Nel decreto fiscale sconto su Imu e Tasi e taglio alla tampon tax

Le ultime modifiche includono l'abbassamento dell'Iva ma solo sui prodotti igienici bio. Ancora da chiudere le partite su appalti e grandi evasori. In compenso potrebbe spuntare una legge quadro sulle autonomie.

Uno sconto sulle sanzioni per i ritardatari di Imu e Tasi, scontrino unico per pagamenti elettronici e invio dei dati all’Agenzia delle entrate, credito d’imposta su tutte le commissioni, non solo per chi accetta acquisti col Pos. Cominciano a prendere forma le modifiche al decreto fiscale, con il quale si potrebbe segnare anche un primo “importante risultato” nella battaglia sui costi degli assorbenti: la maggioranza avrebbe raggiunto un’intesa per iniziare ad abbassare l’Iva sui prodotti femminili biodegradabili, che potrebbe ampliarsi anche a tutti quelli per l’igiene bio e, in futuro, magari anche alla generalità dei beni eco-compatibili. Il grosso delle modifiche, però, tarda ad arrivare: la commissione Finanze della Camera, impegnata sul decreto, tenterà il tour de force per chiudere venerdì anche se i tempi per l’approdo in Aula, causa ‘ingorgo’ con altri decreti, si sono dilatati.

LE PARTITE DA CHIUDERE: APPALTO E GRANDI EVASORI

Ancora, tra l’altro, non si sono chiuse le due partite più delicate, la revisione della stretta per le ritenute negli appalti e sul carcere per i grandi evasori, con l’inasprimento delle pene che potrebbe essere allentato ad esempio sugli omessi versamenti. E qualche tensione la starebbe creando anche l’ipotesi di uno stanziamento ad hoc per funzionari e dirigenti del Mef e della Ragioneria, subito peraltro finita sotto attacco della Lega. Intanto la commissione ha comunque approvato i primi emendamenti, accogliendo anche alcune proposte delle opposizioni, ad esempio per allentare i vincoli di spesa di Comuni, Province e Regioni e consentendo il ravvedimento operoso (cioè la possibilità di pagare in ritardo ma con sanzioni ridotte) anche per i tributi locali, a partire da Imu e Tasi, Una serie di riunioni, in Parlamento e al ministero dell’Economia, sono in agenda per tentare di trovare una sintesi almeno sul decreto, mentre altri incontri, in Senato, puntano ad arrivare pronti per iniziare a votare già da sabato gli emendamenti alla manovra.

LA NOVITÀ: LA LEGGE QUADRO SULLE AUTONOMIE

Quasi certo che arriverà a Palazzo Madama la riscrittura della plastic tax, che sarà drasticamente ridotta, così come il cambio di passo sulle auto aziendali (penalizzate solo quelle inquinanti, nuove regole che si applicheranno comunque solo alle nuove immatricolazioni). La maggioranza sta ancora analizzando i margini di intervento anche su altri temi, dal lavoro (nutrito pacchetto del ministero su Cigs e sostegno alle aree di crisi complessa) alle concessioni autostradali. Sul tavolo ci sarebbe l’ipotesi di una revisione della stretta sugli ammortamenti, che aveva messo in allarme l’Aiscat per il rischio di blocco generale degli investimenti. Ma non si esclude che si possa affrontare più in generale il tema della riforma delle concessioni. La manovra, novità dell’ultima ora, potrebbe intanto ‘imbarcare’ una nuova legge quadro sulle Autonomie, sponsorizzata dal ministro degli Affari regionali, Francesco Boccia, che ha condiviso il testo con le Regioni incassando un primo via libera e che ora è pronto a portare il testo in Cdm.

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La strategia di Conte contro Salvini sul Mes

Ricompattare la maggioranza sul sì al negoziato europeo. Dimostrare che il leader della Lega era informato delle trattative da mesi. E giocare di sponda con il Quirinale. Così il premier pianificare di salvare il governo dalla polemica sul fondo Salva Stati.

Sbugiardare l’avversario numero uno del governo giallorosso, Matteo Salvini. L’obiettivo di Giuseppe Conte, a mesi di distanza dalla fine del suo esecutivo, resta lo stesso, ma cambiano i contenuti della sfida. Se a Montecitorio mesi fa, il confronto con Salvini era sul governo insieme, oggi è sul fondo Salva Stati. Conte prepara la sua nuova controffensiva anti-Lega. Una controffensiva che porta con sé una strategia parallela: spingere la maggioranza a dare un placet in gran parte condiviso a quel Meccanismo economico di Stabilità dal quale l’Italia, di fatto, non può sfilarsi. Ed è una strategia nella quale Palazzo Chigi sembra trovare una sponda al Quirinale.

LA SPONDA DEL QUIRINALE PER IL PREMIER

Al Colle regna il silenzio rispetto agli appelli e agli attacchi di Salvini. Il presidente Sergio Mattarella e Conte, sul Mes, si sono sentiti nei giorni scorsi. Ed è una vicenda spinosa, quella del fondo Salva-Stati, che mette in gioco i rapporti tra l’Italia e i grandi d‘Europa. E che rischia di porre il Paese in una posizione di svantaggio sul terzo e delicato pilastro delle riforme dell’eurozona: l’Unione bancaria. Su quest’ultimo punto l’Italia deve far fronte alla proposta Scholz, ministro delle Finanze tedesco, che contiene una trappola per Paesi con alto debito e spread elevati come il nostro: non rendere più “a rischio zero” l’acquisto di titoli di Stato da parte delle banche. Per questo, a Palazzo Chigi si muovono su un doppio binario: quello del prudente negoziato nella Ue e quello della ferma risposta agli attacchi di Salvini. Attacchi sui quali Conte trova l’implicita sponda del Colle. Mattarella non considera quella lanciata da Salvini una chiamata in causa a cui sente il dovere di rispondere. Tanto che, al Quirinale, in queste ore si ricorda come il capo dello Stato, in passato, non abbia ricevuto gruppi parlamentari o partiti che intendevano criticare i lavori delle Camere. L’argomento Mes, insomma, investe il governo e il Parlamento nelle loro rispettive prerogative.

IL SÌ DELL’EUROZONA PREVISTO PER FEBBRAIO

È proprio su questo punto, da qui a lunedì prossimo, che lavorerà Conte. Documentando come del Mes si sia già ampiamente parlato nei Consigli dei ministri e anche nelle commissioni parlamentari all’epoca gialloverde. E con il sostanziale, sebbene silenzioso, placet dell’allora ministro dell’Interno. Una volta chiariti agli italiani gli elementi del negoziato Conte, a metà dicembre, non si sottrarrà nel toccare l’argomento al Consiglio Ue. Ma è difficile che il sì dei governi dell’eurozona arrivi per dicembre: nella maggioranza si prevede che sia febbraio il mese in cui l’eurosummit dia il suo ok definitivo. Ben diverso l’approccio del premier con Luigi Di Maio. Il leader del M5S sulle sue critiche al Mes, ha ricompattato i gruppi trovando d’accordo, alla congiunta, persino “big” dell’ala ortodossa come Giuseppe Brescia. Ma, si sottolinea nel Movimento, l’approccio di Di Maio è meno urlato e “non è contro qualcuno”. In queste ore i contatti con Conte sono frequenti e a lui Di Maio ha chiesto di sfruttare ogni margine per migliorare il trattato. Ed è un punto che trova il premier d’accordo.

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Stallo sulle nomine Rai: Salini prende l’interim di RaiDue

Tutt'altro che sopiti i contrasti nella maggioranza. Il Pd accusa il M5s di aver fatto saltare l'accordo per il veto posto sul nome di Orfeo. E con Italia viva mette nel mirino anche l'ad.

Nomine rimandate, come annunciato, ma il clima attorno alla Rai resta di tensione. I contrasti nella maggioranza, all’indomani dello stop alla rosa di nomi per reti e testate che sembrava pronta a essere presentata nel Consiglio d’amministrazione del 28 novembre, sono tutt’altro che sopiti.

IL PD ACCUSA IL M5S DI AVER FATTO SALTARE L’ACCORDO

Il Pd accusa i cinque stelle, in particolare Luigi Di Maio, di aver fatto saltare l’accordo per il veto posto sul nome del candidato alla direzione del Tg3, Mario Orfeo. E ora mette nel mirino anche l’ad Fabrizio Salini, scelto proprio dagli alleati di governo. «È ormai evidente a tutti che l’azienda è bloccata, ostaggio delle incertezze del suo amministratore delegato», dice Lorenza Bonaccorsi, sottosegretaria al Mibact, da sempre attenta alle questioni Rai. «Stanno emergendo» – continua – «tutte le conseguenze dell’incapacità di prendere delle decisioni nei momenti importanti. Al momento la realtà racconta un calo di ascolti, soprattutto sulla rete ammiraglia, che è difficile nascondere. Per non dire poi dei dati impietosi resi noti dall’Agcom sul pluralismo mancato. Far trapelare, poi, da parte dell’ad, un problema di parità di genere è del tutto strumentale. Chiediamo un immediato cambio di passo, forte».

MALUMORI ANCHE DA PARTE DI ITALIA VIVA

Malumori anche in Italia viva, che chiede a Di Maio di smentire le indiscrezioni su un suo veto a Orfeo. «Se non smentisce, allora a dimettersi dovrebbe essere tutto il Consiglio d’amministrazione, compreso l’amministratore delegato Salini», afferma Michele Anzaldi. Oggi l’ad in Consiglio di amministrazione ha ribadito tutta la sua preoccupazione per il possibile taglio delle risorse alla tv pubblica, previsto in alcuni emendamenti alla Finanziaria, spiegando, come aveva fatto in Commissione di Vigilanza, che senza certezze economiche anche l’attuazione del piano industriale, comprese le nomine a direzioni e canali, verrebbe messa in discussione. Quindi niente avvicendamenti a reti e testate o nomine alle direzioni di genere. L’unica novità è l’interim a RaiDue, assunto dallo stesso ad, dopo la fine del mandato di Carlo Freccero, che è stato invitato in Consiglio d’amministrazione per i saluti e i ringraziamenti per il lavoro svolto. Di nomine si riparlerà forse il 10 dicembre, quando è in programma la prossima riunione del cda.

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La Turchia contro Macron: «Sponsor del terrorismo»

Nel giorno in cui il presidente francese incontra il segretario Nato per chiede più coinvolgimento nel Sahel, l'"alleato" Ankara lo attacca frontalmente.

Nel giorno in cui il presidente francese Emmanuel Macron incontra il segretario Nato Jens Stoltenberg per lamentare che la Francia è lasciata sola nel Sahel a difendere l’Europa, il ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu definisce il presidente della République «sponsor del terrorismo».

«VUOLE FARE IL CAPO DELL’EUROPA MA È DEBOLE»

L’accusa turca è legata alla critica francese all‘offensiva militare turca in Siria contro i curdi dell’Ypg che la Turchia considera appunto terroristi. Secondo la Bbc, Cavusoglu ha detto ai reporter che Macron vorrebbe diventare il capo dell’Europa ma è «debole».

«L’ALLEANZA HA BISOGNO DI UNA SVEGLIA»

Intanto il leader di Parigi non ha smentito le sue parole sulla Nato in stato di «morte cerebrale», anzi le ha rivendicate, a fianco del segretario generale dell’Alleanza, sottolineando che l’Alleanza aveva «bisogno di una sveglia». Dopo la strage di 13 militari francesi in Mali lunedì scorso – nello scontro fra due elicotteri durante un’operazione antiterrorismo – il presidente francese chiede ora un «maggiore coinvolgimento» nel Sahel dove la Francia, ha sottolineato, ha 4.500 uomini dispiegati e «opera per conto di tutti».

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A Genova 8 mila sardine in piazza contro il sovranismo

Nuovo pienone con giovani, anziani, bambini e e famiglie in piazza per dire no all'odio e al populismo. Cantando De André e Bella Ciao.

Giovani, anziani, bambini,famiglie, studenti e professionisti, con in mano sardine di tutte le dimensioni e di tutti i colori. Sono 8 mila le Sardine di Genova, scese in piazza nella serata del 28 novembre. «No al sovranismo, al populismo, no all’odio, no al razzismo, no alla discriminazione», dice Roberto Revelli, un educatore che per primo ha lanciato l’evento su Facebook due settimane fa.

STRISCIONI E CANZONI DI DE ANDRÉ

Tanti gli striscioni ,come quello tenuto in mano dagli
organizzatori, «voi non avete fermato il vento, gli avete fatto
perdere tempo” che cita Fabrizio De André. E anche: «Più sardine
meno beline«, «I pesci non chiudono gli occhi» e «Genova non
abbocca». «La Costituzione non è un reato ed è per questo che
siamo qua stasera» – dicono gli organizzatori – «perché ci
riconosciamo nei valori della Carta, che è il nostro unico
slogan». Le sardine cantano Creuza de ma di De André, Bella Ciao
e gli Inti-illimani, ma anche l’inno di Mameli. «Genova è solo
antifascista», intona la piazza.

TRA LORO IL PRETE SIMBOLO DELL’ACCOGLIENZA

In tanti si passano il microfono: «Vogliamo che il diritto all’istruzione, alla sanità, al lavoro, siano per tutti, per tutti, nessuno escluso e siamo qua perché noi non escludiamo nessuno, perché siamo liberi, democratici, e
antifascisti», spiegano. Tra loro anche don Paolo Farinella,
prete simbolo dell’accoglienza a Genova che aveva ricoperto la
porta della sua chiesa a San Torpete con le coperte termiche che
vengono date ai migranti salvati sui barconi: «Non voglio
annegare in un barile di sardine» – dice alla piazza – «ma voglio
che le sardine anneghino tutto quello che ci sta impedendo di
essere un Paese civile».

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Attivismo online: così i millennial possono rottamare gli influencer

I nati tra gli Anni 80 e il 2000 usano i social per connettersi tra loro, esprimersi liberamente, fare gruppo. Una volta compreso questo, è possibile porre le basi per una comunicazione che non coinvolga o crei personaggi. Rendendo a questi vip digitali la vita un po' meno facile.

Estetica della comunicazione, informatica e filosofia dei linguaggi, queste alcune delle materie previste dal corso di laurea per influencer della eCampus.

Il corso, pietra dello scandalo di inizio mese, è stato concepito per fornire a figure interessate (e interessanti) competenze e strumenti in grado di affrontare il mondo degli influencer, altamente spregiudicato e in costante evoluzione.

UN PASSAPAROLA STRATEGICO PER IL MERCATO

L’obiettivo finale del corso è univoco: forgiare, indirizzare e sostenere figure professionali in grado di “influenzare” il mondo che le circonda attraverso la creazione di un passaparola strategico in grado di generare seguito e mercato. L’idea di base è dunque quella di selezionare una rosa di persone in grado di affermarsi nel mondo digitale, perché, se è vero che chiunque può diventare un influencer, è altrettanto vero che non tutti gli influencer possono davvero collaborare in maniera efficace con una certa azienda o un brand.

LEGGI ANCHE: Come funziona il mercato degli influencer del cibo

Proprio su quest’ultimo aspetto la eCampus ha voluto dare il suo contributo: fornire strumenti a coloro i quali sono interessati a promuovere la propria figura sul mercato e a diventare attori cruciali del marketing attuale. In questa ottica, analizzare la funzione e gli obiettivi del corso, al di là delle critiche che la sua stessa natura porta con sé, aiuta a comprendere, e forse a sorprendersi, dell’uso che si fa, e che i millennial in particolare fanno, dello strumento digitale

I TRE TIPI DI INFLUENCER: IDENTIFIED, ENGAGED E ACTIVE

A causa della popolarità di questi personaggi pubblici e, soprattutto, del loro rapporto con il pubblico è possibile individuare almeno tre diversi cluster di influencer. Il primo è costituito dagli identified, influencer considerati rilevanti per un brand; il secondo dagli engaged, vale a dire il numero di influencer con cui si è instaurato un livello sostanziale di interazione con i follower attraverso la condivisione di post e contenuti e, infine, il terzo è composto dagli influencer active, ovvero gli influencer direttamente coinvolti nei programmi di influencer marketing. Questo terzo cluster nasce in seguito all’evoluzione del concetto di marketing, di cui abbiamo avuto modo di parlare ampliamente nella scorsa rubrica. Non si tratta, però, in questo caso, solamente della nascita e del successo dell’on-demand marketing. Il ruolo degli influencer ha dato vita al cosiddetto “marketing influenzale” che sta progressivamente scalzando quello tradizionale e implementando quello su richiesta.  

IL SUCCESSO DEL MARKETING DI INFLUEBZA

Il marketing di influenza è un tipo di marketing in cui la concentrazione è posta su persone influenti e identificate come rilevanti (influencer) più che sul mercato di riferimento nel suo complesso. Questo termine, e i concetti che dietro vi si celano, sono stati utilizzati per la prima analizzata negli Anni 40, nel celebre studio The People’s Choice di Lazarsfeld e Katz sulla comunicazione politica. Lo studio afferma che la maggior parte delle persone sono influenzate da rumors e opinion leader. Infatti, nonostante questi talvolta si limitino a dare vita a semplici words of mouth, ovvero “movimenti/parole della bocca”, spesso riescono a raggiungere il pubblico in modo efficace ed efficiente, trasmettendo semplice messaggi chiave di facile ricezione. 

LEGGI ANCHE: Ci siamo stancati degli influencer?

Attraverso la semplicità e la ripetitività di contenuti e l’avvento degli influencer, l’industria del marketing di influenza è cresciuta molto velocemente negli ultimi anni, tanto che nel 2017 il suo valore mondiale era stimato intorno all’1,07 miliardi di dollari. Un risultato sbalorditivo che necessita, però, di essere accompagnato da una giusta strategia per evitare di finire, in breve tempo, nel dimenticatoio.

L’ATTIVISMO DIGITALE DEI MILLENNIAL

Spesso siamo portati a pensare che i millennial, nati tra gli Anni 80 e il 2000, rappresentino la fascia d’età più affascinata e disposta al dialogo con gli influencer. Recenti studi pubblicati sul Public Relations Journal dell’Institute for Public Relations hanno evidenziato un fattore sorprendente: i millennial sono soprattutto impegnati, attraverso social network e strumenti digitali, in comportamenti di attivismo online che superano di gran lunga quelli offline. Questa forte relazione tra millennial, attivismo e digitale non risiede però nella specifica e precisa volontà dei ragazzi di “fare attivismo”. Secondo gli studi, l’attivismo viene percepito come la possibilità di avere libertà di espressione, interagire con gli altri, appartenere a un gruppo e costruire la propria identità.

LEGGI ANCHE: Perché gli influencer testimonial sono un’incognita

Questo aspetto, spesso sottostimato e poco considerato dagli addetti ai lavori, è fondamentale per costruire nuovi modelli di comunicazione online. I social media per l’attivismo online e le organizzazioni a esso correlate possono mobilitare strategicamente i millennial coinvolti in queste attività e coinvolgerli intorno a questioni specifiche senza la necessità di creare e animare un personaggio su cui far convergere la loro attenzione. Le idee, le parole e la continua ricerca di identità rappresentano nuove leve in grado di aiutare a costruire nuovi modelli di aggregazione. Comprendendo quali gratificazioni i millennial hanno cercato di raggiungere attraverso attivismo online, è possibile porre le basi per indirizzare la comunicazione e le gratificazioni del pubblico e rendere meno facile la vita agli influencer.

*Professore di Strategie di Comunicazione, Luiss, Roma

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Il M5s torna all’attacco di Autostrade

Grillo torna alla carica: «Ai Benetton una concessione a condizioni di favore da 20 anni. È tempo di cambiare». E Di Maio lo segue: «Giustizia per le famiglie del Ponte Morandi».

Riparte di gran carriera la crociata del Movimento 5 stelle contro Autostrade, malgrado la resistenza posta dall’alleato di governo alla revoca delle concessioni. A rilanciare l’affondo è stato un post di Beppe Grillo, che su Twitter ha scritto: «#Autostrade Story è la storia della concessione autostradale ottenuta dai #Benetton più di 20 anni fa. Una concessione a condizioni di favore senza eguali. Condividete il più possibile queste informazioni. È tempo di cambiare».

L’INTERVENTO DI GRILLO RILANCIATO DA DI MAIO

Grillo ha pubblicato sul suo blog la prima puntata di “Autostrade story”, che si trova anche sul Blog delle Stelle, e ha immediatamente trovato la sponda di Luigi Di Maio. «Sulla revoca della concessione ad Autostrade non faremo un passo indietro. Tutto il Movimento 5 stelle, da me a Beppe Grillo a ogni singolo eletto e attivista, è determinato in questa battaglia. Sono morte 43 persone perché un ponte da un momento all’altro gli è crollato sotto i piedi. Le loro famiglie ancora stanno piangendo. Chiedono giustizia. Noi gliela daremo. Costi quel che costi».

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Fedez imputato a Milano per una lite col vicino di casa

I fatti risalgono al 2016. Nell'ultima udienza ha testimoniato Fabio Rovazzi, secondo cui è stato l'accusatore a colpire il rapper e non viceversa.

Fedez è imputato per lesioni per una lite con un vicino di casa, che ha riportato 10 giorni di prognosi. La lite è avvenuta a Milano in zona Tortona intorno alle 6 del mattino del 12 marzo 2016. Nell’udienza dello scorso 21 novembre, davanti al giudice Tommaso Cataldi, ha testimoniato il cantante Fabio Rovazzi, che era presente al momento della rissa e ha riferito che sarebbe stato il vicino a colpire il rapper con un pugno.

SIA FEDEZ SIA IL VICINO HANNO SPORTO DENUNCIA

Fedez e il vicino di casa avevano entrambi sporto denuncia dopo la lite, di cui si era parlato all’epoca sui media. Quello che si sta svolgendo davanti al giudice di pace milanese è il procedimento a carico del rapper 30enne. Nell’imputazione a carico di Federico Leonardo Lucia, in arte Fedez, si legge che lui avrebbe aggredito il vicino di casa che si era affacciato alla sua porta per via della musica alta che proveniva dell’appartamento, causandogli anche un trauma cranico lieve.

LA TESTIMONIANZA DI ROVAZZI

Nella scorsa udienza Rovazzi, che era stato chiamato a testimoniare dalla parte offesa e che di recente avrebbe anche avuto attriti con Fedez, ha testimoniato a favore del rapper. Ha riferito, infatti, che, secondo il suo ricordo, sarebbe stato il vicino a entrare nell’appartamento e a colpire in volto il marito di Chiara Ferragni. A quel punto, Rovazzi si sarebbe seduto sul divano, come da lui riferito, e avrebbe chiamato l’ambulanza.

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Tra Salvini e Conte è duello a suon di minacce giudiziarie sul Mes

Il leader della Lega dice che vuolei presentare un esposto sul fondo Salva Stati contro il premier. Che replica: «Vada in procura, lo querelerò». E promette battaglia per l'audizione in parlamento: «Spazzerò via mezze ricostruzioni, menzogne, mistificazioni».

Nuovo duello, vecchi contendenti. Ma questa volta il tema è il Mes e le armi rischiano di essere giudiziarie. Il premier Giuseppe Conte promette battaglia, anzi una sostanziala resa dei conti sul fondo Salva Stati. Di fronte alle minacce di un epsosto da parte del leader della Lega Matteo Salvini, il presidente del Consiglio ha dichiarato: «Il primo momento utile è lunedì, come sempre sarò in Parlamento, in modo trasparente, a riferire tutte le circostanze. Chi oggi si sbraccia a minacciare, io dico: Salvini vada in procura a fare l’esposto, e io querelerò per calunnia».

L’intervento del presidente del Consiglio Giuseppe Conte all’Università del Ghana, Accra, 28 novembre 2019. ANSA/ FILIPPO ATTILI UFFICIO STAMPA PALAZZO CHIGI +++ ANSA PROVIDES ACCESS TO THIS HANDOUT PHOTO TO BE USED SOLELY TO ILLUSTRATE NEWS REPORTING OR COMMENTARY ON THE FACTS OR EVENTS DEPICTED IN THIS IMAGE; NO ARCHIVING; NO LICENSING +++

Parlando al Parlamento lunedì «spazzerò via mezze ricostruzioni, menzogne, mistificazioni», ha detto Conte incontrando i cronisti dopo il suo intervento all’università del Ghana, interpellato sulla vicenda del fondo Salva-stati. «Vorrei chiarire agli italiani che io non ho l’immunità, lui sì, e ne ha già approfittato per il caso Diciotti. Veda questa volta, perché io lo querelerò per calunnia di non approfittarne più», ha concluso.

Il leader della Lega Matteo Salvini durante la conferenza stampa alla Camera, Roma, 20 novembre 2019. ANSA/RICCARDO ANTIMIANI

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Per i geriatri la pensione nuoce gravemente alla salute

Nei primi due anni aumentano problemi cardiovascolari e casi di depressione. Quota 100? «Fa male al corpo e alla società: è immorale».

Entro i primi due anni dal momento in cui si va in pensione aumentano i problemi cardiovascolari, la depressione e il ricorso a medici e specialisti. Secondo i dati forniti da studi internazionali, l’incremento è tra il 2 e il 2,5%. È quanto emerso nell’ambito del 64esimo Congresso nazionale della Società italiana di Gerontologia e Geriatria (Sigg) a Roma. «Andare in pensione fa male alla salute. Lavorare stanca, ma protegge corpo e mente. A parte le persone che hanno avuto una vita lavorativa molto usurante, chi è malato, chi ha cominciato in età molto giovane, in generale la pensione crea fragilità e peggiora lo stato di salute», dice Niccolò Marchionni, Ordinario di Geriatria all’Università di Firenze e direttore di Cardiologia generale all’ospedale Careggi. «Andare poi in pensione prima del previsto, come prevede Quota 100, ad un’età di appena 60 anni, quando si è ancora in forze e si sta bene, non fa solo male alla salute, fa male alla società. Andare via prima di poter contare sul reddito che viene dal lavoro, è immorale», afferma con forza Raffaele Antonelli Incalzi, presidente di Sigg, «specie se pensiamo alla situazione drammatica dell’economia nel Paese».

TRA I REDDITI BASSI SONO MAGGIORI I PROBLEMI DI SALUTE

Non solo. La pensione per la maggior parte delle persone, rappresenta una soglia che coincide con l’idea di essere inutili. «Quello che avvertiamo noi medici, è che uscire dal mondo del lavoro sia peggiorativo anche per la salute percepita, cioè che essere fuori dal lavoro incida sul modo di sentirsi dalle persone stesse, sia fisicamente che psicologicamente: essere pensionati innesca un meccanismo che fa sentire nell’ultima fase della vita, non più coinvolti, fuori da tutto», spiega Nicola Ferrara, Ordinario di Geriatria all’Università Federico II di Napoli. L’uscita dal processo produttivo, la mancanza di un impegno nella società, il senso di marginalizzazione – dicono gli esperti Sigg – ha una ricaduta sulla salute che i medici toccano con mano. Il periodo post-pensione coincide con una fase di fragilità con sintomatologia fisica e cognitiva. «Dagli studi emerge una esperienza diversa tra ceti abbienti e non, tra persone istruite e pensionati con minori risorse culturali – chiariscono gli esperti – chi ha meno strumenti e reddito più basso, ha anche maggiori problemi di salute».

IL RISCHIO DI NON POTERSI PERMETTERE LE CURE

«Non è da sottovalutare inoltre», aggiunge Ferrara, «un dato molto importante. Con la pensione la maggior parte delle persone vede diminuire il proprio potere di acquisto. Peggio ancora per chi decide di usufruire di leggi che consentono l’uscita anni prima rispetto al raggiungimento dell’età e che perdono una percentuale notevole di reddito. Con il risultato che un settantenne, pur avendo lavorato per 40 anni, rischia di diventare un nuovo povero e di non potersi permettere le cure di cui ha bisogno». Il messaggio che arriva dai geriatri riuniti in congresso insomma è chiaro: «Non desiderate pazzamente di andare in pensione, perchè non sapete che cosa vi aspetta. Preparatevi per tempo ad affrontare quel senso di vuoto e inutilità che può nuocere gravemente alla salute».

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Matera 2019, il primo dicembre l’ultimo Gardentopia Day

Gran finale per Gardentopia, il progetto a cura di Pelin Tan per Matera 2019 sulla cultura del verde e della cittadinanza attiva che ha coinvolto 32 giardini e 18 artisti, architetti, landscape designer, in un lavoro con le comunità e con un network di cittadine diffuse su tutto il territorio della Basilicata. Il primo dicembre prossimo, dalle 10 alle 18 si svolgerà – si legge in una nota diramata dall’ufficio stampa della Fondazione Matera-Basilicata 2019 - il terzo e ultimo Gardentopia Day, una grande festa con incontri, workshop, musica, cibo e racconti, all'insegna dell'arte e delle riflessioni legate all'ecosostenibilità sotto il titolo Terreno, coltivazioni, diritti. Si partirà alle 10 con gli interventi di Salvatore Adduce (Presidente Fondazione Matera-Basilicata2019) e Giuseppe Tragni (vicesindaco Comune di Matera). Seguirà la presentazione del progetto, coordinato dall'artista Luigi Coppola, Giardino Evolutivo di Casino Padula di Matera, sede dell'Open Design School, del progetto Olio per il Giardino Evolutivo, dove gli abitanti del quartiere presenteranno quanto realizzato nell'ambito di Gardentopia e del giardino da loro adottato. Successivamente Stefano Chiodi, storico e critico d'arte contemporanea parlerà di implicazioni e potenzialità dell'arte partecipata e darà una lettura critica sulle pratiche artistiche coinvolte nell'ambito di Gardentopia. Seguirà la presentazione di tutte le esperienze realizzate nell'ambito di Gardentopia e un approfondimento su 8 esperienze raccontante direttamente dai cittadini. Il pomeriggio sarà arricchito dallo screening di Autotrophia, il film girato dall'artista Anton Vidokle a Oliveto Lucano e dal workshop a cura dell'esperto di biodiversità Angelo Giordano. Gerardo Sassano di Volumezero, tra gli artisti coinvolti in Gardentopia, racconterà la propria esperienza e cosa significa coltivare gli spazi pubblici, affrontando quali sono le pratiche contemporanee per la riattivazione di paesaggi urbani. Si chiuderà con la tavola rotonda Fare Comune, una conversazione tra Pelin Tan, Luigi Coppola, Rossella Tarantino (Manager Area Sviluppo e Relazioni - Fondazione Matera-Basilicata2019) e Roberto Covolo (Assessore alla Programmazione economica del Comune di Brindisi). “Gardentopia si basa sul valore della dimensione regionale, che viene esaltata portando il progetto nelle aree interne della Basilicata attraverso una costellazione di 32 giardini in residenza che valorizza e rigenera i nostri territori. Con Gardentopia il tema della partecipazione è stato centrale: questo progetto non sarebbe stato possibile se non lo avessero sposato i Comuni, i sindaci, i cittadini dei tanti paesi diffusi in tutto il territorio regionale. Tutti loro hanno lavorato insieme con gli artisti e con gli architetti coinvolti da Pelin Tan, hanno messo a disposizione le proprie competenze e hanno imparato; hanno inoltre costruito un percorso virtuoso di riattivazione dei giardini in un processo di analisi delle esigenze della comunità”, ha commentato Rossella Tarantino, Manager Sviluppo e Relazioni Fondazione Matera-Basilicata 2019. Gardentopia desidera aprire una riflessione su come possiamo creare e condividere attraverso gli spazi coltivati, creare consapevolezza transgenerazionale sulla giustizia climatica attraverso arte e design, ma anche su come le comunità agro-ecologiche possano essere sostenibili, ad esempio. “L'azione di Gardentopia si basa sull'immaginazione di artisti e architetti, insieme al coinvolgimento dei cittadini”, ha detto Pelin Tan.
 

Facebook e Instagram down: ancora problemi per i social di Zuckerberg

I due siti irraggiungibili per diverso tempo e in diverse zone del mondo, dall'Europa agli Stati Uniti. Su Twitter un fiume di segnalazioni sotto gli hashtag #facebookdown e #instagramdown.

Pomeriggio difficile per i social di Mark Zuckerberg. Nella giornata del 28 novembre sia Facebook che Instagram sono risultati irraggiungibili per diverso tempo in varie parti del mondo.

SEGNALAZIONI DALL’EUROPA AL SUD AMERICA

Sul sito Downdetector sono state migliaia le segnalazioni di malfunzionamento per i due social network. A livello geografico, le segnalazioni hanno coinvolto l’Europa, il Nord America e il Sud America. Diverse centinaia di segnalazioni hanno riguardato la chat Messenger. Su Twitter diversi utenti stanno postando messaggi con gli hashtag #facebookdown e #instagramdown. C’è chi non è riuscito ad accedere a Facebook e ha pubblicato lo screenshot dell’avviso visualizzato sul social: «Facebook al momento non è disponibile a causa di un’operazione di manutenzione e dovrebbe tornare a essere disponibile tra pochi minuti».

FACEBOOK: «AL LAVORO PER TORNARE ALLA NORMALITÀ»

«Sappiamo che alcune persone stanno riscontrando delle difficoltà nell’accedere alla famiglia delle app di Facebook», ha detto un portavoce del gruppo. «Stiamo lavorando per riportare tutto alla normalità il più velocemente possibile».

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La crisi libica si complica, l’Italia batta un colpo

Mentre il conflitto continua e le ingerenze di Russia e Usa si fanno più concrete, sarebbe indispensabile che il nostro Paese si ponesse in prima fila in un’azione politico-diplomatica. Di Maio ne sarà capace?

La Libia torna vistosamente alla ribalta internazionale: per l’abbattimento di due droni, uno statunitense e uno italiano, per il faro che vi hanno acceso gli incontri Usa con Khalifa Haftar e Fayez al Serraj, per le accuse di destabilizzazione rivolte alla Russia, per le attese riposte nella Conferenza alla quale stanno lavorando i tedeschi.

Non invece per gli sbarchi sulle nostre coste dei migranti provenienti dalla Libia che hanno dominato il dibattito politico nostrano, lasciando che rimanesse preda delle nebbie di una vaga laconicità osservata dalla Difesa in merito alla scomparsa del nostro drone: «Nella giornata odierna è stato perso il contatto con un velivolo a pilotaggio remoto dell’Aeronautica MilitareMQ9 Reaper (Predator B) – successivamente precipitato sul territorio libico. Il velivolo, che svolgeva una missione a supporto dell’operazione Mare Sicuro, seguiva un piano di volo preventivamente comunicato alle autorità libiche (Tripoli). Sono in corso approfondimenti per accertare le cause dell’evento».

Da allora il silenzio; anche in risposta alla dura reprimenda del portavoce dell’Esercito nazionale libico Ahmed al-Mesmari che nello stesso giorno bollava il volo (area di Tarhuna, roccaforte del generale Haftar a una 70ina di chilometri da Tripoli) come «una violazione dello spazio aereo e della sovranità della Libia». Si è probabilmente voluto evitare di incorrere in ritorsioni suscettibili di mettere a repentaglio il nostro contingente a Misurata anche se altrettanto verosimilmente è stato letto come un segnale di debolezza di cui tenere conto,

CAMBIA IL RAPPORTO DEGLI USA CON HAFTAR

Conforta comunque sapere che il nostro governo si occupa della Libia, e lo fa non solo in relazione al fenomeno migratorio, che pure è un problema per noi importante, ma anche alla sfibrante conflittualità che la attraversa e alle minacce che ne stanno derivando sul terreno della sicurezza di fronte a un riaffiorante terrorismo – dell’Isis ma anche di Ansar al Sharia – che sta investendo un po’ tutta l’area saheliana. Si tratta di una conflittualità che sta inducendo anche gli Usa ha riposizionare il proprio faro su questo Paese anche in termini pubblici. E ciò sia con una robusta sollecitazione al generale Haftar venuta dal Dipartimento di Stato a cessare le operazioni su Tripoli sia con un monito alla Russia di «non sfruttare il conflitto» contro la volontà del popolo libico.

Una serie di indicazioni che stanno facendo emergere un accresciuto supporto militare russo, con attrezzature e mercenari, a fianco di Haftar

Un linguaggio, quello rivolto ad Haftar, ben diverso dal “riconoscimento” della Casa Bianca rivolto da Donald Trump al generale nell’aprile del 2019 per il suo ruolo nella lotta al terrorismo con la cosiddetta operazione Dignità che aveva indotto più di un osservatore a leggere in quel giudizio una sorta di sganciamento da Serraj, il capo del governo riconosciuto internazionalmente, a favore dell’uomo forte della Cirenaica.

Da sinistra, Giuseppe Conte e Haftar.

Un linguaggio che ha segnalato e sta segnalando una rinnovata preoccupazione Oltreoceano per una serie di indicazioni che stanno facendo emergere un accresciuto supporto militare russo, con attrezzature e mercenari, a fianco di Haftar. E forse non è un caso se più o meno in contemporanea un giudice del Tribunale di Stato della Virginia ha emesso un mandato d’arresto contro Khalifa Haftar – che ha anche la cittadinanza americana – per crimini di guerra.

IL RUOLO DELLA RUSSIA PER SOSTENERE IL GENERALE

Su questo sfondo ha colto di sorpresa l’annuncio di Mesmari, portavoce del generale, dell’imposizione di una no fly zone «sopra e intorno all’area delle operazioni militari dentro e intorno a Tripoli». Intanto perché solo Serraj (Tripoli) avrebbe una legittimazione a decretare una misura del genere; poi perché non risulta che quest’ultimo disponga dei mezzi necessari per garantirne il rispetto e infine perché dalla no fly zone sarebbe escluso l’aeroporto di Mitiga, l’unico funzionante nella zona anche se provvisoriamente chiuso per le vicende belliche vi si stanno sviluppando.

L’accusa mossa alla Russia da David Shenker è di aver dispiegato in Libia regolari forze militari in numero significativo per sostenere l’attacco a Tripoli di Haftar

Si tratta di un annuncio che prelude a un’avanzata sulla capitale o semplicemente un segnale di vitalità del contingente armato? Vi ha fatto seguito un incontro svoltosi tra lo stesso Haftar e una delegazione americana di alto livello (vice consigliere per la sicurezza in Medio Oriente e rappresentanti dello stesso Dipartimento di Stato, dell’Energia e delle forze armate) per «discutere i passi necessari per giungere ad una sospensione delle ostilità e una soluzione politica al conflitto libico», sottolineando il pieno supporto degli Stati Uniti a favore della sovranità e integrità territoriale della Libia e la loro preoccupazione per l’azione della Russia.

Vladimir Putin.

Azione che a stretto giro di posta è stata seguita dall’accusa mossa sempre alla Russia da David Shenker, l’Assistant Secretary del Dipartimento di Stato per il vicino oriente, di aver dispiegato in Libia regolari forze militari in numero significativo per sostenere l’attacco a Tripoli del generale Haftar, sottolineandone l’effetto altamente destabilizzante anche perché destinato a provocare un gran numero di vittime civili.

LA CONFERENZA SULLA LIBIA E GLI INTERESSI DELL’ITALIA

Intanto prosegue il lavoro di preparazione della Conferenza sulla Libia da parte tedesca. Con determinazione, ma anche con una punta di scetticismo per l’ostentata negatività che si manifesta da parte dei più stretti collaboratori di Haftar che continuano a dichiarare che non c’è possibilità di alcuna soluzione politica, essendo quella militare ormai l’unica praticabile.

Sarebbe davvero indispensabile che l’Italia, bilateralmente e in seno all’Ue finalmente rinnovata nei sui vertici, si ponesse in prima fila in un’azione politico-diplomatica

Sarà proprio così? Difficile dire, stante le obiettive difficoltà in cui versano entrambi gli schieramenti e il peso della delusione/frustrazione degli sponsor di Haftar per una guerra che doveva portare in un lampo alla conquista di Tripoli e che dopo sette mesi versa al contrario in uno stallo dal quale nessuna vittoria militare di uno dei due contendenti sull’altro sembra a portata di mano. A meno che, beninteso, non intervenga la classica “mossa del cavallo”, cioè un deciso intervento esterno che nelle condizioni date avrebbe un esito dirompente.

Luigi Di Maio.

Stando così le cose, sarebbe davvero indispensabile che l’Italia, bilateralmente e in seno all’Unione europea finalmente rinnovata nei sui vertici, si ponesse in prima fila in un’azione politico-diplomatica bilaterale e multilaterale volta a far prevalere le ragioni del negoziato per la stabilizzazione della Libia che stanno alla base della Conferenza in preparazione ad opera della Germania. Non dimentichiamoci mai che in Libia abbiamo anche forti interessi energetici. Ma è lecito chiedersi se il nostro ministro degli Esteri saprà/vorrà muoversi con la necessaria tempestività in tale direzione.

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L’omicidio di Daphne Caruana Galizia costò 150 mila euro

È questa la cifra che Yorgen Fenech pagò al tassista-usuraio Theuma per assoldare i tre sicari esecutori materiali dell'assassinio. Il parlamento Ue invia una missione urgente a Malta.

Uccidere Daphne Caruana Galizia costò 150 mila euro. È questa la cifra che Yorgen Fenech, il re dei casinò, nonché ad della holding Tumas Group, che cercò di fuggire da Malta in yacht, pagò all’intermediario di morte Melvin Theuma, il tassista-usuraio il cui arresto ha dato la svolta decisiva alle indagini sull’omicidio della giornalista dilaniata e bruciata viva il 16 ottobre 2017 con una autobomba confezionata, piazzata e fatta esplodere dai tre esecutori materiali (Vince Muscat ed i fratelli Vince e George Degiorgio) arrestati già a dicembre, meno di due mesi dopo.

LA CIFRA CONFERMATA DA INTERROGATORI E REGISTRAZIONI

La cifra, secondo «molteplici fonti giudiziarie» citate dal Times of Malta, è emersa tanto nelle registrazioni presentate da Theuma (che ha ottenuto la grazia e il condono tombale per la sua collaborazione e che testimonierà per la prima volta in tribunale) quanto in separati interrogatori dello stesso Theuma e di Fenech. Le fonti hanno riportato anche che, secondo la versione di Theuma, fu l’imprenditore a commissionare l’omicidio e a consegnare fisicamente 150 mila euro a Theuma per i tre sicari.

MISSIONE URGENTE DEL PARLAMENTO UE

Intano, la Conferenza dei presidenti del parlamento europeo ha deciso di inviare una missione urgente per esaminare lo stato di diritto a Malta dopo i recenti sviluppi sul caso. Il parlamento discuterà della situazione a Malta nella plenaria di dicembre. A comunicarlo è stato l’eurodeputato dei Verdi Sven Giegold, che aveva partecipato alla precedente missione del parlamento a Malta, subito dopo l’omicidio della giornalista.

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L’attivista Wong: «L’Italia sostiene la repressione a Hong Kong»

Il fondatore di Demosisto: «Il vostro Paese fornisce mezzi e armi alla polizia». Poi la stoccata a Di Maio: «Deluso dalla sua indifferenza».

Doveva parlare dal vivo a Milano, ma non gli è stato concesso di lasciare Hong Kong. Joshua Wong, però, ha trovato comunque il modo di far arrivare le sue parole in Italia. L’attivista, fondatore del partito Demosisto e tra i volti più noti delle proteste pro-democrazia che da mesi attraversano l’ex colonia britannica, ha parlato in un collegamento video col nostro Paese, a cui non ha risparmiato dure critiche.

WONG: «L’ITALIA FACCIA COME GLI USA»

«Da cinque mesi viviamo la brutalità della polizia, che ormai usa armi da fuoco contro i manifestanti», ha detto. «Peraltro, ci sono anche aziende italiane che contribuiscono, e forniscono loro mezzi, tra cui autovetture. Credo che un Paese responsabile come l’Italia dovrebbe dimostrare quanto tenga alla libertà e prendere misure adeguate a questo riguardo». Wong ha invitato Roma «a prendere delle iniziative, per quanto riguarda l’esportazione di armi anti-sommossa e i mezzi utilizzati dalla polizia a Hong Kong, e di adottare misure simili al provvedimento approvato dagli Stati Uniti, con un chiaro messaggio da parte dell’Italia di fermare le violazioni dei diritti umani».

L’Italia rimanga fedele alle promesse fatte all’Unione europea, Ue che ha giurato che i diritti umani sono alla sua base

Joshua Wong

L’attivista ha poi criticato l’atteggiamento del ministro degli Esteri Luigi Di Maio: «Sono rimasto piuttosto deluso nel leggere le sue dichiarazioni indifferenti sulla terribile situazione dei diritti umani a Hong Kong», ha detto. «Sono consapevole che gli imprenditori e i leader politici abbiano paura di sollevare preoccupazioni sui diritti umani con Pechino, temendo che questo possa in qualche modo andare contro i loro interessi economici. La mia richiesta umile è che l’Italia rimanga fedele alle promesse fatte all’Unione europea, Ue che ha giurato che i diritti umani sono alla sua base e che non incoraggerà mai violazioni. Chiedo all’Unione europea e all’Italia di non chiudere gli occhi dinanzi alla crisi umanitaria Hong Kong».

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L’assurdo no del Comune di Schio alle pietre d’inciampo per i deportati

Bocciata una mozione del Pd per il posizionamento nei luoghi dove risiedevano le vittime dei lager. Per alcuni membri del centrodestra porterebbero «odio e divisioni». Ma anche Zaia si schiera contro il no.

È diventato un caso politico il ‘no’ del Consiglio comunale di Schio a una mozione presentata dal Partito democratico per il posizionamento di pietre d’inciampo dove risiedevano i deportati della città morti nei lager. La motivazione, ha sottolineato dalle pagine del Giornale di Vicenza Alberto Bertoldo di ‘Noi cittadini’, lista di maggioranza del centrodestra, è che iniziative del genere «rischiano di portare di nuovo odio e divisioni». Renzo Sella, dello stesso gruppo consiliare, ha aggiunto: «Come possiamo pensare di ricordare solamente qualcuno, a discapito di altri?».

MOZIONE DEDICATA ALLE 14 VITTIME DELLA CITTÀ

La mozione, che voleva ricordare le 14 vittime subite dalla città, è stata respinta nell’aula consiliare dalla maggioranza, con l’astensione della Lega. Per la senatrice Daniela Sbrollini di Italia viva «a Schio è stata scritta una brutta pagina. La bocciatura non trova giustificazioni». Secondo la parlamentare, «proprio per occuparsi degli sclediensi, Schio deve avere il coraggio di ricordare. Chi perde la memoria perde il suo futuro». Stefano Fracasso, capogruppo democratico al Consiglio regionale del Veneto, ha sottolineato che «la maggioranza ha bocciato la dignità della città. Proprio a Schio, dove un lungo e paziente processo di riconciliazione della memoria ha dato buoni frutti».

ZAIA: «ASSURDO BOCCIARE UN’INIZIATIVA SIMILE»

Sulla questione è intervenuto anche il governatore del Veneto Luca Zaia. «Ho sentito oggi il presidente della Comunità ebraica di Venezia Paolo Gnignati, al quale ho espresso solidarietà e la disponibilità della Regione, offrendo gli immobili regionali e gli spazi attigui per l’apposizione di pietre d’inciampo laddove vi siano opportuni motivi e riferimenti storici». «È imbarazzante», ha aggiunto, «anche solo sapere che si debba andare a un voto per decidere se mettere o no il ricordo di un deportato o di una vittima della Shoah e trovo assolutamente ingiustificata la posizione assunta a Schio».

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Sale a 41 il bilancio delle vittime del terremoto in Albania

Altri due cadaveri sono stati estratti dalle macerie a Durazzo. Il papa ha mandato un contibuto di 100 mila euro per aiutare la popolazione.

Il bilancio delle vittime del terremoto che ha colpito l’Albania martedì 26 novambre è salito a 41, mentre una nuova scossa di magnitudo 5.1 è stata avvertita a mezzogiorno del 28 novembre.

Panico a Durazzo, tra residenti e soccorritori che continuano a scavare tra le macerie dell’hotel Miramare, completamente distrutto. Intanto papa Francesco ha inviato un contributo di 100 mila euro per aiutare la popolazione nella fase emergenziale. La somma sarà impiegata nelle diocesi colpite dal sisma.

I centri che hanno pagato il tributo di vite più elevato sono Thumane, con 23 morti, e Durazzo con 18. Tra le vittime anche quattro bambini di età compresa da tre e otto anni e 17 donne.

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Yuya Mika rompe il silenzio sulla violenza contro le donne in Cina

La nota make-up artist sui social ha raccontato e documentato gli abusi subiti dall'ex compagno. Diventando un esempio e un simbolo in tutto il Paese.

In Cina la conoscono tutti come Yuya Mika, in Occidente come Mona Lisa.  In realtà il suo nome è He Yuhong, ha 28 anni ed è una vera celebrità del counturing, una specie di arte del make-up. Sì, perché lei, con pochi selezionati cosmetici e una spugnetta per il trucco, si trasforma nella riproduzione fedelissima di celebri opere d’arte e vip: dalle leonardesche Monna Lisa, appunto, alla Dama con l’Ermellino, fino all’enigmatica Ragazza con l’orecchino di perla o Ava Gardner, Jean Harlow, Johnny Depp e Marlene Dietrich

YUYA È DIVENTATA UN SIMBOLO CONTRO LA VIOLENZA SULLE DONNE

Da qualche giorno però, nel suo Paese, la Cina, l’artista è diventata un simbolo, un esempio per tutte le donne maltrattate che subiscono violenza dai loro compagni, fidanzati o mariti. Seguita su TikTok da oltre 2 milioni di utenti, ha scelto il Facebook cinese Weibo per denunciare coraggiosamente e pubblicamente gli abusi subiti dell’ex-compagno, Chen Hong, un illustratore 40enne di Chongqing, anch’egli molto conosciuto in Cina. E per farlo non ha scelto un giorno qualsiasi, ma proprio la Giornata mondiale contro la violenza sulle donne.

LA DENUNCIA VIA SOCIAL DELL’EX COMPAGNO

Sulla sua pagina social He ha postato le prove che incastrano senz’appello l’ex compagno: schermate, video registrati da telecamere di sorveglianza e addirittura le testimonianze delle due ex-mogli, che confermerebbero le violenze subite da Chen Hong. Dopo la denuncia coraggiosa di He – in un Paese come la Cina dove ancora oggi gli abusi e le violenze domestiche sulle donne vengono considerati una vergogna e non sono quasi mai denunciati – la polizia del distretto di Jiangbei, dove vivono sia lei che l’ex compagno, ha avviato un’indagine e la locale federazione femminile ha subito annunciato in un post su Weibo di essere pronta a fornirle assistenza legale gratuita. In realtà c’è preoccupazione per la sicurezza dell’artista e si temono ritorsioni, anche perché le telefonate al suo cellulare fatte da alcuni conoscenti martedì sono rimaste senza risposta. Ma Zhao Mengjiao, la sua migliore amica, ha rassicurato tutti dicendo che He si trova attualmente in un luogo sicuro e che il caso verrà gestito da un avvocato.

LE IMMAGINI DELLE AGGRESSIONI

Nei suoi post, He ha raccontato che le violenze e gli abusi sono iniziati in aprile quando Chen l’ha schiaffeggiata una dozzina di volte dopo un litigio. L’ex-compagno si è poi scusato ma la violenza è aumentata ulteriormente. In un altro caso la donna è stata trascinata fuori da un ascensore e tirata violentemente per i piedi, come documentano le riprese di sorveglianza. Chen in seguito l’ha presa per il collo e le ha sbattuto la testa contro il muro. Otto giorni dopo è stata picchiata di nuovo, con l’ex compagno che la spingeva a terra, sferrandole calci e calpestandola.

ABUSI CONFERMATE DALLE DUE EX MOGLI DELL’UOMO

Dopo la denuncia pubblica di He, anche le due ex mogli di Chen hanno deciso di uscire allo scoperto, confermando di essere state vittime di violenze. Jin Qiu, che ha divorziato dal disegnatore nel 2012, ha dichiarato in un drammatico video che l’ex marito l’ha maltrattata più volte durante il loro breve matrimonio, sbattendole violentemente la testa contro un muro. La prima ex moglie di Chen, che si è identificata solo come Abu, ha detto che gli abusi e le violenze di He rispecchiano quelli da lei subiti un decennio prima. «Ringrazio He», ha detto, «che con il suo coraggio mi ha dato la forza di denunciare. Se noi donne non lo facciamo, la stessa cosa potrebbe ripetersi molte volte. E ci saranno sempre più donne che saranno costrette a subire violenza in silenzio», ha concluso in lacrime.

IN CINA LA VIOLENZA DI GENERE È ANCORA UN TABÙ

La violenza di genere da parte di partner, mariti o compagni resta un tabù per le donne cinesi, che scontano ancora oggi una cultura fortemente improntata al maschilismo, che cerca ancora di relegarle nello spazio domestico, retaggio della visione confuciana, all’interno del quale la donna doveva restare, sottomessa e inerme ai voleri e all’arbitrio dell’uomo. La Cina si è dotata di una legislazione contro le violenze domestiche soltanto nel 2015, entrata ufficialmente in vigore nel marzo 2016, ma con caratteristiche che la rendono del tutto inadeguata e insufficiente a contrastare efficacemente quella che si profila ormai come una emergenza nazionale. La legge infatti stabilisce che l’atto di violenza domestica costituisce un’infrazione civile, non un reato. Mentre si calcola che almeno una donna su quattro sposata in Cina abbia subito violenze dal proprio partner.

UNA VITTIMA DI VIOLENZA DOMESTICA AL GIORNO

Secondo un rapporto del 2015 della Corte suprema del popolo, quasi il 10% dei casi di omicidio intenzionale riguardano episodi di violenza domestica. Ma per molto tempo i dipendenti del governo, sia avvocati sia giudici, hanno manifestato scarsa attenzione e ancor meno comprensione per la violenza contro le donne. Nel 2018, due anni dopo l’entrata in vigore della nuova legge, Equality, un’organizzazione per i diritti delle donne con sede a Pechino, ha fornito in un rapporto gli ultimi dati disponibili sui femminicidi in Cina. Si documentano 533 casi di omicidio per violenza domestica nei circa 600 giorni monitorati dallo studio, compresi tra il primo marzo 2016 e il 31 ottobre 2017, che hanno causato la morte di almeno 635 tra adulti e bambini, compresi vicini e passanti. Nel periodo in esame la media delle vittime è stata dunque di una al giorno e la grande maggioranza di esse sono donne.


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Yemen, 8 mila civili uccisi dalle bombe fabbricate (anche) in Italia

Il dato, reso noto da Oxfam, si riferisce agli ultimi quattro anni. Tra i principali fornitori di armi, anche Usa, Francia e Gran Bretagna.

Il conflitto regionale in Yemen ha causato in più di quattro anni circa 100 mila vittime, di cui 20 mila solo quest’anno. Lo ha denunciato il 28 novembre Oxfam, organizzazione umanitaria internazionale che da decenni lavora nel martoriato Paese arabo.

BOMBE FABBRICATE IN GRAN PARTE IN GB, USA, FRANCIA, IRAN E ITALIA

Dal 2015, secondo Oxfam, sono stati uccisi 12 mila civili, 8 mila dei quali hanno trovato la morte a causa di raid aerei sauditi, con bombe fabbricate in gran parte in Gran Bretagna, Stati Uniti, Francia, Iran e Italia.

Dall’inizio del conflitto in oltre un caso su tre l’uso di armi esplosive ha ucciso una donna o un bambino, vittime ‘collaterali’ di raid aerei o bombardamenti via terra

Oxfam

In Yemen sono in corso da anni diversi conflitti intrecciati fra loro e che coinvolgono attori locali accanto a potenze regionali e internazionali. La guerra a cui si riferisce l’ultimo rapporto di Oxfam è quella combattuta dal 2015 dalla Coalizione araba a guida saudita contro gli insorti Houthi, vicini all’Iran. In questo quadro, secondo Oxfam, «dall’inizio del conflitto in oltre un caso su tre l’uso di armi esplosive ha ucciso una donna o un bambino, vittime ‘collaterali’ di raid aerei o bombardamenti via terra che colpiscono aree popolate, campi profughi, scuole e ospedali».

IL NUMERO DI CIVILI UCCISI È AUMENTATO DEL 25% NEGLI ULTIMI TRE MESI

Secondo l’organizzazione internazionale, negli ultimi tre mesi il numero dei civili uccisi è aumentato del 25%. Dall’inizio del 2019 sono oltre 1.100 i civili uccisi, 12 mila dal 2015. E per Oxfam di questi 12 mila, 8 mila (67%) sono stati causati da raid aerei della Coalizione a guida saudita. «Bombardamenti che vedono l’utilizzo di armi prodotte in gran parte in Gran Bretagna, Usa, Francia, Iran e Italia».

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Il parlamento Ue ha dichiarato l’emergenza climatica

Via libera ad una risoluzione non legislativa. Uno degli obiettivi è ridurre le emissioni del 55% entro il 2030.

Il Parlamento europeo ha dichiarato l’emergenza climatica e ambientale in Europa e nel mondo, dando il via libera ad una risoluzione non legislativa. L’Eurocamera rilancia così la sfida alla futura Commissione europea a guida Ursula von der Leyen che da parte sua ha annunciato che entro i primi 100 giorni metterà sul tavolo una nuova agenda verde. Il testo è passato con 429 voti a favore, 225 contrari e 19 astensioni.

L’OBIETTIVO DI TAGLIARE LE EMISSIONI DEL 55% ENTRO IL 2030

La Plenaria del Parlamento europeo a Strasburgo chiede maggiori tagli alle emissioni di Co2 con l’aumento dal 40% al 55% degli obiettivi già al 2030. Il testo della risoluzione sulla conferenza delle parti sul clima (Cop25) in programma a Madrid da lunedì prossimo è passato con 430 voti a favore, 190 contrari e 34 astensioni.

SERVE UNA STRATEGIA PER LA NEUTRALITÀ CLIMATICA

Il Parlamento esorta la Commissione Ue a presentare alla Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici una strategia per raggiungere la neutralità climatica al più tardi entro il 2050. I deputati chiedono inoltre alla nuova presidente della Commissione europea von der Leyen di includere nel Green Deal europeo un obiettivo di riduzione del 55% delle emissioni di gas serra entro il 2030.

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