Jumanji: The Next Level è il classico film di Natale senza pretese

Inseguimenti, ponti sospesi, animali selvaggi di ogni tipo: se volete passare un po' di tempo durante le feste in relax con la famiglia il secondo sequel dell'episodio del 1995 è quello che fa per voi. Una trama esile non certo per palati fini.

Jumanji: The Next Level riporta al cinema le incredibili avventure del gruppo di giovani che vengono trasportati all’interno di un videogioco, secondo sequel del film del 1995 Jumanji, dopo Jumanji – Benvenuti nella giungla del 2017. La situazione in questo capitolo della storia è complicata dalla presenza del nonno di Spencer, ragazzo che fa fatica ad abituarsi alla normalità dopo la prima esperienza nella giungla in cui ha avuto un avatar davvero eroico e possente, e del suo amico Milo, ruoli affidati alle star della comicità Danny DeVito e Danny Glover.

BLOCKBUSTER DAI RITMI DIVERTENTI

Il nuovo elemento su cui si sviluppa la narrazione si rivela vincente: i due personaggi alle prese con la scoperta delle regole del gioco, del loro nuovo “fisico” e di conoscenze e abilità inedite danno vita a momenti esilaranti grazie alle performance di Dwayne Johnson e Kevin Hart che interpretano alla perfezione lo spaesamento dei due personaggi. Karen Gillan e Jack Black sono nuovamente brillanti, e anche loro messi alla prova con uno scambio di ruoli, e la new entry Awkwafina conferma di essere in grado di passare dal registro drammatico del film rivelazione The Farewell – Una bugia buona ai ritmi necessari a far divertire gli spettatori del blockbuster.

AZIONI IN STILE VIDEOGIOCO E BUONI SENTIMENTI

Il cattivo Jorgen il Bruto, ben costruito sulla fisicità di Rory McCann, è poi un antagonista adatto alla situazione e gli elementi che ricreano le avventure dei videogame “vintage” sostengono bene una trama esile, ma efficace. Il regista Jake Kasdan aumenta la spettacolarità proposta dal film tra inseguimenti, ponti sospesi, animali selvaggi di ogni tipo, continui cambi di location e missioni da compiere, ovviamente in pieno stile videogioco, e il risultato è una commedia leggera, coinvolgente e con la giusta dose di azione e buoni sentimenti.

Una scena coi due protagonisti anziani.

FORMULA CALIBRATA PER GIOVANI E FAMIGLIE

Non manca infatti lo spazio per le amicizie da riallacciare, nuove occasioni e un pizzico di romanticismo, formula ben calibrata su un pubblico composto da giovani e famiglie. Jumanji: The Next Level, pur non proponendo nulla di veramente originale, appare però come un titolo perfetto per le festività natalizie che permettono di trascorrere più tempo in totale relax.

JUMANJI: THE NEXT LEVEL IN PILLOLE

LA SCENA MEMORABILE

Eddie e Milo si ritrovano nel mondo di Jumanji e iniziano a scoprirne i segreti e le nuove abilità a loro disposizione.

LA FRASE CULT

«Sono morto e mi sono trasformato in un piccolo boy scout pieno di muscoli?».

TI PIACERÀ SE

Ami i film per tutta la famiglia ricchi di avventura e divertimento.

DEVI EVITARLO SE

Non apprezzi i progetti spettacolari ideati senza troppe pretese.

CON CHI VEDERLO

Con la propria famiglia, per divertirsi insieme durante le feste.

PERCHÉ VEDERLO

Per trascorrere un po’ di tempo in totale relax immergendosi in un mondo fantastico.

Regia: Jake Kasdan; genere: commedia, avventura (Usa, 2019); attori: Dwayne Johnson, Jack Black, Kevin Hart, Karen Gillan, Awkwafina, Danny DeVito, Danny Glover, Alex Wolff, Nick Jonas.

1. SCENA SUI TITOLI DI CODA: LE BASI PER UN TERZO CAPITOLO

Una scena inserita durante i titoli di coda di Jumanji: The Next Level mostra l’arrivo a casa di Spencer di chi deve occuparsi di alcune riparazioni, ruolo affidato a Lamorne Morris, che scende nello scantinato e nota la console del videogioco, prendendola in mano. Come accade nel film originale del 1995 e nei romanzi di Chris Van Allsburg fonte di ispirazione per il franchise, nel mondo “reale” iniziano quindi ad apparire delle creature provenienti da quello fantastico. La continuazione della storia potrebbe quindi sviluppare nuovamente lo spunto narrativo di elementi incredibili e pericolosi che “invadono” la nostra realtà.

2. HOLLYWOOD APPREZZA: C’È LA FILA DI ATTORI

Dwayne Johnson ha rivelato che nel caso in cui venga realizzato un terzo capitolo di Jumanji ci sono già molte star che hanno espresso il desiderio di essere coinvolte nel progetto e “diventare” degli avatar. L’attore ha infatti spiegato che molti colleghi gli hanno chiesto di ottenere la possibilità di avere una parte nella realizzazione di un’avventura di Jumanji e essere “interpretati” da lui o da Kevin Hart.

3. COME INTERPRETARE DEVITO? OSSERVANDOLO

Danny DeVito ha raccontato che Dwayne Johnson lo ha osservato a lungo sul set per capire in che modo “interpretarlo” nel film. La star ha spiegato di non aver dato alcun consiglio al collega che ha semplicemente sfruttato nel migliore dei modi il tempo trascorso insieme per scoprire tutti i dettagli utili per lavorare sul set nel migliore dei modi.

4. DAGLI AVATAR L’IDEA DI COINVOLGERE DEGLI ANZIANI

Dwayne Johnson ha svelato di aver avuto l’idea di introdurre nella storia la coppia di anziani amici affidati poi a Danny DeVito e Danny Glover mentre parlava con Jake Kasdan dell’ipotesi di realizzare un sequel. Il fatto che in Jumanji vengano coinvolti gli avatar, che modificano totalmente l’aspetto fisico e le caratteristiche di una persona, lo hanno spinto a ipotizzare una storia in stile Cocoon, arrivando quindi al coinvolgimento nelle avventure nel mondo del videogame del nonno di Spencer e del suo amico.

5. ULTIMO FILM? JACK BLACK VERSO IL RITIRO

Jack Black, durante la promozione del film, ha svelato di non escludere che Jumanji: The Next Level sia il suo ultimo film. Da tempo l’attore ha infatti pensato a un possibile ritiro dal mondo dello spettacolo per poter trascorrere più tempo con la sua famiglia e per ora non ha deciso se accettare ulteriori progetti. Il 50enne Jack ha però ammesso che potrebbe valutare dei ruoli in qualche serie tivù, visto che l’impegno sul set sarebbe più lungo, ma con orari meno impegnativi.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Cosa sappiamo di Michael Schumacher sei anni dopo Meribel

Le condizioni del sette volte campione del mondo di Formula 1 sono ancora avvolte nel riserbo assoluto. Ma la speranza cresce.

Il 29 dicembre 2013 Michael Schumacher finiva contro un sasso a Meribel, sulle Alpi francesi, mentre sciava fuori pista col figlio Mick, e la sua vita cambiava per sempre. cambiò per sempre. Il sette volte campione del mondo di Formula 1 rimase in condizioni critiche e coma indotto per mesi e mesi e impiegò 254 giorni prima di lasciare l’ospedale per fare ritorno nella sua dimora a Gland, nel cantone di Vaud, sul lago di Ginevra. Da allora la famiglia si è chiusa nel riserbo totale, circondandolo di affetto e centellinando le informazioni date ai media.

NIENTE È RIMASTO INTENTATO

Da quel poco che si è saputo in questi anni, sono circa 10 gli esperti di riabilitazione, tra fisioterapisti, infermieri e accompagnatori, che aiutano la famiglia Schumacher nell’assistere Michael. «Niente è rimasto intentato per velocizzare la guarigione di Schumacher», ha scritto la Bild, riportando, tra le altre cose, come gli venga fatto ascoltare il rombo del motore della sua Ferrari. Dopo anni di silenzio e blackout, nel 2019 ci sono state però grandi novità: Schumi avrebbe visitato l’ospedale George Pompidou di Parigi in diverse occasioni e la scorsa estate sarebbe stato sottoposto a un trattamento sperimentale con cellule staminali. Secondo la testimonianza di un’infermiera riportata da Le Parisien, l’ex pilota sarebbe «cosciente».

LE PAROLE DELLA MOGLIE CORINNA

Poi di nuovo il silenzio, salvo qualche breve parentesi aperta dalla moglie Corinna: «Potete stare certi che è nelle migliori mani possibili», ha detto in un’intervista a She’s Magazine della Mercedes, «e che stiamo facendo di tutto per aiutarlo. Vi preghiamo di comprendere che stiamo seguendo le volontà di Michael nel mantenere riservato un argomento così delicato come la sua salute». Schumacher compirà 51 anni il 3 gennaio 2020 e ad oggi solo pochissime persone e amici hanno avuto la possibilità di avvicinarlo: Tra loro Jean Todt, il presidente della Fia ed ex capo della Ferrari: «Non passa mese, anche nei periodi più fitti di impegni, che io non passi a trovarlo e gli stia vicino a mio modo, nel modo che è ancora possibile», le parole dell’amico che un anno fa fece sapere di «aver visto il Gp del Brasile con lui».

PUBBLICATA UNA NUOVA PAGINA FAN

Proprio il 29 dicembre, nel giorno del sesto anniversario dell’incidente di Meribel, è stata pubblicata una nuova pagina di social media intitolata “KeepFightingMichael”, creata dal fan club della sua cittadina natale, Kerpen, vicino a Colonia. In occasione del lancio della pagina, Corinna Schumacher si è lasciata andare a una dichiarazione in cui molti hanno voluto vedere un segnale di speranza per i miglioramenti delle condizioni di salute del campione: «Le grandi cose iniziano sempre con piccoli passi», ha detto. Il fan club utilizzerà l’hashtag #KeepFighting per aumentare l’interesse sui social media. L’omonima fondazione della famiglia Schumacher sta raccogliendo fondi per la ricerca sulle lesioni cerebrali e del midollo spinale.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

I sogni di Putin si scontrano con la capacità produttiva russa

Mosca si pone come modello di una nuova era. E spera nello smantellamento dell'Ue. A partire dalla Brexit. Ma in economia e finanza il sistema del Cremlino non ha mai funzionato. Così le ambizioni dello zar non sono supportate.

La vocazione imperiale sta nei cromosomi di una nazione, della sua classe dirigente, e non è solo questione di forza, ma anche di astuzia. E di Storia. C’è un Paese che ha lo stesso Prodotto interno lordo (Pil), cioè la capacità di creare ricchezza misurata di solito su base annua, della Spagna, pur avendo più del triplo degli abitanti e ricchezze minerarie ed energetiche infinitamente superiori. Un Paese economicamente assai debole quindi. Essere come la Spagna quanto a Pil significa essere di un buon 25% più piccoli dell’Italia. Questo Paese ha prodotto una delle grandi culture, tra letteratura, musica e arti, dell’umanità, e da molto tempo cerca di non essere inferiore a nessuno quanto ad armi e capacità strategica, ma ha sempre fatto vivere il suo popolo assai meno bene di quanto non si viva da tempo nelle terre bagnate da Reno, Senna, Po, Tamigi ed Ebro. Eppure questo Paese si pone ormai come modello di una nuova era, come un tempo si atteggiava a faro della rivoluzione mondiale.

IL SENSO DELLA NAZIONE COME UNICA IDEOLOGIA

Il presidente russo Vladimir Putin è stato chiarissimo, anche nella conferenza stampa di fine anno il 19 dicembre 2019 a Mosca, una settimana dopo il trionfo della Brexit. Putin ha salutato questo responso delle urne con favore ricordando come il premier Boris Johnson abbia capito gli umori del suo Paese meglio degli oppositori. Interferenze russe nella politica britannica? Tutte illazioni, ha detto Putin. E ha indicato nel senso della nazione e della sua identità e missione, «l’unica ideologia possibile in una moderna società democratica».

PUTIN HA DECRETATO LA FINE DEL LIBERALISMO

A giugno 2019, intervistato dal Financial Times, Putin aveva decretato la fine del liberalismo (teoria storica con varie identità ma sempre basata su libertà individuali, consenso dei governati e uguaglianza di fronte alla legge) ormai «sopravissuto a se stesso», che ha «esaurito i suoi scopi» e minato dalla crescente ostilità degli elettori verso l’immigrazione, il multiculturalismo e i valori laici a spese di quelli religiosi. Putin vedeva in atto quindi anche nel mondo occidentale una trasmigrazione dal liberalismo al nazional populismo. E insisteva sulla conseguente fine dell’ordine internazionale creato dall’Occidente dopo il 1945.

MA L’ORIENTE RUSSO NON FUNZIONA ECONOMICAMENTE

Questo è un punto fermo moscovita a partire dalla crisi finanziaria del 2008, la prova che l’Occidente non funziona più. Il guaio è però che, in economia e finanza, neppure l’Oriente russo ha mai funzionato. Non è un mistero che la prima istituzione multilaterale occidentale da archiviare, secondo il Cremlino, sia l’Unione europea, un’organizzazione nata a suo tempo con il forte patrocinio americano e che Mosca considera un retaggio della Guerra fredda. Per questo la Brexit è stata salutata con favore. Per questo anche l’intervista di giugno, piena di accuse agli Stati Uniti, opera un netto distinguo fra la tradizionale diplomazia americana aspramente criticata e Donald Trump, trattato con rispetto e simpatia, anche perché Trump per motivi commerciali di breve termine, e di scarsa perspicacia, è ugualmente anti-Ue.

IL SOGNO DELLA FINLANDIZZAZIONE DELL’EUROPA

Per Mosca una crisi profonda e uno smantellamento dell’Unione sarebbe il coronamento di una politica secolare che ha visto nell’Europa occidentale da sempre una minaccia dovuta prima di tutto ai successi economici di quelle piccole nazioni oggi militarmente insignificanti ma, rispetto alla Russia, così produttive anche se moralmente corrotte, cosa che una certa cultura russa ripete da almeno 150 anni. Dagli zar a Lenin a Stalin a Putin la finlandizzazione dell’Europa è stato un sogno, prima molto ardito nell’epoca d’oro dell’industrializzazione e del potere europeo (1830-1913), poi a portata di mano nel 1945 non fosse altro per l’innaturale “ritorno” in Europa degli americani nel ’47, con la Nato e, poco dopo, le istituzioni europee. Finlandizzazione vuol dire una cosa molto semplice: simbiosi fra industria europea e materie prime russe, e rispetto dalla Vistola alla Manica per la diplomazia sovietica e i suoi missili.

TRUMP FRA OPPORTUNISMO E IGNORANZA STORICA

I tempi sembrano propizi, con l’Europa che si interroga sul suo futuro a fronte di una indubbia crisi e cambiamento del “vecchio” sistema americanocentrico. Quest’ultimo in parte un fenomeno naturale dopo oltre 70 anni e in parte frutto della profonda ignoranza storica e dell’opportunismo cronico di Trump. Il putinismo, nella sua proiezione diplomatica sull’Europa, ha obiettivi chiari e strategie ben mimetizzate. Vuole trarre vantaggio da un’Europa che si interroga sul futuro e sembra colta come già nei primi Anni 20 del 1900, dopo lo sfacelo della Grande guerra e per fortuna in forma blanda, da un attacco di quella che lo storico Guglielmo Ferrero aveva battezzato la grande peur, l’ansia da incertezza delle masse francesi (Ferrero coniò il termine per la Rivoluzione francese) e poi europee. La riscoperta del nazionalismo, sentimento nobile se moderato (patriottismo) e illogico nell’Europa di oggi se esasperato, è tutta qui, Brexit compresa, nella piccola grande peur in cerca di facili certezze.

L’ILLUSIONE DEMOCRATICA DI POTER SCEGLIERE

Putin si offre come soluzione. Per chi volesse un trattato sul putinismo un lungo articolo uscito nel febbraio 2019 sulla Nezavisimaya Gazeta e riassunto subito da alcuni giornali occidentali è un testo base. Lo ha scritto Vladislav Surkov, 55 anni, madre russa e padre ceceno, uomo d’affari e politico, già vice premier e ideologo ufficioso della russia putiniana e dal 2013 consulente personale di Putin. Surkov è il padre della formula della managed democracy, affidata a un capo «capace di ascoltare capire e vedere», migliore di quella «illusione di poter scegliere» che la democrazia formale occidentale (la definivano così anche i bolscevichi) promette e non mantiene.

PROGETTI DI GRANDEZZA E SCENARI DI SECOLO GLORIOSO

Il putinismo è «l’ideologia del futuro», sostiene Surkov, e «l’algoritmo politico» di Putin ha capito le cause della volatilità e per questo è sempre più seguito anche dai leader occidentali, spinti a offrire certezze e quindi nazionalismo. Il nazionalismo trionfante sarebbe la fine definitiva del sistema multilaterale americanocentrico e dell’Unione europea, e una grande vittoria russa. La Russia vive con Putin, dice Surkov, la quarta delle sue stagioni di grandezza, dopo quelle di Ivan il Grande (o il Terribile), di Pietro il Grande, di Vladimir Lenin, e sarà presto riconosciuta come faro del mondo intero. È ormai avviato «un secolo glorioso» per il sistema politico putiniano. Putin «gioca con i meccanismi mentali dell’Occidente», continua Surkov, «che non sanno come muoversi a fronte delle loro nuove prese di coscienza».

TENTATIVO DI INFLUENZARE L’OCCIDENTE

Le stesse cose diceva la diplomazia zarista di 115 anni fa, con il Mr. Vladimir di una fantomatica ambasciata russa ne L’agente segreto di Joseph Conrad. Mosca non gioca solo, con Putin, attraverso i «meccanismi mentali dell’Occidente», ma cerca anche di influenzarli. Le ramificazioni via internet sono numerose. Johnson ha bloccato prima del voto un rapporto dei Comuni sulle attività russe nella politica britannica, in genere si presume cose note ma ben elencate. L’appoggio informatico e no a Donald Trump è stato più o meno documentato. E per esempio chi cercasse su internet, in italiano, non faticherebbe a trovare voci chiare che sostengono in maniera decisa la crisi mortale del nostro mondo, dell’Ue in particolare, e il prossimo trionfo di Mosca e tutte le molto selettive versioni storiche ufficiali moscovite, a partire da una lettura del 1939, del patto Molotov-Ribbentrop e dell’inizio della Seconda guerra mondiale. Si veda per esempio vocidallestero.it, a gestione coperta dall’anonimato.

MA DIETRO LE AMBIZIONI I CONTI NON TORNANO

Nina L. Khrushcheva, Nikita era suo nonno, insegna relazioni internazionali alla New School di New York e sostiene da tempo che le ambizioni putiniane non sono supportate né da un accettabile funzionamento del sistema russo, che è una kleptocrazia dove lo stesso vertice ruba a man salva, né da una sufficiente capacità produttiva. «Nonostante i suoi sogni di grandezza, [la Russia] assomiglia a una piccola ex colonia dove ogni generale al potere vuole poter vantare un dottorato di ricerca solo per poter aumentare i suoi profitti». Non è una storia del tutto nuova. Piero Melograni, uno dei massimi storici italiani contemporanei, ricordava che l’Europa dell’Est, impero zarista incluso, era il 17% del prodotto mondiale nel 1913 e l’8% nel 1992 «dopo decenni di una disastrosa economia pianificata». Oggi il salario medio russo secondo Rosstat (statistiche ufficiali ai quali non molti credono) è di circa 580 euro e arriva nelle maggiori città a circa 1.200, e solo grazie a un’economia in nero stimata doppia rispetto a quella italiana ci si arrangia e si tira avanti.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

In Austria è accordo tra i Popolari di Kurz e i Verdi

Al partito del cancelliere andrebbero i ministeri di maggior peso. Agli ecologisti Infrastrutture-Ambiente-Energia. Intesa in dirittura d'arrivo.

A tre mesi esatti dalle elezioni politiche che avevano rafforzato i Popolari di Sebastian Kurz dopo lo scandalo Ibizia-Gate, l’Austria ha finalmente una nuova alleanza di governo. Nella notte tra il 28 e il 29 dicembre è infatti stato raggiunto l’accordo di massima tra l’Övp del cancelliere e i Verdi di Werner Kogler. Un accordo che era stato ampiamente anticipato e che ora si è concretizzato.

MANCA LA RATIFICA DEI VERDI

Ora manca solo la ratifica da parte dei Verdi. Il partito ecologista ha infatti convocato per il 4 gennaio l’assemblea, il cui voto – secondo lo statuto di partito – è vincolante per un’entrata nell’esecutivo. Il giuramento – secondo la stampa austriaca – potrebbe avvenire il 7 gennaio. «Gli ostacoli più grandi sono stati superati», ha confermato Kurz che, dopo lo scandalo che aveva colpito il vice cancelliere e leader del Fpö Heinz Christian Strache, aveva di fatto perso il vecchio alleato di ultradestra, scivolato di oltre 8 punti percentuali alle elezioni di settembre e deciso a ripartire dall’opposizione.

ALCUNI DETTAGLI DA CHIARIRE

Per il leader dei Verdi Kogler, restano da chiarire solo alcuni dettagli. Secondo il quotidiano Salzbuger Nachrichten, i ministeri di peso (Esteri, Interni, Finanze, Economia, Istruzione e Agricoltura) sono destinati ad andare alla Övp, mentre i Verdi riceveranno, oltre al ‘superministero’ Infrastrutture-Ambiente-Energia, anche Giustizia, Salute e Affari sociali. Sotto la guida ambientalista tornerebbe anche il ministero alla Cultura, che durante gli scorsi esecutivi non è stato un ministero autonomo.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

La nave Alan Kurdi è approdata a Pozzallo con 32 migranti

L'imbarcazione della Ong Sea Eye è entrata nel porto sicuro identificato dal Viminale. A bordo c'è anche una donna incinta.

L’Alan Kurdi è approdata nel porto di Pozzallo la mattina di domenica 29 dicembre. A bordo della nave della Ong Sea Eye c’erano i 32 migranti soccorsi nel Mediterraneo a Natale. Sulla banchina era pronta la macchina dell’accoglienza, anche se perché potessero cominciare le operazioni di sbarco si sono dovuti attendere i controlli medici. La decisione di assegnare Pozzallo come porto sicuro è stata assunta il 28 dicembre dal Viminale, tenendo conto della presenza a bordo di persone in condizioni di vulnerabilità.

SBARCO COMPLETATO

Le operazioni di sbarco sono state completate verso mezzogiorno. Dopo le visite mediche a cura del medico di porto Vincenzo Morello due persone sono state ricoverate nell’ospedale di Modica: una donna al settimo mese di gravidanza e un bambino di sei mesi che soffriva di otite. Il resto del gruppo quasi tutti nuclei familiari di nazionalità libica, è stato trasferito nell’hot spot di Pozzallo, che era stato svuotato perché i rifugiati arrivati nei mesi precedenti sono stati ricollocati in altri Paesi europei.

A BORDO 10 MINORI E UNA DONNA INCINTA

Dei 32 migranti soccorsi 10 sono minori, alcuni in tenera età, e cinque sono donne, compresa quella incinta di sette mesi. La Commissione europea ha già avviato, su richiesta dell’Italia, la procedura per il ricollocamento dei migranti sulla scorta del pre-accordo di Malta.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Viaggio nel cuore dell’Arabia Saudita che si apre al turismo

Dal sito archeologico di Al Ula fino al Mar Rosso: le perle del regno si svelano ai turisti di 49 Paesi. La stretta di Riad sui diritti si allenta. Ma la preoccupazione per la repressione resta. Il reportage.

Paesaggi marziani, scritture sulla pietra di epoca preislamica di civiltà misteriose, tombe nabatee scavate nella pietra rossastra, deserti vasti e incontaminati, palmeti, oasi. Il sito archeologico di Al Ula è un patrimonio ancora poco conosciuto, ma ora con l’apertura dell’Arabia Saudita al turismo internazionale diverrà meta di visitatori da (quasi) tutto il mondo. Sarà il gioiello della Corona, paradiso per gli archeologi e una frontiera da esplorare per i visitatori occidentali, nel cuore del deserto arabico prima quasi inaccessibile. Il principe ereditario Mohammed bin Salman l’ha visitata spesso negli ultimi tre anni e ha deciso di farne uno dei motori dell’industria turistica, all’interno del gigantesco piano di riforme economiche denominate Vision 2030.

AL ULA, CROCEVIA DI CAROVANE DA YEMEN E SIRIA

È un passo rivoluzionario. L’apertura al turismo implica l’apertura al mondo. Adesso i cittadini di 49 Paesi (Italia inclusa) possono ottenere un visto turistico, su Internet. Finora il Regno aveva aperto le sue porte solo ai pellegrini che visitavano La Mecca e Medina e a businessman che andavano nel Paese per viaggi d’affari. Al Ula avrà un ruolo importante, come lo ha avuto per millenni. Qui infatti si fermavano le carovane provenienti dallo Yemen a dalla Siria. Ad Al Ula sono passate antiche popolazioni come i Nabatei , i Dadan o i Laihaniti. Le tombe nabatee sono magnificenti, come il maestoso Girl Palace, dove se ne trovano 131, tutte di donne. La grandezza della tomba rispecchiava la ricchezza e l’importanza della famiglia. I Nabatei credevano nel Dio Sole, nella libertà di culto, bevevano vino e secondo le loro credenze la vita dopo la morte era migliore di quella terrestre.

I ROMEO E GIULIETTA DI ARABIA

Sono rimasti anche reperti del VI secolo prima di Cristo della città vecchia di Al Ula. Se ci si inerpica su una sua scaletta si accede ad una veduta magica della città. Tra palmeti, case basse marroni in terra e montagne di pietra che sovrastano il paesaggio. Qui si narra anche la leggenda di Jamal e Poteina, i Romeo e Giulietta di Arabia. Le rocce sono dalle fattezze più strane, modellate dal vento, dalla pioggia e dal sole. Come ad esempio la roccia a forma di elefante, Jbail al Elif. Immensa e suggestiva. Ma l’Arabia non è solo questo. Ci sono anche le bellezze sul Mar Rosso. Tra cui Gedda, effervescente città sul mare, tappa obbligata per i pellegrini che si recano alla Mecca e Medina. Il suo centro storico è incontaminato. La vita vi scorre come 100 anni fa. Botteghe, panifici, moschee, antiche librerie, case tradizionali con i tipici balconi in legno cesellato, il suk, puntellato di negozi di tessuti, dove si vendono abiti tradizionali di ogni foggia come l’abaya. A Riad è stato appena inaugurato un immenso sito archeologico, Diriyya, dove è stata ricostruita la città vecchia. Mura fortificate che circondano l’area, palmeti e strade piastrellate di ciottoli giallo-oro.

L’oasi di Al Ula vista dal castello della città vecchia.

Il progetto saudita di apertura al turismo è ambizioso, spiega Ahamed Al Iman, dirigente della Royal Commission of Al Ula. «Da noi lavorano persone da tutto il mondo. Archeologi americani, australiani, francesi, britannici, tedeschi, italiani. Al Ula è uno spazio di 22 mila chilometri quadrati. Immenso. Stiamo anche lavorando per ripristinare il circolo della vita degli animali. Non è raro incontrare nelle oasi che si susseguono percorrendo le strade cammelli che camminano in libertà, struzzi e cavalli». Secondo Al Iman, «il parco archeologico diverrà anche il palcoscenico dove si potranno esibire artisti internazionali. È già venuto Andrea Bocelli che per l’occasione ha usato un velo bianco attorno alla testa. È stato uno spettacolo incredibile fino a qualche tempo fa impensabile».

L’IMPATTO DEL TURISMO SUI COSTUMI

L’arrivo di milioni di turisti europei, americani, asiatici avrà anche un impatto sui costumi. Bin Salman ha già annunciato che non sarà più obbligatorio per le donne straniere che visitano il regno indossare l’abaya. Le saudite non devono chiedere più il permesso al “guardiano” maschio – il padre, il fratello o il marito – per viaggiare all’estero e possono guidare l’auto. Il 9 dicembre il regno ha anche posto fine alla segregazione di genere nei ristoranti. Il rinnovamento passa anche da sport e spettacolo. Il 22 dicembre s’è giocata – per il secondo anno consecutivo – la Supercoppa italiana di calcio. Prima ancora Riad aveva ospitato il match per il titolo mondiale dei pesi massimi. A gennaio è in programma la Parigi-Dakar. In quello scorso Mariah Carey, con indosso un tubino stretch in paillettes nere, è stata la prima artista internazionale ad esibirsi nel regno da quando sono state lanciate le riforme. E il governo ha l’obiettivo di inaugurare 100 sale cinematografiche con oltre 2.500 schermi entro il 2030.

Voi ci dipingete come beduini che vivono nelle tende e hanno i loro cammelli, ma la nostra mentalità è cambiata

Ahamed Al Iman, Royal Commission of Al Ula

I critici temono che questo tour de force di riforme finisca per scioccare i sudditi, abituati a una vita tradizionale. Ma Ahmad, proprietario di una piantagione di palme da dattero proprio ad Al Ula, avvisa: «Voi ci dipingete come beduini che vivono nelle tende e hanno i loro cammelli. Per noi è importante l’ospitalità, la generosità, è vero. Quando abbiamo un ospite a casa gli offriamo il caffè e i datteri e in quell’occasione invitiamo anche i nostri vicini di casa per condividere il momento insieme. Però ora la nostra mentalità è cambiata, non siamo solo questo. Il regno si vuole aprire. È arrivato il momento di cambiare».

LE RIFORME NON CANCELLANO LA REPRESSIONE

In questo quadro, le criticità – sia sul fronte interno sia su quello internazionale – restano. Le riforme sono accompagnate una dura repressione di chi è critico nei confronti del governo. Negli ultimi due anni, gli episodi che più hanno indignato riguiardano attiviste arrestate e torturate o uomini d’affari arbitrariamente rinchiusi nella prigione di extra-lusso del Ritz Carlton di Riad accusati di corruzione. Senza dimenticare il caso del giornalista del Washington Post Jamal Khashoggi, fatto a pezzi da funzionari sauditi nel consolato di Istanbul. Uccisione che ha incrinato i rapporti del regno con la comunità internazionale, già tesi per via della guerra in Yemen.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Attacco con machete in una casa di un rabbino a New York

Violenza antisemita a Monsey. Ferite cinque persone, due sono gravi. Cuomo: «Un atto spregevole e codardo. Tolleranza zero».

È entrato in casa di un rabbino nella settima giornata delle celebrazioni di Hannukah e, con il viso coperto in parte con una sciarpa e armato di machete, ha seminato il panico fra i presenti, ferendone almeno cinque, tutti ebrei chassidisti, di cui due sono in condizioni gravi. L’attacco è avvenuto a Monsey, circa 50 chilometri a Nord di New York. Secondo i media americani l’autore, che era riuscito a scappare dall’abitazione limitrofa alla sinagoga nonostante i vari tentativi di fermarlo (anche con un piccolo tavolo per bloccargli il passaggio), è stato arrestato dalla polizia.

UN UOMO COLPITO IN PIENO PETTO

In un primo momento i media americani parlavano di un attacco in una sinagoga, ma successivamente l’Orthodox Jewish Public Affairs Council ha precisato in un tweet che è stata presa di mira l’abitazione di un rabbino. Al momento le ricostruzioni sono tutte parziali: si sa che alcuni dei feriti sono stati colpiti ripetutamente, uno almeno sei volte, un altro in pieno petto ed è quello nelle condizioni peggiori. Un’altra persona è rimasta ferita solo leggermente a un dito.

UNA LUNGA SERIE DI ATTACCHI

L’episodio si inserisce in una serie di attacchi antisemiti che si sono verificati negli ultimi giorni a New York: incidenti che hanno fatto alzare la guardia e rafforzare i controlli di polizia nell’area di Brooklyn, quella più colpita. «Un atto spregevole e codardo», ha commentato il governatore dello Stato di New York, Andrew Cuomo. «Voglio essere chiaro: l’antisemitismo e l’intolleranza sono ripugnanti e abbiamo assolutamente tolleranza zero per tali atti di odio», ha aggiunto.

«SERVE MAGGIORE PROTEZIONE»

«Monitoriamo le informazioni che arrivano da Monsey», ha affermato la polizia anti-terrorismo di New York. A condannare l’attacco è anche il procuratore di New York, Letitia James: «C’è tolleranza zero per atti di odio di qualsiasi tipo, continueremo a monitorare la situazione» a Monsey. «Dopo gli attacchi dell’ultima settimana a Brooklyn e Manhattan spezza il cuore vedere ancora violenza. La comunità ebraica ha bisogno di maggiore protezione», ha affermato il numero uno dell’Anti-Defamation League.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Il governo britannico pubblica per errore gli indirizzi di alcuni vip

Online gli indirizzi di oltre mille destinatari dei New Year Honours: tra loro politici, star del calibro di Elton John.

Il governo britannico è in imbarazzo dopo la pubblicazione, per errore, degli indirizzi di oltre mille destinatari dei cosiddetti New Year Honours, le tradizionali onorificenze reali: tra loro politici, star del calibro di Elton John, ma anche decine di funzionari della difesa e dell’antiterrorismo, con evidenti implicazioni per la sicurezza. Una svista, ha ammesso l’ufficio del gabinetto che si è scusato per quanto accaduto, assicurando di aver rimediato in breve tempo.

ANCHE OLIVIA NETWON JOHN E BEN STROKES TRA LE VITTIME DELLA ‘SVISTA’

Tra i 1.097 destinatari delle onorificenze del 2020 ci sono anche il giocatore di cricket Ben Stokes, l’attrice Olivia Newton John, l’ex leader del Partito conservatore Iain Duncan Smith, la cuoca televisiva Nadiya Hussain e l’ex capo dell’Ofcom (l’authority per le comunicazioni) Sharon White. Tra gli altri, diversi funzionari di governo, accademici, leader religiosi, sopravvissuti all’Olocausto. Ma anche funzionari della Difesa e alte gerarchie della polizia, quindi personalità considerate sensibili dal punto di vista della sicurezza. C’è chi ha preso questa vicenda con filosofia, come Mete Coban, pioniere delle attività caritatevoli che ha ricevuto un’onorificenza per il suo lavoro con i giovani, che si è detto non troppo preoccupato per l’errore. Al contrario, Big Brother Watch, organizzazione britannica che si occupa di privacy e tutela delle libertà civili, ha definito «estremamente preoccupante che il governo non mantenga una solida stretta sulla protezione dei dati e che le persone che ricevono alcuni dei più alti onori siano messe a rischio per questo». Ed il ministro ombra per l’ufficio del gabinetto, Jon Trickett, ha evidentemente rincarato la dose: «Se il governo non è in grado di proteggere dati sensibili, come possiamo aspettarci che risolva le importanti questioni del nostro Paese?».

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Il governo britannico pubblica per errore gli indirizzi di alcuni vip

Online gli indirizzi di oltre mille destinatari dei New Year Honours: tra loro politici, star del calibro di Elton John.

Il governo britannico è in imbarazzo dopo la pubblicazione, per errore, degli indirizzi di oltre mille destinatari dei cosiddetti New Year Honours, le tradizionali onorificenze reali: tra loro politici, star del calibro di Elton John, ma anche decine di funzionari della difesa e dell’antiterrorismo, con evidenti implicazioni per la sicurezza. Una svista, ha ammesso l’ufficio del gabinetto che si è scusato per quanto accaduto, assicurando di aver rimediato in breve tempo.

ANCHE OLIVIA NETWON JOHN E BEN STROKES TRA LE VITTIME DELLA ‘SVISTA’

Tra i 1.097 destinatari delle onorificenze del 2020 ci sono anche il giocatore di cricket Ben Stokes, l’attrice Olivia Newton John, l’ex leader del Partito conservatore Iain Duncan Smith, la cuoca televisiva Nadiya Hussain e l’ex capo dell’Ofcom (l’authority per le comunicazioni) Sharon White. Tra gli altri, diversi funzionari di governo, accademici, leader religiosi, sopravvissuti all’Olocausto. Ma anche funzionari della Difesa e alte gerarchie della polizia, quindi personalità considerate sensibili dal punto di vista della sicurezza. C’è chi ha preso questa vicenda con filosofia, come Mete Coban, pioniere delle attività caritatevoli che ha ricevuto un’onorificenza per il suo lavoro con i giovani, che si è detto non troppo preoccupato per l’errore. Al contrario, Big Brother Watch, organizzazione britannica che si occupa di privacy e tutela delle libertà civili, ha definito «estremamente preoccupante che il governo non mantenga una solida stretta sulla protezione dei dati e che le persone che ricevono alcuni dei più alti onori siano messe a rischio per questo». Ed il ministro ombra per l’ufficio del gabinetto, Jon Trickett, ha evidentemente rincarato la dose: «Se il governo non è in grado di proteggere dati sensibili, come possiamo aspettarci che risolva le importanti questioni del nostro Paese?».

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Dopo il calcio, Cristiano Ronaldo sogna il cinema di Hollywood

Una volta detto addio allo sport, il campione vorrebbe recitare in film importanti: «Voglio uscire dalla mia zona di confort. Quando lo fai, è una grande sfida».

«C’è vita dopo il calcio, ed è importante ricordarselo: vincere più Palloni d’oro e Champions mi rende più felice ma è solo una tappa». A Dubai, dove si trova per l’assegnazione dei Globe Soccer Awards, ecco il Cristiano Ronaldo che non ti aspetti, che mantiene intatto il desiderio di vincere («Spero che il 2020 sia un anno eccellente, come lo sono stati questi ultimi, anzi spero sia fantastico») ma filosofeggia sulla vita e rivela i suoi desideri per quando smetterà di giocare: «Non succederà a breve, ma quando accadrà avrò l’umiltà giusta di rendermi conto se la mia mente sarà più veloce del mio corpo». E tra i suoi sogni c’è Hollywood: «Recitare al top è un qualcosa a cui voglio prepararmi». Ecco quindi il CR7 in futuro attore, non tanto per vanità personale come potrebbe pensare chi non lo conosce e si ferma alle apparenze: «Voglio uscire dalla mia zona di confort. Quando lo fai, è una grande sfida e a me piacciono le sfide: voglio sorprendere prima me stesso e poi gli altri, e continuare a raggiungere traguardi».

LA LETTURA COME HOBBY PER IL TEMPO LIBERO

Nel frattempo c’è il Cristiano extra calcio di oggi, quello per il quale è importante trovare ogni giorno un paio d’ore da dedicare a se stesso: «Magari per rilassarmi o leggere un libro». Già i libri, forse uno dei rimpianti di uno che dalla vita ha avuto tutto. «Ho quattro figli e se mi chiedono qualcosa e non so rispondere mi vergogno, quindi devo autoeducarmi, perché per via del calcio non ho potuto studiare molto, ma quando mi chiedono qualcosa devo poter rispondere. Così quando avevo 26-27 anni ho cominciato ad essere più curioso nei confronti della vita, ad informarmi di più, a parlare meglio l’inglese, e a leggere un buon libro che fa crescere la tua intelligenza e la tua cultura».

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Dopo il calcio, Cristiano Ronaldo sogna il cinema di Hollywood

Una volta detto addio allo sport, il campione vorrebbe recitare in film importanti: «Voglio uscire dalla mia zona di confort. Quando lo fai, è una grande sfida».

«C’è vita dopo il calcio, ed è importante ricordarselo: vincere più Palloni d’oro e Champions mi rende più felice ma è solo una tappa». A Dubai, dove si trova per l’assegnazione dei Globe Soccer Awards, ecco il Cristiano Ronaldo che non ti aspetti, che mantiene intatto il desiderio di vincere («Spero che il 2020 sia un anno eccellente, come lo sono stati questi ultimi, anzi spero sia fantastico») ma filosofeggia sulla vita e rivela i suoi desideri per quando smetterà di giocare: «Non succederà a breve, ma quando accadrà avrò l’umiltà giusta di rendermi conto se la mia mente sarà più veloce del mio corpo». E tra i suoi sogni c’è Hollywood: «Recitare al top è un qualcosa a cui voglio prepararmi». Ecco quindi il CR7 in futuro attore, non tanto per vanità personale come potrebbe pensare chi non lo conosce e si ferma alle apparenze: «Voglio uscire dalla mia zona di confort. Quando lo fai, è una grande sfida e a me piacciono le sfide: voglio sorprendere prima me stesso e poi gli altri, e continuare a raggiungere traguardi».

LA LETTURA COME HOBBY PER IL TEMPO LIBERO

Nel frattempo c’è il Cristiano extra calcio di oggi, quello per il quale è importante trovare ogni giorno un paio d’ore da dedicare a se stesso: «Magari per rilassarmi o leggere un libro». Già i libri, forse uno dei rimpianti di uno che dalla vita ha avuto tutto. «Ho quattro figli e se mi chiedono qualcosa e non so rispondere mi vergogno, quindi devo autoeducarmi, perché per via del calcio non ho potuto studiare molto, ma quando mi chiedono qualcosa devo poter rispondere. Così quando avevo 26-27 anni ho cominciato ad essere più curioso nei confronti della vita, ad informarmi di più, a parlare meglio l’inglese, e a leggere un buon libro che fa crescere la tua intelligenza e la tua cultura».

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Continua lo scontro tra Fioramonti e il M5S sui rimborsi

L'ex ministro dell'Istruzione ribadisce le sue critiche al sistema delle restituzioni. Il Movimento minaccia sanzioni ed espulsioni. Ipotesi però poco concreta.

È alta tensione all’interno del Movimento Cinque Stelle sul tema dei rimborsi, al centro del dibattito pentastellato dopo il clamoroso addio di Lorenzo Fioramonti al governo e le sue frizioni con i vertici dello stesso Movimento. L’ex ministro dell’Istruzione ha ribadito le sue critiche al sistema delle restituzioni a carico dei parlamentari Cinque Stelle di parte dei loro emolumenti. Su questo punto – scrive su Facebook – c’è «il risentimento dei parlamentari e l’imbarazzo dei gruppi dirigenti per un sistema gestito da una società il cui ruolo rimane a tutti poco chiaro». Pronta la replica dei vertici del Movimento che, attraverso il blog delle Stelle, lanciano una sorta di ultimatum a chi non restituisce: «Per coloro che dopo il 31 dicembre saranno ancora in ritardo si attiveranno i Probiviri», spiega il post. Difficile, tuttavia, che l’avvertimento abbia affetto. Anche perché, nei gruppi del M5S, il nodo delle restituzioni unisce malpancisti di varia origine.

Gli esperti di comunicazione mi hanno spiegato che alle fake news non si replica, perché rischi di dare la notizia due…

Posted by Lorenzo Fioramonti on Saturday, December 28, 2019

FIORAMONTI: «METODO FERRAGINOSO E POCO TRASPARENTE»

Sui rimborsi, Fioramonti parla di «metodo farraginoso e poco trasparente con cui si gestiscono le nostre restituzioni». Ma l’ex ministro va oltre, lanciando un appello ai capigruppo 5S per chiedere loro di «chiarire la situazione», perché, aggiunge, «gli attacchi di questi giorni nei miei confronti sono davvero inaccettabili». E infine rimarca: «Le mie posizioni si conoscevano benissimo quando, a Settembre, venni nominato Ministro. Ed erano note anche quando tutti si congratulavano con me, per il lavoro svolto e per chiedermi di non mollare». Parole che per ora si infrangono sul muro dei vertici del Movimento e di Luigi Di Maio. «A partire dal mese di novembre tutti i parlamentari in ritardo con le rendicontazioni e le relative restituzioni sono stati raggiunti da mail per ricordare loro gli impegni giuridici e morali assunti, all’atto della candidatura con il M5S», ricorda il post.

DIFFICILE CHE SI ARRIVI A SANZIONI O ESPULSIONI

Detto questo, chi conosce bene le dinamiche interne al Movimento fa notare che l’ipotesi di sanzione o addirittura di espulsione ai danni dei morosi sia poco concreta. Il team di legali che coadiuva il Movimento da settimane sta studiando modalità e tempistiche di eventuali azioni. Ma la strada è in salita. L’adesione alla regola delle restituzioni è basata sì su un contratto, ma sottoscritto volontariamente, per cui difficilmente la violazione di tale impegno può portare in qualche modo a reali sanzioni giudiziarie. Né, in questo momento, a Di Maio preme procedere con nuove espulsioni, dando così una sponda preziosa a chi medita di uscire dal Movimento.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Continua lo scontro tra Fioramonti e il M5S sui rimborsi

L'ex ministro dell'Istruzione ribadisce le sue critiche al sistema delle restituzioni. Il Movimento minaccia sanzioni ed espulsioni. Ipotesi però poco concreta.

È alta tensione all’interno del Movimento Cinque Stelle sul tema dei rimborsi, al centro del dibattito pentastellato dopo il clamoroso addio di Lorenzo Fioramonti al governo e le sue frizioni con i vertici dello stesso Movimento. L’ex ministro dell’Istruzione ha ribadito le sue critiche al sistema delle restituzioni a carico dei parlamentari Cinque Stelle di parte dei loro emolumenti. Su questo punto – scrive su Facebook – c’è «il risentimento dei parlamentari e l’imbarazzo dei gruppi dirigenti per un sistema gestito da una società il cui ruolo rimane a tutti poco chiaro». Pronta la replica dei vertici del Movimento che, attraverso il blog delle Stelle, lanciano una sorta di ultimatum a chi non restituisce: «Per coloro che dopo il 31 dicembre saranno ancora in ritardo si attiveranno i Probiviri», spiega il post. Difficile, tuttavia, che l’avvertimento abbia affetto. Anche perché, nei gruppi del M5S, il nodo delle restituzioni unisce malpancisti di varia origine.

Gli esperti di comunicazione mi hanno spiegato che alle fake news non si replica, perché rischi di dare la notizia due…

Posted by Lorenzo Fioramonti on Saturday, December 28, 2019

FIORAMONTI: «METODO FERRAGINOSO E POCO TRASPARENTE»

Sui rimborsi, Fioramonti parla di «metodo farraginoso e poco trasparente con cui si gestiscono le nostre restituzioni». Ma l’ex ministro va oltre, lanciando un appello ai capigruppo 5S per chiedere loro di «chiarire la situazione», perché, aggiunge, «gli attacchi di questi giorni nei miei confronti sono davvero inaccettabili». E infine rimarca: «Le mie posizioni si conoscevano benissimo quando, a Settembre, venni nominato Ministro. Ed erano note anche quando tutti si congratulavano con me, per il lavoro svolto e per chiedermi di non mollare». Parole che per ora si infrangono sul muro dei vertici del Movimento e di Luigi Di Maio. «A partire dal mese di novembre tutti i parlamentari in ritardo con le rendicontazioni e le relative restituzioni sono stati raggiunti da mail per ricordare loro gli impegni giuridici e morali assunti, all’atto della candidatura con il M5S», ricorda il post.

DIFFICILE CHE SI ARRIVI A SANZIONI O ESPULSIONI

Detto questo, chi conosce bene le dinamiche interne al Movimento fa notare che l’ipotesi di sanzione o addirittura di espulsione ai danni dei morosi sia poco concreta. Il team di legali che coadiuva il Movimento da settimane sta studiando modalità e tempistiche di eventuali azioni. Ma la strada è in salita. L’adesione alla regola delle restituzioni è basata sì su un contratto, ma sottoscritto volontariamente, per cui difficilmente la violazione di tale impegno può portare in qualche modo a reali sanzioni giudiziarie. Né, in questo momento, a Di Maio preme procedere con nuove espulsioni, dando così una sponda preziosa a chi medita di uscire dal Movimento.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

L’iter per la nomina dei ministri Azzolina e Manfredi

Prima un decreto per lo spacchettamento del dicastero; quindi la nomina da parte del presidente della Repubblica e il successivo giuramento.

Prima il decreto in Consiglio dei ministri per lo spacchettamento tra ministero dell’Istruzione e ministero dell’Università e della Ricerca di competenze finora accorpate in un solo dicastero; quindi la nomina da parte del presidente della Repubblica e il successivo giuramento. È il timing che attende Lucia Azzolina e Gaetano Manfredi, i ministri indicati dal premier Giuseppe Conte per il post-Fioramonti: la prima messa a capo del ministero della Scuola, il secondo titolare dell’Università e della Ricerca. Per l’ufficialità, tuttavia, a quanto spiegano fonti di governo, bisogna attendere almeno i primi di gennaio. Anche perché l’iter richiede più tappe.

L’ITER CHE PORTA ALL’INSEDIAMENTO DEI DUE MINISTRI

Innanzitutto è necessario un decreto legge (ipotesi altamente più probabile di un Decreto del presidente del Consiglio dei ministri – Dpcm) che spacchetti le competenze assegnate all’attuale Ministero dell’Istruzione, dell’università e della Ricerca, che è un dicastero con portafoglio. Quindi il Consiglio dei ministri deve dare il via libera all’operazione, in modo che il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, su indicazione del premier Giuseppe Conte, possa procedere alla nomina. Solo allora i ministri nominati potranno salire al Quirinale per il giuramento e insediarsi nei loro nuovi uffici. A quel punto i ministri del governo Conte Bis passeranno da 21 a 22.

UN ESECUTIVO COMPOSTO DA 63 PERSONE

Come precisato dallo stesso presidente del Consiglio non è prevista la nomina di nuovi sottosegretari. Che in totale, compresi i viceministri, erano 42. Con le nomine del 28 dicembre diventano 41 per il passaggio di Azzolina dalla sottosegreteria alla guida del nuovo dicastero della Scuola. In totale i componenti dell’Esecutivo sono quindi 63. Il governo Conte Uno con la maggioranza gialloverde era arrivato a 64, uno in più. I cinque premier precedenti hanno totalizzato rispettivamente: Paolo Gentiloni 60 elementi, Matteo Renzi 63, Enrico Letta 63, Mario Monti 47. Quest’ultimo, il “governo dei professori”, risulta il più magro di tutti. Il record assoluto di affollamento spetta invece al secondo governo di Romano Prodi che, insediatosi nel 2006, in due anni di durata arrivò alla cosiddetta «carica dei 102», il totale tra ministri e sottosegretari. L’Andreotti VII nel ’91 si era fermato a 101.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

L’iter per la nomina dei ministri Azzolina e Manfredi

Prima un decreto per lo spacchettamento del dicastero; quindi la nomina da parte del presidente della Repubblica e il successivo giuramento.

Prima il decreto in Consiglio dei ministri per lo spacchettamento tra ministero dell’Istruzione e ministero dell’Università e della Ricerca di competenze finora accorpate in un solo dicastero; quindi la nomina da parte del presidente della Repubblica e il successivo giuramento. È il timing che attende Lucia Azzolina e Gaetano Manfredi, i ministri indicati dal premier Giuseppe Conte per il post-Fioramonti: la prima messa a capo del ministero della Scuola, il secondo titolare dell’Università e della Ricerca. Per l’ufficialità, tuttavia, a quanto spiegano fonti di governo, bisogna attendere almeno i primi di gennaio. Anche perché l’iter richiede più tappe.

L’ITER CHE PORTA ALL’INSEDIAMENTO DEI DUE MINISTRI

Innanzitutto è necessario un decreto legge (ipotesi altamente più probabile di un Decreto del presidente del Consiglio dei ministri – Dpcm) che spacchetti le competenze assegnate all’attuale Ministero dell’Istruzione, dell’università e della Ricerca, che è un dicastero con portafoglio. Quindi il Consiglio dei ministri deve dare il via libera all’operazione, in modo che il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, su indicazione del premier Giuseppe Conte, possa procedere alla nomina. Solo allora i ministri nominati potranno salire al Quirinale per il giuramento e insediarsi nei loro nuovi uffici. A quel punto i ministri del governo Conte Bis passeranno da 21 a 22.

UN ESECUTIVO COMPOSTO DA 63 PERSONE

Come precisato dallo stesso presidente del Consiglio non è prevista la nomina di nuovi sottosegretari. Che in totale, compresi i viceministri, erano 42. Con le nomine del 28 dicembre diventano 41 per il passaggio di Azzolina dalla sottosegreteria alla guida del nuovo dicastero della Scuola. In totale i componenti dell’Esecutivo sono quindi 63. Il governo Conte Uno con la maggioranza gialloverde era arrivato a 64, uno in più. I cinque premier precedenti hanno totalizzato rispettivamente: Paolo Gentiloni 60 elementi, Matteo Renzi 63, Enrico Letta 63, Mario Monti 47. Quest’ultimo, il “governo dei professori”, risulta il più magro di tutti. Il record assoluto di affollamento spetta invece al secondo governo di Romano Prodi che, insediatosi nel 2006, in due anni di durata arrivò alla cosiddetta «carica dei 102», il totale tra ministri e sottosegretari. L’Andreotti VII nel ’91 si era fermato a 101.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Un perito per accertare la verità sull’incidente di Roma

È scontro sulle ricostruzioni delle dinamiche in cui sono morte Camilla e Gaia. La famiglia Romagnoli è pronta a dar battaglia.

Un’indagine difensiva per ottenere «una ricostruzione scientifica dell’incidente» in cui sono morte Gaia Von Freymann e Camilla Romagnoli, le due 16enni travolte e uccise a Roma dopo essere state investite in Corso Francia. Si annuncia una battaglia a colpi di perizie nella vicenda giudiziaria che vede ai domiciliari il ventenne Pietro Genovese: i legali della famiglia Romagnoli riferiscono di una serie di indagini difensive per fare chiarezza su quanto accaduto. «È agli esclusivi fini dell’accertamento pieno della verità. Abbiamo anche contattato uno dei periti italiani più prestigiosi nella ricostruzione scientifica degli eventi complessi e drammatici», spiega l’avvocato Cesare Piraino. Il tutto in attesa dell’interrogatorio di garanzia di Genovese, fissato il 2 gennaio 2020.

LE VERSIONI CONTRASTANTI DEI TESTIMONI

Negli giorni successivi all’incidente si erano susseguite una serie di versioni contrastati da parte di alcuni testimoni. Nell’interrogatorio svolto nell’immediatezza dei fatti, Genovese, ancora in stato di choc, aveva affermato di non avere visto le due 16enni attraversare la strada. Ma è la stessa ordinanza del gip a citare una serie di testimoni secondo i quali la velocità dell’auto guidata da Genovese, a bordo della quale c’erano due passeggeri, «era sostenuta», superiore ai 50 chilometri orari. Secondo un uomo che ha assistito alla scena «l’impatto è stato inevitabile e violentissimo. La prima ragazza è stata colpita in pieno. Ho visto una gamba o un braccio volare in aria». E uno studente amico di Genovese a bordo con lui sul Suv racconta che «quelle due ragazze sono sbucate all’improvviso, correvano mano nella mano. Era impossibile evitarle. Pioveva, era buio, ma ricordo perfettamente cos’è successo: ho visto due sagome apparire dal nulla e poi il corpo di una di loro rimbalzare sopra il cofano». Nel frattempo l’avvocato Piraino ha rigettato alcune ipotesi che erano emerse nelle ultime ore su alcuni quotidiani: «È falso che il gruppo degli amici di Camilla avesse l’abitudine di svolgere quel fantomatico gioco del semaforo rosso di cui qualcuno ha parlato».

IL PROGETTO DI ISTALLARE DEGLI AUTOVELOX IN CORSO FRANCIA

In quella zona la polizia locale ha comunque intensificato i controlli, che saranno ulteriormente sensibilizzati in tutte le zone della movida maggiormente frequentate e sulle strade ad alto scorrimento di Roma. E a inizio gennaio potrebbero essere installati, proprio nella zona di Corso Francia, degli autovelox portatili. I dispositivi fissi di controllo della velocità, invece, non sembrerebbe possibili per assenza di requisiti di legge in quel tratto di strada.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Chi sono i candidati al governo della Calabria

È corsa a quattro per le elezioni del 26 gennaio 2020: Jole Santelli per il centrodestra, Pippo Callipo, per il centrosinistra, Francesco Aiello per il Movimento 5 Stelle e l'outsider Carlo Tansi.

È corsa a quattro in Calabria dove il 26 gennaio 2020 sono in programma le elezioni regionali. A puntare alla poltrona di Governatore ci sono, per il centrodestra, la deputata e coordinatrice regionale di Forza Italia Jole Santelli, sostenuta da sei liste (Fi, Fratelli d’Italia, Lega, Santelli presidente, Udc, Cdl); l’imprenditore Pippo Callipo, che ha dalla sua il Pd, una lista filiazione dell’associazione Io resto in Calabria, i Democratici e progressisti e 10 idee per la Calabria, formazione quest’ultima sulla quale però pende la scure di una possibile esclusione. Della partita anche il docente universitario Francesco Aiello, per il Movimento 5 Stelle e per la lista Calabria Civica, e l’ex capo della Protezione civile regionale Carlo Tansi, sostenuto dalle liste Tesoro Calabria, Calabria Pulita e Calabria Libera.

EX PD CON FRATELLI D’ITALIA

Ricompattato il fronte dopo le fibrillazioni legate al “niet” di Matteo Salvini ad Mario Occhiuto, il centrodestra ritrova l’unità intorno alla candidata presidente Jole Santelli e schiera tanti uscenti e alcune singolari new entry. Il consigliere regionale Giuseppe Neri, eletto nella passata legislatura con la lista Democratici e progressisti, emanazione diretta del Pd, è ad esempio candidato con Fratelli d’Italia. L’Udc, altro partito che è a fianco della fedelissima di Silvio Berlusconi, ospita nelle sue fila anche Antonio Scalzo, eletto nel Pd e che, sempre in quota dem, è stato per un periodo presidente del Consiglio regionale, transitato di recente nei Moderati, vicini a Raffaele Fitto.

GLI SCONTENTI A SINISTRA

Novità anche dalle parti del candidato Pippo Callipo, che é riuscito a imporre le sue condizioni sulla formazione delle liste. Scende in campo con l’industriale del tonno anche l’ex sindaco di Isola Capo Rizzuto Carolina Girasole, in lista con il Pd, messa fuori gioco a suo tempo dallo scioglimento per infiltrazioni mafiose del Comune che amministrava ma assolta, di recente, dall’accusa di avere agevolato la cosca di ‘ndrangheta degli Arena. Punta alla conferma anche il presidente uscente del Consiglio regionale, Nicola Irto. In lizza anche Maria Saladino, già in corsa per la segreteria nazionale del Partito democratico. Non mancano, da una parte e dall’altra, i mugugni degli esclusi: dall’ex Pd Enzo Ciconte, dato in approdo nel centrodestra, che ha optato per il ritorno alla professione medica (é primario cardiologo) a Francesco D’Agostino, che ha espresso tutto il suo disappunto per il veto posto da Callipo sul suo conto.

AIELLO E TANSI «LIBERI DALLA CASTA»

Acque decisamente più tranquille per il candidato pentastellato Aiello, che sottolinea la «pulizia» delle proprie liste, e per il civico Tansi. Che dichiara: «Noi restiamo liberi dalla casta».

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Perché l’incidente di Gaia e Camilla deve farci riflettere sulle nostre abitudini

Attraversare col rosso non è colpa del caso, però l'abbiamo fatto tutti e continuiamo a farlo. Perché è una piccola sfida. In alcuni casi un rito di passaggio.

Cecilia, un’amica delle due ragazze romane morte mentre attraversavano col semaforo rosso il punto “cieco” di corso Francia, Gaia von Freymann e Camilla Romagnoli, ha raccontato a Repubblica che attraversare «a quel modo» è quasi un’abitudine e che lo fanno in tanti. «Pensi sempre: ce la farò». Farcela proprio lì è abbastanza un miracolo, e lo sa chiunque abbia percorso almeno una volta quella strada a veloce scorrimento che – non lo scriviamo per difendere Pietro Genovese, l’investitore – quasi nessuno in questo nostro Paese dove non si rispettano nemmeno le sentenze del Consiglio di Stato, percorre entro i limiti di velocità. Se Genovese avesse guidato entro i 50 chilometri orari previsti, forse sarebbe riuscito a frenare efficacemente. A 70, inchiodare è stato impossibile. Anzi, inutile. Dunque, eccoci a piangere le due ragazze imprudenti, ma anche Pietro, che paga anche per il padre famoso (è figlio del regista Paolo), purtroppo, sempre per via di questo nostro Paese a contrariis dove soldi e fama, anche di riflesso, sono un’aggravante a prescindere.

SPINTI DAL GUSTO DELLA SFIDA

Non ci è piaciuto il parroco della chiesa del Preziosissimo Sangue che nella sua omelia si è scagliato con violenza inaudita (e lessico da tv del pomeriggio) contro il guidatore come se le due vittime non fossero state, ahinoi, agenti primari di quanto è successo. E non ci piacciamo nemmeno noi stesse, vogliamo dirlo, quando, per non perdere l’unico taxi posteggiato a Chiesa Nuova, per saltarci sopra al volo, attraversiamo corso Vittorio Emanuele a cinquanta metri dal semaforo che ci garantirebbe un passaggio ipoteticamente tranquillo e protetto. Di sicuro, quel corso in centro città non è pericoloso come corso Francia, non è una strada a veloce scorrimento. Però ha tre corsie, due sensi di marcia, ci passano autobus e mostruosi car di pellegrini alti cinque metri che impediscono la visuale di chi li affianca o li segue. Nel 2018, una ragazzina che attraversava nell’esatto punto dove noi cerchiamo di compiere il salto fino al parcheggio dei taxi è stata investita e schiacciata. Dunque? Dunque ci limitiamo a percorrere i famosi cinquanta metri fino al semaforo solo in caso di pioggia o quando c’è buio pesto, meglio se in combinato disposto. Se appena intravvediamo una possibilità di farla franca, via. Quei 40 secondi in più ci paiono l’eternità, pure quando l’alternativa è l’eternità vera e propria. Abbiamo fretta? Anche, ma non solo. A guidarci verso il (possibile) disastro è il gusto della sfida, e anche un malcelato senso di onnipotenza e di invincibilità. Che sì, si può dominare con il tempo e con l’esperienza, ma che è connaturato allo spirito umano. La sfida al destino, l’autodeterminazione oltre ogni ragione, il misurarsi contro l’eterno e l’ignoto, saggiando le proprie forze.

UN RITO DI PASSAGGIO?

Nei giorni successivi all’incidente, gli stessi compagni delle due ragazze investite da Pietro Genovese hanno parlato di roulette russa. Lo hanno fatto anche i colleghi: lo facciamo per abitudine, perché il luogo comune è comodo, ma anche perché è la verità: attraversare col semaforo rosso in un punto potenzialmente mortale ha molto da spartire con il gioco, meglio se a esito potenzialmente mortale, con le sfide estreme. Leggete i testi di chi ha descritto quell’eccitazione, quella scarica di adrenalina, quel gioco a rimpiattino con la morte, e capirete benissimo perché quanto è accaduto a Gaia e Camilla forse (non) potrebbe più succedere a noi perché abbiamo imparato a scendere a patti con il nostro super io e a non sfidare troppo la nostra buona stella – si chiama senso di responsabilità e maturità – ma che il motivo per cui continuiamo a scrivere e a parlare di questo caso, a qualunque età, è perché sappiamo che il patto concluso con noi stessi non è proprio definitivo, e neanche strettissimo. Gaia e Camilla attraversavano nel «punto maledetto» perché farlo equivaleva, probabilmente, a uno dei tanti riti di passaggio che la nostra società evoluta e contemporanea ha eliminato, lasciandoli alle cosiddette “culture tribali” o “tradizionali”, ma davvero tutti noi cinquantenni o sessantenni rispettiamo fino in fondo, fino all’ultimo centimetro, il codice della strada? Facciamo i cinquanta, cento metri in più e aspettiamo diligenti il semaforo verde? E quando siamo stati a New York non ci hanno detto che è meglio attraversare Park Avenue col semaforo rosso, pur stando bene attenti, perché la luce verde non è una garanzia? Sì, ci capiterà ancora di sgarrare, di metterci alla prova ancora una volta. Sperando che ci vada bene come dice Cecilia, l’amica di Camilla: «Pensi sempre: ce la farò».

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

È morto il bimbo scosso dalla mamma che lo cullava

«Non dormiva, l'ho cullato troppo forte», aveva detto la madre che adesso deve rispondere dell'accusa di omicidio colposo del figlio di cinque mesi.

Nella notte tra il 27 e il 28 dicembre è stata staccata la spina ai macchinari che tenevano in vita il bambino di cinque mesi finito in coma una settimana prima dopo essere stato scosso dalla madre, perché non si addormentava. La commissione medica dell’ospedale di Padova, composta da un medico legale, un neurologo e un anestesista, ha decretato la morte cerebrale in seguito a un secondo approfondito esame, ed è stato deciso lo stop all’accanimento terapeutico. Il decesso del piccolo cambia anche la posizione giudiziaria della mamma, una 29enne indagata inizialmente per lesioni gravissime, e per la quale sarà adesso formalizzata l’accusa di omicidio colposo. Un atto formale deciso definitivamente non prima di lunedì 30 dicembre dalla Procura di Padova. Che ha autorizzato l’espianto degli organi, una procedura che dovrebbe essere effettuata anche se sul corpo del piccolo è in programma, sempre per lunedì 30 dicembre, l’autopsia che dovrebbe interessare il solo cervello. Questo per confermare quanto già ampiamente diagnosticato in questi giorni, sia con esami effettuati nel tentativo di salvarlo, sia con i riscontri legati alla procedura di espianto.

LA MADRE HA SUBITO AMMESSO LE SUE RESPONSABILITÀ

Il bambino era giunto in ospedale sabato 21 dicembre, in stato di coma per le gravi lesioni cerebrali, dovute – è la prima ipotesi – allo scuotimento cui l’aveva sottoposto la mamma: «Non dormiva, l’ho cullato troppo forte», aveva confessato la donna agli investigatori. «La madre non ha mai lasciato il capezzale del piccolo», ha riferito Andrea Pettenazzo, direttore della terapia intensiva pediatrica di Padova . Era stata lei stessa il 21 dicembre, dopo aver visto che il figlio non reagiva, a chiamare i sanitari del Suem 118 e i carabinieri. Da subito aveva ammesso le proprie responsabilità, confermate poi al pm Roberto Piccione, raccontando dello scuotimento del piccolo, all’alba, dopo l’ennesima notte insonne. La 29enne, originaria di Vicenza, risiede con la famiglia a Mestrino (Padova). Secondo il suo avvocato difensore, Leonardo Massaro, non sarebbe stata in sé quando ha fatto del male al piccolo. Si sarebbe trattato, secondo il legale, di un black-out di pochi secondi, nel quale sarebbe stata completamente incosciente, salvo riprendersi subito dopo aver appoggiato il piccolo sul lettino. L’altra figlia della coppia, una bimba di un anno e mezzo, è stata affidata ai nonni. Il tribunale dei Minori di Venezia ha deciso così per tutelare la bambina che al momento non può contare su una stabile situazione familiare. Stando al dispositivo del Tribunale veneziano, la madre non sarebbe comunque pericolosa per la primogenita.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it