Matera 2019, programma pubblico della mostra Blind Sensorium

Nelle giornate dell’8 e del 10 dicembre per la quarta grande mostra di Matera 2019, Blind Sensorium. Il paradosso dell'Antropocene di Armin Linke, ci sarà un programma pubblico con presentazioni e workshop, realizzato grazie al Goethe Institute di Napoli e il Ministero Federale degli Affari Esteri di Berlino.
L’8 dicembre dalle 10:00 alle 18:30 presso il Museo Archeologico Nazionale Domenico Ridola che ospita la mostra, si alterneranno una serie di presentazioni frontali in lingua inglese, tenute da artisti, attivisti, scienziati e ricercatori che indagano l’Antropocene.
Fra gli altri interverranno Armin Linke, fotografo e filmmaker; Colin Waters, segretario dell'Anthropocene Working Group; Bettina Korintenberg, curatrice dello ZKM | Center for Art and Media Karlsruhe; Daniel Irrgang, coordinatore della Masterclass di Bruno Latour alla HfG di Karlsruhe; 10 ricercatori della Masterclass di Bruno Latour alla HfG di Karlsruhe; xtro realm, un collettivo di artisti ungherese divulgatori di teorie ecologiste; Studio Obelo, curatrici del programma education della mostra Blind Sensorium. Alle 18.30 nell’Open Dome allestita in Piazza San Francesco verrà presentato il catalogo della mostra, composto da due volumi. Le iniziative della giornata sono sempre a ingresso gratuito, fino ad esaurimento posti.
Il 10 dicembre, sempre presso il Museo Ridola, si svolgeranno invece una serie di laboratori aperti al pubblico. Dalle 10:00- 13:00 si lavorerà con lo Studio Obelo per la produzione di un Manifesto dell'Antropocene; dalle 14:30 – 18:30 con i ricercatori della masterclass di Bruno Latour alla HfG di Karlsruhe si esplorerà il tema dell'Antropocene da un punto di vista artistico. Ingresso con Passaporto per Matera 2019 e prenotazione al seguente indirizzo: giuliano@matera-basilicata2019.it .

Bas 05

Le cose da sapere sull’inchiesta Ombre Nere e le indagini sui neonazisti

Emergono nuovi particolari sul partito di estrema destra. Nelle intercettazioni messaggi in favore di Borghezio e Bannon e il disegno per la creazione di cellule invisibili.

Nuovi inquietanti tasselli si uniscono alla complessa inchiesta Ombre Nere sulla creazione di un partito nazionalsocialista italiano su stampo di quello nazista. Secondo quanto scrive Repubblica dalle intercettazioni della Digos emergono altri particolari. Il quotidiano in particolare riporta lo stralcio di una conversazione tra le persone coinvolte: «Serve gente come Borghezio e Bannon», diceva una dei militanti, riferendosi all’ex europarlamentare della Lega e all’ex consigliere di Donald Trump.

LA VICENDA: 19 INDAGATI PER ASSOCIAZIONE EVERSIVA

A fine novembre la Procura di Caltanissetta aveva iscritto 19 persone nel registro degli indagati con l’accusa di aver costituito un nuovo fronte nazista che progettava attentati. Uno degli indagati, in un’intercettazione, spiegava: «Possiamo avere a disposizione armi e esplosivi, sforneremo soldati pronti a tutto». Le indagini, partite da Enna, hanno coinvolto diversi estremisti di destra del Nord.

L’ARSENALE IN FRANCIA E L’EX LEGIONARIO A CAPO DEL GRUPPO

Nel corso delle indagini gli inquirenti hanno individuato in Francia un vero e proprio arsenale. Gli uomini della Procura di Caltanissetta, in collaborazione con la polizia d’Oltralpe, hanno trovato otto fucili, quattro revolver, una carabina, una pistola semiautomatica e due valigette con munizioni di vario calibro in un immobile della località di Saint-Dalmas-de-Tende. Le armi sequestrate erano nella disponibilità dell’ex collaboratore di giustizia Pasquale Nucera, 64enne ex legionario ed ex vice coordinatore di Forza Nuova nella provincia di Imperia, fermato sempre a fine novembre. Per chi indaga Nucera è considerato il capo dell’organizzazione svolgendo anche il ruolo di reclutatore del gruppo e si proponeva come addestratore vantando la sua passata esperienza militare. L’uomo assieme alla sua compagna aveva la disponibilità di una serie di appartamenti e appezzamenti di terreno in Francia. Nel corso dei sopralluoghi, i poliziotti hanno anche trovato una foto di Nucera vestito da Templare.

LA RETE E LE ATTIVISTE DI HITLER

Nelle carte dell’inchiesta sono spuntati anche due profili di primo piano della rete. La prima, Antonella Pavin, si faceva chiamare ‘Sergente maggiore di Hitler’ e aveva il compito di diffondere ideologie xenofobe. Quarantotto anni e residente nel Padovano, aveva affermato che «non esistevano le camere a gas» e che «ad Auschwitz e negli altri campi di concentramento c’erano le piscine». Su VKontakte, social network russo, lanciava invettive contro rom e gay. L’altra donna finita sotto i riflettori è la 36enne Milanese “Miss HitlerFrancesca Rizzi. Entrambe tenevano le fila della rete. Rizzi, ha scritto Repubblica, era in contatto con un uomo residente nel Cuneese che raccontava di essere stato un mercenario in Africa dove si occupava di «sparare alla gente e tagliare teste».

LA COSTRUZIONE DELLA CELLULA

Tra i contatti di Rizzi c’era anche il presidente di uno strano movimento operativo a Roma, “La rinascita dell’Italia“, che chiedeva a Miss Hitler due persone per un raid notturno contro la Prefettura o la sede di Equitalia: «Le facciamo saltare in aria, e non facciamo danni a nessuno». Pavin nelle varie telefonate ribadiva la necessità di creare un'”armata” perché «purtroppo esercito e forze armate sono per tre quarti fedeli allo Stato». Proprio per quello, i vertici del partito cercavano di creare in tutta Italia dei fedelissimi per creare “gruppi invisibili” di azione. In un’altra intercettazione un membro del gruppo proponeva di ingaggiare uno straniero di nazionalità marocchina per il lancio di una molotov contro una sede dell’Anpi in Liguria, affinché risultasse come unico colpevole.

LE CHAT RUSSE E L’INTERNAZIONALIZZAZIONE DELLA RETE

La maggior parte delle conversazioni si svolgevano su chat russe e su un gruppo whatsapp. Il network cercava anche di intessere una serie di legami all’estero: accreditandosi in diversi circuiti internazionali, aveva contattato organizzazioni di rilievo come “Aryan Withe Machine – C18” (espressione del circuito neonazista Blood & Honour inglese) ed il partito d’estrema destra lusitano “Nova Ordem Social“.

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La Consulta deciderà sull’esclusione di Autostrade dalla ricostruzione del Ponte Morandi

Il Tar ha deciso di trasmettere alla Corte Costituzionale il quesito di Aspi, sospendendo il giudizio sul ricorso presentato per chiedere l'annullamento del decreto Genova.

Il Tar della Liguria ha deciso di trasmettere alla Corte Costituzionale il quesito di Autostrade contro il decreto Genova che l’ha estromessa dalla demolizione e ricostruzione del Ponte Morandi. Nell’attesa ha sospeso il giudizio sul ricorso di Aspi sull’annullamento del decreto stesso. Lo hanno deciso i giudici del Tar regionale secondo quanto emerge dalle ordinanze depositate in mattinata. I giudici amministrativi hanno rilevato profili di incostituzionalità. Aspi aveva rinunciato a bloccare i lavori.

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Dite a Giorgia Meloni che in Cina non c’è più Mao

La leader di FdI dopo la querelle sulla videoconferenza di Joshua Wong attacca Pechino e diventa paladina dei diritti civili dei manifestanti di Hong Kong. Viene il dubbio che sia ancora convinta di avere a che fare con uno Stato comunista.

Giorgia Meloni è un fenomeno virale, come dimostra il successo del video tormentone-rap Io sono Giorgia.

Da qualche tempo però Giorgia-madre-donna-cristiana sta spopolando online, e non solo, anche in una nuova e davvero inedita veste: si è lanciata a testa bassa – sembrerebbe – in una strenua lotta per la difesa della democrazia e della libertà in …. Cina.  

Già, proprio così. E in un certo senso non ci sarebbe nemmeno tanto da meravigliarsi, di fronte all’evidente inadeguatezza della sinistra italiana che riesce ormai a farsi “sorpassare” (almeno a parole…) dalla destra persino su un terreno di lotta storico, come quello della difesa dei diritti civili e umani. Ma andiamo per ordine, e cerchiamo di capire da dove ha origine questo nuovo exploit di Giorgia-madre-donna-cristiana.  

IL VISTO NEGATO A JOSHUA WONG

Tutto nasce dalla lontana Hong Kong e dalle dichiarazioni del giovane leader alla guida della rivolta che infiamma l’ex colonia britannica ormai da giugno, Joshua Wong. Wong era stato invitato in Italia dalla Fondazione Feltrinelli per partecipare a un convegno sui temi della democrazia a fine mese, ma il governo di Hong Kong gli aveva prontamente negato il permesso di espatrio con la scusa che il ragazzo è in libertà vigilata, in attesa di giudizio con l’accusa di “manifestazione non autorizzata”. A quel punto, alcuni parlamentari italiani, con Meloni in testa, hanno organizzato un incontro con lui in Senato. Ovviamente in videoconferenza. La Cina, com’era prevedibile, non ha gradito, e l’ambasciatore cinese in Italia si è fatto prendere molto poco diplomaticamente dal nervoso e l’ha fatta, decisamente, fuori dal vaso, attaccando i parlamentari colpevoli, a sentire Pechino, di avere tenuto un «comportamento irresponsabile» dando voce a un «pericoloso agitatore» (!) come il giovane e occhialuto – e davvero inoffensivo – Wong.

IL TWEET DI MELONI CONTRO LA CINA

A quel punto Meloni ha tirato fuori le unghie e per tutta risposta, in un tweet di fuoco, ha rispedito al mittente le «dichiarazioni arroganti e intollerabili» della Cina. «Noi siamo un Paese sovrano e democratico» ha tuonato più o meno la leader di Fratelli d’Italia, «e non permettiamo  a nessuno di interferire negli affari interni del nostro parlamento e di dettare l’agenda ai nostri parlamentari»!  E fin qui… come darle torto? 

Ma il trionfo della nuova Super-Giorgia, neo-paladina della democrazia e dei diritti (dei cinesi e dei parlamentari italiani) non si è esaurito lì, perché lo stesso Joshua Wong ha addirittura ritwittato il tutto. Insomma, pare che ormai dietro alla porta Meloni ci sia la fila di attivisti provenienti da ogni parte del globo dove la democrazia è a rischio, per pregarla di indossare il suo super-mantello e intervenire subito.

A QUANDO LE CRITICHE A PUTIN E ORBAN?

Questo idilliaco, quanto inedito, quadretto, però, non ha convinto tutti – compreso chi scrive – e ha spinto più d’uno a domandarsi cosa hanno in comune la difesa della libertà di pensiero e di espressione con una forza politica di destra che spesso e volentieri ha chiuso un occhio sui raduni di neofascisti, l’esibizione di striscioni inneggianti a Mussolini, i saluti romani, le violenze razziste, l’antisemitismo, la xenofobia, e così via. Adesso siamo tutti in trepidante attesa di nuove dichiarazioni al calor bianco della neo-paladina pro-democrazia contro i metodi decisamente poco democratici di Vladimir Putin – per esempio – nei confronti degli oppositori politici e dei giornalisti  scomodi o dell’amico Viktor Orban che ha appena vietato la diffusione nel suo Paese dei report di Amnesty International. E invece silenzio assoluto, invece, ieri come oggi e sicuramente domani.

IL PARTITO COMUNISTA DI CINESE È TALE SOLO DI NOME

Sorge spontaneo a questo punto domandarsi: ma non sarà che Meloni si sia tanto infervorata contro Pechino per via del fatto che, in Cina, il Partito al potere si chiama ancora comunista mentre, come è evidente a tutti, di comunista gli è rimasto ormai poco o niente, anzi proprio niente? Insomma: gliel’avranno detto che è da un pezzo che in Cina non governano più i comunisti di Mao Zedong?


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Contro o pro, Salvini continua a cavalcare il brand Nutella

«Ho scoperto che usa nocciole turche e io preferisco aiutare le aziende che usano prodotti italiani», ha detto il segretario leghista. E Renzi: «Parla di questo nei giorni di Ilva, Alitalia, legge di bilancio».

Signora mia, la Nutella non la mangio più. Dal palco del comizio di Ravenna, il segretario della Lega Matteo Salvini si è scagliato contro il brand a cui aveva fatto de facto da testimonial in numerosi foto e video, anche cavalcando l’onda del marketing, come in uno degli ultimi filmati in cui si mostra alla caccia dei Nutella biscuits. Ma, appunto, la Nutella non la mangia più, ha detto Salvini: «Mangio pane e salame e due sardine. La Nutella no, signora, sa che ho cambiato? – ha detto il segretario della Lega – Perché ho scoperto che usa nocciole turche e io preferisco aiutare le aziende che usano prodotti italiani, preferisco mangiare italiano». Poco importa che la produzione italiana non sia sufficiente e soprattutto che il leader leghista si mostri con altre decine di prodotti confezionati con materie prime che vengono da tutto il mondo, come hanno fatto notare moltissimi commentatori e profili sui social network. Ma oltre a fare da testimonial a un marchio, si può anche cavalcarne semplicemente la notorietà.

Anche Matteo Renzi ha ripreso la battuta: «Nei giorni di Ilva, Alitalia, legge di bilancio, summit Nato il senatore Matteo Salvini attacca la Nutella. La Nutella, sì, la Nutella. Dice che così sembra più vicino al popolo. E io ingenuo che insisto a voler parlare di cantieri, tasse, Europa», ha scritto su Twitter il leader di Italia viva.

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La Biennale di Venezia Virtual Reality per Matera 2019

Si terrà dal 8 al 20 dicembre a Matera nell’ambito dell’Open Culture Festival della Capitale Europea della Cultura 2019, la prima rassegna decentrata di opere della sezione Venice Virtual Reality e di Biennale College Cinema – Virtual Reality, provenienti dalla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica della Biennale di Venezia.
La rassegna, che presenta 10 opere di Virtual Reality e che si tiene negli spazi degli Ipogei Motta (Via San Bartolomeo), è organizzata dalla Biennale di Venezia e dalla Fondazione di Partecipazione Matera-Basilicata 2019, costituita per attuare le linee di intervento per Matera Capitale Europea della Cultura 2019.
Ingresso con Passaporto per Matera 2019 e prenotazione sul sito www.materaevents.it o presso l’Infopoint di Matera 2019.
Venice Virtual Reality è la prima competizione assoluta di opere in Realtà Virtuale (VR), che dal 2017 si svolge durante la Mostra Internazionale d’arte Cinematografica, diretta da Alberto Barbera e organizzata dalla Biennale presieduta da Paolo Baratta.
Biennale College Cinema – Virtual Reality è il progetto che dal 2017 seleziona ogni anno team formati da un regista e un produttore giovani che lavorano allo sviluppo di progetti di Realtà Virtuale, supportandoli nel loro percorso, che vengono poi presentati alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica.
La rassegna decentrata di Matera presenta 10 opere di Virtual Reality provenienti dalla 76. Mostra del Cinema 2019 e dalla 75. Mostra del Cinema 2018.

Bas 05

Per il Censis gli italiani sono ansiosi e sognano l’uomo forte

Allarmante rapporto sulla situazione sociale del Paese. Per il 65% lo stato d'animo dominante è l'incertezza. E il 75% non si fida più degli altri. L'analisi.

Lo stato d’animo dominante tra il 65% degli italiani è l’incertezza. Dalla crisi economica, l’ansia per il futuro e la sfiducia verso il prossimo hanno portato anno dopo anno a un logoramento sfociato da una parte in «stratagemmi individuali» di autodifesa e dall’altra in «crescenti pulsioni antidemocratiche», facendo crescere l’attesa «messianica dell’uomo forte che tutto risolve». È questa l’analisi del Censis nell’ultimo Rapporto sulla situazione sociale del Paese, secondo cui per il 48% degli italiani ci vorrebbe «un uomo forte al potere» che non debba preoccuparsi di parlamento ed elezioni.

TRA WELFARE RAREFATTO E ROTTURA DELL’ASCENSORE SOCIALE

Questa ricerca è più sentita soprattutto nella parte bassa della scala sociale. La percentuale sale infatti al 56% tra le persone con redditi bassi e al 62% tra i soggetti meno istruiti, fino al 67% tra gli operai. Secondo il Censis, gli italiani alle prese con gli anni della crisi hanno dovuto prima «metabolizzare la rarefazione della rete di protezione di un sistema di welfare pubblico in crisi di sostenibilità finanziaria», poi fare i conti con «la rottura dell’ascensore sociale, assumendo su di sé anche l’ansia provocata dal rischio di un possibile declassamento sociale».

TRE ITALIANI SU QUATTRO NON SI FIDANO DEL PROSSIMO

La reazione immediata è stata «una formidabile resilienza opportunistica, con l’attivazione di processi di difesa spontanei e molecolari degli interessi personali». Ma la situazione è andata peggiorando perché dagli stratagemmi individuali si è passati allo «stress esistenziale, logorante perché riguarda il rapporto di ciascuno con il proprio futuro». Così per il 69% degli italiani il Paese è ormai «in stato d’ansia». Il 75% non si fida più degli altri, il 49% ha subito nel corso degli anni una prepotenza in un luogo pubblico (insulti o spintoni), il 44% si sente insicuro nelle vie che frequenta abitualmente, il 26% ha litigato con qualcuno per strada.

IL BLUFF DELL’AUMENTO OCCUPAZIONALE

Per il Censis l‘aumento dell’occupazione nel 2018 (+321 mila occupati) e nei primi mesi del 2019 è un «bluff» che non produce reddito e crescita. Il bilancio della recessione è di -867 mila occupati a tempo pieno e 1,2 milioni in più a tempo parziale. Il part time involontario riguarda 2,7 milioni di lavoratori, con un boom tra i giovani (+71,6% dal 2007). Dall’inizio della crisi al 2018, le retribuzioni del lavoro dipendente sono scese di oltre 1.000 euro ogni anno. I lavoratori che guadagnano meno di 9 euro l’ora lordi sono 2,9 milioni.

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Davide e Sofia eccezionali, giudici in confusione perpetua

Tornambene e Rossi restano i due concorrenti più dotati, mentre la giuria pare senza più mordente. Tra gli ospiti si salva il pianista siriano Aeham Ahmad. Le pagelle della semifinale.

Rischioso, mettere una popstar sullo stesso palco con degli aspiranti: può capitare come con la boxe, il ragazzino affamato che mette alle corde il campione sazio e pasciuto, gli fa fare una magra figura. Davide di X Factor, per esempio, canta meglio di Tiziano Ferro. Meglio sotto tutti gli aspetti, dal timbro all’espressività; 15 anni fa, lo avrebbero costruito e ci avrebbero costruito una carriera, magari fino in America, adesso rischia di bruciarsi al sole fatuo di un talent, lui come Sofia, stelline di due mesi e poi l’oblio.

Se questo X Factor – che per tutta questa tredicesima edizione ha rantolato, annaspato, ha mostrato muscoli che non aveva per mascherare il declino – una chiave di lettura ancora la conserva, è la seguente: testimonia del totale sbando di una discografia che ai talent ha appaltato il suo vivaio, almeno quello del mainstream, del commerciale che è il genere di riferimento. Una formula che dovrebbe, doveva scoprire quelli bravi, i talenti e troppo spesso li manda a sicuro macello, privilegiando il qui e ora della faccetta bella e possibile, spendibile, del personaggino dalle spinte giuste, da fiondare subito a Sanremo, da spremere e buttare.

Quando va bene: che è di Lorenzo Licitra,”tenor di grazia” vincitore nel 2017 e subito evaporato, uno che da due anni annuncia un disco che nessuno ha più visto? Voi direte: e allora i Maneskin? Allora Anastasio? I Maneskin non esistono, esiste il cantante Damiano che presto proseguirà da solo, per quel che durerà, Anastasio invece è talmente atipico che sarebbe uscito fuori anche senza talent. Ma quanti cadaveri di possibili artisti disseminano il cammino di queste 13 edizioni di X Factor? Domande che ci poniamo alla vigilia, ormai, di una finale che schiera due bravi, Davide e Sofia, una coppia di trapper per ragazzi, la Sierra, e un non so cosa che non ha il non so che, questi Booda che, azzardiamo, non avranno alcun futuro.

TUTTA LA GIURIA SOTTO LA SUFFICIENZA

ALESSANDRO CATTELAN: 6. Del color del suo vestito. Grigio. Senza sfumature.

MARA MAIONCHI: 4. A immagine e somiglianza del programma che l’ha lanciata a 70 anni: spremuta, spenta, ripetitiva, fuori dai tempi e dal tempo; senilmente fissata con «l’erotismo» (dei Booda, che le manca). Arriva in finale senza nessun candidato, lei che in passato tanti ne aveva fatti vincere (e di più ne aveva affogati).

MALIKA AYANE: 4. Sera dopo sera, ha affilato il birignao a livelli d’afasia: quand che la parla, se capiss nagott. Magari modulasse così quando canta. Tanto look, zero sostanza; ha ragione solo su una cosa, quando difende Davide dai colleghi, in malafede o stupidi, che non ne vedono «il percorso», che lo considerano datato: giudizi a pera, anche Mozart a questa stregua è datato.

SFERA EBBASTA: 4. Vedi sopra. Per lui tutto ciò che non è truffa rappettara è vecchio, non ha senso. Ma a non aver senso è lui. «Ah, mi rompono le balle perché dicono sempre hai spaccato». Mah, chissà con chi ce l’ha. Glielo ripetiamo una tantum, perché la zucca, sotto il color porporina, è notoriamente dura: Sfera, hai spuaccuato. Le bualle.

SAMUEL: 4. Il nostro Umarell fals e corteis, come si dice dei piemonteis (ma è un pettegolezzo a livello portineria) se ne porta ben due alla finale. E bravo. Ma certi giudizi, proprio… «Ah, Davide, sei bravissimo ma non so dove vai». Perché, lui Samuel dove va? A scaldar la poltrona a XF. Mai un guizzo, mai un sussulto, azzarederemmo che per lui XF finisce giovedì prossimo.

SOFIA E DAVIDE SOPRA TUTTI, BOODA SPROFONDA

SIERRA (Born Slippy, Nuxx, Underworld/ Ni Ben Mal, Bad Bunny): 5. Candidati alla vittoria ormai. Sarebbe scandaloso, ma li pompano: hanno visto che su internet sono i più consumati. Come se bastasse ad una credibilità; forse qui sì, qui è tutto quello che conta. Ma se questo due di rapperminkia («fra bro c’è aria che tira stasera che tiro») fosse solo fumo per ragazzi?

SOFIA TORNAMBENE (Human nature/Michael Jackson/Love of my life, Queen): 7 1/2. Dicevano: ah, che difficile però il pezzo della Sierra coatta, gli Underworld: e allora Sofia? Ma se una è brava, non teme neanche il fantasma di Michael Jackson. E infatti. Questa ragazzina sa cantare, ha un istinto che supplisce alla tecnica, e impara in fretta. Ha un bel timbro, caldo e fresco. Dio le ha dato tutto. Anche se sui Queen convince meno. Tra parentesi, l’arrangiamento di entrambi i brani, in termini freddamente analitici, faceva desiderare e questa è un’altra tara di X Factor.

DAVIDE ROSSI (Toxic, Britney Spears/Uptown Funk, Bruno Mars): 8 1/2. Se penso che era un bambino grasso alla corte della tortellona Antonella Clerici. Qui è il migliore, senza discussioni. Anche più di Sofia. Lui ha anche tecnica, oltre che doti naturali, ha un timbro che a volte ricorda Freddie Mercury, a volte Elton John, se la cava anche molto bene al piano, ha confermato una versatilità che gli contestavano; davvero appaiono meschini i rilievi di certi “giudici”, «ah, ma tu non hai un percorso». Loro, invece… Straniante, sentirlo criticare da gente che non vale un suo sputo.

BOODA (Dibby Dibby Sound, Dj Fresh vs Jay Fay/Level up, Ciara): 4. E fu così che il cronista, a 55 anni, dopo un’onorata carriera anche a volte pericolosa, si ritrovò a parlare di tre che fanno dibidibidi dibidibidù. Ma XF è quel posto dove vogliono far fuori uno come Davide, e non ce la fanno perché davvero non possono, perché sarebbe oltre l’indecenza, e però mandano in finale ‘ste tre app, ‘sta Cristina d’Avena liofilizzata. Erotici come sardine, e tutto il resto è Booda, dibidibidù.

EUGENIO CAMPAGNA (Una buona idea, Niccolo Fabi/Nessuno vuol essere Robin, Cesare Cremonini): 5. L’hanno spinto fin dove hanno potuto, lui ci credeva pure, gli davano, spericolatamente, della nuova grande cosa della canzone d’autore, del poeta: Eugenio Montato. Ma se poi ti fanno i complimenti perché non hai fatto orrore come la settimana scorsa, che senso ha? Ora, non sapremo mai se ha stancato “il pubblico dei social” o se si son fatti due calcoli. Sconta anche l’invecchiamento di nonna Mara, che difficilmente potrà imporlo come un nuovo Nigiotti.

💥 SBAM 💥Ospite della Semifinale di #XF13 per la prima volta in TV 😇 tha Supreme 😈 con “Blun7 A Swishland”!

Posted by X Factor Italia on Thursday, December 5, 2019

TRA GLI OSPIDI SOLO AEHAM AHMAD COMUNICA QUALCOSA

THA SUPREME: ??. Potevamo anche mettere: WTF? (la traduzione evitiamola). E come fai a commentare un cartone animato? Che non c’è, oltretutto, vecchissimo trucco, basti pensare ai Residents. Insomma, la recensione su questo ignoto già l’ho fatta, e forse è stata la più difficile della vita mia.

TIZIANO FERRO: 5.Sto Tiziano poesse Fero e poesse Piuma: oggi è stata ‘na lagna. Non si sta un po’ appesantendo, imbolsendo? A metà della sua maturazione, basta non incanutisca precocemente: il rischio c’è.

AEHAM AHMAD (I forgot my name): 6. Suggestivo. Per come ha vissuto, per come suona. Per quello che dice. Se non canta è meglio.

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Schiaffi e insulti contro i bambini all’asilo, sospesa maestra nel Varesotto

Secondo le indagini la donna picchiava i bambini fin dal 2017. E in alcuni momenti avrebbe fatto entrare il compagno nella struttura per appartarsi con lui.

Una maestra di asilo nido di Coquio Trevisago (Varese) è stata sospesa dalla professione per sei mesi dal gip con l’accusa di aver maltrattato bambini di età compresa tra pochi mesi e due anni. La donna, a quanto emerso da un’indagine dei carabinieri, urlava ed offendeva i piccoli e in alcune occasioni li avrebbe schiaffeggiati e lasciati da soli in preda a crisi di pianto. A far scattare le indagini i genitori di un bimbo che aveva avuto incubi notturni e mostrava difficoltà relazionali.

«Sei proprio un terrone», «guardati, fai schifo» e, ancora, «piangi che così ti passa». Sarebbero queste alcune delle frasi che la maestra ha rivolto ai piccoli affidati dai genitori. La donna, secondo quanto ricostruito dai carabinieri, avrebbe maltrattato i bambini a partire dal 2017, in venti occasioni.

Dalle indagini è emerso anche che la maestra si appartava in uno stanza con il compagno fatto entrare di nascosto all’asilo nido, lasciando soli i bambini. Le telecamere installate dai carabinieri, su disposizione del pm di Varese, hanno filmato l’uomo mentre entrava nella struttura e si chiudeva in una stanza, nascosta ai bambini, con la donna per consumare rapporti sessuali.

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Sciopero alla Embraco: messi in Cigs anche i leader della protesta

I lavoratori manifestano davanti ai cancelli a Riva di Chieri dopo la decisione dell'azienda di mettere in cassa integrazione anche i responsabili dell'ufficio tecnico e dello stabilimento.

I lavoratori della ex Embraco, Ventures, sono in sciopero e manifestano davanti ai cancelli a Riva di Chieri dopo la decisione dell’azienda di mettere in cassa integrazione anche i responsabili dell’ufficio tecnico e dello stabilimento – una trentina di dipendenti – che si sono più esposti nelle ultime iniziative di protesta. I lavoratori aspettano ora l’incontro al Mise previsto nella settimana del 16 dicembre.

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Mediobanca, il presidente Pagliaro verso l’addio

Lo storico dirigente della banca d'affari pronto a lasciare per sottrarsi alla guerra - che lui ritiene sbagliata - tra Nagel e Del Vecchio, in lotta per controllare l'istituto fondato da Enrico Cuccia e con esso Generali.

Impegnato nella guerra con Leonardo Del Vecchio, che punta a controllare Mediobanca per arrivare a comandare in Generali, Alberto Nagel sta facendo la conta degli amici e dei nemici. E non solo tra i soci esistenti, ma anche tra i dirigenti.

L’amministratore delegato della banca d’affari creata da Enrico Cuccia, infatti, teme defezioni proprio tra coloro che lo circondano ogni giorno. Per questo si è sfogato in modo accorato con alcuni interlocutori, raccontando loro che il presidente Renato Pagliaro gli ha confessato di avere l’intenzione di lasciarlo solo.

Nagel si è lamentato di una scelta fatta in una fase cruciale della battaglia per il controllo dell’istituto situato alle spalle della Scala, senza capire che Pagliaro lo fa per sottrarsi a una guerra che non solo sente non sua ma ritiene profondamente sbagliata.

PAGLIARO, UNA VITA IN MEDIOBANCA

Pagliaro, che è presidente del consiglio di amministrazione di Mediobanca dal maggio 2010, era entrato in piazzetta Cuccia nel 1981, subito dopo essersi laureato in Bocconi. E lì ha sempre lavorato, ricoprendo diversi ruoli tra cui quello di vice direttore generale a partire dall’aprile del 2002, di condirettore generale e segretario del Consiglio di amministrazione dall’aprile 2003, di direttore generale dall’ottobre 2008 al maggio 2010, quando ha preso il posto che fu di Cuccia e di Vincenzo Maranghi.

Si libera un posto di prestigio, merce di scambio pregiata che può tornar buona all’attuale amministratore delegato

E proprio per questo percorso professionale tutto per linee interne, oltre per la stima che gli è unanimemente riconosciuta, la sua uscita – ragionevolmente non per andare in pensione, visto che ha appena 62 anni – diventerebbe un caso traumatico, destinato a incidere sulle vicende in corso.

L’amministratore delegato di Mediobanca, Alberto Nagel.

Tuttavia, a Nagel un amico malizioso ha fatto notare che non tutto il male viene per nuocere, e che c’è l’altra faccia della medaglia di cui deve essere contento: si libera un posto di prestigio, merce di scambio pregiata che può tornar buona all’attuale ad deciso a difendere con i denti Mediobanca dalle mire del paperone di Agordo.

Quello di cui si occupa la rubrica Corridoi lo dice il nome. Una pillola al giorno: notizie, rumors, indiscrezioni, scontri, retroscena su fatti e personaggi del potere.

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Viva le Sardine ma anche i ragazzi del Virgilio

A Roma nessuno sembra pensare al destino dell'edificio scolastico che non si può e non si deve regalare alla speculazione. Solo i liceali se ne interessano nell’omertà di forze politiche e di intellettuali che discettano di occupazione si-occupazione no.

Il “caso” del Liceo Virgilio di Roma merita una tribuna nazionale. La ebbe lo scorso anno e quello precedente perché, durante una occupazione, scrisse un cronista fantasioso di un giornale locale, si erano girati filmini porno che la polizia non ha mai trovato e venne vandalizzato l’istituto con danni stimanti in cifre immensamente inferiori a quelle accertate dagli agenti.

Si discusse anche sulla legittimità delle occupazione e alcuni autorevoli esponenti del centro-sinistra, fra questi credo Francesco Rutelli, sostennero che il liceo Virgilio era una scuola soffocata dal sinistrismo dei suoi studenti al punto che conveniva ritirare i propri figli.

Sul Corriere della sera apparvero due interviste contrapposte, una mia, a viso aperto, a difesa dei ragazzi e delle ragazze e una di una genitrice che mantenne il segreto sul proprio nome, come una pentita di Cosa Nostra. Oggi e forse per un giorno ancora quel liceo è occupato. Ed è cominciato l’ambaradan mediatico guidato dal Messaggero e da un suo cronista col manganello.

ESISTONO MODALITÀ DI LOTTA CAPACI DI CREARE CONSENSO

Non sono un tifoso delle occupazioni scolastiche perché negano diritti a chi a scuola vuole andare. In situazioni eccezionali le forme di lotta possono essere anche molto dure, ma in tempi normali ricorrere alla forma di lotta più dura è un errore. D’altra parte i movimenti moderni, fino alle Sardine, alla coraggiosissime donne cilene e al movimento contro il femminicidio, hanno inventato modalità di lotta assai più efficaci verso la pubblica opinione, in grado di allargare il consenso e non di restringerlo. È per questo che se fossi stato studente avrei detto no all’occupazione. La stessa occupazione si sta svolgendo però con ospiti preziosi, da Michela Murgia a Marco Damilano, che arricchiscono culturalmente ragazzi e ragazze.

GLI STUDENTI DEL VIRGILIO CONTRO GLI SPECULATORI

Il tema che ai più sfugge è che a differenza di tutte le altre lotte studentesche, quella del Virgilio è una lotta per la difesa della città. Chi non è di Roma deve sapere che questo liceo affaccia su un lato sulla bellissima via Giulia e dall’altro sul Lungotevere. È una posizione che attira le voglie di speculatori che preferirebbero che la scuola chiudesse e che quell’edificio diventasse un albergo di lusso.

Difendere quell’edificio scolastico è una straordinaria battaglia cittadina che fanno solo gli studenti

Roma non è priva di palazzinari, alcuni di questi sono proprietari di giornali che non hanno mai scoperto uno scandalo cittadino salvo chiedere alla polizia di manganellare adolescenti per mostrare l’ingovernabilità di quella scuola, spingere alla non iscrizione e via via costringere ad abbandonarla così che possa cadere nelle mani di speculatori. Difendere quell’edificio scolastico è una straordinaria battaglia cittadina che fanno solo – ripeto – solo gli studenti nell’omertà di forze politiche e di intellettuali che discettano di occupazione si-occupazione no.

Il liceo Virgilio di Roma durante l’occupazione (foto Cecilia Fabiano-LaPresse).

SE SONO GLI ADOLESCENT GLI UNICI CON UN SENSO CIVICO

Per fortuna il commissariato di zona ha dimostrato in questi anni di avere i nervi saldi e di saper decidere fuori dal circo mediatico giudiziario. Tuttavia è normale che il direttore e il cronista del Messaggero incitino all’assalto poliziesco contro minorenni? È normale che in città nessuno voglia occuparsi di garantire la destinazione pubblica di un edificio che non si può e non si deve regalare alla speculazione? Io scrivo queste cose in evidente conflitto di interesse perché mio figlio è lì. Lui sa come la penso sulle occupazioni. Ma sa che lui e le sue compagne e i suoi compagni avranno, anche nel dissenso sulle forme di lotta, sempre la mia ammirazione per come difendono questa città che altri lasciano andare verso l’ingordigia di speculatori e le trombette di giornalisti privi di senso civico.

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Vertice sulla manovra per trovare un accordo sulle tasse

Si cerca l'intesa sulle risorse. Italiaviva contro plastic e sugar tax: «Un disastro occupazionale». Il Pd: «Preferite le multinazionali al taglio delle tasse ai lavoratori». Gualtieri cerca una soluzione.

Braccio di ferro al vertice di maggioranza sulla manovra in corso a Palazzo Chigi. L’obiettivo della riunione di maggioranza è trovare un accordo sulla plastic tax. Conte assicura che il clima è buono e che c’è convergenza politica. Meno ottimista Renzi, che prevede una crisi di governo al 50%.

ITALIA VIVA CONTRO PLASTIC TAX E SUGAR TAX

Italia viva insiste sul taglio delle tasse sulla plastica e sulle bevande zuccherate. M5s e Pd invece frenano: il Dem Andrea Orlando ha rilanciato la proposta di utilizzare eventuali nuove risorse – si parla di circa 500 milioni – per tagliare ancora le tasse sul lavoro. Al tavolo il ministro Roberto Gualtieri avrebbe portato diverse proposte, ma una soluzione non ci sarebbe ancora.

LA BELLANOVA METTE IN GUARDIA DAL «DISASTRO OCCUPAZIONALE»

«Plastic tax e Sugar tax determineranno un disastro occupazionale. Ora al lavoro per trovare un accordo che dica no a microbalzelli e sì al lavoro», ha scritto su Twitter il ministro dell’Agricoltura e capo delegazione di Iv al governo, Teresa Bellanova.

LA REPLICA PD: «PREFERITE LE MULTINAZIONALI AI LAVORATORI»

Fonti del Pd hanno replicato: «Italia Viva ai lavoratori italiani preferisce le multinazionali delle bibite gassate, come la Coca Cola. Non vuole diminuire le tasse sul lavoro ma pensa solo a togliere la sugar tax, per favorire società per azioni che non hanno sede neanche in Italia. È solo grazie al Pd che sono stati salvati gli italiani dai 23 miliardi della Salvini Tax e che si mette in campo il taglio delle tasse ai lavoratori da oltre 3 miliardi».

LA CAMERA VOTA IL DECRETO FISCO

Alla Camera intanto è atteso il voto finale al decreto legge Fisco, sul quale l’aula ha confermato la fiducia all’esecutivo. Conte intanto respinge il piano di ArcelorMittal per l’ex Ilva, che prevede 4.700 esuberi. FimFiom-Uilm in sciopero dal 9 dicembre.

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I deputati del M5s pronti a sfiduciare il capo politico Di Maio

Parlamentari pentastellati sul piede di guerra per le posizioni più radicali del ministro degli Esteri. Battaglia sul ritorno di Di Battista e i torni accesi sul Mes.

I mal di pancia e i malumori in casa M5s sono tutt’altro che sotto controllo. Secondo Repubblica in casa grillina sarebbe circolato un messaggio molto duro dei deputati per mettere in guardia il capo politico: «Se i toni non cambiano, se a guidare le danze dev’essere Alessandro Di Battista e i retroscena che ci danno pronti per il voto non vengono smentiti, faremo firmare a tutti un documento per sfiduciare il capo politico».

Secondo la ricostruzione di Repubblica l’ultimatum al ministro degli Esteri sarebbe partito dopo la riunione del 4 dicembre tra i 14 capigruppo nelle diverse commissioni dei parlamentari pentastellato. A inasprire ancora di più i toni è stata la battaglia sul Mes. Molti deputati non hanno mandato giù il tentativo di Di Maio di andare allo scontro dato che il mandato era di trattare con il resto della maggioranza.

A preoccupare è anche l’attivismo e il ritorno di Di Battista, sancito proprio dallo stesso leader a diversi esponenti del Movimento: «Se volete che mi dimetta, dopo di me c’è solo Alessandro». I deputati in un certo senso hanno fatto loro la linea dettata dal fondatore Beppe Grillo che da mesi spinge per legarsi al Pd all’interno del centrosinistra in ottica anti-sovranista.

DI MAIO IN DIFESA DEL DIBBA

Nella mattinata del 6 dicembre Di Maio è intervenuto sulla questione dai microfoni di Radio Capital spiegando che «È sacrosanto che nel movimento non tutti siano d’accordo con me, però trattare Alessandro come un corpo estraneo al movimento mi fa male, abbiamo costruito un pezzo di movimento insieme e se parla di togliere le concessioni a Benetton e che non possiamo firmare al buio un trattato internazionale come il Mes», io «credo che vada sostenuto», ha spiegato.

LA MANCANZA DI UN’ALTERNATIVA

I dissidenti anti-Di Maio, però, sono ancora orfani di un leader alternativo. Si era pensato all’attuale ministro Stefano Patuanelli, già capo gruppo del Movimento al Senato sia perché in sintonia col fondatore, che in buoni rapporti con la famiglia Casaleggio, Gianroberto prima e Davide ora. Ma Patuanelli ha respinto le lusinghe al mittente dicendo di non essere disponibile.

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Come cambia il processo civile con la riforma Bonafede

Il ministro della Giustizia e il premier Conte hanno presentato le novità per il rito civile. Dal maggiore uso della composizione collegiale alla digitalizzazione: le novità.

Dimezzare i tempi dei processi civili: in attesa che si trovi una quadra nella maggioranza sulla riforma del processo penale e sull’avvio della prescrizione, il governo vara il nuovo processo civile.

Una riforma, ha assicurato il guardasigilli Alfonso Bonafede, considerata «prioritaria dal 90% degli italiani». Meno norme e poche regole che valgono per tutti i gradi del processo è la filosofia della riforma che punta ad incidere sulla disciplina del contenzioso civile, nell’ottica della «semplificazione, della speditezza e della razionalizzazione delle procedure» salvaguardando allo stesso tempo il rispetto delle garanzie del contraddittorio.

«Attrarremo più investitori» ha assicurato il premier Giuseppe Conte che assieme al ministro della Giustizia è sceso in sala stampa per rassicurare anche sulle tensioni in corso nella maggioranza sulla prescrizione ribadendo: «assicureremo la ragionevole durata dei processi ma» la norma sulla prescrizione «in vigore dal 1 gennaio va mantenuta».

BONAFEDE: «SI PASSA DA TRE A UN SOLO RITO»

«Siamo al lavoro e sono sicuro che raggiungeremo un’intesa per poter garantire la ragionevole durata dei processi», ha ripetuto Bonafede. Che ha insistito però su un punto imprescindibile: «Non è possibile pensare che dopo la sentenza di primo grado non ci sia una risposta dello Stato, che sia di assoluzione o di condanna». Quanto invece alla riforma del civile, il ministro ha spiegato che si passa «da tre riti ad un rito» e che ci sarà un solo atto introduttivo: il ricorso.

LE NOVITÀ SU UDIENZE E RITO COLLEGIALE

Anche il perimetro della causa verrà «definito 10 giorni prima che le parti compaiano davanti al giudice». Inoltre verranno eliminati i tempi morti, con la riduzione del numero delle udienze e l’eliminazione dell’udienza di precisazione delle conclusioni. Ridotti anche i casi in cui il tribunale giudicherà in composizione collegiale, modello che verrà applicato anche al rito collegiale e a quello d’appello. La riforma elimina il rito Fornero nel diritto del lavoro («una pagine triste della storia politica e giudiziaria», ha spiegato Bonafede) e particolare attenzione viene riservata dal testo al procedimento per lo scioglimento delle comunioni, che risulta oggi tra quelli con durata più elevata.

SANZIONI PER CAUSE TEMERARIE

E sempre per smaltire gli arretrati e facilitare il lavoro dei giudici ci saranno «sanzioni» per chi intraprende cause temerarie. Infine ci sarà il divieto per l’ufficiale giudiziario di fare la notifica cartacea se il destinatario ha un indirizzo Pec o se ha un indirizzo digitale. Sarà tutto digitalizzato, e sulla digitalizzazione verrà fatto un vero investimento. Insomma, ha concluso il Guardasigilli, «nel codice di procedura civile ci saranno meno regole valide per tutti i processi».

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Gli ultraconservatori cavalcano le proteste in Iran

I riformisti mollano Rohani dopo la repressione. E l'ala più oltranzista guadagna forza in vista delle Legislative a febbraio. Così l'autoritarismo vince sulle democrazie.

Non è secondario che nell’Iran sciita si voti a febbraio del 2020 per rinnovare il parlamento. Nella Repubblica islamica sono state appena stroncate le proteste di massa più grandi e violente del 1979: dalle testimonianze sfuggite al blocco della censura, centinaia di morti in pochi giorni, più delle circa 70 vittime (in 10 mesi) ricostruite nell’Onda verde del 2009. Migliaia gli arresti ammessi dalle autorità, chi ha mobilitato i cortei e dei loro famigliari sarebbero prelevati dalle forze di sicurezza dalle case porta a porta. Mentre in Iraq rivolte sanguinose scuotono santuari islamici come Najaf, a larga maggioranza sciita e storica influenza iraniana. Il Medio Oriente sciita, 40 anni fa mobilitato e tradito negli ideali democratici da Khomeini, tenta di rovesciare i regimi e i governi corrotti. Ma anche stavolta la repressione rafforza gli ultraconservatori in Iran e i militari iraniani approfittano delle turbolenze nell’area mediorientale. 

LA GRANDE MACCHIA DI ROHANI

Hassan Rohani è presidente dal 2013, grazie al consenso popolare degli alleati riformisti con i leader agli arresti domiciliari dalle proteste del Movimento verde contro il governo Ahmadinejad.  L’avvitamento economico – per le durissime sanzioni americane di Donald Trump – aggrava la crisi finanziaria di mese in mese, alimentando le contestazioni: già di per sé un guaio per lo schieramento di Rohani. I morti, i feriti, gli arresti e l’oscuramento per giorni di Internet e delle reti telefoniche (quest’ultimo disposto proprio da Rohani, si è scritto, in capo al Consiglio nazionale di sicurezza) macchiano il suo governo più del governo Ahmadinejad. Fuori dall’Iran nessuno sa quello che è davvero successo durante i disordini di metà novembre, alcuni racconti raccolti dalle Ong sono sconvolgenti. Ma a Teheran, a proposito di Legislative, ne ha un’idea anche qualche parlamentare. In una mozione urgente si chiede una commissione d’inchiesta sulle uccisioni e sugli arresti. 

Iran rivolte Iraq guerra pasdaran
Le rivolte nella città santa sciita di Najaf, in Iraq. GETTY.

MOUSAVI CONTRO KHAMENEI

Rohani sta perdendo tutti i voti dei riformisti. Il leader dell’Onda verde Mir Hossein Mousavi, costretto a casa con la moglie dal 2011, raramente parla in pubblico anche se da quest’anno gli è stato dato un cellulare e può guardare alcuni canali tivù. Ma quest’autunno ha fatto uscire su Internet frasi lapidarie contro la guida suprema iraniana Ali Khamenei: «Nel 1978 gli assassini erano i rappresentanti e gli agenti di un regime non religioso, mentre i cecchini del novembre 2019 sono i rappresentanti di un governo religioso. Allora il comandante in capo era lo scià, oggi è la guida suprema che ha autorità assoluta». Dal Majlis, il parlamento iraniano, la deputata riformista Parvaneh Salahshouri ha denunciato vittime adolescenti tra i morti nelle ultime proteste. E chiede sia fatta luce «sulle notizie unilaterali e umilianti diffuse dalla tivù sui manifestanti, arrabbiati e frustrati da numerosi problemi economici». Sulle reti di Stato le autorità hanno ammesso «spari ai teppisti facinorosi».

Il caos irradiato dalla rabbia delle popolazioni moltiplica i presidi dei pasdaran anche in Iraq

VOTO BOICOTTATO A FEBBRAIO

Le masse sono pronte a disertare il voto il 21 febbraio. Un boicottaggio che farà vincere gli ultraconservatori, i referenti politici dell’apparato di sicurezza in testa alla repressione. In prospettiva anche alle Presidenziali del 2021. Tanto più che a Rohani l’opposizione rinfaccia da sempre l’accordo sul nucleare con gli Usa, affossato da Trump ma mai decollato neanche con Barack Obama a livello economico. Mentre il caos irradiato dalla rabbia delle popolazioni moltiplica i presidi dei pasdaran iraniani anche in Iraq: dalle informazioni dell’intelligence americana le forze all’estero dei guardiani della rivoluzione di Khamenei hanno trasportato un arsenale di missili balistici in Iraq, approfittando della confusione e dei rinforzi chiesti dal governo amico di Baghdad. L’effetto paradossale della guerra americana a Saddam Hussein è stata, come per le sanzioni di Trump agli ayatollah, la penetrazione politica e militare dell’Iran nell’Iraq. Come già in Libano e in Siria.

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Paramilitari sciiti in Iraq, alle porte di Mosul. GETTY.

L’ARSENALE DI MISSILI IN IRAQ

Dal 2003 le milizie sciite irachene (cosiddette Forze di mobilitazione popolare) dei cecchini che sparano sui manifestanti sono state costruite e armate dai pasdaran. Mentre i marines addestravano l’esercito iracheno depurato dai quadri di Saddam Hussein, i governi filosciiti che si sono succeduti a Baghdad – pilotati dagli americani quanto dall’Iran – permettevano la proliferazione di paramilitari che sta prendendo il sopravvento. In Iraq i miliziani sciiti controllano strade, ponti, infrastrutture. Dove nell’ultimo anno, a un ritmo crescente, avrebbero fatto passare in segreto missili iraniani a medio raggio (circa 1000 km) che possono raggiungere Israele. O colpire i contingenti americani nel Paese, come i cinque razzi piovuti sulla base Usa di Ayn al Asad con oltre la metà dei marines in Iraq. Armi balistiche sofisticate, capaci di cambiare traiettoria e di sviare gli scudi aerei. Come è avvenuto lo scorso settembre con l’attacco alle raffinerie saudite.

Il ministero dell’Interno iraniano ha citato disordini in 29 province su 31 del Paese, inclusa la città santa di Mashad

LE RIVOLTE NELLE CITTÀ SCIITE

Un missile, per l’intelligence Usa, partito dall’Iran e virato poi a Nord sul Golfo persico. Per i fortini in Libano, Siria e Iraq, e per sempre nuovi e potenti armamenti, la Repubblica islamica investe miliardi dai budget statali prosciugati dal blocco dell’export e dall’inflazione rampante. In Iraq mancano i servizi e il territorio, da Nord a Sud, è devastato da attentati e guerre. Le proxy war in Medio Oriente dell’Iran logorano milioni di civili. Il ministero dell’Interno iraniano ha citato disordini in 29 province su 31, inclusa la città santa di Mashad. In Iraq si sono rivoltati i santuari dei pellegrinaggi sciiti di Kerbala e Najaf: un duro colpo, il doppio assalto al consolato iraniano di Najaf è un attacco anche simbolico dal cuore degli sciiti. Non a caso, a parole in Iraq i religiosi sciiti si schierano «contro la corruzione» con  i manifestanti. Ma a maggior ragione l’Iran aumenta i presidi militari e anche di religiosi in Iraq. E come in Siria, è ancora l’autoritarismo a vincere.

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Le quotazioni di Borsa e spread del 6 dicembre 2019

Piazza Affari si prepara all'apertura dopo una giornata in negativo. Il differenziale Btp Bund sopra 166 punti base.

La Borsa italiana si prepara all’apertura dopo una seduta conclusa in negativo per Piazza Affari, sulla scia di Wall Street e con la maggioranza delle altre principali Piazze europee.

LO SPREAD SOPRA 166 PUNTI BASE

In negativo le banche, con lo spread che ha chiuso sopra 166 punti, nonostante l’outlook migliorato dalle agenzie di rating. Giù Banco Bpm (-1,4%), Unicredit (-1,3%), Ubi (-1,2%), Intesa (-0,1%), meglio Bper (+0,5%). Male i costruttori con Buzzi (-1,5%) e gli autostradali con Atlantia (-0,8%).

In perdita Poste (-1,8%) e utility, a partire da Terna (-1,1%) e Snam (-1%). Ribassi per Tim (-1%) e Fca (-0,8%) col contenzioso con l‘Agenzia delle entrate, insieme a Exor (-1,2%) e Cnh (-1%). Bene Juve (+1,1%) e tra i petroliferi Tenaris (+0,9%), mentre soffre Eni (-0,06%), nonostante il rialzo del greggio (wti +0,5%). Tra i migliori Leonardo (1,5%) e Prysmian (+1,7%) con l’accordo con Equinor per un parco eolico a New York. Al top il lusso con Moncler (+6,5%) dopo le voci di un interesse da parte del miliardario canadese Lawrence Stroll, e Ferragamo (+7,3%).

I MERCATI IN DIRETTA

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