No dei giudici alla proroga: l’Altoforno 2 dell’Ilva si ferma

Il tribunale di Taranto dice no alla richiesta dei commissari dell'impianto di rimandare lo spegnimento. Resta il ricorso al tribunale del Riesame.

Mentre governo e ArcelorMittal tentano di individuare un percorso condivisibile per arrivare a un nuovo accordo sul turnaround dell’ex Ilva, tutti gli stabilimenti dell’ultimo colosso siderurgico italiano, sono fermi per lo sciopero indetto dai sindacati. E una tegola arriva in serata: il tribunale di Taranto rigetta la richiesta di proroga per l’attività dell’Altoforno 2 avanzata dai commissari al tribunale di Taranto. Questo tradotto vuol dire il possibile inizio delle operazioni di fermata degli impianti dal 13 dicembre. Anche se c’è un ulteriore spiraglio: fare ricorso al Tribunale del riesame.

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Safilo taglia 700 posti su 2.600: nel nuovo piano via un lavoratore su quattro

La ristrutturazione legata alla fine delle licenze del lusso Lvmh, inclusa quella con Dior. Aperto un tavolo negoziale coi sindacati.

Un piano industriale ‘lacrime e sangue’ con 700 dei 2.600 dipendenti in Italia dichiarati in esubero. In pratica quasi un lavoratore su quattro. Safilo, il gruppo di occhialeria fondato nel 1934 da Guglielmo Tabacchi e dal 2009 controllato dal fondo olandese Hal, ha comunicato il suo nuovo piano quinquennale, che fa leva su una profonda trasformazione digitale e su un drammatico ridimensionamento delle attività italiane.

EFFETTO DELLO STOP A LICENZE DI LVMH

La fine “delle licenze del lusso Lvmh“, inclusa quella con Dior, rende “necessario” un “piano di riorganizzazione e ristrutturazione industriale” con “conseguente riallineamento delle proprie strutture” al “nuovo scenario produttivo che l’azienda si troverà presto a dover gestire”. Dopo il 2021 Safilo, che ha circa 6.700 dipendenti a livello globale, perderà infatti circa 200 milioni di ricavi legati alle licenze con il colosso del lusso francese, che produrrà direttamente i suoi occhiali attraverso The’lios, la joint-venture con Marcolin.

APERTO UN TAVOLO NEGOZIALE CON I SINDACATI

Safilo, che accumula ininterrottamente perdite dal 2015, ha subito «aperto un tavolo negoziale» con i sindacati «al fine di individuare tutti gli ammortizzatori sociali disponibili per limitare gli impatti» sui dipendenti. «Nonostante il tentativo di far emergere soluzioni alternative» il piano ha «un impatto su un numero significativo di persone» ha ammesso l’ad Angelo Trocchia, impegnandosi a cercare le soluzioni “migliori” e più «responsabili» per i lavoratori.

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La legge sul Biotestamento è operativa: via libera alla banca dati per le Dat

Firmato il decreto attuativo per registrare le Disposizioni Anticipate di Trattamento. Speranza: «Ognuno ha una libertà di scelta in più».

Era l’ultimo tassello ancora mancante: la Banca dati nazionale per le Disposizioni Anticipate di Trattamento (Dat) era l’anello cruciale per rendere finalmente operativa la legge sul Biotestamento. Oggi, il ministro della Salute Roberto Speranza ne ha firmato l’atteso decreto attuativo ed «ora la legge è operativa». Una notizia accolta con favore dall’Associazione Luca Coscioni, che proprio per questo decreto aveva prima diffidato il ministero e poi fatto ricorso al Tar Lazio.

FIRMATO IL DECRETO SULLA BANCA DATI NAZIONALE

«Ho appena firmato il decreto sulla Banca dati nazionale per le Dat. Con questo atto la legge sul Biotestamento approvata dal parlamento», ha affermato Speranza, «è pienamente operativa e ciascuno di noi ha una libertà di scelta in più». La legge del 2017 sul Biotestamento regolamenta infatti le scelte sul fine vita, stabilendo che in previsione di un’eventuale futura incapacità di autodeterminarsi ci sia la possibilità per ogni persona di esprimere le proprie volontà in materia di trattamenti sanitari, nonché il consenso o il rifiuto su accertamenti diagnostici, scelte terapeutiche e singoli trattamenti sanitari, inclusi l’alimentazione e l’idratazione artificiali.

COME FUNZIONA LA BANCA DATI

Fondamentale è però l’istituzione della Banca dati destinata alla registrazione delle Dat, prevista per legge: il decreto firmato oggi da Speranza definisce appunto i contenuti informativi della Banca dati, i soggetti che concorrono alla sua alimentazione, le modalità di registrazione e di messa a disposizione delle Dat, le garanzie e le misure di sicurezza da adottare nel trattamento dei dati personali, le modalità e i livelli diversificati di accesso. Il provvedimento ha concluso il previsto iter amministrativo che ha visto, tra l’altro, l’acquisizione del parere del Garante per la protezione dei dati personale, l’intesa in Conferenza Stato-Regioni e il previsto parere del Consiglio di Stato. La Banca dati verrà alimentata con le Dat raccolte dagli ufficiali di stato civile dei comuni di residenza dei disponenti, dai notai e dalle Regioni che abbiano, con proprio atto, regolamentato la raccolta di copia delle Dat. Anche i cittadini italiani residenti all’estero potranno far pervenire la propria Dat alla banca dati nazionale attraverso le rappresentanze diplomatiche o consolari italiane all’estero.

POTRANNO ACCEDERE SOLO I MEDICI CHE HANNO IN CURA IL PAZIENTE

Ma chi potrà accedere alla Banca dati? Potranno farlo i medici che hanno in cura il paziente in situazione di incapacità di autodeterminarsi, il fiduciario (indicato dal medesimo disponente) ed il disponente stesso, tramite identificazione con il Sistema Pubblico di Identità Digitale (Spid) che garantisce la sicurezza dell’accesso. Le Dat precedentemente depositate presso Comuni, notai e rappresentanze diplomatiche o consolari italiane all’estero saranno acquisite nella banca dati nazionale entro sei mesi dall’attivazione della stessa. L’intero sistema, dunque, dovrebbe diventare operativo a breve, fati salvi i tempi tecnici necessari. Proprio per la realizzazione della Banca dati, la Legge di bilancio 2018 aveva stanziato 2 milioni di euro.

LE DAT IMMEDIATAMENTE CONSULTABILI

Le Dat sono rinnovabili, modificabili e revocabili: «Le Dat depositate presso Comuni o notai», spiega il segretario dell’Associazione Coscioni Filomena Gallo, «saranno finalmente immediatamente consultabili dai medici in caso di bisogno, in qualsiasi struttura sanitaria del territorio nazionale». Per completare l’applicazione della legge 219/2017 sul Biotestamento, conclude, «occorre però ora una grande campagna informativa a favore dei cittadini».

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Ritrovato quadro a Piacenza: potrebbe essere il Klimt rubato nel 1997

La tela è stata rinvenuta nell'intercapedine di una parete della Galleria d'arte moderna Ricci Oddi. L'ipotesi è che si tratti di "Ritratto di Signora", e che i ladri non l'abbiano mai recuperata.

Potrebbe essere stato ritrovato il dipinto di Gustav Klimt Ritratto di Signora rubato nel 1997 alla Galleria d’arte moderna Ricci Oddi di Piacenza. Durante i lavori di ripulitura di un’edera che copriva una parete esterna della stessa Galleria, si è scoperta un’intercapedine chiusa da uno sportello, all’interno della quale c’era un sacco, con dentro il quadro. Una prima expertise, a quanto si apprende, avrebbe confermato che si tratta dell’opera rubata, una delle più ricercate al mondo. Sono in corso ulteriori analisi per certificarne l’autenticità.

L’incredibile ipotesi alla quale stanno lavorando gli inquirenti è quindi che la tela non si sia mai mossa dal suo luogo di appartenenza. Il primo obiettivo sarà quello di confermare la veridicità della tela, ma il direttore della galleria piacentina Massimo Ferrari ha anticipato alla Libertà che «i timbri e la ceralacca sono originali». I ladri potrebbero aver nascosto il quadro nell’intercapedine sul muro esterno per poi recuperarlo qualche giorno dopo. Poi, però, forse anche per l’attenzione mediatica e la sorveglianza delle forze dell’ordine, non ci sono riusciti. Il quadro, insomma, una delle opere d’arte più ricercate del mondo, potrebbe essere stato nascosto per 22 anni sul muro esterno della galleria dove era stato rubato, senza che nessuno lo trovasse e senza che nessuno che era a conoscenza del nascondiglio andasse a prenderselo.

Il furto, o presunto tale, venne scoperto il 22 febbraio 1997. L’opera sparì in un uno dei tre giorni precedenti. La scoperta fu tardiva a causa di un trasloco di questa e altre nella vicina piazza Cavalli per una mostra su Klimt a Palazzo Gotico. Da subito apparvero moltissime le zone d’ombra: non fu mai chiaro se il capolavoro venne fatto uscire dal tetto (la cornice venne trovata vicino al lucernario) o se i ladri passarono dall’ingresso principale. Le indagini dei carabinieri del Reparto operativo di Piacenza portarono a indagare sui custodi della galleria, la cui posizione venne però ben presto archiviata dal gip per mancanza di prove. Nel 2016 l’inchiesta venne riaperta dopo il ritrovamento di tracce del Dna di uno dei ladri sulla cornice. Una testimonianza parlò addirittura di una pista esoterica, secondo la quale sarebbe stato utilizzato per un rito satanico.

Il capolavoro fa parte di un gruppo di ritratti femminili fatti da Klimt negli ultimi anni della sua attività (tra il 1916 e il 1918), alcuni dei quali rimasti incompiuti. Il quadro porta con sé un’altra storia: è stato dipinto sopra un altro ritratto di donna con un cappello, esposto a Dresda nel 1912, poi dato per disperso. In realtà il maestro austriaco lo aveva ritoccato trasformandolo nel quadro sparito a Piacenza nel 1997.

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I sindaci in marcia contro l’odio e per Liliana Segre

Seicento primi cittadini in corteo a Milano per sostenere la senatrice sopravvissuta all'Olocausto. Da Gori ad Appendino, per la Lega c'è il responsabile degli enti locali Locatelli.

Seicento sindaci in marcia, con la fascia tricolore, in segno di solidarietà alla senatrice vittima dell’Olocausto Liliana Segre. È iniziato da piazza dei Mercanti, a Milano, il corteo di sostegno alla senatrice a vita sopravvissuta all‘Olocausto, oggi sotto scorta per le ripetute minacce antisemite. Alla manifestazione, promossa dal sindaco di Milano Beppe Sala con il sindaco di Pesaro Matteo Ricci e organizzato da Anci, Ali e Upl, partecipano circa 600 sindaci in fascia tricolore delle grandi città ma anche delle medie e piccole amministrazioni, provenienti da tutta Italia e di diversi schieramenti politici.

BELLA CIAO E APPLAUSI IN GALLERIA VITTORIO EMANUELE

Passando sotto la Galleria Vittorio Emanuele II, il corteo ha intonato Bella Ciao. Al passaggio del corteo le persone schierate ai lati della Galleria applaudono la senatrice a vita, affiancata dai sindaci di Milano e Pesaro, Giuseppe Sala e Matteo Ricci, e urlano il suo nome in segno di sostegno

DA APPENDINO A GORI, FINO AL RESPONSABILE ENTI LOCALI DELLA LEGA

Al corteo partecipano, tra gli altri, i sindaci di Milano Beppe Sala, di Torino Chiara Appendino, di Palermo Leoluca Orlando, di Bologna Virginio Merola, di Bari Antonio Decaro, di Parma Federico Pizzarotti e di Bergamo Giorgio Gori. In prima fila anche il responsabile enti locali della Lega, Stefano Locatelli, sindaco di Chiuduno (Bergamo). I sindaci reggono un striscione giallo con scritto «L’odio non ha futuro», titolo della manifestazione.

UNA MARCIA SENZA SIMBOLI E BANDIERE

La marcia, senza bandiere o simboli di partito, si muove verso Piazza Duomo, attraversa la Galleria Vittorio Emanuele per poi fermarsi in Piazza Scala, davanti Palazzo Marino, sede del Comune di Milano, dove è previsto l’intervento della senatrice Segre, che sarà l’unica a prendere la parola al termine della manifestazione.

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La rottura di Barbara D’Amico col Corriere e le difficoltà dei giornalisti freelance

L'addio dopo l'ultimo taglio dei compensi: «Il sistema deve creare condizioni di sostenibilità». Scarse tutele dei collaboratori, frettolosità per gareggiare coi social, informazione sempre più scadente: intervista sui mali di un settore in crisi.

Rinunciare a una collaborazione importante e prestigiosa per una questione di principio. Barbara D’Amico ha detto basta. Quando il Corriere della sera le ha tagliato il compenso per articolo per la seconda volta nel giro di poco tempo, ha deciso di dire addio, motivando la sua scelta con un lunghissimo thread sul suo profilo Twitter.

Non una questione meramente economica, tutt’altro. Perché sì, prendere 15 euro lordi a pezzo quando prima erano 40 è «lavorare quasi gratis», ma ciò che le ha fatto perdere la pazienza è stata l’assenza di comunicazione. Non le hanno detto nulla, l’ha scoperto ancora una volta a cose fatte, ad articoli scritti e pubblicati, all’atto di emettere la fattura.

«LA MIA È UNA STORIA DI LIBERA SCELTA»

Una storia fin troppo comune, ma nei suoi tweet non troverete mai la parola “sfruttamento”. «Sono una vera partita Iva, non una falsa, non ho il giornale che mi ha sfruttato per anni. La mia è una storia di libera scelta. Io ho detto “se non vi potete più permettere di finanziare il progetto non è un problema, basta che me lo diciate”».

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Barbara D’Amico.

DOMANDA. La vita del freelance è dura.
RISPOSTA.
Sì, ma chiariamolo, il lavoro autonomo non è una cosa brutta, cattiva, che non va scelta. Anzi, io sono orgogliosa di essere freelance e voglio continuare a esserlo. Bisogna però capirsi sulla sostenibilità.

In che senso?
La mattina mi sveglio e devo fare io le proposte. Oppure vengo chiamata per fare il mio lavoro. Va bene, bisogna però intendersi sui tempi e le modalità. Se si è chiari fin dall’inizio va benissimo, poi può certamente capitare l’elemento esterno che cambia le carte in tavola, ma non deve mai mancare il rapporto di rispetto reciproco. Anche comunicare come sono messe le cose è una forma di rispetto del lavoro altrui.

Invece a volte questo rispetto viene meno.
Sì, e io ho deciso di fare la mia parte con un gesto di responsabilità e simbolico: quello di interrompere la collaborazione.

Perché l’ha fatto?
Perché questo è un settore che si deve rendere conto che se ha bisogno di certe figure deve creare delle condizioni di sostenibilità.

E come è andata?
Bene. Ho avuto una grande risposta, messaggi di colleghi freelance che mi ringraziano perché sono nella stessa situazione ma non hanno il coraggio di dirlo e tanti colleghi anche delle redazioni internet che riconoscono lo stato delle cose. So che non è che da domani alzeranno i compensi o cambieranno le cose, ma ho cercato di avviare una riflessione.

Di chi è la colpa della situazione attuale?
Su Twitter i sovranisti dicono che è colpa dell’euro, della svalutazione dei salari, tutte cose che non c’entrano niente.

E allora dov’è il problema?
È un problema di cultura del lavoro. Noi abbiamo un impianto normativo molto completo in Italia che già dovrebbe tutelare il lavoro, ma nella pratica non viene applicato e per farlo applicare bisogna andare in causa. E non credo che sia sempre lo strumento migliore, sebbene a volte sia indispensabile. Serve concertazione di tutti, corpi intermedi, aziende, editori, sedersi su un tavolo e capire cosa si vuole fare da grandi. Perché se l’informazione cala di qualità ci vanno a perdere tutti.

La colpa è solo degli editori?
No, tutta la filiera è colpita. Il punto vero è che se nessuno inizia a prendere delle responsabilità interne e continua a dare colpe esterne all’euro o a internet, non si va da nessuna parte. Bisogna capire quali sono le disfunzionalità e agire.

I giornalisti freelance che responsabilità hanno?
Quella di dire sì incondizionatamente a chiunque. Non c’è niente di male nel collaborare a pezzo, ma attenzione a prestarsi sempre e comunque. Ogni tanto se uno dice no, non succede niente e magari arrivano altre proposte.

A lei è successo?
Sì. Ho ricevuto più proposte di lavoro negli ultimi due giorni che in sei mesi. Ci può essere una via d’uscita.

I sindacati tutelano più i giornalisti dipendenti che i freelance?
Occupandomi di lavoro ho potuto vedere come lavorano i sindacati. La verità è che per tutelare chi è dentro ci sono gli strumenti, per chi è fuori sono molto più scarsi. Il lavoro autonomo non è regolato perché poggia su dei presupposti che sono in parte diversi, anche se le tutele dovrebbero essere uguali per tutti i lavoratori.

E così ancora non è.
È quello che si sta cercando di fare con lo Statuto del lavoro autonomo, che non sarà forte come lo Statuto dei lavoratori del 1970 ma è un primo passo. Sarebbe bello avere uno strumento che non mi costringa a scegliere tra il lavoro e la mia salute quando mi ammalo, e si sta andando in quella direzione. A oggi l’unica forma di tutela è una forma di rispetto reciproco, anche se mi rendo conto che sia utopico.

E come si può migliorare la situazione?
Faccio un esempio. Per i rider, in Belgio, c’è una cooperativa che si chiama Smart che è andata dai grandi player del food delivery e ha detto che avrebbe contrattualizzato lei i rider. Le aziende avrebbero mantenuto il pagamento a consegna lasciando una piccola percentuale alla cooperativa per la previdenza e tutele. Questo modello è una strada. Ci sono anche oggettivi mutamenti di mercato che riguardano l’editoria, coi social e internet che stanno cambiando il contesto, bisogna saper affrontare dotandosi di strumenti.

Si parla tanto di equo compenso, si era anche raggiunto un accordo tempo fa.
Dirò una cosa un po’ forte, ma secondo me l’equo compenso è già uno strumento un po’ superato, andava fatto tempo fa. Oggi il mondo si muove velocemente e non è più un problema di equo compenso. Non è inutile del tutto, sia chiaro, ci sono colleghi che prendono 2 o 3 euro al pezzo, ma il rischio è che nel momento in cui lo fai urti il sistema di formazione del prezzo e rischia di diventare un tetto salariale, non un minimo.

E cosa si dovrebbe fare?
Coinvolgere esperti di settore nella discussione per valutare pro ed effetti collaterali, come si sta facendo col salario minimo, che potrebbe fare da modello. Che poi il problema è alla base, è proprio stupido pagare a pezzo. Noi non scriviamo e basta, quello è l’ultimo step di un processo più lungo. Noi ricerchiamo e verifichiamo. Il compenso deve essere fatto sul servizio, non a pezzo.

Si dice che manchino i lettori e che il settore sia in crisi per questo. Che ne pensa?
Per me il lettore non ha colpe ed è imbarazzante dargliene. Anzi, la domanda di informazione è cresciuta, aziende come Facebook e Twitter ci campano sopra.

E allora cosa è successo?
Che il settore giornalistico si è azzoppato da solo perché in molti casi ha abdicato al metodo giornalistico. Il lavoro del giornalista non è pubblicare cose, ma verificarle. Andare a rompere le scatole alla fonte, prendere informazioni, incrociarle, ricostruire i fatti.

Una cosa che si fa sempre meno.
Perché il giornalismo ha avuto paura di Twitter e dei social e, all’inizio comprensibilmente, ha cominciato a scimmiottare la comunicazione social per l’ansia di arrivare prima di uno strumento che non si può battere in velocità. Si è prodotta un’informazione di scarsa qualità, frettolosa. Ma se è lo stesso tipo di informazione che si trova gratis online, perché il lettore dovrebbe pagarla?

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Morto il guru di Stamina Davide Vannoni

Era malato da tempo. Aveva 53 anni. Aveva cercato di accreditare con i malati una terapia contro le patologie neurodegenerative non riconosciuta efficace scientificamente.

Il guru di Stamina, Davide Vannoni è morto. Vannoni, inventore di una terapia con le cellule staminali per la cura delle malattie neuro degenerative mai riconosciuta come efficace a livello scientifico, è deceduto all’età di 53 anni. Malato da tempo, era ricoverato in ospedale. Proprio per il tentativo di accreditare ai malati la sua terapia, l’uomo era stato al centro di diversi procedimenti giudiziari.

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Era malato da tempo. Aveva 53 anni. Aveva cercato di accreditare con i malati una terapia contro le patologie neurodegenerative non riconosciuta efficace scientificamente.

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La cantante dei Roxette Marie Frediksson è morta

Ammalata di tumore al cervello dal 2002, la voce del duo svedese è scomparsa lunedì 9 dicembre.

Marie Fredriksson, la metà femminile del duo pop svedese Roxette, è morta all’età di 61 anni. Frederiksson formò i Roxette con Per Gessle nel 1986. I due pubblicarono il loro primo album lo stesso anno per poi raggiungere il successo internazionale alla fine degli anni ’80 e nei ’90. L’artista è morta lunedì «per le conseguenze di una lunga malattia». «È con grande dispiacere che dobbiamo informarvi della scomparsa di una delle più grandi e amate artiste», ha dichiarato la sua agenzia di management. Marie Fredriksson si ammalò nel 2002 e le fu diagnosticato un tumore cerebrale.

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Ammalata di tumore al cervello dal 2002, la voce del duo svedese è scomparsa lunedì 9 dicembre.

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Le due accuse a Trump nel processo per l’impeachment

Al presidente statunitense sono contestati l'abuso di potere e l'ostruzione al Congresso. Entro il 15 dicembre il voto in commissione Giusizia, la settimana successiva quello alla Camera. Ma lo scoglio principale è il Senato.

Abuso di potere e ostruzione al Congresso: sono questi i due “articoli” che saranno messi al voto per l’impeachment del presidente statunitense Donald Trump nella vicenda dell’Ucrainagate. Lo ha annunciato il presidente della commissione Giustizia Jerrold Nadler, sostenendo che il presidente ha messo se stesso davanti al Paese minacciandone la sicurezza, corrompendo le elezioni e violando la costituzione. Secondo l’accusa, Trump avrebbe fatto pressioni su Kiev affinché venissero avviate indagini su Hunter Biden, figlio di Joe, candidato democratico alle prossime elezioni. L’obiettivo di Trump, che a queste indagini avrebbe condizionato gli aiuti militari Usa all’Ucraina, sarebbe stato quello di danneggiare il suo maggior rivale al voto del 2020.

SCHIFF (COMMISSIONE INTELLIGENCE): «CI SONO PROVE SCHIACCIANTI»

Gli articoli contestati al presidente Usa sono stati annunciati in una conferenza stampa a Capitol Hill introdotta dalla speaker Nancy Pelosi, che ha parlato di un «giorno solenne». «Il presidente Trump ha usato il potere del suo ruolo contro un Paese straniero per corrompere le nostre prossime elezioni», ha poi rincarato la dose Pelosi via Twitter, «è una continua minaccia per la nostra democrazia e la nostra sicurezza nazionale».

Alla conferenza stampa erano presenti anche i presidenti delle altre cinque commissioni della Camera che hanno partecipato all’indagine di impeachment, tra cui Adam Schiff (commissione Intelligence), che ha ripercorso le fasi della vicenda dicendo che contro Trump «sono emerse prove schiaccianti». Di tutt’altro avviso la Casa Bianca, che in una nota ha commentato: «Non c’è alcuna prova di illeciti da parte del presidente. L’impeachment è un’ingiustizia e un inganno senza precedenti».

SUBITO IL VOTO IN COMMISSIONE, ENTRO NATALE QUELLO ALLA CAMERA

Dopo un dibattito interno non esente da contrasti, i dem hanno quindi deciso di limitare le accuse all’Ucrainagate, rinunciando a contestare l’ostruzione alla giustizia con gli episodi evidenziati nel rapporto Mueller sul Russiagate. La commissione Giustizia della Camera si riunirà ora entro il 15 dicembre per votare gli articoli dell’impeachment. Poi ci sarà il voto alla Camera in sessione plenaria, probabilmente entro Natale. Voto che dovrebbe passare. Più difficile, invece, quello decisivo al Senato, dove servono i voti favorevoli dei due terzi dell’Aula, a maggioranza repubblicana.

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Le Sardine e il caso della presunta apertura a CasaPound

Fanno discutere le parole del rappresentante romano del movimento: «Per ora nessun paletto, in piazza può venire chiunque». Ma un comunicato precisa: «Non abbiamo bandiere, ma siamo e resteremo antifascisti».

Se il pubblico endorsement di Francesca Pascale aveva già creato qualche grattacapo alle Sardine, ora a far discutere ci si è messa anche l’intervista rilasciata dal rappresentante romano del movimento al Fatto Quotidiano, nel corso della quale ha trovato spazio una sostanziale apertura a qualsiasi forma di rappresentanza, anche a formazioni di estrema destra come CasaPound. A parlare è stato Stephen Ogongo, leader dell’ala romana del movimento nato a Bologna il mese scorso.

«SIAMO E RESTEREMO ANTIFASCISTI»

Alla domanda sui «paletti» che le Sardine dovrebbero mettere all’ingresso del loro movimento, Ogongo ha risposto: «Quelli li metteremo se, e quando, ci daremo un’identità politica. Per ora è ammesso chiunque, pure uno di CasaPound va benissimo. Basta che in piazza scenda come Sardina». Il movimento, con un post apparso sulla sua pagina Facebook, ha immediatamente provato a correggere il tiro, intendendo il senso delle parole di Ogongo come una forzatura giornalistica. «Le piazze delle Sardine si sono fin da subito dichiarate antifasciste e intendono rimanerlo. Nessuna apertura a CasaPound, né a Forza Nuova. Né ora né mai».

«IL LINGUAGGIO POLITICO DI CERTA DESTRA HA PASSATO IL SEGNO»

«In merito all’articolo del Fatto Quotidiano», si legge in una nota, «sentiamo la necessità di fare alcune precisazioni. Non possiamo chiedere a ognuno dei partecipanti alla nostra piazza la fede politica, è una piazza libera e accogliente, non mettiamo paletti, non cacciamo nessuno. Essere senza bandiere non significa essere privi di idee e di coscienza politica. Sappiamo che piazza San Giovanni fa gola a molti. Ma ribadiamo con forza che l’invito è rivolto a chi crede che il linguaggio politico di una certa destra abbia passato il segno. A chi è stanco di stare a guardare dalla comodità del proprio divano».

CASAPOUND: «PRONTI AD ANDARE SE CI INVITANO»

CasaPound non si è fatta sfuggire l’occasione per provare a cavalcare il caso a proprio favore. «Le Sardine ci invitano in piazza? Ci andiamo ma non canteremo di certo Bella Ciao», ha risposto suTwitter il leader Simone Di Stefano. «Parliamo di idee, mutuo sociale, una nuova Iri, come aumentare i salari come mettere le banche sotto il controllo dello Stato, come far circolare e aumentare la ricchezza della nostra nazione».

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Sin Valbasento, Rosa: restituire alla collettività aree dismesse

“Vogliamo restituire alla nostra collettività le aree industriali dismesse dopo aver portato a termine le opere di bonifica e di messa in sicurezza”. Lo ha detto l’assessore regionale all’Ambiente ed Energia, Gianni Rosa, al termine dei sopralluoghi nelle aree del Sito di interesse nazionale (Sin) Valbasento. L’esponente della giunta Bardi ha tenuto tre incontri, a Salandra, a Ferrandina e a Pisticci, ai quali hanno preso parte i rappresentanti della Provincia di Matera, i sindaci dei Comuni interessati, i referenti del Consorzio industriale di Matera, i rappresentanti dell’Arpab e i responsabili dei procedimenti di bonifica, con l’intento di verificare lo stato dell’arte dei progetti e accelerare, rispettando uno stretto cronoprogramma, gli interventi previsti dall’Accordo di programma quadro sottoscritto per i Sin lucani nel 2013.
“L’attenzione del governo Bardi all’ambiente è altissima. Lo dimostra – ha aggiunto Rosa - il fatto che intendiamo riaccendere i riflettori sulla questione dei Siti d’interesse nazionale, abbandonati da anni. Ci sono procedure in ritardo o bloccate dalla burocrazia. Proviamo a svoltare anche su questo. Quando eravamo all’opposizione abbiamo spesso segnalato questi problemi. Oggi abbiamo il potere di incidere concretamente su tali questioni, di sollecitare gli uffici e di ottenere risultati in termini di controlli. Vogliamo trasformare in fatti e in azioni concrete. Non è possibile che a distanza di tanti anni esistano ancora situazioni di questo tipo. Abbiamo perso risorse a causa di lentezze burocratiche, ma ora stiamo stipulando un nuovo accordo quadro per recuperare quei fondi: vogliamo spenderli per l’ecologia”.
Riferendosi alle opere previste, Rosa ha riferito che “la procedura riguardante la bonifica della Materit è ancora ferma al Ministero”, “Avevamo sollecitato ottenendo un incontro per il 13 novembre scorso. Quell’appuntamento – ha detto ancora – è purtroppo saltato per alcuni problemi da parte della ditta affidataria. Le criticità sono state superate e quindi abbiamo richiesto nuovamente un incontro tecnico, che si terrà prima di Natale, per poter validare il progetto e successivamente partire con i lavori. Spero che l’anno nuovo ci porti notizie positive per il sito della Materit”.
Per quel che riguarda, invece, l’area di Pisticci, “alcuni progetti stanno andando avanti, altri si sono arenati, altri ancora sono in uno stato avanzato. Ci sono situazioni variegate e diverse. È importante a questo punto capire dove sono gli ostacoli per riattivare i processi. L’iniziativa di oggi per fare il punto della situazione serve proprio a questo”.
Sin Valbasento, gli interventi
Sono dieci gli interventi previsti dall’Accordo di programma quadro (Apq) “rafforzato”, firmato il 19 giugno 2013, per i due Siti lucani di interesse nazionale (Sin) Tito e Valbasento.
Per la bonifica dell’area industriale della Valbasento sono disponibili oltre 23 milioni di euro su un totale di circa 47 milioni di euro.
Dei sei interventi del Sin Valbasento, solo per il completamento dell’esecuzione della caratterizzazione della pista Mattei il bando di gara è stato aggiudicato in via definitiva. Per gli altri sono ancora in corso le procedure, rallentate dalla necessità di ulteriori indagini e rilievi. Particolarmente complesso, perché esteso ad aree ricadenti in tre comuni, Pisticci, Salandra e Ferrandina, il completamento della messa in sicurezza e bonifica delle acque di falda delle sole aree di competenza pubblica. A seguire, la bonifica dei suoli delle aree pubbliche nonché di quelle agricole colpite da inquinamento indotto, il completamento della caratterizzazione e della progettazione della bonifica delle acque superficiali e dei sedimenti del fiume Basento, la realizzazione degli interventi di Mise e la bonifica delle acque superficiali e dei sedimenti dell'asta fluviale del fiume Basento, e, infine, la progettazione e la realizzazione degli interventi di messa in sicurezza e bonifica del sito ex Materit.
  

Perquisizioni della Finanza sui fondi della Lega

Le Fiamme gialle nella sede dell'Associazione Maroni presidente. Operazione nell'ambito dell'inchiesta sui 49 milioni confiscati al partito di Salvini.

Fondi della Lega, ci risiamo. L’assessore all’Autonomia e alla Cultura della Regione Lombardia Stefano Bruno Galli è indagato dalla procura di Genova nell’ambito dell’inchiesta sul presunto riciclaggio di parte dei 49 milioni dei rimborsi del partito di Matteo Salvini. Il 10 dicembre la guardia di finanza ha eseguito una serie di perquisizioni in uffici e domicili a Milano, Monza e Lecco. Le verifiche, secondo quando si è appreso, riguarderebbero in particolare l’Associazione Maroni presidente.

REATI PRESCRITTI MA CONFISCA CONFERMATA

L’inchiesta genovese è nata da quella sui rimborsi elettorali che la Lega avrebbe ottenuto ai danni del parlamento tra il 2008 e il 2010, falsificando rendiconti e bilanci. Il processo si è concluso il 6 agosto con una sentenza della Cassazione che ha dichiarato prescritti i reati per Umberto Bossi e per il tesoriere Francesco Belsito, ma ha confermato la confisca dei 49 milioni.

PRESUNTO RICICLAGGIO DI UNA PARTE DEI FONDI

L’ipotesi su cui stanno ora lavorando i magistrati genovesi riguarda il presunto riciclaggio di parte di quei fondi, che da settembre il partito sta restituendo allo Stato a rate: secondo i pm alcuni dei 49 milioni sarebbero stati fatti sparire in Lussemburgo attraverso la banca Sparkasse di Bolzano e poi fatti rientrare, in parte, subito dopo i primi sequestri disposti della procura.

ASSOCIAZIONE «TENUTA NASCOSTA»

La banca ha invece sempre sostenuto che quei fondi (circa 10 milioni) fossero soldi dello stesso istituto, slegati dal partito. A giugno 2019, inoltre, investigatori e inquirenti genovesi hanno ascoltato, come persona informata sui fatti, l’ex consigliere della lista Maroni presidente, Marco Tizzoni, che a Milano aveva presentato un esposto in cui aveva adombrato il sospetto che l’Associazione Maroni presidente «fosse stata tenuta nascosta ai consiglieri dovendo servire quale soggetto occulto di intermediazione finanziaria in favore della Lega o di terzi».

IL PRESIDENTE È L’ASSESSORE GALLI

Il presidente dell’Associazione – stando a quanto si legge nello statuto pubblicato sul sito – è Stefano Bruno Galli, che è anche assessore all’Autonomia e alla Cultura della Regione Lombardia, mentre il consiglio direttivo è composto da Andrea Cassani, Ennio Castiglioni e dall’ex sottosegretario Stefano Candiani. La tesoriera è Federica Moro.

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Il governo Usa ha mentito sulla guerra in Afghanistan per anni

Secondo un lungo dossier ottenuto dal Washington Post, la Casa Bianca e l'esercito hanno manipolato le informazioni sullo stato del conflitto. I testimoni: «Non sapevamo cosa stavamo facendo».

I vertici dell’amministrazione Usa, da George W. Bush in poi, hanno più volte ingannato nel corso degli anni l’opinione pubblica americana sulla situazione in Afghanistan, per nascondere i fallimenti di una guerra che oramai dura da 20 anni e a cui il presidente Donald Trump sta tentando di porre fine con un accordo con i talebani.

DA DOVE PARTE IL RAPPORTO

La notizia esplosiva è uscita sulle pagine del Washington Post che ha condotto un’inchiesta sulla base di oltre duemila pagine di documenti ottenuti grazie al Freedom Of Information Act. In realtà il quotidiano aveva raccolto le informazioni già negli anni precedenti ma solo con l’intervento di un tribunale è stato in grado di pubblicare. Le carte che fanno parte di un rapporto del 2014 intitolato Lessons Learned e in cui si esaminano le origini degli insuccessi del coinvolgimento Usa nel Paese, iniziato all’indomani degli attentati dell’11 settembre 2001. Uno studio, costato 11 milioni di dollari, condotto attraverso oltre 600 interviste, comprese quelle a diversi responsabili ed ex responsabili della Nato e del governo afghano che «aveva l’obiettivo di individuare le fallimentari misure applicate in Afghanistan affinché gli Stati Uniti non commettessero gli stessi errori la prossima volta che avrebbero invaso un paese o cercato di ricostruirne uno».

TESTIMONIANZE MANIPOLATE PER MOSTRARE CHE SI STAVA VICENDO LA GUERRA

«Dalle testimonianze», ha scritto il Wp, «emerge come era comune nei quartier generali militari a Kabul, ma anche alla Casa Bianca, alterare e manipolare le statistiche per far apparire che gli Usa stavano vincendo la guerra, mentre non era così». «Queste carte», ha messo in luce l’inchiesta, «assomigliano molto ai famosi Pentagon Papers sulla storia segreta della guerra del Vietnam». Bob Crowley, colonnello del colonnello dell’esercito in pensione che lavorò come consulente nel Paese tra il 2013 e 2014 ha raccontato che si trovavano modi migliori per presentare il miglior quadro possibile.

LA MANCATA CONOSCENZA DELL’AFGHANISTAN

Tra i documenti esaminati anche alcuni memo inediti che risalgono al periodo tra il 2001 e 2006 dell’ex segretario alla Difesa Donald Rumsfeld. Il generale Douglas Lute, che sotto le amministrazioni Bush e Obama servì come war czar dell’Afghanistan alla Casa Bianca, è arrivato a dichiarare «non sapevamo quello che stavamo facendo». «Cosa stiamo cercando di fare qui? Non avevamo la più pallida idea di ciò che stavamo intraprendendo», aveva detto in un colloquio del 20 febbraio 2015. Un altro funzionato ha messo in luce come Washington fosse convinta di poter instaurare un forte governo centrale a Kabul, ma che la pretesa non teneva conto del fatto che il Paese, in tutta la sua storia, non aveva mai auto una forte autorità centrale: «La cornice per creare un simile governo è di almeno 100 anni, ed è un tempo che noi non abbiamo».

I NUOVI COLLOQUI COI TALEBANI

Ufficialmente la guerra è iniziata nell’ottobre del 2001, poco più di un mese dopo gli attacchi contro il Word Trade Center organizzati da al Qaeda, l’organizzazione creata e diretta all’ora da Osama Bin Laden e che aveva trovato riparto presso i talebani. Da allora il conflitto si è protratto a fasi alterne entrando quest’anno nel 18esimo anno di vita. Da allora i costi umani sono stati altissimi, così come quelli economici stimati intorno a 930 miliardi di dollari. Intanto il 4 dicembre il dipartimento di Stato Usa ha fatto sapere che l’inviato Usa per l’Afghanistan Zalmay Khalilzad, attualmente a Kabul, tornerà in Qatar per «riprendere i colloqui con i talebani per discutere le tappe che possono portare a negoziati interafghani e ad una soluzione pacifica della guerra, in particolare ad una riduzione della violenza che porti ad un cessate il fuoco».

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Il tribunale svizzero ha respinto il ricorso di Schwazer contro la squalifica

Secondo i giudici non è dimostrata la «massima probabilità» della manipolazione delle urine usate per il controllo antidoping. Ma il legale del marciatore altoatesino annuncia battaglia.

Il Tribunale federale della Confederazione elvetica di Losanna ha respinto la richiesta di sospensione della squalifica del marciatore Alex Schwazer. Lo ha comunicato il legale dell’altoatesino, l’avvocato Gerhard Brandstaetter. Secondo i giudici, non è dimostrata la «massima probabilità» della manipolazione delle urine usate per il controllo antidoping che portò alla squalifica, come ipotizzato da Schwazer. «Sulla base di questo verdetto Alex Schwazer porterà aventi con massima convinzione il procedimento davanti al Tribunale federale, con lo scopo di portare le prove necessarie per una sospensione della squalifica», ha detto Brandstaetter.b «Dal primo giorno ho sempre evitato di fare commenti su questa storia per ovvi motivi», ha dichiarato invece il presidente del Coni Giovanni Malagò. «Ho un ruolo istituzionale. È una vicenda che deve far molto riflettere, in tutti i sensi».

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Matera 2019, terza conversazione del progetto Onda

Per la terza ed ultima conferenza del progetto Onda - di Matera Capitale europea della Cultura 2019 - a cura di MaterElettrica, Francesco Fidecaro e Rosalia Stellacci si confronteranno sul concetto di spaziotempo tra l’antica filosofia dello yoga e le più recenti teorie nel campo della fisica. Nella precedente conferenza sulle onde gravitazionali – fa sapere la Fondazione Matera-Basilicata 2019 in una nota - si è visto come queste abbiano segnalato all’intero universo la fusione di due buchi neri, un evento invisibile anche al più potente dei telescopi normali pur irraggiando una enorme quantità di energia. Si tratta dell’importante risultato di una rivoluzione scientifica iniziata con il ventesimo secolo: prima con la Teoria Speciale della Relatività formulata nel 1905 da Einstein, poi con l’estensione alla Teoria Generale. È cambiata l’idea di spazio e di tempo e la forza di gravità è stata vista in una ottica nuova così come lo studio dell’evoluzione dell’Universo. Tutto questo è stato possibile con i progressi della strumentazione, frutto degli sviluppi della Meccanica Quantistica. Solo con misure di grandissima precisione si sono potuti osservare gli effetti più minuti descritti dalla nuova teoria, dalle onde gravitazionali alle fluttuazioni della gravità sul globo terrestre. Nel corso dell'incontro verranno presentati i fatti sperimentali e le idee che hanno condotto alla Relatività Speciale e Generale, per poi descrivere come è cambiata la comprensione dello spazio e del tempo, fino a prevedere effetti in netto contrasto con l’esperienza comune. Verrà infine illustrato il legame concreto della Relatività Generale con attività che si affidano alla conoscenza dello spazio e del tempo, come la navigazione con il sistema GPS e la geodesia, cui contribuisce il Centro di Geodesia Spaziale di Matera, ma anche progetti rilevanti per la geologia, la geofisica e i terremoti. L'incontro con Fidecaro e Stellacci cercherà di creare un ponte e un dialogo tra la filosofia occidentale e le filosofie orientali, tra le più recenti ricerche scientifiche e i contenuti delle antiche discipline olistiche, tra queste ultime e i credi religiosi di qualsiasi tradizione. Francesco Fidecaro è Professore Ordinario di Fisica applicata all’Università di Pisa dove si è laureato. Allievo della Scuola Normale Superiore, ha svolto attività di ricerca in Fisica delle Alte Energie presso il CERN, per poi passare a occuparsi della rivelazione delle Onde Gravitazionali con l’interferometro Virgo, seguendo lo sviluppo dei sistemi di isolamento sismico e studiando l’influenza del rumore ambientale sulle misure. Attualmente si occupa della rivelazione di onde gravitazionali di bassa frequenza e del rumore proveniente dagli specchi di Virgo, originato dai film sottili usati per dare la riflettività richiesta. Dedica parte del suo tempo alle problematiche di inquinamento acustico da parte delle infrastrutture di trasporto. Rosalia Stellacci dal 2012 è presidente del Centro Studi di Yoga e Meditazione Al Jalil Yoga e conduce corsi e seminari sulla fisica quantistica, la biofisica e lo yoga. Arrivata allo yoga attraverso lo studio della Fisica Applicata e della Meccanica Quantistica, tra il 2001 e il 2002 lavora negli Stati Uniti come ricercatrice presso l’istituto di ricerche sulle Onde Gravitazionali (LIGOLab - Caltech - MIT) predette da Einstein, dove, oltre che approfondire i suoi studi di fisica, segue anche corsi sulla filosofia dello yoga e dello zen e sull’influenza della coscienza sulla realtà, in seminari tenuti dai docenti della stessa università nella quale opera (Caltech-Pasadena).
 

Sindacati uniti nella manifestazione di Roma sulle crisi aziendali

In piazza contro gli esuberi Cgil, Cisl e Uil, nel giorno dello sciopero dell'Ilva. Landini manda un messaggio al governo: «Basta parole, è il momento dei fatti»

Ha preso il via a Roma la manifestazione nazionale di Cgil, Cisl e Uil in piazza Santi Apostoli, la prima delle tre iniziative indette unitariamente in apertura della «settimana di mobilitazione per il lavoro». E in cui confluisce anche la protesta dei lavoratori metalmeccanici dell’ex Ilva, in sciopero per 24 ore negli stabilimenti siderurgici del gruppo ArcelorMittal e nell’indotto. Numerosi i pullman arrivati da Taranto con lavoratori e delegati sindacali.

AL CENTRO DELLA MANIFESTAZIONE LE VERTENZE APERTE

La manifestazione-assemblea è incentrata sui temi della crescita, delle crisi aziendali, dello sblocco di cantieri e infrastrutture e dello sviluppo del Mezzogiorno. In agenda gli interventi dei segretari generali di Cgil, Cisl e Uil, Maurizio Landini, Annamaria Furlan e Carmelo Barbagallo, ma anche di sei delegati aziendali a portare la propria voce sulle vertenze aperte (Almaviva, Alitalia, Mercatone/Conad, Ilva, indotto Ilva, settore edile).

L’ULTIMATUM DI LANDINI AL GOVERNO

Per Maurizio Landini «il mondo del lavoro unito chiede il cambiamento del Paese: si mettano in testa che non si cambia senza e contro i lavoratori. Noi non abbiamo paura, non ci rassegniamo e andiamo avanti finché non otteniamo risultati. Uniti ce la possiamo fare». Quindi, un messaggio al governo: «Basta parole ora i fatti. Non abbiamo più tempo da perdere per ricostruire la fiducia e ridare voce ai giovani che mi sembra si siano ripresi la piazza. Ma o si lavora tutti insieme o non si va da nessuna parte».

NESSUN PASSO INDIETRO SU ESUBERI E LICENZIAMENTI

Landini si è soffermato anche sul tema ex Ilva. «ArcelorMittal ha sbagliato ad andare in tribunale: deve tornare al tavolo e trattare, a partire dall’accordo firmato con i sindacati», ha detto. Landini ha spiegato che il sindacato è pronto a discutere i problemi che si possono risolvere, a condizione che non si parli di esuberi e licenziamenti. Le altre due iniziative sindacali sono in programma giovedì 12 dicembre, sempre in piazza Santi Apostoli, con al centro il tema del rinnovo dei contratti pubblici e privati e delle assunzioni nella Pubblica amministrazione. L’ultima martedì 17 dicembre sulla rivalutazione delle pensioni, la riforma fiscale e la legge sulla non autosufficienza.

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Sindacati uniti nella manifestazione di Roma sulle crisi aziendali

In piazza contro gli esuberi Cgil, Cisl e Uil, nel giorno dello sciopero dell'Ilva. Landini manda un messaggio al governo: «Basta parole, è il momento dei fatti»

Ha preso il via a Roma la manifestazione nazionale di Cgil, Cisl e Uil in piazza Santi Apostoli, la prima delle tre iniziative indette unitariamente in apertura della «settimana di mobilitazione per il lavoro». E in cui confluisce anche la protesta dei lavoratori metalmeccanici dell’ex Ilva, in sciopero per 24 ore negli stabilimenti siderurgici del gruppo ArcelorMittal e nell’indotto. Numerosi i pullman arrivati da Taranto con lavoratori e delegati sindacali.

AL CENTRO DELLA MANIFESTAZIONE LE VERTENZE APERTE

La manifestazione-assemblea è incentrata sui temi della crescita, delle crisi aziendali, dello sblocco di cantieri e infrastrutture e dello sviluppo del Mezzogiorno. In agenda gli interventi dei segretari generali di Cgil, Cisl e Uil, Maurizio Landini, Annamaria Furlan e Carmelo Barbagallo, ma anche di sei delegati aziendali a portare la propria voce sulle vertenze aperte (Almaviva, Alitalia, Mercatone/Conad, Ilva, indotto Ilva, settore edile).

L’ULTIMATUM DI LANDINI AL GOVERNO

Per Maurizio Landini «il mondo del lavoro unito chiede il cambiamento del Paese: si mettano in testa che non si cambia senza e contro i lavoratori. Noi non abbiamo paura, non ci rassegniamo e andiamo avanti finché non otteniamo risultati. Uniti ce la possiamo fare». Quindi, un messaggio al governo: «Basta parole ora i fatti. Non abbiamo più tempo da perdere per ricostruire la fiducia e ridare voce ai giovani che mi sembra si siano ripresi la piazza. Ma o si lavora tutti insieme o non si va da nessuna parte».

NESSUN PASSO INDIETRO SU ESUBERI E LICENZIAMENTI

Landini si è soffermato anche sul tema ex Ilva. «ArcelorMittal ha sbagliato ad andare in tribunale: deve tornare al tavolo e trattare, a partire dall’accordo firmato con i sindacati», ha detto. Landini ha spiegato che il sindacato è pronto a discutere i problemi che si possono risolvere, a condizione che non si parli di esuberi e licenziamenti. Le altre due iniziative sindacali sono in programma giovedì 12 dicembre, sempre in piazza Santi Apostoli, con al centro il tema del rinnovo dei contratti pubblici e privati e delle assunzioni nella Pubblica amministrazione. L’ultima martedì 17 dicembre sulla rivalutazione delle pensioni, la riforma fiscale e la legge sulla non autosufficienza.

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Alle radici della banana di Maurizio Cattelan

I richiami al Ready-Made di Duchamp. Gli incroci e le contaminazioni con dadaismo e spazialismo. Storia e significato delle opere dell'artista italiano.

La banana di Maurizio Cattelan affonda le radici in una ruota di bicicletta e in uno scolabottiglie. Centosei anni fa, nel 1913, con la “Ruota di bicicletta” Marcel Duchamp diede inizio all’arte Ready-Made: un tipo di arte in cui l’artista si appropria di un oggetto già disponibile sul mercato, trasformandolo in opera d’arte con la sua firma. Molti storici dell’arte ritengono però che non si trattasse di Ready-Made puro, dal momento che c’era stata manipolazione. Quella ruota, del diametro di 63,8 cm, era stata stata tolta dal mezzo cui era appartenuta e montata su uno sgabello in legno verniciato attraverso le forcelle del telaio. Un “esperimento personale” realizzato a New York, e interpretato come una parodia delle statue classiche. Così anche Cattelan ha preso una banana, l’ha attaccata a un muro con uno spesso nastro adesivo grigio e la ha esposta alla fiera d’arte contemporanea Art Basel Miami col titolo di “Commediante”, vendendola per 120 mila dollari.

L’OGGETTO COMUNE DIVENTA ARTE

La “Ruota di bicicletta”, dunque, sarebbe una premessa allo “Scolabottiglie” del 1914, sempre di Duchamp. L’artista nativo di Blainville-Crevon, in Francia, lo comprò in un negozio. Poi andò negli Stati Uniti e nel 1915 la sorella lo buttò, facendo pulizia nel suo studio. Lui allora, semplicemente, ne comprò un altro. Allo stesso modo, anche la banana originale è stata distrutta. In questo caso non per ignoranza dell’arte, ma come contro-esibizione artistica di David Datuna, che si è fatto filmare. “Artista Affamato”, sarebbe il titolo dell’arte che ha distrutto l’arte. Subito la banana è stata sostituita con un’altra. A trasformare l’oggetto comune in arte è la firma: in questo caso, assieme a un certificato di autenticità, che autorizza l’acquirente al “ricambio” del frutto, quando questo marcisce.

LA “FONTANA” DI DUCHAMP E “AMERICA” DI CATTELAN

A un secolo di distanza, Duchamp dà la mano a Cattelan anche attraverso la parentela che c’è la tra la funzione originale della “Fontana” e di “America”. La prima (Duchamp, 1917) è un orinatoio rovesciato. Come lo Scolabottiglie è stato visto come simbolo alchemico di un albero. La “Fontana” rappresenterebbe l’utero femminile. Non a caso Duchamp l’ha firmata con lo pseudonimo “R.Mutt”, che traslitterato evoca il sostantivo tedesco Mutt(e)R, ossia Madre. Altri pensano invece a un francese muter: cambiare, defunzionalizzare e rifunzionalizzare appunto. Quasi un secolo dopo, “America” (Cattelan, 2016), un gabinetto di oro massiccio. Realizzato da una fonderia di Firenze e collocato in un bagno del Solomon R. Guggenheim Museum per essere utilizzato dai visitatori, è stato rubato il 14 settembre mentre era esposto nel Regno Unito in quel Blenheim Palace dove nacque Winston Churchill.

LA STOCCATA DI MANZONI ALLA SOCIETÀ DEI CONSUMI

In questo gioco di rimandi, orinatoi e gabinetti evocano la “Merda d’Artista” realizzata il 21 maggio 1961 da Piero Manzoni. Che non è tecnicamente Ready-Made. Primo, perché non c’è acquisto dell’oggetto. Secondo, perché con l’inscatolamento c’è stata una manipolazione. Analoga è però la provocazione, con l’etichetta-certificato di autenticità, in varie lingue. “Merda d’artista. Contenuto netto gr. 30. Conservata al naturale. Prodotta ed inscatolata nel maggio 1961”, è la versione in italiano. E sulla parte superiore è apposto un numero progressivo da 1 a 90, insieme alla firma dell’artista. Il prezzo corrispondente a 30 grammi di oro rappresentava una satira del modo in cui la società dei consumi può far diventare di valore qualunque cosa. Ma in effetti i 220 mila euro cui il barattolo 69 è arrivato il 6 dicembre 2016 in un’asta a Milano vanno ben oltre questo stesso sberleffo. Un amico di Manzoni ha garantito che in realtà dentro c’è solo gesso. Ma nessuno si è mai azzardato a verificare.

GLI INCROCI CON DADAISMO E WHITE PAINTING

Duchamp è stato spesso accostato al dadaismo, ma essendo quel movimento nato nel 1916 ne sarebbe piuttosto un anticipatore. Un dadaista doc come Man Ray nel 1921 realizzò un famoso Ready-Made: “Il dono”, un ferro da stiro con 14 chiodi a testa piatta incollati alla suola. Non solo. Dopo aver realizzato la “Fontana” Duchamp andò per due anni in Argentina. Terra natale di Lucio Fontana, il cui movimento spazialista realizzava un’operazione dalla portata provocatoria parallela al Ready-Made, anche se di tipo diverso. Fontana, infatti, non si affidava a oggetti comuni, ma tornava alla tela dei pittori. Solo che invece di dipingerla la fendeva con coltelli, rasoi e seghe: i suoi famosi “Concetti spaziali”. Più radicale ancora, il White painting neanche dipinge, ma lascia la tela in bianco. Dal “Bianco su Bianco” realizzato nel 1918 dal russo Kazimir Malevich ai “Dipinti Bianchi” fatti dall’americano Robert Rauchsenber nel 1951, l’artista scompare per spiegare che l’arte non deve per forza indicare qualcos’altro. Come spiegava Frank Stella, «quel che vedi è quel che vedi».

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