CRESCITA, LA SPINTA PROPULSIVA DELLE TRANSIZIONI GEMELLE
Quando le imprese investono nella Duplice Transizione (digital e green) il guadagno di produttività sale al 14%, addirittura al 17% se ci aggiungono investimenti nel capitale umano
Presidente, facciamo il punto sulle doppie transizioni. A che punto siamo e cosa ci aspetta?
Nel 2026 la spesa mondiale in digitalizzazione raddoppierà rispetto al 2022 arrivando a 3,4 trilioni di dollari. Secondo le stime del World Economic Forum questo incremento comporterà una perdita di lavoro pari a 85 milioni, compensata però da un aumento di nuova occupazione di 97 milioni, con un saldo attivo di 12 milioni. Le imprese sono consapevoli già oggi di quanto sia necessaria la svolta digitale per incrementare la produttività e innovare il modello di business. Infatti, il 64% del sistema produttivo mondiale la ritiene una scelta necessaria e non più opzionale. Nel nostro Paese, permane il divario che ci separa dai principali competitors a livello europeo e mondiale. Solo il 46% della popolazione di età compresa tra 16 e 74 anni possiede infatti almeno un livello base di competenze digitali. Siamo ancora distanti pertanto dall’obiettivo dell’80% fissato dall’Ue al 2030. Non va molto meglio sul versante produttivo, anche se un avanzamento degno di nota c’è stato negli ultimi anni, complice anche la pandemia. Ad oggi il 9% delle imprese italiane utilizza i big data, il 62% il cloud mentre solo il 6% l’Intelligenza Artificiale. Restano quindi ancora molti passi in avanti da compiere per raggiungere quel 75% di imprese che utilizzano almeno una di queste tre tecnologie, posto come obiettivo al 2030 dall’Ue. Nel nostro Paese, solo il 20% delle imprese ha un’intensità digitale alta o molto alta, un valore al di sotto del 22,1%, (media europea) a causa di competenze digitali inadeguate, tanto che solo il 28% della forza lavoro italiana ne ha di superiori al livello base, contro una media UE del 31,2%.
Ma perché alcune imprese sono ancora refrattarie alla digitalizzazione?
Lo sono per diverse ragioni. Secondo i risultati dell’indagine del nostro Centro Studi Tagliacarne, le Pmi italiane pongono in cima alla lista degli ostacoli innanzitutto la difficoltà di non trovare professionalità in grado di utilizzare al meglio le tecnologie 4.0 (31%), fenomeno ben noto quello del disallineamento tra i processi formativi e le competenze di cui le imprese necessitano per restare competitive. Esiste, poi, un timore elevato (29%) di attacchi informatici, seguito dalla difficoltà che hanno le imprese di non riuscire a utilizzare al meglio le tecnologie per carenze di infrastrutture tecnologiche. Vanno pertanto rimosse con decisione tutte le barriere che ostacolano la transizione, relative in primis ai costi, con il 37% delle imprese che denuncia scarsità di risorse, problemi di accesso al credito, tassi di interesse elevati, costi delle tecnologie altrettanto onerosi. Esiste però anche un problema di maggiore dimensione – il 41% – che attiene alla sfera culturale: le imprese non investono nella digitalizzazione perché ancora trascurano, o non conoscono del tutto, gli effetti positivi delle tecnologie 4.0 sulla competenze di vita dell’azienda. Infine, oltre 10 imprese su 100 dichiarano la mancanza di competenze digitali e l’eccesso di burocrazia come barriera ancora insormontabile per iniziare a investire nella Transizione Digitale.
E sul green quali sono le prospettive e la fotografia attuale delle performance italiane?
Le proiezioni dicono che per raggiungere l’obiettivo della neutralità climatica nel 2050, dapprima occorre aumentare la spesa mondiale in investimenti green dal 7 al 9% del Pil. In termini assoluti, saranno quindi necessari investimenti per 275 trilioni di dollari. Siamo però ancora indietro rispetto all’obiettivo Ue al 2030 del -55% di riduzione dei gas serra, con il solo 19% di quota di energia da fonti rinnovabili sul consumo finale che per l’Ue dovrà essere del 30%. Senz’altro in parte ciò è dovuto ai gangli burocratici che ancora insistono nel nostro Paese, rallentando la costruzione di impianti di rinnovabili. La buona notizia è però che l’Italia al primo posto in Ue per efficienza nella produzione e per riciclo. Tenendo conto, infatti, del riciclo totale tra rifiuti speciali e urbani prodotti il nostro Paese segna 83, 4%, ben al di sopra della media europea del 53,8%. I ritardi europei sulla transizione green sono sostanzialmente connessi alla dipendenza estera dalle materie prime critiche (80%). Una strada per affrancarsi potrebbe venire però dalla stessa economia circolare: a titolo esemplificativo, al 2040 tramite il riciclo delle batterie esauste, la Ue potrebbe soddisfare oltre la metà della domanda di litio e di cobalto attivata dalla mobilità elettrica. Come per la transizione digitale, migliori risultati si avrebbero anche su questo fronte se le imprese – opportunamente sostenute – prendessero maggiore coscienza dei vantaggi legati alla sostenibilità e se fossero abbattuti i muri di inefficienza burocratica che scoraggiano la voglia di investire.
Le transizioni gemelle potrebbero concretamente cambiare la fisionomia del sistema produttivo del nostro Paese grazie alla loro spinta propulsiva: sempre secondo l’analisi del Centro Studi Tagliacarne, quando le imprese investono nella Duplice transizione (digital e green) il guadagno di produttività sale al 14%, addirittura al 17% se ci aggiungono investimenti nel capitale umano. Come sistema camerale abbiamo da tempo ben chiaro che la rotta, ineludibile, da seguire sia questa e che soprattutto le pmi vadano informate, accompagnate e coinvolte come facciamo da anni e con ottimi risultati attraverso i PID. Continueremo a farlo, certi che la sfida per una crescita sostenibile passi da qui.
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