Come la classifica sulla qualità della vita 2019 fotografa il divario Nord-Sud

La graduatoria del Sole 24 ore incorona ancora Milano, e in generale città a province dell'arco alpino. In recupero anche Roma e Milano ma il Mezzogiorno resta indietro.

Milano conferma la sua leadership e vince per il secondo anno consecutivo la Qualità della vita 2019, la graduatoria del Sole 24 Ore giunta alla trentesima edizione e pubblicata il 16 dicembre sul quotidiano e sul sito. L’ultima classificata, quest’anno, è Caltanissetta mentre Roma e Napoli salgono alcuni gradini.

QUALI SONO GLI INDICATORI DEL SOLE

La Qualità della vita 2019 è una versione extra large della tradizionale indagine del quotidiano sul benessere nei territori, su base provinciale: rispetto all’anno scorso, infatti, il numero di indicatori è aumentato da 42 a 90, divisi in sei macro aree tematiche che indagano altrettante componenti dello star bene. Le classifiche di tappa sono: “Ricchezza e consumi”, “Affari e lavoro”, “Ambiente e servizi”, “Demografia e società”, “Giustizia e sicurezza”, “Cultura e tempo libero”.

IL BALZO DELLE GRANDI PROVINCE

Se il caso di Milano è emblematico, questa classifica fotografa le performance positive di tutte le province delle grandi città: Roma, diciottesima, sale di tre posizioni rispetto alla classifica dello scorso anno. Napoli, pur essendo nella metà inferiore della classifica generale (81°), rispetto alla scorsa edizione della Qualità della vita ha all’attivo una salita di 13 posizioni. Sulla stessa linea le performance di Cagliari, che fa un balzo di 24 posizioni (20°), Genova sale di 11 gradini (45°), Firenze di sette (15°) e Torino è 33esima (+ 5 sul 2018). Infine, Bari mette a segno un incremento di 10 posizioni, raggiungendo il 67° posto. Bologna in calo pur restando nella parte alta della classifica al 14° posto.

MILANO TOP PER LAVORO E RICCHEZZA, MALE SU SICUREZZA

Milano vanta più record: oltre alla prima posizione nella classifica generale, ottiene anche il primato nella categoria “Affari e lavoro“, il secondo posto nella classifica di tappa “Ricchezza e consumi” e il terzo in “Cultura e tempo libero“. È negativa, invece, la performance in “Giustizia e sicurezza“: il capoluogo lombardo, con la sua provincia, si piazza in ultima posizione soprattutto per numero di reati denunciati e litigiosità. Un dato che potrebbe essere letto anche come segno che a Milano, a differenza di altre realtà geografiche, i cittadini denunciano di più i reati.

BRILLANO LE CITTÀ DELL’ARCO ALPINO

Subito dietro il capoluogo lombardo, nella classifica generale 2019, si confermano le province dell’arco alpino: sul podio ci sono anche Bolzano e Trento, rispettivamente al secondo e al terzo posto, seguite da Aosta. A spingerle sono i record “di tappa”, ovvero le macro aree tematiche di cui è composta la classifica generale: Aosta è prima in “Ricchezza e consumi”, Trento vince in “Ambiente e servizi” e Bolzano in “Demografia e società”. Per gli altri record di tappa, Oristano è prima in “Giustizia e sicurezza” e Rimini in “Cultura e Tempo libero”. Nella top ten delle province più vivibili, dove si incontrano anche Trieste (5ª) e Treviso (8ª), quest’anno entra la provincia di Monza e Brianza, che sale di 17 posizioni fino alla sesta, Verona che ne guadagna sette e arriva al settimo posto e – a chiudere la top ten – Venezia e Parma che salgono rispettivamente di 25 e 19 piazzamenti.

IL SUD CONTINUA AD ARRANCARE

La coda della classifica è occupata dalle province del Sud: Caltanissetta occupa l’ultimo posto per la quarta volta nella storia dell’indice dopo le performance negative del 1995, nel 2000 e nel 2008. Foggia (105ª) e Crotone (106ª) la precedono di poco. Su base regionale, riemerge la contrapposizione Nord-Sud, con Trentino Alto-Adige, Valle d’Aosta e Friuli Venezia Giulia sul podio, seguite dal Veneto, presente nella top 10 con tre province, dall’Emilia-Romagna, che cresce, soprattutto nella classifica di tappa “Affari e lavoro”, e dalla Lombardia. In fondo alla classifica, invece, ci sono Sicilia e Calabria, rispettivamente ultima e penultima.

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I fedelissimi di Francesco per le finanze vaticane

Da Guerrero Alves fino a Tagle: chi sono e che compiti avranno gli uomini messi dal papa in posti chiave della Curia. Dove continua a ridursi la presenza italiana.

Il Vaticano ha da qualche settimana un nuovo super ministro per l’economia, Juan Antonio Guerrero Alves, gesuita, spagnolo di 60 anni che ha ricoperto nel tempo diversi incarichi organizzativi e di governo nella Compagnia di Gesù. È quello che si può definire un uomo di fiducia del papa, un ministro più ‘politico’ che ‘tecnico’; evidentemente dopo tanti ‘stop and go’ nel cammino di riforma delle finanze d’Oltretevere, Francesco ha deciso che sono davvero pochi quelli di cui ci si può fidare: fra questi rientrano certamente i gesuiti il cui ruolo, non a caso, sta crescendo sia in Curia che nel collegio cardinalizio. 

LA SFIDA DI GUERRERO E MARX

Il compito primario di padre Guerrero è quello di portare a termine uno dei passaggi chiave nel percorso di trasformazione delle finanze vaticane, ovvero la pubblicazione dei bilanci del piccolo Stato del papa. Un tassello che manca da diversi anni, nonostante gli annunci e le promesse fatte a partire dal 2014. Per far questo, tuttavia, il nuovo prefetto della segreteria per l’Economia dovrà riuscire a pianificare e razionalizzare le spese, verificare gli sprechi e le necessità reali di ogni ufficio vaticano, coordinare entrate e uscite. Queste attività sono esercitate dalla segreteria in collaborazione con un altro importante organismo, figlio anch’esso della riforma istituzionale voluta dal Papa: vale a dire il Consiglio per l’economia guidato dal cardinale Reinhard Marx, arcivescovo di Monaco e capo della Conferenza episcopale tedesca.

UN TESORETTO DI 700 MILIONI DI EURO

Tuttavia sia Guerrero che Marx dovranno vedersela ancora una volta con la segreteria di Stato che fino ad ora si è opposta a un suo ridimensionamento nel governo delle finanze. La recente vicenda dell’investimento confuso e opaco realizzato a Londra è appunto sintomo di questa situazione. La segreteria di Stato controlla infatti un proprio tesoretto, che ammonterebbe a circa 700 milioni di euro, una parte dei quali sono stati investiti nell’operazione immobiliare rivelatasi uni boomerang. In ogni caso, una fetta rilevante di questa cifra deriva dall’obolo di San Pietro, ovvero dalle collette dai fedeli per la carità del papa.

Il  punto in discussione è se il Vaticano può permettersi che certi fondi siano esclusi dai bilanci e gestiti dagli uffici della segreteria di Stato

In realtà è noto ormai da diverso tempo (almeno da Paolo VI in avanti) che il fondo d’emergenza costituito attraverso l’obolo e le donazioni delle chiese locali presso la segreteria di Stato, ha avuto diverse funzioni: coprire i buchi di bilancio del Vaticano in momenti di difficoltà, sopperire alle necessità amministrative più urgenti, consentire di intervenire in situazioni critiche. Sono risorse che, come ha spiegato lo stesso pontefice sul volo che lo riportava indietro dal Giappone, vanno pure investite, ma in modo corretto e trasparente (e su questo aspetto è scoppiato l’ultimo scandalo, non sulla necessità di far fruttare le risorse a disposizione).

IL PESO DI PAROLIN NELLE PROSSIME SCELTE

Il  punto in discussione, ora, è se il Vaticano – data l’importanza che la questione assume per credibilità della Santa Sede – può permettersi che fondi di questo tipo siano esclusi dai bilanci e gestiti dagli uffici della segreteria di Stato e non invece, per esempio, attraverso lo Ior riformato per garantire un maggior controllo sul loro utilizzo. In tal senso peserà, e non poco, la parola del Segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin, un altro dei più stretti collaboratori di Francesco, il quale ha mostrato più volte di non voler sottostare, dal punto di vista finanziario, ad altri organismi vaticani (come invece sembrava intendere l’ex prefetto della segreteria per l’Economia il cardinale australiano George Pell che entrò in rotta di collisione con Parolin).

IL SENSAZIONALISMO SULL’USO DELL’OBOLO DI SAN PIETRO

Di certo c’è che un certo sensazionalismo scatenato intorno all’uso dell’obolo di San Pietro – da ultimo da parte del Wall Street Journal – circa il fatto che le offerte dei fedeli non siano utilizzate per opere di carità ma per far “funzionare”  il Vaticano, sembra sproporzionato. Si parla infatti di una cifra che sta intorno ai 70 milioni di dollari l’anno, a volte meno, senza dubbio significativa ma che diventa ben poca cosa in termini assoluti se si considera, per esempio, che l’evasione fiscale in Italia tocca i 109 miliardi di euro annui. D’altro canto, proprio da un certo grado di efficienza della Santa Sede dipendono interventi e azioni umanitarie importanti promossi dal Vaticano e dalla Chiesa. Tuttavia, la trasparenza è altra cosa: per la credibilità della Chiesa la vera accountability è quella nei confronti dell’opinione pubblica, e qui la strada da percorrere è ancora lunga.

Con Tagle Francesco ha collocato un fedelissimo in un posto chiave sia per le missioni che per le finanze, ridimensionando ancora la presenza italiana nella Curia

Per questo non può passare inosservata un’altra nomina di peso fatta da Francesco negli ultimi giorni, quella del nuovo prefetto di Propaganda Fide, il dicastero per l’evangelizzazione dei popoli che può contare su un patrimonio immobiliare a oggi sconosciuto nonostante le tante ipotesi e illazioni. Si tratta del cardinale filippino Luis Antonio Tagle, da pochi giorni ex arcivescovo di Manila, a capo pure di Caritas internationalis, l’arcipelago mondiale delle organizzazioni cattoliche impegnate sul fronte della solidarietà verso i più poveri. Francesco, dunque, ha collocato un altro dei suoi fedelissimi in un posto chiave sia per le missioni che per le finanze, ridimensionando ancora  – va sottolineato – la presenza italiana nella Curia vaticana. A lasciare il posto di ‘papa rosso’  a Tagle infatti (questa secondo la tradizione la definizione attribuita al capo di Propaganda Fide), è stato il cardinale Fernando Filoni, diplomatico esperto e di lungo corso approdato a Propaganda Fide nel 2011 con Benedetto XVI che non aveva compiuto ancora l’età per andare in pensione (75 anni, Filoni ne ha 73).

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Israele, la palude fino a marzo 2020 (e oltre?)

Il primo pensiero, nella disillusione, corre al portafoglio. In Israele per le terze Legislative anticipate in un anno si bruceranno..

Il primo pensiero, nella disillusione, corre al portafoglio. In Israele per le terze Legislative anticipate in un anno si bruceranno altri milioni di dollari. Centinaia, per un campagna elettorale che il 2 marzo 2020 riprodurrà con ogni probabilità lo stallo del 9 aprile e del 17 settembre 2019. Altre settimane di caccia alle streghe da una parte, e di mobilitazione infuocata ad personam dall’altra. Di parti politiche che difficilmente si salderanno insieme. Sarà un altro referendum contro Benjamin “Bibi” Netanyahu: il primo ministro più longevo – e ostinato – di Israele che non si fa da parte a dispetto dei processi. Anzi proprio a causa di essi, e per l’incapacità degli oppositori di tradursi in alternativa politica. Per i quasi 6 milioni di elettori israeliani qualcosa di mai visto prima. Per ritmo di chiamate al voto e per prosciugamento della politica.

CAMPAGNA DI PROMESSE E FANGO

Yair Lapid, della coalizione Blu e bianco, ha invitato a «tenere lontano i bambini dalla campagna dell’odio, della violenza e del disgusto in televisione». Nelle ultime settimane si sono susseguiti gli incontri tra la sua lista centrista e il Likud di Netanyahu per un’intesa di governo mancata, prima dello scioglimento del parlamento. L’unica possibilità di evitare le urne era una grande coalizione tra le due grandi forze testa a testa – ma senza maggioranza -, posto che Lapid e il coleader Benny Gantz possono unire la Lista degli arabi-israeliani e l’ultradestra sionista di Avigdor Lieberman contro Netanyahu, ma mai in un loro governo. Così falliti i tentativi del Likud, e poi di Blu e bianco, di formare un esecutivo la sera del 10 dicembre Netanyahu, Lapid e il generale Gantz ancora si scapicollavano in tivù. A giurare la loro volontà eterna di mettere in piedi un governo di unità nazionale. E di non sperperare altri soldi pubblici

Israele terze elezioni 2020 Netanyahu
Il premier israeliano Benjamin Netanyahu (Likud) in campagna per le Legislative del 2020. GETTY.

I BLUFF DI NETANYAHU E GANTZ

Il premier e leader conservatore avrebbe chiamato a raccolta i suoi legali, valutando la possibilità di non cercare l’immunità sui tre procedimenti penali (per corruzione, frode e abuso d’ufficio) che lo riguardano. Dato che il nodo per un esecutivo bipartisan con Blu e bianco era la sua testa da premier. A meno che, era filtrato negli ultimi giorni, lo stesso non rinunciasse allo scudo legale (automatico per i parlamentari, non per i primi ministri in Israele) e sottinteso a ogni legge ad personam sulla giustizia nella nuova Legislatura. Gantz e Lapid avrebbero aperto in questo senso, come tentativo estremo: il massimo che potevano concedere senza «rinunciare ai principi fondamentali» che li avevano «portati in politica». A condurre due campagne sull’impresentabilità di Netanyahu. Non se ne è fatto ben presto di nulla: quantomeno “Bibi” bluffava, e forse non soltanto lui.

Queste terze elezioni hanno tre sole ragioni: corruzione, frode e abuso d’ufficio

Biano e blu

SUBITO IN CORSA ELETTORALE

Alla mezzanotte dell’11 dicembre, termine ultimo per approvare un nome di premier condiviso, la Knesset si è sciolta, deliberando come ultimo e indispensabile atto nuove elezioni il 2 marzo prossimo. Poche ore prima dal Likud era arrivato l’annuncio di primarie il 26 dicembre, per ricompattare il partito su Netanyahu leader. E ancora premier: da “Bibi” nessuna comunicazione sull’attesa rinuncia alla sua richiesta di immunità in parlamento. In compenso, mentre i deputati erano riuniti per indire l’ennesimo voto, Netanyahu assente rilanciava sui social l’imperativo a «vincere e vincere bene» contro la «cospirazione di Ganz e dei leader arabi a forzare per il voto». È già campagna elettorale, anche a Blu e bianco sono ripartiti alla carica sulle «sole tre ragioni per queste terze elezioni, trasformate da una festa per la democrazia a un momento di vergogna: corruzione, frode e abuso d’ufficio».

Israele terze elezioni 2020 Netanyahu
Il leader israeliano della coalizione Blu e bianco Benny Gantz. GETTY.

A MONTE ANCHE I PIANI DI LIEBERMAN

Non sbaglia – per una volta – Lieberman, l’ex ministro della Difesa arcinemico di Netanyahu e causa un anno fa della caduta del governo, quando rinfaccia ai leader del Likud (32 seggi) e a Blu e Bianco (33 seggi) di «non aver mai voluto davvero un governo di unità». E di aver portato Israele a «nuove elezioni inutili» con una «battaglia dell’ego in corso da mesi». Lieberman avrebbe voluto un governo di larghe intese – senza Netanyahu premier – tra le due principali forze, appoggiato esternamente dalla sua lista laica e ultranazionalista (otto seggi). Ma a patto che fosse tenuta fuori dal nuovo esecutivo la destra ultraortodossa (Shas e Giudaismo unito nella Torah), contraria alla leva obbligatoria chiesta insistentemente da Lieberman anche per gli ultraortodossi. Causa, questa, delle sue dimissioni da ministro, insieme alle campagne mancate su Gaza e al  suo odio per Netanyahu.

“BIBI” ARRETRA ANCORA, MA NON CEDE

Lieberman pregusta da un pezzo la caduta in disgrazia del premier dal 2009. Al terzo voto in un anno non ha perso l’occasione per scagliarsi contro di lui («io ho valori, tu solo interessi») in un velenoso post su Facebook. Ma la sua architettura non poteva compiersi: il Likud fatica non poco a disfarsi di “Bibi”, e di riflesso degli ultraortodossi alleati negli ultimi governi. Al netto di contestatori in ascesa come l’ex ministro Gideon Saar, corso a sfidare Netanyahu alle primarie, il consenso per il leader appare solido tra i conservatori . E gli ultraortodossi sono utili a Netanyahu come ministri e deputati per far passare leggi ad personam. Ne ha disperatamente bisogno: l’esecutivo ad interim che si trascina da un anno non ha i deputati per ottenere l’impunità. E “Bibi” ci spera, nonostante tutto: negli ultimi sondaggi Gantz e Lapid sono avanti a 37 seggi (33 il Likud), ma la maggioranza è lontana. Come gli elettori.

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Matera 2019, Pesaro Urbino 2033 presenta la candidatura

Giovedì 19 dicembre, alla vigilia della cerimonia di chiusura del suo anno da Capitale Europea della Cultura 2019, Matera ospiterà la presentazione del percorso di candidatura del territorio provinciale di Pesaro e Urbino al titolo di Capitale Europea della Cultura per il 2033.
Alle 18:30, presso Casa Cava, verrà presentato il logo della candidatura fresco di creazione, progettato da ISIA Urbino, Istituto Superiore per le Industrie Artistiche, la più importante istituzione pubblica di livello universitario per l’insegnamento del design, della comunicazione e della progettazione grafica ed editoriale. Saranno presenti il presidente della Provincia Giuseppe Paolini con Matteo Ricci e Maurizio Gambini sindaci delle città co-capoluogo Pesaro e Urbino.
L’iniziativa sarà l’occasione per offrire al pubblico un assaggio delle tante eccellenze culturali del territorio. Dopo la presentazione del logo, alle 19:00, sempre a Casa Cava, andrà in scena “Il barbiere di Siviglia smart” a cura dell’Orchestra Sinfonica Rossini con i cantanti dell’Accademia Rossiniana ‘Alberto Zedda’ del Rossini Opera Festival. L’evento si chiuderà con un momento conviviale che accenderà i riflettori sui tre prodotti DOP della provincia - la casciotta di Urbino, l’olio extra vergine di oliva di Cartoceto, il prosciutto di Carpegna - e del tartufo di Acqualagna. Ingresso con Passaporto per Matera 2019 e prenotazione su MateraEvents o presso l’Infopoint. L’evento sarà preceduto, alle ore 18:00, da un Concerto dal balcone in piazza Vittorio Veneto tenuto dagli interpreti del Barbiere smart, accompagnati al pianoforte da Donatella Dorsi.
“Il barbiere di Siviglia smart” è un progetto predisposto dall’Orchestra Sinfonica G. Rossini per le celebrazioni del 150° anniversario della morte di Gioachino Rossini (1868-2018), protagonista assoluto della musica di tutti i tempi. L’opera di Rossini che maggiormente è stata eseguita e non è mai uscita dal repertorio, fin dal suo tempestoso debutto avvenuto nel 1816, è Il barbiere di Siviglia; un’opera che contiene arie, duetti e pezzi d’insieme di grande valore, assoluta genialità e grande notorietà. Proposto in una versione agile e accattivante, con un’ampia selezione dell’opera e la presenza dei personaggi principali, lo spettacolo è concentrato nella durata di circa 75 minuti fra i numeri musicali e la lettura dei testi di raccordo fra un brano e l’altro; il risultato è un ritmo serrato in un continuo crescendo rossiniano. Il progetto ha riscosso, e continua a riscuotere anche ora, un grande successo, ogni volta che viene ospitato in importanti istituzioni concertistiche in Italia e nel mondo.

Bas 05

Caso Cucchi, due carabinieri imputati parte civile contro i colleghi

Colombo Labriola e Francesco Di Sano, coinvolti nel processo sui depistaggi, sostengono di essere stati «costretti a obbedire agli ordini»,

Due carabinieri imputati al processo sui depistaggi per la morte di Stefano Cucchi hanno annunciato l’intenzione di costituirsi parte civile nei confronti di altri due loro colleghi co-imputati per il reato di falso ideologico. Si tratta di Colombo Labriola e Francesco Di Sano, che intendono costituirsi parte civile nei confronti di Francesco Cavallo e Luciano Soligo, entrambi tenente colonnello e loro superiori in grado, dai quali – secondo i legali – avrebbero ricevuto disposizioni di modifica di alcuni atti. «L’ordine fu dato da chi, insistendo sulla modifica, sapeva qualcosa di più costringendo gli altri a eseguirla» – ha detto uno dei loro legali in aula. «Loro hanno subito un danno di immagine, come è successo per gli agenti della polizia penitenziaria».

«NON SAPEVAMO DEL PESTAGGIO»

«Non sapevamo del pestaggio», è la versione dei due. «Dopo i Cucchi, le vittime siamo noi. C’è stata una strana insistenza nel chiederci di eseguire quelle modifiche che all’epoca non capivamo. Oggi sappiamo tutto e per questo abbiamo deciso di costituirci parte civile. Non siamo nella stessa linea gerarchica, l’abbiamo subita, erano ordini».

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I sorteggi degli ottavi di Champions League 2019-2020 in diretta

Urna dai due volti per le italiane a Nyon. La Juve pesca il Lione, l'Atalanta il Valencia. Decisamente peggio va al Napoli, cui tocca in sorte il Barcellona.

Tra qualche brivido e molte speranze Juventus, Napoli e Atalanta hanno conosciuto l’esito del sorteggio degli ottavi di Champions League. A Nyon l’urna dell’Uefa ha dipinto un quadro dai due volti per le italiane, con Juventus e Atalanta premiate dalla Dea Bendata e il Napoli decisamente più sfortunato.

IL LIONE PER I BIANCONERI DI SARRI

I bianconeri di Maurizio Sarri hanno pescato il Lione, sulla carta l’avversario più morbido. Per gli uomini di Giampiero Gasperini, scongiurati gli spauracchi Barcellona, Liverpool e Paris Saint-Germain, è arrivato un avversario come il Valencia, decisamente alla portata dei bergamaschi.

MESSI SPAVENTA IL NAPOLI

Peggio è andata al Napoli, che dovrà vedersela col Barcellona. «Non ci dobbiamo lamentare», ha commentato a caldo Pavel Nedved. «Però è sempre difficile, se non arrivi in forma a febbraio e marzo non passi il turno questo è garantito». «Una grande squadra, una grande sfida, due gare affascinanti. Le affronteremo senza paura», ha detto invece Rino Gattuso, neotecnico del Napoli, commentando così – sul profilo ufficiale Twitter del club partenopeo – il difficile incrocio con il Barcellona.

GLI ACCOPPIAMENTI DEGLI OTTAVI

  • Borussia Dortmund-Paris Saint-Germain
  • Real Madrid-Manchester City
  • Atalanta-Valencia
  • Atletico Madrid-Liverpool
  • Chelsea-Bayern Monaco
  • Lione-Juventus
  • Tottenham-Lipsia
  • Napoli-Barcellona

SORTEGGIO FORTUNATO IN EUROPA LEAGUE PER INTER E ROMA

Sorteggio benevolo per le italiane anche in Europa League. Evitate le avversarie più ostiche, l’Inter se la vedrà con i bulgari del Ludogorets, la Roma con i belgi del Gent.

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Cina contro Usa per l’espulsione di due funzionari accusati di spionaggio

L'episodio risale al mese di settembre e rappresenta un inedito assoluto negli ultimi 30 anni. Pechino presenta una protesta formale.

La Cina ha presentato «una solenne protesta formale» agli Stati Uniti sull’espulsione, per la prima volta in oltre 30 anni, di due funzionari cinesi accusati di spionaggio. Lo ha annunciato il portavoce del ministero degli Esteri, Geng Shuang. L’episodio, riportato dal New York Times, è avvenuto a settembre: i funzionari dell’ambasciata erano entrati in auto con le rispettive mogli in una base militare in Virginia che ospita le forze per le Operazioni speciali. Le autorità Usa ritengono che almeno uno dei due fosse un agente sotto copertura diplomatica.

PECHINO CHIEDE DI CORREGGERE L’ERRORE

Geng ha definito le due espulsioni un «errore» e, in merito alla versione dei fatti data dal New York Times citando persone a conoscenza dell’episodio, ha definito le accuse di spionaggio «completamente contrarie ai fatti». Il portavoce, parlando nel corso della conferenza stampa del pomeriggio, ha chiesto «con forza agli Stati Uniti di correggere l’errore», sollecitando la «protezione dei legittimi diritti e interessi dei diplomatici cinesi».

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Banche, il private via maestra della riscossa

Anche il 2019 è stato un anno positivo per i mercati ma non semplice per le banche alle prese con tassi negativi e margini sotto pressione. Tra gli esempi virtuosi: Banca Generali nel private banking che ritorna sul Ftse Mib e guida i rialzi delle banche.

I titoli del comparto bancario a Piazza Affari sono saliti di oltre il 20% quest’anno, attestandosi sopra i 9.400 punti. Ma guardando al loro andamento negli ultimi anni, il quadro che emerge resta sconfortante. Rispetto a 10 anni fa, il calo è ancora dei due terzi, mentre anche in raffronto ai picchi toccati nell’estate del 2015 si ottiene un -50%.

Le banche hanno dovuto fronteggiare la profonda recessione che ha colpito l’Italia e la lunghezza delle procedure di recupero hanno concorso a determinare un elevato livello di crediti deteriorati che hanno toccato il picco del 20% per gli istituti commerciali.

ECONOMIA ITALIANA DEBOLE

Una crisi che in alcuni momenti ha visto un credito su cinque deteriorato. Ora il rapporto è sceso a circa 1 su 25, ma solo perché nel frattempo sono state effettuate cessioni di cosiddetti Npl a veicoli esterni e si sono così “puliti” i bilanci.

Su tutto, poi, resta la debolezza cronica dell’economia italiana sullo sfondo di una realtà creditizia caratterizzata dai tassi negativi. Gli istituti non riescono a maturare margini sufficienti sui prestiti erogati, a causa dei bassi interessi imperanti in questa lunga fase di accomodamento monetario. Un quadro complesso, tanto che un recente report della società di consulenza Oliver Wyman si intitolava “Banche Italiane su un piano inclinato”.

Gian Maria Mossa, Amministratore Delegato di Banca Generali

RISULTATI RECORD PER BANCA GENERALI

Dunque, per risollevarsi è indispensabile rivedere i modelli di business tradizionali basati su sportelli e commissioni bancarie ormai considerate commodity, puntando di più sulla tecnologia e il risparmio gestito. La strada maestra ai modelli di business più competitivi e considerati sostenibili per il futuro la fornisce ancora una volta il mercato. Andando ad analizzare la lista dei titoli più comprati nel 2019 sul listino principale di Piazza Affari (Ftse Mib) troviamo tra le migliori banche non i grandi istituti commerciali ma una banca private come Banca Generali che è salita di oltre il 70% in termini di total return tornando nel listino principale della Borsa italiana al posto di Unipol Sai proprio con il riesame dei titoli di dicembre. La società guidata da Gian Maria Mossa ha aumentato gli utili del 44% nei 9 mesi e la raccolta si avvicina ai 5 miliardi nel 2019 confermano la solidità nella crescita in un business che ha saputo riorganizzare il modello d’offerta riducendo i costi e allargando i servizi di protezione patrimoniale. Il titolo risulta anche il migliore allargando lo sguardo agli ultimi 10 anno dove il guadagno sfiora il 950% avvantaggiandosi della forte crescita messa a segno nel periodo (le masse sono passate da meno di 20 miliardi a 67 nei 9 mesi del 2019).

Guardando sempre all’andamento delle banche quest’anno troviamo a debita distanza le performance di Intesa col 20% circa di guadagno, Fineco con un +25% e Unicredit con un +32% e Ubi con un +16%. A conferma che la strada del consolidamento e dell’efficienza operativa anche tra chi ha effettuato operazioni straordinarie è risultata in salita quest’anno e che la sfida della competitività per i prossimi anni si gioca sul terreno sì delle dimensioni, ma anche dell’efficienza operativa e dell’innovazione.

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La manovra alla prova del Senato, battaglia su cannabis light e tobin tax

La finanziaria approda a Palazzo Madama per il voto di fiducia. Opposizioni all'attacco: mancano 700 milioni. Meloni e Salvini contro lo "spaccio di Stato".

La manovra si avvicina a incassare il primo via libera del parlamento. Nel pomeriggio del 16 dicembre, al Senato, il governo affronterà il voto di fiducia sul maxiemendamento da 958 commi. Blindare il testo potrebbe però non essere sufficiente. Da Palazzo Chigi, nella giornata del 15 sono arrivate nuove rassicurazioni con la garanzia che le coperture «ci sono». Pochi i rilievi che sarebbero arrivati dalla Ragioneria dello Stato, ha detto il viceministro all’Economia Antonio Misiani. Due misure però continuano a essere in bilico: i nuovi paletti per la vendita della cannabis light e l’introduzione della Tobin tax. Ma altre potrebbero saltare.

PER LE OPPOSIZIONI MANCANO 700 MILIONI

A quattro giorni dall’approvazione in commissione Bilancio a Palazzo Madama del testo, continuano a rincorrersi le voci di un ‘buco’ che secondo le opposizioni sarebbe di circa “700 milioni” e anche di conseguenti slittamenti dell’esame. Conti che non corrisponderebbero alla realtà secondo la maggioranza. Ma ora la parola è passata alla presidenza di Palazzo Madama che deve pronunciarsi sulle ammissibilità delle decine di norme approvate nel corso dell’iter parlamentare.

LEGGI ANCHE: Cosa prevede l’emendamento sulla cannabis light

INAMMISSIBILI NORME SU CANNABIS E TOBIN TAX

Dopo una prima fase dei lavori la presidente del Senato Elisabetta Casellati ha comunicato all’Aula il giudizio di inammissiblità delle norme che riguardano la cannabis light, la tobin tax (che introduceva un’aliquota dello 0,04% su alcuni tipi di transazione finanziarie online) e lo slittamento da luglio 2020 al primo gennaio 2022 della fine del mercato tutelato per l’energia. Prima del dibattimento il M5s, che ha firmato con il senatore Matteo Mantero l’emendamento che riscrive la legge sugli stupefacenti ritoccando all’insù le percentuali di Thc per cui è legale la vendita di canapa, aveva chiesto “terzietà” dalla seconda carica dello Stato. Con conseguente replica: la presidenza del Senato rivendica il proprio ruolo di garanzia e sottolinea come le proprie valutazioni in questi casi non siano mai “politiche” ma solo “tecniche”.

POLEMICA TRA M5S E CASELLATI

Subito dopo l’annuncio in Aula è scoppiato il caos. Due esponenti del M5s hanno chiesto alla presidente Elisabetta Casellati di dimostrare che la scelta non sia stata frutto della «pressione della sua parte politica». Il presidente ha replicato spiegando che è stata una «decisione meramente tecnica», aggiungendo: «Se ritenete questa misura importante per la maggioranza fatevi un disegno di legge». «Ci tengo a ringraziare tecnicamente il presidente del Senato», ha detto Matteo Salvini, «a nome di tutte le comunità di recupero dalle dipendenze che lavorano in Italia e a nome delle famiglie italiane per aver evitato la vergogna dello Stato spacciatore».

LE REVISIONI CHIESTE DALLA RAGIONARIA DI STATO

La Ragioneria di Stato intanto ha chiesto una settantina di correzioni alle modifiche apportate dalla commissione Bilancio alla manovra. Tra le 39 misure sotto la lente per le coperture anche il ripristino delle sconto in fattura per eco e sismabonus per i condomini, mentre si chiede lo stralcio della sospensione del reddito di cittadinanza in caso di lavori brevi e dell’estensione ai pediatri dei fondi per avere macchinari per gli esami in studio. A queste si aggiunge la richiesta di correzioni definite “di drafting” per altre 29 norme. Le modifiche dovrebbero essere fatte proprie per intero dalla commissione Bilancio del Senato che poi dovrebbe proporre all’Aula il maxiemendamento corretto, compresi gli stralci chiesti dalla presidenza di Palazzo Madama. Alcuni dei rilievi della Rgs coincidono con quelli di Casellati, ad esempio sulla Tobin Tax, altre invece incidono sulla scrittura, o sulle coperture, di altre norme. Nel caso della sospensione, anziché la decadenza, dal reddito di cittadinanza quando i beneficiari trovino un lavoro a tempo determinato, nella relazione dei tecnici si legge che la norma «comporta maggiori oneri non quantificati né coperti» e che «la relazione tecnica pervenuta è incongrua e inadeguata»: per questo motivo la Ragioneria chiede lo “stralcio” della norma. Idem per i pediatri.

POSSIBILE TESTO BLINDATO ALLA CAMERA

Le norme da passare al vaglio sono comunque numerose: secondo una bozza del maxiemendamento, messi uno in fila all’altro, i commi della manovra sfiorano quasi i mille. E lo spettro degli interventi è davvero ampio: si va da decine di micronorme, che riguardano realtà locali, alla plastic e sugar tax passando per la tassa sulla fortuna; dai ritocchi alle accise sui carburanti alle misure legate alla riscossione degli enti locali. Qualsiasi decisione prendano alla fine i senatori, alla Camera non resterà che convalidare le scelte dell’altro ramo del parlamento: i tempi ormai sono troppo stretti per riaprire il dossier senza voler mettere a rischio i conti pubblici con l’esercizio provvisorio. Una scelta che è costata una lunga mediazione all’interno delle forze politiche e che si annuncia oggetto di nuove polemiche con le minoranze. La Lega ha già annunciato di voler ricorrere alla Consulta, così come fece il Partito democratico lo scorso anno: la strada imboccata da maggioranza e governo, è stata l’accusa, ha esautorato totalmente una Camera dei propri poteri.

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Tim, c’è burrasca nei rapporti tra Gubitosi e Nardello

Tra i due non c’è più il feeling di un tempo. Anzi, sono sorti degli screzi. Colpa dei numeri deludenti. E di qualche eccesso del braccio destro dell'ad.

Cosa succede in Tim tra Luigi Gubitosi e il suo storico braccio destro Carlo Nardello? Dalle parti di Corso Italia ne parlano anche gli uscieri: tra i due non c’è più il feeling di un tempo. Anzi, sono sorti degli screzi.

QUELL’AUTORITRATTO “REGALE” DI NARDELLO

Sarà che i numeri dell’ex monopolista delle Tlc stentano a girare e i due maggiori azionisti, Elliott e Vivendi, pur divisi su tutto sono concordi nel lamentarsene, e dunque c’è tensione nel vertice manageriale. O sarà perché Nardello, fin qui un fedelissimo di Gubitosi, al quale deve i suoi precedenti ruoli in Rai e Alitalia, avrebbe un po’ ecceduto nella considerazione di sé, come certifica, tra le altre cose, un enorme quadro appeso al muro dietro la sua scrivania che lo raffigura in un atteggiamento regale. Un autoritratto che colpisce tutti coloro che varcano la soglia del suo ufficio, e che lo ha esposto a qualche commento ironico. Sia come sia, sta di fatto che in Tim le strade dell’amministratore delegato e del “Chief strategy, customer experience and transformation officer” – questa è la nutrita definizione professionale di Nardello – sembrano allontanarsi se non addirittura dividersi.

Gelo anche tra Nardello e la CSC Vision Srl, la società di pubbliche relazioni di Costanza Esclapon, di cui un tempo egli fu socio con il 30%

Tanto che sarebbe sceso il gelo anche nei rapporti tra Nardello e la CSC Vision Srl, la società di pubbliche relazioni di Costanza Esclapon, di cui un tempo egli fu socio con il 30%. La comunicatrice, da sempre stretta collaboratrice di Gubitosi che ha seguito prima in Rai e poi in Alitalia, e il marito, il bravo Simone Cantagallo – che all’arrivo dell’ad ha assunto, lasciando Lottomatica, il ruolo di capo della comunicazione di Tim – nella controversia hanno preso decisamente le parti di “Gubi”, come tutti lo chiamano ai piani alti e bassi della società di telecomunicazioni. E ora, che farà Nardello? Sembra che voglia giocare una partita tutta sua. E per far questo cerca alleanze tra i dirigenti di prima fascia di Tim. Ma finora si sussurra nei corridoi che l’unico che sembra dargli retta è il responsabile del Procurement e del Real Estate, Federico Rigoni. C’è da scommettere che la reazione di Gubitosi non si farà attendere.

Quello di cui si occupa la rubrica Corridoi lo dice il nome. Una pillola al giorno: notizie, rumors, indiscrezioni, scontri, retroscena su fatti e personaggi del potere.

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Tim, c’è burrasca nei rapporti tra Gubitosi e Nardello

Tra i due non c’è più il feeling di un tempo. Anzi, sono sorti degli screzi. Colpa dei numeri deludenti. E di qualche eccesso del braccio destro dell'ad.

Cosa succede in Tim tra Luigi Gubitosi e il suo storico braccio destro Carlo Nardello? Dalle parti di Corso Italia ne parlano anche gli uscieri: tra i due non c’è più il feeling di un tempo. Anzi, sono sorti degli screzi.

QUELL’AUTORITRATTO “REGALE” DI NARDELLO

Sarà che i numeri dell’ex monopolista delle Tlc stentano a girare e i due maggiori azionisti, Elliott e Vivendi, pur divisi su tutto sono concordi nel lamentarsene, e dunque c’è tensione nel vertice manageriale. O sarà perché Nardello, fin qui un fedelissimo di Gubitosi, al quale deve i suoi precedenti ruoli in Rai e Alitalia, avrebbe un po’ ecceduto nella considerazione di sé, come certifica, tra le altre cose, un enorme quadro appeso al muro dietro la sua scrivania che lo raffigura in un atteggiamento regale. Un autoritratto che colpisce tutti coloro che varcano la soglia del suo ufficio, e che lo ha esposto a qualche commento ironico. Sia come sia, sta di fatto che in Tim le strade dell’amministratore delegato e del “Chief strategy, customer experience and transformation officer” – questa è la nutrita definizione professionale di Nardello – sembrano allontanarsi se non addirittura dividersi.

Gelo anche tra Nardello e la CSC Vision Srl, la società di pubbliche relazioni di Costanza Esclapon, di cui un tempo egli fu socio con il 30%

Tanto che sarebbe sceso il gelo anche nei rapporti tra Nardello e la CSC Vision Srl, la società di pubbliche relazioni di Costanza Esclapon, di cui un tempo egli fu socio con il 30%. La comunicatrice, da sempre stretta collaboratrice di Gubitosi che ha seguito prima in Rai e poi in Alitalia, e il marito, il bravo Simone Cantagallo – che all’arrivo dell’ad ha assunto, lasciando Lottomatica, il ruolo di capo della comunicazione di Tim – nella controversia hanno preso decisamente le parti di “Gubi”, come tutti lo chiamano ai piani alti e bassi della società di telecomunicazioni. E ora, che farà Nardello? Sembra che voglia giocare una partita tutta sua. E per far questo cerca alleanze tra i dirigenti di prima fascia di Tim. Ma finora si sussurra nei corridoi che l’unico che sembra dargli retta è il responsabile del Procurement e del Real Estate, Federico Rigoni. C’è da scommettere che la reazione di Gubitosi non si farà attendere.

Quello di cui si occupa la rubrica Corridoi lo dice il nome. Una pillola al giorno: notizie, rumors, indiscrezioni, scontri, retroscena su fatti e personaggi del potere.

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Zingaretti e le sardine salvino la Puglia da Emiliano

L'Ilva, la xylella, ora la Banca popolare di Bari: la regione è sull'orlo del baratro, per colpa di una classe dirigente immobile e vanesia. Il segretario dem intervenga. E la piazza gli dia una mano.

Sono pugliese ma non è solo questa la ragione per cui mi voglio occupare dell’ultima disgrazia di questa regione, la Banca popolare di Bari, salvata il 15 dicembre da un decreto del governo Conte. Voglio far solo due osservazioni. La prima è che se la Puglia perde la sua eccentricità e diventa come quasi tutte le altre regioni meridionali, la battaglia per il Sud diventa impossibile. La seconda riguarda da vicino una parte politica, quella per la quale voto. Nell’arco di pochi anni, tutti segnati da una prevalenza del centrosinistra nelle maggiori città e nella regione, la Puglia ha avuto tre guai evitabili. Penso all’Ilva di Taranto, penso alla xylella, penso al dramma in corso della banca popolare.

UNA SITUAZIONE LASCIATA DEGENERARE

Il caso dell’Ilva riguarda migliaia di famiglie di operai non solo di Taranto e altre migliaia di famiglie della città che temono per la propria salute e per quella dei propri figli. La xylella riguarda il “giacimento di petrolio” della regione, cioè quella larga, meravigliosa distesa di ulivi che producono, per quantità e qualità, fra le migliori tipologie di olive e soprattutto di olio extra-vergine. Infine la Banca popolare di Bari in cui si sono riconosciuti molti risparmiatori e che interessa, come raggio d’azione, gran parte dell’economia pugliese. È esagerato dire che siamo di fronte a un burrone che si è aperto? No, non esageriamo. Soprattutto non esageriamo se diciamo che questo burrone non si è spalancato sotto i nostri piedi nel giro di poco tempo. La situazione è stata colpevolmente lasciata degenerare. Anche per l’ultimo caso, quello della banca popolare, siamo di fronte a una vicenda che è esplosa oggi ma che si sapeva sarebbe esplosa. Lo sapeva soprattutto la classe dirigente.

È mai possibile che Emiliano abbia attraversato la vita pubblica per decenni e mai si sia reso conto dei drammatici problemi che aveva di fronte?

Ovviamente qui mi interessa mettere l’accento sulla classe dirigente che governa anche se non si può dire che quella di opposizione abbia dato buona prova di sé. Taranto, uliveti e Popolare di Bari sono i tre banchi di prova non superati da chi ha governato la Puglia ad ogni livello, presidenti di regione, sindaci, ministri/e, consiglieri regionali e comunali compresi. Un fallimento totale e mi dispiace mettere nel calderone il bravo sindaco di Bari. La Puglia ha la classe dirigente più immobile, è dominata da poche figure egemoni che si sentono al di sopra delle critiche e, temo, delle leggi. Quando hanno preso decisioni, penso all’Ilva e alla xylella, hanno sbagliato gravemente. Non dovremo fare l’analisi del voto fra qualche mese, se il centrodestra, azzeccando il/la candidato/a, vincerà le prossime regionali. Come è possibile votare per i personaggi proposti dal Pd? È mai possibile che Michele Emiliano abbia attraversato la vita pubblica per decenni e mai si sia reso conto dei drammatici problemi che aveva di fronte ovvero abbia preso, come per la xylella e l’Ilva decisioni sbagliate, gravemente e colpevolmente sbagliate?

SE NON SI FANNO LE PULIZIE, LA REGIONE È PERSA

Non sente Emiliano che è arrivato il momento di salutare a centrocampo e di andare negli spogliatori e con lui la sua competitrice Elena Gentile, ex assessora alla sanità regionale ed eurodeputata e l’altro consigliere regionale, Fabiano Amati, anche lui da anni al vertice del potere? A casa, andate a casa. Leggiamo analisi sofisticate sulle ragioni delle sconfitte della sinistra. E se mettessimo in conto che perde perché in certe situazioni è del tutto incapace di affrontare e risolvere problemi complessi, perché spesso li complica di più, perché, come nel caso della Popolare, è complice o silente di fronte a banchieri avventurosi? Il fatto è che questi leader della sinistra non hanno tempo da perdere con i problemi dovendo occuparsi della propria immagine, in realtà molto sfigurata. Non so se ci sono sardine in Puglia. Non so che cosa pensi di fare Nicola Zingaretti. So che se non si fanno le grandi pulizie in Puglia, la regione è persa. Bisogna trovare altre figure pubbliche, più giovani, più generose, più capaci meno vanesie. Ci sono, ce ne sono quante ne volete, ma, per favore, Zingaretti commissari il Pd e le sardine aiutino questa gigantesca operazione di rinnovamento.

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Le Sardine puntano a superare il 25% dei consensi

Fissati gli obiettivi dopo la prima assemblea andata in scena a Roma in presenza di 150 animatori. Nessun partito per ora, ma sostegno alle liste di sinistra in Emilia-Romagna e Calabria.

Primo obiettivo non fermarsi e tornare nelle piazze ovunque, sul territorio. L’altro traguardo è superare il 25% dei consensi fra gli italiani. Dopo aver invaso le grandi città, le Sardine, riunite per la prima volta a Roma in assemblea, promettono battaglia nei territori: dalle periferie ai piccoli centri. «Particolare attenzione» sarà dedicata alla Calabria e all’Emilia-Romagna, dove tramonta l’ipotesi di una lista separata, in vista delle prossime elezioni. «Negli ultimi 30 giorni» – si legge in un lungo post su Fb – «le Sardine hanno scatenato una straordinaria energia, occorrerà molta pazienza per dare anche un’identità politica a questo fenomeno». Insomma, ancora movimento, il partito può attendere.

L’IMPEGNO DI CONTE SUL DECRETO SICUREZZA

All’indomani della conquista di piazza San Giovanni, luogo simbolo della sinistra politica e sindacale italiana, le Sardine ottengono comunque un primo risultato, seppure parziale: l’impegno del premier Conte a rivedere il decreto sicurezza. «Le richieste delle Sardine sui decreti sicurezza» – sottolinea il premier – «le abbiamo già ascoltate. Tra i punti del programma di governo c’era l’impegno a raccogliere le raccomandazioni del presidente Mattarella per ritornare a quella che era la versione originale del secondo decreto per come era uscita dal Consiglio dei ministri».

OLTRE 150 ANIMATORI NELLA RIUNIONE A PORTE CHIUSE

Così oltre 150 animatori delle manifestazioni locali di queste settimane si sono dati appuntamento in un palazzo occupato per fare il punto su come andare avanti. Una riunione a porte chiuse, durata oltre quattro ore, convocata per avere un primo contatto fisico tra persone in carne e ossa che sinora si sono parlate solo sui social. È stata anche l’occasione per dar vita a tavoli tematici, fare un primo bilancio di cosa si può migliorare nella convocazione delle piazze. Al momento niente che possa far pensare a un passaggio dal movimento spontaneo a qualcosa di più organizzato, lista o partito. Prima che parlasse il leader Mattia Santori, è una Sardina pugliese, Grazia De Sario, a escludere ogni esordio elettorale: «Non faremo un partito, non ci saranno candidature e non ci saranno liste civiche in Emilia-Romagna. Appoggeremo le liste di sinistra», taglia corto circondata dalle troupe tv. Poco più tardi, ai microfoni di Mezz’ora di più, anche se in modo meno esplicito, anche Santori allontana l’ipotesi di una loro discesa in campo: «Puntiamo a trovare un dialogo con la politica, non siamo ancora pronti a trovare né i punti del dialogo né un interlocutore del dialogo».

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La regia di Verdini dietro al possibile asse Renzi-Salvini

Si vocifera che abbia ospitato un incontro toscano tra i due Mattei. Che meditano di coalizzarsi per disfarsi dei rispettivi nemici: Zingaretti e Di Maio. Il retroscena.

A Firenze gli orfani del Nazareno ne parlano da mesi: Denis è tornato. Denis di cognome fa Verdini ed è l’ex richelieu di Berlusconi. Il ‘coordinatore’ del Pdl che per Silvio ha gestito per anni col bilancino quorum, premi di maggioranza, soglie di sbarramento e le poltrone. Colui che ha tessuto pazientemente le relazioni tra gli Azzurri e l’allora presidente della Provincia diventato poi sindaco grazie anche alla scelta tutta verdiniana dell’avversario, l’ex calciatore Giovanni Galli. Poi le inchieste giudiziarie, i processi, l’addio a Forza Italia fondando il gruppo parlamentare Ala (Alleanza liberalpopolare Autonomie) e lo sfaldamento del Patto del Nazareno saltato lo hanno allontanato dalla scena. Ma Denis, abituato a lavorare nel retrobottega, non si è mai fermato, ripetono in riva all’Arno. E ora è tornato. Anche se sta sempre a Roma e non solo per andare a cena al ristorante del figlio Tommaso (frequentatore della Leopolda) o con la figlia Francesca, fidanzata con Salvini. Dagli spifferi di palazzo echeggia la voce che partecipi pure alle riunioni strategiche della Lega.

QUEL PRESUNTO INCONTRO TRA RENZI E SALVINI A CASA VERDINI

L’indiscrezione raccolta da La Stampa su un presunto incontro tra i due Mattei «sorseggiando Chianti» nella casa di Denis al Pian de’ Giullari è stata smentita: «Renzi e Salvini non si sono incontrati a Firenze, meno che mai nella casa di Denis Verdini. I due senatori si sono invece incrociati in Senato come peraltro rivelato dai numerosi giornalisti presenti in occasione della seduta parlamentare. Ma non vi è stato invece alcun incontro toscano. E meno che mai si è bevuto Chianti in una casa privata», riporta una nota dell’ufficio stampa di Italia Viva. Seguita da una risposta de La Stampa che ha ribadito quanto scritto: «L’incontro c’è stato». Di certo, sono state scattate le foto della stretta di mano tra la moglie di Verdini, Simonetta Fossombroni, e Salvini  al convegno organizzato dal Tempo sull’Europa, intitolato Il ratto di Europa. Obiettivi dei Padri, delusione dei figli. Presente anche Denis con i suoi fedelissimi. Tra gossip, smentite, conferme e foto di Pizzi su Dagospia, qualcosa bolle in pentola. Non è un caso se Matteo Renzi si sta salvinizzando nella comunicazione, soprattutto quella sui social, ma anche berlusconizzando quando attacca le procure.

UN TRAGHETTATORE DALLA GRANDE ESPERIENZA

Serviva un regista come Verdini, dicono ancora le voci, per portare avanti il piano diabolico dei due Mattei: coalizzarsi temporaneamente per liberarsi in un colpo solo dei due rispettivi nemici: Renzi di Zingaretti e Salvini di Di Maio. Dopo aver fatto varare la manovra al governo Conte, così gli elettori sapranno già con chi prendersela nelle urne. Fantapolitica? Chissà. Di certo sarebbe un gioco da ragazzi per l’ex coordinatore nazionale di Forza Italia, traghettatore di grande esperienza. L’uomo che organizzava la vita politica di Berlusconi e specialmente quella parlamentare, mago dei numeri, capace di prevedere al millimetro l’andamento di un voto, il numero di tradimenti. L’uomo ombra: non partecipa ai talk show, non rilascia interviste, non cinguetta su Twitter. E in più fiorentino. «Verdini è un pragmatico, che conosce la prima regola della politica: i rapporti di forza», diceva di lui lo stesso Renzi. «Un comunista più anticomunista di questo non s’è visto mai», diceva di Renzi lo stesso Verdini. «Tutti mi chiedono cosa ci guadagnano a venire con me. Gli rispondo che sono il taxi. Vuoi rimanere al potere? Solo io ti conduco in dieci minuti da Berlusconi a Matteo», diceva Verdini di se stesso.

IL SOLDATO DENIS E UN ESERCITO CON DUE GENERALI

Un po’ Sassaroli di Amici Miei, un po’ Machiavelli di provincia, in realtà adora Pirandello e ha sempre preferito i personaggi in cerca d’autore per accompagnarli meglio da un partito all’altro. In Toscana, dove Verdini ha ancora molti contatti, Salvini non ha presentato una sua candidatura per le elezioni regionali. Un ottimo test per l’ex coordinatore azzurro che si chiama così perché il padre era un prigioniero di guerra e quando ritornò in Italia il primo soldato cui rivolse la parola aveva questo nome. A Firenze e nella Capitale ora qualcuno comincia a chiedersi come farà il soldato Denis a gestire un esercito con due generali

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I valori di Borsa italiana e spread del 16 dicembre 2019

Piazza Affari apre positiva dopo una settimana chiusa in calo. Il differenziale Btp Bund a 154 punti base. I mercati in diretta.

La Borsa italiana è in crescita dopo una settimana chiusa in calo (-0,26% a 23.329 punti) a dispetto delle altre Piazze europee, tutte positive in scia all’esito del voto nel Regno Unito e sul via libera americano all’accordo con la Cina sui dazi. A Piazza Affari l’indice Ftse Mib ha segnato un rialzo dello 0,45% a 23.435 punti. Apertura in rialzo per tutte le principali Borse europee. Londra guadagna lo 0,43% a 7.385 punti, Parigi lo 0,47% a 5.946 punti e Francofrte lo 0,51% a 13.349 punti.

LO SPREAD A 154 PUNTI BASE

Avvio di settimana stabile per lo spread tra Btp e Bund a quota 154 punti come venerdì in chiusura di giornata. Il rendimento del titolo decennale italiano è all’ 1,25%.

I MERCATI IN DIRETTA

9.22 – TUTTA L’EUROPA POSITIVA IN APERTURA

Apertura in rialzo per le principali Borse europee. Londra guadagna lo 0,43% a 7.385 punti, Parigi lo 0,47% a 5.946 punti e Francofrte lo 0,51% a 13.349 punti.

9.02 – PIAZZA AFFARI APRE IN RIALZO

Avvio di seduta positivo per Piazza Affari. L’indice Ftse Mib segna un rialzo dello 0,45% a 23.435 punti

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