 quello del mais si è ridotto del 10,2%, quello del grano invernale del 5%, della soia del 7%, del riso del 5%). È dunque cruciale rispettare l’accordo di Parigi sul clima: solo così un bambino nato oggi, concludono i ricercatori, potrà festeggiare il suo 31/imo compleanno in un mondo a emissioni zero e le prossime generazioni potranno avere un futuro più sano e sicuro.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Con la crisi climatica Venezia e altri 20 porti italiani rischiano di finire sott’acqua

L'Enea stima un innalzamento del mare di un metro al 2100 che può arrivare a 2 metri con onde e vento. Dopo la città lagunare, le più colpite sono Napoli e Cagliari.

In 80 anni il livello del mare che tocca i porti italiani è destinato a crescere di circa un metro: significa che con la crisi climatica Venezia e altri venti porti del nostro Paese finiranno sommersi dall’acqua. Si stima un metro di innalzamento dell’acqua al 2100, con picchi superiori proprio a Venezia (più 1,064 metri), a Napoli (più 1,040 metri), a Cagliari (più 1,033 metri), a Palermo e a Brindisi.

CON VENTO E ONDE SI ARRIVA A UN AUMENTO ANCHE DI DUE METRI

La previsione è il frutto delle proiezioni dell’Enea presentate di recente in un focus dedicato al Mediterraneo. L’innalzamento stimato dall’Enea riguarda 21 porti italiani e prende in considerazione anche l’effetto dello ‘storm surge’, cioè la coesistenza di bassa pressione, onde e vento che in particolari condizioni determina un aumento del livello del mare rispetto al litorale di circa 1 metro. L’innalzamento al 2100 viene stimato ad Ancona di un metro, fino a due con l’effetto ‘storm surge’; ad Augusta 1,028 (fino a 2,028), a Bari 1,025 (fino a 2,025), a Brindisi 1,0282,028, a Cagliari 1,033 (2,033), a Catania 0,952 (1,952), a Civitavecchia 1,015 (2,015), a Genova 0,922 (1,922), a Gioia Tauro 0,956 (1,956), a La Spezia 0,994 (1,994), a Livorno 1,008 (2,008), a Massa 0,999 (1,999), a Messina 0,956 (1,956), a Napoli 1,040 (2,040), a Olbia 1,025 (2,025), a Palermo 1,028 (2,028), a Salerno 1,020 (2,020), a Savona 0,922 (1,922), a Taranto 1,024 (2,024), a Trieste 0,980 (1,980), a Venezia 1,064 (2,064).

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

C’è una misteriosa presenza di ossigeno nell’atmosfera di Marte

La scoperta è stata fatta dal laboratorio Curiosity al di sopra del cratere Gale. Misurati cambiamenti stagionali dei gas dei quali si ignora l'origine.

La Nasa ha individuato per la prima volta indizi della presenza di ossigeno su Marte nella sua tenue atmosfera. L’importante scoperta è stata fatta al di sopra del cratere Gale dal laboratorio marziano Curiosity, attivo dall’agosto 2012. Gli strumenti di Curiosity hanno misurato negli ultimi tre anni marziani, pari a circa sei anni terrestri, i cambiamenti stagionali dei gas nel cielo sopra il cratere Gale. E hanno, così, ‘annusato’, a sorpresa, variazioni stagionali di molecole di ossigeno, considerato sulla Terra sinonimo di vita.

L’OSSIGENO MARZIANO SEMBRA COMPORTARSI COME IL METANO

Gli scienziati di Curiosity, coordinati da Melissa Trainer, del Goddard space flight center della Nasa, hanno pubblicato i risultati sulla rivista Journal of geophysical research: planets. Le analisi sono state fatte dal laboratorio di Curiosity, Sam (Sample analysis at mars). L’ossigeno marziano sembra comportarsi come il metano, già annusato in passato da Curiosity. I suoi livelli sono, infatti, molto bassi nel periodo invernale, al di sotto dell’1%, scrivono gli scienziati della Nasa, ma crescono notevolmente in primavera ed estate. Proprio come fa il metano. I ricercatori della Nasa non hanno al momento una spiegazione per queste fluttuazioni. «Abbiamo visto questa sorprendente correlazione tra l’ossigeno molecolare e il metano per buona parte dell’anno marziano e ci ha sorpreso molto», ha spiegato Sushil Atreya, dell’ università americana del Michigan, ad Ann Arbor, tra gli autori dello studio.

UNA POSSIBILE CAUSA DI NATURA GEOLOGICA

«I due fenomeni devono essere collegati, ma non so dire in che modo. Nessuno lo sa al momento», ha continuato l’esperto. La crescita e la repentina diminuzione dei livelli di ossigeno marziano non possono essere spiegati, infatti, con le normali dinamiche dell’atmosfera. Per gli scienziati deve esserci un’altra causa, ad esempio di natura geologica. Una seconda possibile spiegazione lega, invece, le oscillazioni di ossigeno e metano alla presenza di eventuali forme di vita batterica. Maggiori dettagli potranno arrivare da due missioni in programma nel 2020: ExoMars 2020, dell’Agenzia spaziale europea (Esa) e Mars 2020 della Nasa, che andranno a caccia di tracce di possibili forme di vita, presente o passata, su Marte.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Le cose da sapere sulla passeggiata spaziale di AstroLuca

Il 15 novembre Luca Parmitano sarà il primo astronauta dell'Esa a guidare un'attività extraveicolare. Dovrà sostituire un pezzo della Iss. È la missione più difficoltosa dopo quella su Hubble.

È una passeggiata spaziale degna del Guinness dei primati, quella che il 15 novembre l’astronauta Luca Parmitano affronterà con il collega americano Andrew Morgan: insieme dovranno sostituire un elemento del cacciatore di antimateria Ams-02 (Alpha Magnetic Spectrometer) al lavoro all’esterno della Stazione Spaziale dal 2011 e non progettato in vista di una manutenzione nello spazio. AstroLuca sarà anche il primo astronauta dell’Agenzia Spaziale Europea (Esa) ad essere leader di una passeggiata spaziale.

Quella di venerdì 15 sarà la prima di una serie di almeno quattro attività extraveicolari (Eva); la possibilità di una quinta passeggiata spaziale dipenderà dal modo in cui andranno le precedenti. «Lo stesso Luca ha detto che non c’è alcuna sicurezza di portare a termine il compito: di certo staremo col fiato sospeso per 15 giorni», ha detto all’Ansa il fisico Roberto Battiston, dell’Università di Trento e dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn). È uno dei ‘papà’ dello strumento nato per trovare, fra i raggi cosmici, le spie di un possibile ‘antimondo’.

CHE COS’È L’AMS-02

L’Ams-02 è infatti il risultato del progetto internazionale coordinato dal Nobel Samuel Ting, del Cern, e nel quale l’Italia ha avuto un ruolo di primo piano grazie al ruolo di Battiston e al contributo dell’Agenzia Spaziale Italiana (Asi). Costruito ai tempi dello Space Shuttle, l’Ams-02 era stato pensato per essere revisionato a Terra, ma con la rapida uscita di scena dello shuttle le cose sono andate diversamente e adesso ad AstroLuca aspetta un compito che nessun uomo nello spazio ha mai affrontato. Per questo l’Esa ha definito la passeggiata spaziale di venerdì 15 «la più difficoltosa dopo quella su Hubble», riferendosi alle acrobatiche missioni affrontare dagli astronauti dello shuttle a partire dal 1993.

AstroLuca dovrà infatti sostituire le pompe di raffreddamento dello strumento, grande come una stanza e pesante 7 tonnellate, progettato senza punti di appoggio. Dai ‘maniglioni’ per la sicurezza degli astronauti agli strumenti di lavoro, qualsiasi oggetto utile per lavorare sull’Ams è stato messo a punto a Terra dai tecnici della Nasa negli ultimi tre anni, ossia da quando l’agenzia spaziale americana ha dato l’ok alla missione per la manutenzione dello strumento. In ogni istante della passeggiata spaziale del 15 novembre AstroLuca sarà facilmente riconoscibile perché il suo ruolo di ‘spacewalker’ principale prevede che la sua tuta abbia delle mostrine rosse sul braccio; quella del collega Andrew Morgan sarà invece del tutto bianca.

CHRISTINA KOCH E JESSICA MEIR: LE COLLEGHE A SUPPORTO

Dall’interno della Stazione Spaziale ad assistere i due astronauti ci saranno le colleghe Christina Koch e Jessica Meir, famose per essere state le protagoniste della prima passeggiata spaziale tutta al femminile: avranno il compito di manovrare il braccio robotico della stazione orbitale per aiutare AstroLuca e AstroDrewMorgan a raggiungere la loro postazione di lavoro, sul traliccio S3.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Per lo Stato è meglio morire di dolore che curarsi con la cannabis

Walter De Benedetto fa uso di farmaci derivati dalla marijuana ma in Italia il prodotto scarseggia, costringendolo a coltivare in casa. E ora rischia il carcere.

«Rischio il carcere per curarmi». Questa è la dichiarazione, molto forte, di Walter De Benedetto. Aretino, 48 anni, Walter è affetto da artrite reumatoide, una patologia infiammatoria cronica autoimmune che colpisce le articolazioni.

Dall’esordio della malattia Walter convive ogni giorno con dolori cronici devastanti che purtroppo nessun farmaco tradizionale è stato finora in grado di alleviare. L’unico rimedio veramente efficace per lenire parzialmente le sue sofferenze è l’uso di cannabis terapeutica.

L’utilizzo di questa sostanza per finalità terapeutiche in Italia è consentito da circa 12 anni: dal 2007 infatti il nostro Paese consente la prescrivibilità dei prodotti a base di cannabis per curare certi tipi di patologie e a determinate condizioni.

SENZA FARMACI UN MALATO VIENE COSTRETTO A COLTIVARE DA SOLO LA CANNABIS

Dodici anni non sono pochi e a mio parere sarebbero anche potuti bastare ai nostri rappresentanti politici per acquisire familiarità con questa tipologia di cura anche in uno Stato tradizionalista e bigotto come il nostro. Walter, al pari di molti altri malati, non dovrebbe avere quindi problemi nel curarsi e invece purtroppo non è così. Infatti il quantitativo di farmaci che gli fornisce la Asl di Arezzo non basta a garantirgli una qualità di vita che potremmo definire umana e dignitosa malgrado la regione Toscana sia stata la prima in Italia a prevedere i rimborsi del costo dei vari preparati prodotti nel nostro Paese o importati da altre nazioni.

In Italia l’unico luogo autorizzato a produrre cannabis a scopo terapeutico è lo Stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze

Non poter assumere quantità di sostanza adatte a soddisfare le sue esigenze mediche lo ha costretto a coltivare illegalmente una piccola piantagione grazie all’aiuto di un amico che entro fine novembre dovrà subire un processo. Naturalmente le nove piantine che gli servivano per sopportare meglio il dolore gli sono state sequestrate. In Italia l’unico luogo autorizzato a produrre cannabis a scopo terapeutico è lo Stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze. Il resto del prodotto viene importato dall’estero. Tuttavia la produzione nostrana e le importazioni attuali non riescono a soddisfare il fabbisogno nazionale e il problema non riguarda solo Walter: la distribuzione di cannabis terapeutica avviene in modo lacunoso, con conseguente scarsa reperibilità di farmaci nelle farmacie.

LA PROPOSTA DI LEGGE SULLA LEGALIZZAZIONE FERMA IN PARLAMENTO

Ma gli ostacoli per chi necessita di curarsi con prodotti a base di Thc o Cbd, i principi attivi utilizzati, non finiscono qui: periodicamente i farmaci disponibili in commercio cambiano costringendo i pazienti a modificare la cura (la cannabis è la sostanza attiva ma ciascuna varietà è diversa dalle altre e quindi ha un’azione differente) alla carenza di una corretta informazione dei medici e dei farmacisti che di certo non ne facilita la prescrizione da parte dei primi né l’approvvigionamento da parte dei secondi.

Marco Perduca, dirigente dell’associazione Luca Coscioni, spiega che anche fare ricerca scientifica in questo campo in Italia è ostico sia a causa della scarsità del prodotto, sia per via delle lungaggini burocratiche previste per il trasporto e lo stoccaggio. Esiste una proposta di legge di iniziativa popolare per la legalizzazione della cannabis fortemente voluta da associazione Luca Coscioni e Radicali italiani e firmata da oltre 68 mila cittadini che è stata depositata in parlamento nel 2016 e attende di essere vagliata. Ma la disponibilità di cure che garantiscano a chi soffre una vita degna di questo nome non può più essere procrastinata perché quello di Walter, esattamente al pari di molti altri, è “un dolore che non aspetta”.

LA RISCHIESTA DI UN EMENDAMENTO “WALTER DE BENEDETTO” IN MANOVRA

Appoggiato dall’associazione Luca Coscioni Walter ha chiamato in causa la politica, dapprima con un appello al presidente del Consiglio Giuseppe Conte e agli altri parlamentari, poi incontrando personalmente il presidente della Camera Roberto Fico. Ha chiesto che nella finanziaria venga incluso un emendamento “Walter De Benedetto” che raddoppi le risorse previste per la produzione e l’importazione di prodotti a base di cannabis terapeutica e perché si giunga alla legalizzazione della pianta per tutti i fini. Walter l’ha fatto per sé ma anche per molti altri malati che come lui soffrono di patologie fortemente dolorose e invalidanti.

Che livello di priorità ha per i nostri parlamentari il diritto alla salute e a cure dignitose?

Questa per loro è un’emergenza. Ci sono persone la cui vita è legata all’approvazione di una legge più giusta e c’è una proposta di legge che sta facendo le ragnatele in parlamento Che livello di priorità ha per i nostri parlamentari il diritto alla salute e a cure dignitose? Dove si colloca nella loro agenda la discussione della proposta di legge sulla legalizzazione della cannabis che migliorerebbe la qualità di vita di tante persone alle prese con il dolore cronico e quotidiano causato dalla loro patologia? Grazie alla mobilitazione di Walter ha iniziato a ricomporsi l’intergruppo per la legalizzazione della cannabis ma la strada per avere una norma a riguardo è ancora lunga e il problema dell’approvvigionamento rimane.

INVECE DI PENSARE ALLE CURE, SI FA PROPAGANDA SULLA CANNABIS LIGHT

Non ci è dato sapere quando i nostri politici metteranno la testa e il cuore sulla questione e magari una bella mano sulla loro coscienza. Forse perché finora non hanno mai dovuto convivere con il dolore fisico e non riflettono sul fatto che, sorte non voglia, a tutti nella vita potrebbe succedere. Sembra che la cannabis, terapeutica o meno, non rientri tra le loro priorità. Ad eccezione di Matteo Salvini che questa primavera invece di pensare alla salute di molte persone con disabilità (e non), ha ritenuto più opportuno dare la caccia ai negozi di cannabis light per meri scopi propagandistici.

Di fatto oggi per curarsi davvero uno rischia la galera e questo oltre ad essere ingiusto è profondamente inumano. Walter ha avuto coraggio a portare le sue sofferenze e le sue istanza davanti alla politica e alla società civile. Mi auguro che la sua determinazione abbia avuto l’effetto di un farmaco potente in grado di curare gli occhi e le orecchie, finora resi ciechi e sorde da moralismi ipocriti, di molti dei nostri governanti perché il dolore di tante persone non può davvero più aspettare.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Come musica, suoni e rumori influenzano gli acquisti

Con un pezzo lento siamo inconsapevolmente portati a spendere di più, con una hit ci distraiamo. Mentre le alte frequenze aumentano la piacevolezza e la croccantezza di un prodotto. Provare per credere.

I suoni e la musica hanno sempre avuto la capacità di influenzare il comportamento. Più di quanto si possa immaginare. Essi ci circondano e ci aiutano a dare significato al mondo. Da sempre il sistema uditivo ha avuto un’importante funzione adattativa. In tempi remoti permetteva di riconoscere velocemente il pericolo e il luogo da cui poteva provenire, permettendo così alle specie animali di salvarsi, o di individuare la preda con più facilità. Per questo l’udito deve essere veloce, immediato e influenzare anche inconsapevolmente i nostri vissuti

LEGGI ANCHE: Rassegniamoci a essere persuasi inconsapevolmente dalla pubblicità

LA FORZA DEI JINGLE E DEI SUONI

Le ricerche, in questo campo, sono numerose e di grandissimo interesse, soprattutto per il marketing dei prodotti e degli ambienti. Anni di sperimentazioni sul campo hanno dimostrato che con la musica e con i suoni si costruiscono significati, si rafforzano associazioni, si stimolano sensazioni, si creano connessioni tra oggetti, come per esempio tra un prodotto o un’azienda e il suo logo. Si pensi per esempio alla forza che hanno i jingle nel richiamare un brand. Il suono affiancato alla frase «Just Do It», oppure alla frase «I’m Loving It», automaticamente ci fa pensare a Nike e a McDonald’s. Ciò non vale solo per musiche o jingle.

LEGGI ANCHE: Come il marketing sfrutta le diversità tra uomo e donna

A volte solo un semplice rumore riesce ad avare una forte valenza emotiva, tanto da fare percepire il mondo esterno in modo diverso. Non a caso le industrie di automobili di lusso hanno un Sound Team, ovvero un gruppo di esperti,  esclusivamente dedicato a studiare la reazione emotiva ai suoni dell’auto: dai sistemi di controllo e di allarme dell’auto alla semplice chiusura dello sportello

COME CAMBIA LA PERCEZIONE NEI TEMPI D’ATTESA

Come si può immaginare i campi di applicazione dello studio del sound nel marketing sono ampi e trasversali. Nel 1997 il professore Michael K. Hui e colleghi hanno dimostrato quanto potente fosse la musica sulla percezione che hanno i consumatori dei tempi di attesa di un servizio: se la musica è gradevole, la risposta emotiva all’ambiente diventa positiva e la percezione del tempo di attesa si riduce significativamente. Altre ricerche hanno dimostrato che la presenza di un certo tipo di musica in un centro commerciale incide sulla distraibilità dall’acquisto, così come sulla rapidità di movimento al suo interno.

LE HIT DISTRAGGONO, LA LENTEZZA PAGA

Sappiamo per esempio che l’uso di una musica troppo famosa in un luogo di vendita ha effetti negativi sui processi di vendita, poiché distrae e riduce l’atto di acquisto (Russo, 2017, Dooley, 2012). Si è anche rilevato che una musica con un ritmo più veloce tende a incrementare significativamente la velocità di movimento dei clienti rispetto a una musica decisamente più lenta. A tal proposito i dati di una ricerca (Milliman, 1982) hanno dimostrato che i consumatori più lenti spendono circa il 38% in più rispetto a quelli più veloci. 

LEGGI ANCHE: Come il cervello abbocca all’esca dell’opzione di mezzo 

UN SOTTOFONDO PUÒ MODIFICARE INCONSAPEVOLMENTE L’ACQUISTO

Sul tipo di musica da usare nei punti vendita vi sono diversi studi. Per esempio Areni e Kim (1993) hanno dimostrato come il sottofondo musicale possa modificare inconsapevolmente il comportamento dei consumatori: una musica classica in un’enoteca spinge i consumatori a scegliere vini più costosi rispetto a quando viene utilizzata una musica pop.  Allo stesso modo, in un lavoro divenuto ormai famoso, all’interno di un punto vendita vennero trasmesse, secondo modalità alternate, brani di musica francese e brani di musica tedesca.

LEGGI ANCHE:Come la Neurogastrofisica spiega la gradevolezza del vino

I ricercatori rilevarono che, a parità di valore economico, gli avventori acquistarono più vini francesi nel momento in cui erano presenti motivi musicali francesi, mostrando un fenomeno di associazione analogo per quanto riguardava i vini tedeschi quando venivano trasmesse canzoni teutoniche (North, Hargreaves & McKendrick, 1999). Ovviamente l’aspetto più interessante è che nessuno dei consumatori intervistati dagli studiosi ha mai fatto riferimento alla tipologia di musica di sottofondo per giustificare la scelta di una bottiglia di vino francese o tedesco. 

LA FORZA DELLA STIMOLAZIONE SONORA SUL NOSTRO CERVELLO

Non si tratta certamente di scoperte recenti, come si è visto, tuttavia, le neuroscienze ci hanno permesso di capire meglio il funzionamento del processo uditivo e la forza che la stimolazione sonora ha sul sistema cerebrale. Il sistema uditivo si basa sulla capacità dell’orecchio di convertire i cambiamenti di pressione di aria in cambiamenti di attività elettrica dei neuroni. Il meccanismo attraverso cui si sviluppa la consapevolezza della stimolazione uditiva è, tuttavia, molto complesso e comprende una prima fase di analisi, rapida e inconsapevole a carico di una delle zone più primitive del cervello, quella del sistema limbico, deputato proprio all’attivazione emozionale. Il sistema uditivo coinvolge, infatti, il Nucleo genicolato mediale che è il primo livello di analisi sottocorticale delle stimolazioni uditive. Solo successivamente, e grazie alla via talamica, l’informazione raggiunge la Corteccia uditiva primaria che si trova nella parte superiore del lobo temporale posteriore. È questa l’area in cui viene processato il significato del suono, mentre l’abilità di richiamare e ricordare consapevolmente l’informazione sonora è demandata alla corteccia prefrontale. Il fatto che l’informazione giunga prima all’area talamica (sita nel sistema limbico) dimostra il valore adattivo della risposta ai suoni che deve essere immediata e istintiva e la capacità che ha quest’area nel condizionare e influenzare la percezione di ciò che abbiamo sentito. 

L’INFLUENZA DELLA MUSICA SUL GUSTO

A tal proposito Charles Spence coordinatore del Crossmodal Laboratory presso l’Università di Oxford, noto esperto degli effetti sul gusto dei fattori ambientali, ha dimostrato la forza che ha la musica anche sulla percezione del gusto dei prodotti. Come riportato in uno dei suoi affascinanti lavori, Gastrofisics, the news science of the eating, il semplice suono di un pacchetto di patatine che si apre con difficoltà fa percepire il prodotto più fresco rispetto allo stesso prodotto confezionato in un pacco che si apre senza fare rumore. Allo stesso modo si è dimostrato che la percezione del sapore dei prodotti alimentari cambia in base al tipo di musica di sottofondo usato. Così un suono “alterato” nel momento dell’assaggio è in grado di modificare la sua percezione di croccantezza e di freschezza. Se si assaggia con musica ad alta frequenza di sottofondo la croccantezza e la piacevolezza del prodotto crescono. Spence, in collaborazione con Zampini ha pubblicato questi risultati in un articolo del Journal of Sensory Studies, nel 2004 con il titolo The Role of Auditory Cues in Modulating the Perceived Crispness and Staleness of Potato Chips. Lavoro che gli ha permesso di vincere l’Ig Nobel Prize for Nutrition nel 2008. Si comprende perché Spence chiuda il suo libro con un’eloquente conclusione «Changing what a persone sees can radically alter what they hear, changing what they hear may influence what they feel, and altering what they feel can change what they taste». Provare per credere. 

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Dna modificato contro il cancro: i primi risultati sono positivi

L'esperimento fatto su tre pazienti affetti da mieloma e sarcoma sta dando i segnali sperati. Ecco in cosa consiste il trattamento ideato dai ricercatori dell'università della Pennsylvania.

Sembra funzionare l’editing del Dna contro il cancro. La tecnica, nota come Crispr, è volta a rafforzare il sistema immunitario, rendendone più efficace la risposta al tumore. Un primo esperimento, su tre pazienti, sta dando risultati positivi, che saranno presentati dai ricercatori dell’università della Pennsylvania al prossimo meeting della American Society of Hematology. Due dei tre pazienti, spiega il New York Times, avevano un mieloma multiplo, un tumore del sangue, mentre l’altro un sarcoma, tutti in stadio avanzato.

CELLULE MODIFICATE PER RAFFORZARE LA RISPOSTA AL TUMORE

I ricercatori hanno estratto le cellule T del sistema immunitario dai soggetti e le hanno trattate con il Crispr per ‘spegnere’ tre geni e rendere la risposta al tumore più aggressiva. Un’altra modifica del Dna, fatta invece in maniera tradizionale, ha indirizzato le cellule verso quelle tumorali. Ai tre pazienti sono state poi infuse 100 milioni di queste cellule modificate, e il follow up più lungo è arrivato a sei mesi.

Le cellule si stanno comportando come speriamo, e non abbiamo visto effetti collaterali significativi

Edward Stadtmauer, ricercatore

«La buona notizia», spiega Edward Stadtmauer, l’autore principale della ricerca, «è che i pazienti sono ancora vivi. Finora la migliore risposta che abbiamo visto è che le malattie si sono stabilizzate. Le cellule si stanno comportando come speriamo e non abbiamo visto effetti collaterali significativi».

È ancora molto presto, ma sono risultati estremamente incoraggianti

Aaron Gerds, Cleveland Clinic

Contattato dalla Associated Press, un esperto indipendente, Aaron Gerds della Cleveland Clinic, ha spiegato: «È ancora molto presto, ma sono risultati estremamente incoraggianti». Lo studio è sponsorizzato dall’Università della Pennsylvania, dal Parker Institute for Cancer Immunotherapy di San Francisco e da una società di biotecnologie, Tmunity Therapeutics. Numerosi leader dello studio e l’università hanno una partecipazione finanziaria nella società e possono beneficiare di brevetti e licenze sulla tecnologia.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Cos’è l’ittiosi Arlecchino, la malattia che ha colpito Giovannino

I neonati che ne sono affetti - meno di uno su un milione - presentano squame simili a placche su tutto il corpo, grave disregolazione della temperature, problemi alimentari e disturbi respiratori.

Squame grandi, spesse e simili a placche su tutto il corpo presenti al momento della nascita, che poi evolvono in una grave e cronica desquamazione della pelle. Questa la caratteristica dell’ittiosi Arlecchino, la rarissima malattia genetica da cui è affetto Giovannino, il bimbo di quattro mesi abbandonato dai genitori all’ospedale Sant’Anna di Torino. Variante più grave dell’ittiosi congenita autosomica recessiva, l’ittiosi Arlecchino, colpisce meno di un nuovo nato su un milione. I neonati che ne sono affetti, come spiega il portale delle Malattie Rare Orphanet, sono avvolti da una membrana simile a uno strato cutaneo aggiuntivo, associata a placche a corazza, distribuite su tutto il corpo, che limitano gravemente il movimento. I lineamenti del viso sono alterati da una grave estroflessione della palpebra inferiore e del labbro e i neonati spesso presentano dita dei piedi unite.

ELEVATA MORTALITÀ INFANTILE

La malattia si associa a un’elevata mortalità immediatamente dopo la nascita, perché comporta una grave disregolazione della temperatura, problemi alimentari, infezioni e disturbi respiratori. Quando sopravvivono, i bambini che ne sono colpiti hanno un’attesa di vita normale, anche se possono sviluppare una grave malattia della pelle (la membrana di collodio si stacca dopo poche settimane e si trasforma in una eritrodermia con desquamazione), problemi agli occhi e ritardo nello sviluppo motorio e sociale. Vista la sua complessità, la presa in carico richiede un approccio multidisciplinare, composta da oftalmologi, chirurghi, dietologi e psicologi. La malattia è trasmessa come carattere autosomico recessivo. Quindi ai genitori dei bambini con tale malattia dovrà essere offerta la consulenza genetica per informarli del rischio di ricorrenza del 25%.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it