Le liti dentro M5s e Italia viva spiegano perché vince la destra

Di Maio contro Paragone da una parte. Romano contro Migliore dall'altra. Baruffe emblematiche, dove nessuno sembra avere una minima idea di dove sia la società reale.

Lo scontro all’arma bianca fra Luigi Di Maio e Gianluigi Paragone, con annesso Alessandro Di Battista, e quello più elegante fra Andrea Romano e Gennaro Migliore sul Foglio attorno all’esaurimento o no di Italia Viva, dice molto sul perché vince Matteo Salvini oggi e domani forse Giorgia Meloni. Sia la lite fra comari nei cinque stelle sia quella fra damerini nel partito di Matteo Renzi si svolgono al di fuori di ogni contesto, anzi neppure presuppongono che vi sia un contesto. Paragone si è messo al centro della scena probabilmente per l’ultima volta. Del resto Feltri (Vittorio) e e Alessandro Sallusti hanno scritto oggi cose terribili e definitive su di lui. Credo che un uomo normale, in anni lontani, leggendo questo pensieri su se stesso di colleghi che l’hanno conosciuto da vicino o li sfiderebbe a duello o si tirerebbe un colpo di pistola. Ma, come raccontano i due direttori nordisti, il dramma di oggi, ma proprio di oggi-oggi, per Paragone è come mettere insieme il pranzo con la cena, stessa preoccupazione che condivide con quell’altro genio disoccupato di Di Battista.

Romano e Migliore si compiacciono invece di venire da esperienze diverse, l’uno riformista filo-blairiano, l’altro vendoliano spinto, per sancire che il loro avvicinamento era stato il segreto (poi tradito) del successo della formazione diretta da un uomo del destino come Renzi che avrebbe vinto la battaglia finale contro il diavolo Massimo D’Alema (Non sta andando così, ndr). La verità è che anche questi due ragazzi sono all’ultimo giro (e la cosa mi dispiace umanamente), perché nessuno dei due mostra di avere una minima idea di dove sia la società reale ma discutono animatamente se bisogna rafforzare il Pd (Romano) o attendere che Renzi torni a gonfiarsi come una rana (Migliore). Veramente surreale. Paragone invece è pronto per un ruolo in un film di Boldi e De Sica, magari con la sua fedele chitarra, una toccata la culo di una straniera, e un breve monologo contro giornalisti, leghisti, sinistra, grillini, parlamentari cioè tutti quelli che lui è stato o avrebbe potuto essere.

LA RICREAZIONE FINIRÀ PER TUTTI

Noi di sinistra ci siamo fatti in questi venti, o forse trenta anni, migliaia di autocritiche tutte giuste e sacrosante, ma tutte ignoravano che questa esibizione delle proprie viscere avveniva di fronte a questi personaggi miserabili. Nella fine tragica fine dei cinque stelle e del renzismo c’è tutta la storia di chi aveva superato la destra e la sinistra, le ideologie, il buonismo, i preti che cantano bella ciao, la buona educazione, la democrazia come fatica quotidiana, la tolleranza, la solidarietà. Li abbiamo presi sul serio, così come oggi ci spaventiamo che arrivino al potere Meloni o Salvini. Ma che volete che succeda? Qualche altro mese di casino, di quello brutto però, poi alla fine la ricreazione finirà per tutti. Non so se ci sarà una soluzione democratica, ma sento aria di forconi contro gli avventurieri di questi anni.

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Le reazioni internazionali dopo il raid Usa che ha uccso il generale Soleimani

Critiche da Iraq, Russia e Cina per la mossa di Washington. Mentre la Francia teme lo scoppio nuovo conflitto.

La preoccupazione più grande è per una nuova escalation che trascini Washington e Teheran verso la guerra. Potrebbero essere sintetizzate così le posizioni della comunità internazionale dopo l’uccisione del generale iraniano Qasem Soleimani a Baghdad per mano di un raid americano.

LA FRANCIA: «ORA IL MONDO È PIÙ PERICOLOSO»

Per Parigi l’uccisione di Soleimani ha reso il mondo «più pericoloso», come affermato dal ministro francese per l’Europa, Amelie de Montchalin, in un’intervista alla radio Rtl. «Quello che vogliamo soprattutto è stabilità e de-escalation», ha affermato il ministro, aggiungendo che gli sforzi della Francia «in ogni parte del mondo mirano a creare condizioni di pace o almeno di stabilità». «Il nostro ruolo», ha concluso, «non è schierarci con una parte, ma parlare a tutti».

LONDRA: «IL CONFLITTO NON È NEI NOSTRI INTERESSI»

Su questa scia anche il Regno Unito, da sempre solido alleato degli Usa nella regione, ha espresso e sollecitato una ‘de-escalation’. «Abbiamo sempre riconosciuto la minaccia aggressiva posta dalla Forza Qods guidate da Qassem Soleimani», ha sottolineato in una nota il ministro degli Esteri britannico Dominic Raab, «Dopo la sua morte, sollecitiamo tutte le parti ad una de-escalation. Un ulteriore conflitto non è nei nostri interessi».

LA RUSSIA: «COSÌ AUMENTERANNO LE TENSIONI»

Secondo Mosca l’operazione di Washington accrescerà le tensioni in tutto il Medio Oriente. «L’uccisione di Soleimani è stato un passo avventuristico che accrescerà le tensioni in tutta la regione», hanno scritto le agenzie Ria Novosti e Tass citando il ministero degli Esteri. «Soleimani ha servito con devozione la causa per la protezione degli interessi nazionali iraniani. Esprimiamo le nostre sincere condoglianze al popolo iraniano».

LA CINA INVITA TUTTI ALLA CALMA, «SPECIALMENTE GLI USA»

Anche Pechino sceglie il basso profilo facendo appello alla calma e alla misura, da tutte le parti in causa «specialmente gli stati Uniti». «Facciamo appello alle parti coinvolte, specialmente gli Stati Uniti, affincheè si mantenga la calma e si eserciti la misura per evitare un’ulteriore escalation delle tensioni», ha detto il portavoce del ministero cinese degli Esteri, Geng Shuang, durante un briefing con la stampa.

IRAQ PREOCCUPATO PER UN NUOVO CONFLITTO

Il primo ministro iracheno Adel Abdul-Mahdi ha definito la mossa americana come «un’aggressione contro l’Iraq». In un messaggio ufficiale ha inoltre avvertito che l’attacco determinerà «una pericolosa escalation» che «scatenerà una guerra devastante in Iraq e nella regione». Il premier ha poi sottolinato come Soleimani sia stato «uno dei principali simboli della vittoria contro i militanti dello Stato islamico».

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Chi era il generale iraniano Qassem Soleimani, ucciso dal raid Usa

L'ufficiale a capo delle forze Quds era la punta di diamante delle operazioni di Teheran in tutto il Medio Oriente, dalla guerra civile siriana alla campagna irachena contro l'Isis. Ritratto del Rommel iraniano.

Il generale Qassem Soleimani, ucciso nella notte del 3 gennaio da un raid delle forze Usa a Baghdad, per anni è stato la punta di diamante delle operazioni internazionali dell’Iran. 62 anni, una barba corta sale e pepe, il generale era a capo delle forze Quds, il braccio armato dei guardiani della rivoluzione fuori dalla repubblica islamica, fin dal 1998. Soleimani veniva considerato da tutti, sostenitori e nemici, come uno degli strateghi migliori di tutto il Medio Oriente, che a partire dal 2013 si è reso protagonista di tutti gli interventi di Teheran nell’area, dalla Siria all’Iraq, passando per lo Yemen.

LA STRATEGIA PER SALVARE ASSAD DALLA CADUTA

Una delle missioni di maggior successo per l’ufficiale iraniano è stata sicuramente la Siria. Nel 2012 Teheran lo inviò a Damasco per aiutare il malconcio esercito siriano dilaniato dalle diserzioni conseguenti allo scoppio della guerra civile un anno prima. Dopo il suo intervento le sorti del conflitto sono via via cambiate. Ridefinita la strategia sul campo, ha fatto in modo da far entrare nel conflitto il gruppo armato libanese di Hezbollah aiutando l’Iran a diventare uno degli attori fondamentali della guerra civile. Non a caso in molti sostengono che nell’estate del 2006 il generale fosse in prima linea in Libano nel conflitto tra le milizie sciite e Israele. Una strategia che ha permesso al presidente Bashar al-Assad di rimanere al potere anche grazie alle amicizie dirette dello stesso Soleimani con funzionari e militari russi, intervenuti a sostegno del regime nell’autunno del 2015.

LA CAMPAGNA IRACHENA CONTRO L’ISIS

Nel 2014 quando la città irachena di Mosul cade nelle mani dell’Isis non fu solo l’aviazione americana a intervenire. Il generale nei giorni immediatamente successivi si recò in Iraq e negli anni seguenti guidò le operazioni delle milizie sciite irachene e iraniane sul campo per contenere prima l’avanzata dello Stato islamico e poi dare il via all’offensiva che ha liberato la città nell’estate del 2017. Oltre all’aspetto militare, però Soleimani era abile a intessere relazioni politiche. In Iraq più di qualcuno ha sottolineato che era solito incontrare in segreto gli esponenti dei vari partiti alimentando e modificando le traiettorie del potere di Baghdad. Ryan Crocker, ex ambasciatori americano in Afghanistan e Iraq, ha raccontato la sua esperienza alla Bbc: «I miei interlocutori iraniani erano molto: anche se avessero informato il ministero degli Esteri, alla fine sarebbe stato il generale Soleimani a prendere le decisioni».

UN MIX TRA BOND E ROMMEL

Nel corso degli anni Soleimani è stato dato per morto diverse volte. Nel 2006 riuscì a sopravvivere a un incidente aereo, nel 2012 scampò a un’attentato contro alcuni ufficiali siriani, mentre 2015 uscì indenne dai feroci combattimenti della battaglia Aleppo. Nel 2017 la rivista Time lo ha inserito tra le 100 persone più influenti del mondo e per l’occasione Kenneth Pollack, ex analista della Cia, disse di lui che per tutti gli «sciiti del in Medio Oriente, è un mix di James Bond, Erwin Rommel e Lady Gaga», in riferimento non solo alle campagne militari ma anche alla sua presenza sui social molto seguita. Molto amato in patria, Soleimani è stato più volte invocato come possibile candidato alle presidenziali del 2021, anche se lui stesso ha sempre ribadito di non volersi candidare.

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Quello che Visco fa finta di non capire

Il governatore di Bankitalia non dice bugie, ma omette. Palesando problemi nella distinzione tra malafinanza e finanza inefficiente.

In un paese che non cresce e che non crescerà nei prossimi anni, la funzione del sistema bancario diventa ancor più determinante. Semplicisticamente, nelle fasi di stagnazione, per sostenere l’economia produttiva si ha bisogno di credito. La Bce ha rivisto al ribasso la crescita del Pil nell’eurozona nel 2020 (solo +1,1%) e uno studio del Pardee Center della Università di Denver afferma che nel 2100 il Pil dell’Italia sarà al 23esimo posto nel mondo. Altro che G8. Il nostro Pil varrà un misero 0,82% di quello mondiale, contro il 2,55% di oggi. Davanti all’Italia in rapporto al PIL ci saranno anche paesi come l’Indonesia, la Nigeria, l’Iraq, il Pakistan, l’Etiopia, la Tanzania, e l’Uganda. La decrescita europea non crea benessere ma povertà, i flussi di ricchezza si spostano verso oriente ed il nostro Pil perde slancio. Poca innovazione, poca flessibilità e troppa burocrazia. La ricerca di un nuovo benessere può passare anche da una decrescita ma solo con una sana politica del credito. In questo scenario cosa fa il governatore della Banca d’Italia? Lo struzzo. Facendo finta di non capire.

L’ARCHETIPO DEL BANCHIERE ITALIANO

Il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco è l’archetipo del banchiere e bancario italiano: non dice bugie ma omette. L’omissione è la regola. Anche in occasione della intervista rilasciata al Corsera il numero uno di palazzo Koch ha ribadito che «queste banche (quelle in crisi) rappresentavano, nel complesso, il 10% degli attivi totali, il che vuol dire che il restante 90% ha fatto fronte alle gravissime conseguenze della crisi dell’economia reale». L’arte del minimizzare è spesso l’unica arma che hanno tra le mani i perdenti. È l’ atteggiamento che ha avuto Visco (e alcune penne di sistema) che difende un mondo che presenta ormai più buchi di una fetta di formaggio svizzero. È vero che solo le banche che rappresentavano il 10% degli attivi totali ha manifestato pubblicamente lo stato di crisi. Visco non ha detto una bugia. Ma ha dimenticato di aggiungere, ecco la strategica omissione, che il sistema bancario nella sua interezza ha evidenziato una palese inefficienza più volte ribadita ed analizzata su queste colonne.

LA DIFFERENZA TRA MALAFINANZA E INEFFICIENZA

Ancora oggi si fa fatica a capire la differenza tra malafinanza (bilanci falsi, politiche commerciali violente, abusi sui clienti, corruzione, collusione, ecc.) dalla finanza inefficiente. Quella finanza che non riesce più a fare ricavi e che produce utili (pochi) solo attraverso il contenimento dei costi, quella che continua a fare credito con modelli di analisi superati, quella che non si è ancora accorta dell’arrivo della fintech e dei mostri (Yahoo, Amazon, Google, Facebook, ecc) , quella che ha perso completamente il capitale di fiducia dei clienti, quella con un management obsoleto e vecchio (che non è la stessa cosa). Basta guardare l’andamento del Ftse Italia All Share Banks, l’indice settoriale delle banche italiane quotate, per capire quanto le politiche gestionali dei banchieri nostrani hanno inciso sulla capitalizzazione (il valore di mercato delle azioni in circolazione) complessiva del sistema. A fine 2009 l’indice valeva circa 21.640 punti, oggi vale 9.440 punti. Il 56% di riduzione di valore. E di chi è la responsabilità? Il regolatore dovrebbe ripensare forse ad un modello di sistema bancario più coerente con la nostra economia? Ne riparleremo presto.

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Fondazione Leonardo Sinisgalli, bilancio del 2019

Nell’anno in cui la Basilicata è stata al centro del dibattito culturale nazionale e internazionale grazie a Matera Capitale Europea della Cultura 2019, la Fondazione Leonardo Sinisgalli di Montemurro è riuscita a dare il via a quello che è stato uno dei suoi principali obiettivi sin dalla sua nascita: la ripubblicazione delle opere di Leonardo Sinisgalli, assenti dalle librerie da oltre 40 anni. L’8 ottobre ha infatti visto la luce, per i tipi di Mondadori, il “Furor Mathematicus”, il saggio che al meglio esprime il multiforme ingegno sinisgalliano. Un risultato straordinario raggiunto grazie alla sinergia con altri soggetti, cui va il più sentito ringraziamento: l’erede testamentaria di Sinisgalli, la dott.ssa Ana Maria Lutescu, l’editore Mondadori, la BCC Basilicata, i soci fondatori e sostenitori della Fondazione, i curatori delle opere.
La Fondazione è stata anche protagonista di due importanti iniziative del programma ufficiale della Capitale Europea della Cultura: la mostra “Le Due Culture: Artefatti e Archivi” curata dal fotografo Mario Cresci nell’ambito del progetto I-DEA dedicato alla valorizzazione degli archivi della Basilicata, nella quale sono stati esposti, da marzo a giugno presso l’hangar di Cava Paradiso a Matera, anche i materiali presenti nella Casa delle Muse di Sinisgalli; l’iniziativa “Capitale per un giorno” dedicata ai comuni lucani, organizzata dal Comune di Montemurro in sinergia con le associazioni del territorio. Nelle tre giornate di eventi, dal 2 al 4 maggio, la Fondazione ha dato il proprio contributo presentando una serie di appuntamenti: la mostra delle opere dell’esperto di grafica Mauro Bubbico “Le raffiche di grandine e il canto della cicala”, la lettura di Sinisgalli da parte del professore della tv Michele Mirabella, il Conciorto dei musicisti e scrittori Biagio Bagini e Gian Luigi Carlone e il laboratorio di fumetto e illustrazione con Erika de Pieri, Francesca Carabelli e Otello Reali, dedicati agli alunni della scuola primaria di Montemurro.
Nella Capitale Europea della Cultura si è tenuta inoltre a settembre, la presentazione della riedizione della rivista «Civiltà delle macchine», fondata e diretta da Sinisgalli, organizzata insieme alla Fondazione “Leonardo – Civiltà delle Macchine” in collaborazione con il Polo Museale della Basilicata.
Per il 2019 il circuito ACAMM, la rete dei musei e delle biblioteche di Aliano, Castronuovo, Moliterno e Montemurro, ha inaugurato a fine agosto nei 4 comuni le mostre dedicate a quattro personaggi dell’arte europea del XX secolo legati alla Basilicata: Pericle Fazzini, Toti Scialoja, Henri Goetz, Assadour. Di quest’ultimo sono stati esposti nella Casa delle Muse dipinti, acquarelli, disegni, opere grafiche, libri d’artista, immagini, documenti del periodo 1967-2013. A dicembre l’artista libanese e amico di Sinisgalli, impossibilitato ad essere presente all’inaugurazione della mostra, è stato accolto e omaggiato nella Casa delle Muse. Visto il grande apprezzamento di pubblico, le mostre sono state prorogate fino al 31 gennaio 2020.
L’impegno della Fondazione Sinisgalli verso le scuole è stato ampio anche nel corso del 2019: ben 21 le scuole secondarie di tutta Italia che hanno scoperto Sinisgalli e la Casa delle Muse grazie alla visite organizzate fra marzo e maggio dalla Fondazione Enrico Mattei nell’ambito del progetto “Nel cuore della Basilicata alla scoperta dell’energia”. Fra ottobre e novembre, gli istituti di istruzione secondaria di secondo grado di Marsico Nuovo, Moliterno, Pisticci, Potenza sono invece stati protagonisti della decima edizione delle “Lezioni del Novecento ovvero il Furor Sinisgalli per la scuola”, che hanno portato in cattedra docenti d’eccezione come Fabio Stassi, Mimmo Sammartino, Nicola Coccia, Filippo La Porta, Renato Cantore.
L’agosto montemurrese è stata animata dall’appuntamento serale all’aria aperta “Le Muse di Sinisgalli nell’Orto di Merola”, con la presentazione dei libri di Oreste Lo Pomo (Malanni di stagione), Eliana Di Caro (Andare per Matera e la Basilicata), Claudia Durastanti (La straniera), lo spettacolo teatrale “Cunti di casa” di e con Egidia Bruno e l’omaggio a Rocco Brancati con la presentazione del volume che raccoglie i suoi scritti “Visti da vicino. Alla ricerca della lucanità” a cura della moglie Luciana Fatone.
A ottobre, nell’ambito dell’ottava edizione del “Furor Sinisgalli”, la Fondazione e l’Università degli studi della Basilicata hanno organizzato presso l’aula Magna dell’Ateneo lucano a Potenza la presentazione ufficiale del “Furor Mathematicus” a cura di Gian Italo Bischi, pubblicato da Mondadori tra gli Oscar Baobab Moderni, alla presenza, tra gli altri, di studiosi sinisgalliani provenienti da diversi Atenei e del poeta, saggista e traduttore romeno Dinu Flamand.
Fra novembre e dicembre per il progetto “La Forgia di Sinisgalli” sono state organizzate una serie di iniziative: la presentazione del quinto Quaderno della Fondazione, “Le meraviglie di Sinisgalli” di Luigi Tassoni; l’inaugurazione dello mostre “Giulia Napoleone per Leonardo Sinisgalli. Quindici pastelli per le lucide visioni di un amico” alla presenza dell’artista e “Un carciofo in mostra. Sinisgalli e la Superficie Romana di Steiner” a cura di Faber Fabbris; il concerto di Natale con gli United Sounds.
Diverse, infine, le iniziative organizzate da realtà della Basilicata o di altre località italiane, cui la Fondazione è stata invitata a partecipare: la “Conversazione tra Mario Trufelli e Franco Vitelli. In ricordo di Leonardo Sinisgalli” organizzata a gennaio da Letti di sera presso il Museo Archeologico Nazionale di Potenza; la presentazione del volume “Leonardo Sinisgalli e i bambini incisori” di Biagio Russo, organizzata nell’ambito delle Giornate dell’editoria lucana dal Consiglio Regionale della Basilicata a febbraio presso l’Ex Convento San Rocco a Matera; quella organizzata da U.P.E.L. a marzo presso l’Oratorio Beato Domenico Lentini di Lauria; quella organizzata da Letti di sera a Potenza ad agosto; la relazione di Biagio Russo su “Leonardo Sinisgalli e i ragazzi di Via Panisperna” promossa nell’ambito del XXIII Congresso Nazionale Associazione degli Italianisti a settembre a Pisa.
Concluso appena questo intenso 2019, sono già in programma due importantissimi appuntamenti, a coronamento degli sforzi compiuti negli ultimi anni: la pubblicazione e presentazione, già nei primi mesi del nuovo anno, delle altre due opere di Sinisgalli che compongono la trilogia mondadoriana: la raccolta dei “Racconti”, a cura di Silvio Ramat, e quella delle “Poesie”, a cura di Franco Vitelli.

Raid Usa a Baghdad, ucciso il generale iraniano Soleimani

Nella notte le forse americane hanno bombardato l'aeroporto della capitale irachena uccidendo almeno otto persone tra le quali il capo delle forze Quds. Il Pentagono conferma l'attacco, voluto da Trump, e l'Iran minaccia ritorsioni. La situazione.

Le forze americane uccidono a Baghdad il generale iraniano Qassem Soleimani, una delle figure chiave dell’Iran, molto vicino alla Guida suprema, l’ayatollah Ali Khamenei, e considerato da alcuni il potenziale futuro leader del Paese. Un raid, quello statunitense, condotto – secondo indiscrezioni – con un drone e ordinato da Donald Trump. Una mossa che rischia di far salire la già alta tensione fra Stati Uniti e Iran, ma anche in tutto il Medio Oriente.

Il generale Qasem Soleimani ucciso a Baghdad.

GLI USA CONFERMANO L’ATTACCO DIRETTO A SOLEIMANI

«Il generale Soleimani stava mettendo a punto attacchi contro diplomatici americani e personale in servizio in Iraq e nell’area», ha detto il Pentagono confermando il raid e assumendosene la responsabilità. «Il generale Soleimani e le sue forze Quds sono responsabili della morte di centinaia di americani e del ferimento di altri migliaia», ha aggiunto il Pentagono, precisando che il generale iraniano è stato anche il responsabile degli «attacchi contro l’ambasciata americana a Baghdad negli ultimi giorni». Il raid punta a essere un «deterrente per futuri piani di attacco dell’Iran. Gli Stati Uniti continueranno a prendere tutte le azioni necessarie per tutelare la nostra gente e i nostri interessi del mondo», ha messo in evidenza il Dipartimento della Difesa.

UCCISO IL NUMERO DUE DELLE FORSCE SCIITE IN IRAQ

L’attacco americano segue l’avvertimento lanciato dal ministro della Difesa, Mark Esper, dopo le tensioni degli ultimi giorni con ore e ore di guerriglia e diversi tentativi di penetrare il compound che ospita la sede diplomatica Usa nella capitale irachena, la cui torretta all’ingresso principale è stata data alle fiamme. La dichiarazione del Pentagono è arrivata dopo ore di confusione, fra voci che si rincorrevano e nessuna rivendicazione della responsabilità. Trump, avvolto nel silenzio, si è limitato a twittare una foto della bandiera americana prima che il ministero della Difesa uscisse alla scoperto. Quando la televisione irachena ha annunciato la morte del generale Soleimani si è iniziato a immaginare che gli Stati Uniti potessero essere dietro al raid, nel quale ha perso la vita anche Abu Mahdi al-Muhandis, il numero due delle Forze di mobilitazione Popolare (Hashd al-Shaabi), la coalizione di milizie paramilitari sciite pro-iraniane attive in Iraq.

CONGRESSO NON INFORMATO DEL RAID

La Guardia Rivoluzionaria iraniana, confermando la morte di Soleimani, ha affrmato che il generale è stato ucciso da un attacco sferrato da un elicottero americano. Secondo le ricostruzioni iniziali, Soleimani e Mohammed Ridha, il responsabile delle public relation delle forze pro-Iran in Iraq, erano da poco atterrati all’aeroporto internazionale di Baghdad ed entrati in una delle due auto che li attendeva quando l’attacco è stato sferrato. L’attacco è seguito al lancio di tre razzi all’aeroporto che non causato alcun ferito. L’uccisione di Soleimani rischia di avere ripercussioni profonde nei rapporti tesi fra Washington e Teheran, in Medio Oriente ma anche negli Stati Uniti. Intanto per Trump si apre anche il fronte interno. Pare infatti che i parlamentari americani non siano stati avvertiti dell’attacco ordinato dal presidente, come reso noto in un comunicato il deputato democratico Eliot Engel. Il raid «ha avuto luogo senza alcuna notifica o consultazione con il Congresso», si legge nella nota.

FURIA TEHERAN: «È UN ATTO DI TERRORISMO»

La reazione iraniana è stata immediata, con Teheran che ha fatto sapere che ci saranno ritorsioni. Il ministro degli Esteri iraniano, Javad Zarif, ha parlato di «atto di terrorismo internazionale degli Stati Uniti» e definito il generale Soleimani come «la forza più efficace nel combattere il Daesh, Al Nusrah e Al Qaida». «Gli Stati Uniti», ha aggiunto, «si assumeranno la responsabilità di questo avventurismo disonesto». La guida suprema Khamenei ha chiesto tre giorni di lutto nel Paese affermando che l’uccisione raddoppierà la motivazione della resistenza contro gli Stati Uniti e Israele. «Gli iraniani e altre nazioni libere del mondo si vendicheranno senza dubbio contro gli Usa criminali per l’uccisione del generale Qassen Soleimani», ha tuonato il presidente iraniano Hassan Rohani. L’attacco, ha sottolineato, rafforza la determinazione dell’Iran di resistere e affrontare le eccessive richieste di Washington. «Tale atto malizioso e codardo è un’altra indicazione della frustrazione e dell’incapacità degli Stati Uniti nella regione per l’odio delle nazioni regionali verso il suo regime aggressivo».

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Lo spread e la Borsa italiana del 3 gennaio 2020

Attesa per l'apertura di Piazza Affari. La giornata precedente è terminata con un +1,4%. Il differenziale Btp-Bund riparte da 164 punti base.

Attesa per l’apertura della Borsa italiana nella seduta del 3 gennaio 2020. La giornata precedente è terminata con un +1,4%. Lo spread Btp-Bund riparte da 164 punti base.

I MERCATI IN DIRETTA

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Il caso Paragone spacca un M5s in agonia

Il senatore espulso è pronto a dare battaglia pure in Tribunale. E Di Battista lo appoggia. Potrebbe essere l'ultimo atto della dissoluzione di un partito che ha perso per strada 17 parlamentari dall'inizio della legislatura, in crisi di identità e nei consensi.

Il senatore Gianluigi Paragone, espulso dal «nulla» che secondo lui è diventato il Movimento 5 stelle, è pronto a dare battaglia anche in Tribunale. E il Movimento stesso, ormai in agonia per la crisi di identità e nei consensi, stavolta rischia davvero l’implosione. Prima le dimissioni natalizie del ministro Lorenzo Fioramonti, passato al gruppo Misto; poi le polemiche sui mancati rimborsi di molti parlamentari; infine la “cacciata” di Paragone, reo di aver votato contro la manovra e di predicare un ritorno alle origini che ha subito incassato il sostegno di Alessandro Di Battista.

Nel mirino ci sono i vertici, a partire da Luigi Di Maio. «Farò ricorso e se mi gira, mi rivolgerò anche alla giustizia ordinaria per far capire l’arbitrarietà delle regole», ha detto Paragone in un video postato su Facebook a meno di 24 ore dalla decisione del Collegio dei Probiviri. Il M5s, per l’ennesima volta, si è spaccato. Di Battista non solo ha difeso Paragone, ma lo ha incorona «infinitamente più grillino di tanti altri».

Al fianco del senatore espulso anche l’altra ‘dissidente’ ed ex ministra Barbara Lezzi, che apprezza l’autonomia di pensiero del collega e attacca il Movimento che «espelle gli anticorpi». Poco dopo il suo post viene condiviso dal senatore Mario Giarrusso, che ha già attaccato frontalmente Di Maio sul tema dei rimborsi, sostenendo di non averli pagati perché ha dovuto provvedere alle «spese legali legate alla sua attività politica» e invitando il capo politico a dimettersi.

Ma non mancano nemmeno quanti si sono posizionati contro Paragone, non perdonando all’ex conduttore tv il giudizio tranchant sul «nulla» che sarebbe diventato il ‘sogno’ di Gianroberto Casaleggio e Beppe Grillo. Di Maio stesso gli ha risposto su Facebook, pur se indirettamente: «In appena 20 mesi abbiamo già approvato 40 provvedimenti. Niente male per un Movimento per la prima volta al governo, no?». Di fatto, però, con l’ultima ‘cacciata’ sono 17 i parlamentari che il M5s ha perso per strada dall’inizio della legislatura, ossia dal 23 marzo 2018. Tra loro, 11 gli espulsi mentre tre senatori sono passati direttamente al “nemico” leghista (Francesco Urraro, Stefano Lucidi e Ugo Grassi), oltre al recentissimo addio di Fioramonti dal ministero dell’Istruzione.

Su Paragone nessuna sorpresa: l’ex direttore della Padania non ha mai digerito l’alleanza con il Pd e mai l’ha nascosto. A parole, con toni sempre più accesi, e nei fatti con il voto. Da sempre contrario allo scudo penale ad ArcelorMittal per l’Ilva, a dicembre aveva votato ‘no’ anche alla risoluzione di maggioranza sul fondo salva-Stati. Fino al colpo di grazia del no alla manovra. Lui si difende appellandosi alla forza rivoluzionaria del Movimento che rischia di sparire: «Possiamo litigare con qualche collega, ma il grosso, fuori nel Paese, crede che ci sia ancora bisogno di una forza che dica che ci sono delle ingiustizie. Questa era la forza dei Cinque Stelle».

Un approccio che ha subito trovato la sponda di Di Battista e di quanti nel M5s guardano a lui per una nuova leadership: «Non c’è mai stata una volta che non fossi d’accordo con Paragone. Vi esorto a leggere quel che dice e a trovare differenze con quel che dicevo io nell’ultima campagna elettorale che ho fatto». Paragone ovviamente ringrazia e rafforza l’asse: «Ale rappresenta quell’idea di azione e di intransigenza che mi hanno portato a conoscere il Movimento: stop allo strapotere finanziario, stop con l’Europa di Bruxelles. Io quel programma lo difendo perché con quel programma sono stato eletto».

Il presidente della commissione Antimafia, Nicola Morra, ribatte: «Se ci definisci il nulla, perché rimanevi nel nulla prima di essere espulso?». Mentre Paola Taverna usa il sarcasmo: «Ehi Gianluigi, a quando il nuovo libro con tutte le rivelazioni?». Toni duri anche dal vice presidente del Parlamento europeo, Fabio Castaldo: «Criticare le scelte operate a livello nazionale è un conto, ma dare del nulla a chi ha lottato, a chi si è sacrificato per un sogno, è per me inaccettabile. Se questo è quello che intendeva, dovrebbe scusarsi». Luigi Gallo, altro M5s tra i più fedeli e presidente della commissione Cultura della Camera, rilancia: «Sarebbe bello interrogarsi su quello che ha fatto Paragone in due anni da parlamentare. Il nulla cosmico».

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Via libera in Spagna al governo formato da socialisti e Podemos

I 13 deputati dell'Erc, la sinistra repubblicana catalana, hanno deciso che si asterranno nel voto di fiducia.

Via libera al governo in Spagna. I 13 deputati dell’Erc, la sinistra repubblicana catalana, il cui leader Oriol Junqueras è in carcere con una condanna a 13 anni per sedizione, hanno deciso che si asterranno nel voto di fiducia. Consentiranno così al premier socialista incaricato, Pedro Sanchez, di formare l’esecutivo con Podemos, il partito di sinistra guidato da Pablo Iglesias. La mossa dei catalani pone fine a una crisi politica che non si sbloccava da mesi, nonostante due elezioni anticipate. Il voto di fiducia è previsto nel fine settimana.

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Medici aggrediti a Napoli, arrivano le telecamere sulle ambulanze

Il presidente della Croce Rossa partenopea: «In questa città è in corso una guerra. E non si rispettano nemmeno le convenzioni internazionali».

A Napoli è in corso una ‘guerra’ dove non si rispettano le regole sancite dalle convenzioni internazionali che impongono il rispetto dei mezzi di soccorso e del personale sanitario. Ne è convinto il presidente della Croce Rossa partenopea, il dottor Paolo Monorchio, che confessa la sua amarezza dopo l’ennesimo episodio di violenza ai danni di un medico a bordo di un’ambulanza.

DUE EPISODI DI VIOLENZA IN 24 ORE

L’uomo è stato preso di mira in pieno giorno il primo gennaio, mentre era impegnato in un’azione di soccorso nel quartiere periferico di Barra, con il lancio di una bomba carta. Ha aperto lo sportello del vano guida per salire a bordo e in quel momento ignoti hanno lanciato il petardo, che è scoppiato sotto l’ambulanza. La cosa avrebbe potuto avere gravi conseguenze, per la presenza di ossigeno gassoso a bordo e benzina. La vicenda è stata denunciata dall’associazione ‘Nessuno tocchi Ippocrate’, che ha anche riferito di una dottoressa aggredita con una bottiglia da un paziente psichiatrico vicino all’ospedale San Giovanni Bosco.

L’INSTALLAZIONE DELLE TELECAMERE PARTE IL 15 GENNAIO

Per Monorchio l’aspetto più inquietante «è che ci si abitui a questo stato di cose, fatti che non avvengono neppure nei territori di guerra in quanto i mezzi di soccorso e il personale sono protetti dalle convenzioni internazionali. A Napoli non è così». Servono scorte armate? «Per ora mi accontenterei delle telecamere a bordo dei mezzi di soccorso, le stiamo aspettando. Speriamo che nelle prossime settimane possano essere utilizzate a tutela degli operatori». In questa direzione si registra l’impegno del direttore generale della Asl Napoli 1 Centro, Ciro Verdoliva: entro due settimane saranno installate le prime telecamere sui mezzi di soccorso. «Siamo pronti , è già stato disposto l’affidamento, la prima installazione avverrà entro il 15 gennaio», ha promesso Verdoliva. Ma Monorchio insiste anche sull‘aspetto culturale: «Serve una corretta informazione, con incontri nei quartieri più difficili». Il ministro della Salute Roberto Speranza, da parte sua, ha commentato: «Le aggressioni a chi ogni giorno si prende cura di noi sono semplicemente inaccettabili. Bisogna approvare al più presto la norma, già votata dal Senato, contro la violenza ai camici bianchi. Non si può aspettare»

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L’interrogatorio di Genovese davanti al gip dopo la morte di Gaia e Camilla

Gli avvocati del ragazzo, da una settimana agli arresti domiciliari: «È sconvolto e devastato per quello che è successo». Acquisiti i video del semaforo.

Pietro Genovese, agli arresti domiciliari da una settimana per il duplice omicidio stradale delle due 16enni Gaia Von Freymann e Camilla Romagnoli, ha detto di essere «sconvolto e devastato per quello che è successo». Il ragazzo è stato interrogato dal gip Bernadette Nicotra alla presenza dei suoi avvocati, Gianluca Tognozzi e Franco Coppi.

Gaia e Camilla hanno perso la vita nella notte tra il 21 e il 22 dicembre su Corso Francia, all’altezza di via Flaminia Vecchia, nel quartiere romano di Ponte Milvio. «Sono partito con il semaforo verde», ha detto Genovese davanti al gip, ricostruendo la notte dell’incidente: prima la serata a casa di amici per festeggiare il ritorno di un conoscente dall’Erasmus, poi il rientro percorrendo Corso Francia.

Intanto la procura di Roma ha acquisito i video depositati dal legale dei genitori di Camilla. I due filmati, uno di cinquanta secondi e l’altro di un minuto e 26 secondi, riprendono il funzionamento dei semafori pedonali sul luogo della tragedia. Nell’atto messo a disposizione dei pm, l’avvocato Cesare Piraino afferma che il semaforo pedonale non prevede il giallo per chi attraversa e che le ragazze avrebbero iniziato ad attraversare la strada con il verde per i pedoni.

«Pietro non è il killer che è stato descritto e merita rispetto e comprensione come le famiglie delle due vittime», hanno aggiunto gli avvocati di Genovese al termine dell’interrogatorio. «Il nostro assistito ha risposto alle domande del giudice, ma sul contenuto dell’atto istruttorio manteniamo il più stretto riserbo. Al momento non abbiamo presentato alcuna istanza di attenuazione della misura cautelare. Rifletteremo anche su un possibile ricorso al Tribunale del Riesame».

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Domiciliari per il prefetto di Cosenza accusata di aver chiesto una mazzetta

Dopo l'iscrizioni al registro degli indagati, il Gip del tribunale ha disposto una misura cautelare. La donna è accusata indizione indebita a dare o promettere utilità.

Il prefetto di Cosenza, Paola Galeone, é stata arrestata. A suo carico la Squadra mobile di Cosenza ha eseguito un’ordinanza di custodia cautelare agli arresti emessa dal Gip del Tribunale su richiesta della Procura della Repubblica. Le autorità hanno disposto per lei i domiciliari nella sua abitazione di Taranto. Il 31 dicembre scorso Galeone era finita nel registro degli indagati con l’accusa di aver intascato una mazzetta da 700 euro. In particolare per gli inquirenti l’indagata sarebbe responsabile di induzione indebita a dare o promettere utilità. Al prefetto viene contestato, in particolare l’articolo 319 quater del Codice penale. Lo riferisce una nota stampa della Procura della Repubblica di Cosenza.

LA PROCURA: «CONFERMATA L’IPOTESI D’ACCUSA»

Nella stessa nota si legge che la Procura, «ha disposto una serie di riscontri, operati con prontezza e particolare professionalità dalla Squadra mobile, che hanno positivamente confermato l’ipotesi di accusa». Il reato che viene contestato al prefetto Galeone é stato commesso tra il 23 ed il 28 dicembre scorsi. «Il procedimento penale» si legge ancora nella nota, «é stato iscritto a seguito di denuncia presentata alla Squadra mobile di Cosenza in data 23 dicembre 2019 da un privato cittadino (l’imprenditrice Cinzia Falcone, ndr)».

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Domiciliari per il prefetto di Cosenza accusata di aver chiesto una mazzetta

Dopo l'iscrizioni al registro degli indagati, il Gip del tribunale ha disposto una misura cautelare. La donna è accusata indizione indebita a dare o promettere utilità.

Il prefetto di Cosenza, Paola Galeone, é stata arrestata. A suo carico la Squadra mobile di Cosenza ha eseguito un’ordinanza di custodia cautelare agli arresti emessa dal Gip del Tribunale su richiesta della Procura della Repubblica. Le autorità hanno disposto per lei i domiciliari nella sua abitazione di Taranto. Il 31 dicembre scorso Galeone era finita nel registro degli indagati con l’accusa di aver intascato una mazzetta da 700 euro. In particolare per gli inquirenti l’indagata sarebbe responsabile di induzione indebita a dare o promettere utilità. Al prefetto viene contestato, in particolare l’articolo 319 quater del Codice penale. Lo riferisce una nota stampa della Procura della Repubblica di Cosenza.

LA PROCURA: «CONFERMATA L’IPOTESI D’ACCUSA»

Nella stessa nota si legge che la Procura, «ha disposto una serie di riscontri, operati con prontezza e particolare professionalità dalla Squadra mobile, che hanno positivamente confermato l’ipotesi di accusa». Il reato che viene contestato al prefetto Galeone é stato commesso tra il 23 ed il 28 dicembre scorsi. «Il procedimento penale» si legge ancora nella nota, «é stato iscritto a seguito di denuncia presentata alla Squadra mobile di Cosenza in data 23 dicembre 2019 da un privato cittadino (l’imprenditrice Cinzia Falcone, ndr)».

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Paragone pronto a ricorrere alla giustizia dopo l’espulsione dal M5s

Dopo la cacciata decisa dai probiviri il senatore è passato all'attacco ipotizzando di rivolgersi alle vie legali.

Le battaglia nel M5s è più viva che mai. L’espulsione di Gianluigi Paragone dal Movimento si sta rivelando più complessa del solito. Non solo per la difesa da parte di Alessandro Di battista, ma anche perché il senatore, orami ex-grillini, ha detto di essere pronto alla battaglia. «Paragone deve essere buttato fuori perchè è uno strano Savonarola», ha attaccato in un video postato su Facebook, «uno strano predicatore che ci costringe a guardarci allo specchio. Bene, questo Paragone si appellerà all’ingiustizia arbitraria dei probiviri del nulla, guidati da qualcun altro che è il nulla, e si arroga il diritto di espellermi. Ma io farò ricorso e se mi gira mi rivolgerò anche alla giustizia ordinaria per far capire l’arbitrarietà delle regole».

STOCCATE SU AUTOSTRADE, BANCHE E ALITALIA

«Continuerò a predicare un programma elettorale che è valido ancora oggi, giusto ancora oggi. Se dobbiamo dire revoca delle concessioni», ha continuato Paragone, «lo fai. Non è che lo dici un giorno e poi telefoni a quelli di Benetton e gli dici, compratevi Alitalia, perchè allora la revoca diventa una revoca patacca. Essere contro il sistema è dire a Bankitalia, tu hai le tue colpe, sul perchè sono saltate le banche, che vuol dire il risparmio degli italiani onesti. Essere antisistema vuol dire prendere tutti i signori di Enel, Eni che fanno dei grandi profitti, e dire che devono finire nelle tasche degli italiani, cioè devono servire per far pagare meno le bollette», ha attaccato

«I BROBIVIRI SARANNO COSTRETTI A CHIEDERMI SCUSA»

«Possiamo litigare con qualche collega, ma il grosso, fuori nel Paese crede che ci sia ancora bisogno di una forza che dica che ci sono delle ingiustizie. Questa era la forza dei Cinque Stelle, io ho fatto questa campagna elettorale, con quel programma che io difendo. E se voi, uomini del nulla, voi probiviri del nulla assoluto, avete paura allora andatevene fuori, voi, perchè io vi verrò a cercare nelle aule di Giustizia e dirò no alla ingiusta espulsione che mi avete fatto. Voi sarete condannati a dirmi scusa».

ALTRA STOCCATA PER LA MANCATA BATTAGLI A BRUXELLES

«Questa è la rivoluzione», una rivoluzione che per Paragone andava fatta anche in Europa, avendo il coraggio di dire «che Bruxelles ci sta inchiodando a una ingiustizia che sarà sempre più profonda. Ecco perchè io sono sbattuto fuori, perchè continuo a dire queste cose. Allora il Movimento Cinque Stelle i cosiddetti capetti, burocrati, gli uomini grigi, questi signori del nulla mi buttano fuori. Ma il Movimento è fatto di persone perbene che hanno ancora un sogno, che ci credono».

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Quello di Francesco è uno schiaffo all’immagine del papa

La reazione di Francesco in San Pietro è simbolo di umanità. Ma porta con sé un grave danno d'immagine. Che lambisce il dogma dell'infallibilità del pontefice. E che in Vaticano dev'essere preso sul serio.

Il dogma dell’infallibilità papale è molto recente, se rapportato all’intera storia della Chiesa. Risale infatti solo al 1870, quando fu proclamato per volontà di Pio IX, il quale convocò un apposito concilio – il “Vaticano I” – affinché il dogma venisse approvato e reso definitivo. Ma il papa è infallibile solo quando parla “ex cathedra”, cioè quando si esprime su elementi dottrinali e di fede, oppure quando proclama nuovi dogmi. In questi casi “non può sbagliare”. Ma quando si libera infastidito dalla presa di una fedele in Piazza San Pietro, schiaffeggiandola mano che lo trattiene? La condotta del papa è anch’essa infallibile?

Nel 1870 non esistevano le telecamere, né i telegiornali, né tanto meno il web e i social network. Un episodio come quello dello strattone al papa e della sua reazione stizzita non avrebbe avuto alcuna eco al di là degli spettatori presenti. Ma in realtà non sarebbe stato proprio possibile, perché il papa all’epoca non scendeva in mezzo alla gente, e se proprio doveva farlo, veniva portato in giro su una sedia pontificia che si levava alta, al riparo dalla folla e dalle sue intemperanze. Alla sedia è poi subentrata la papa-mobile, con la sua bolla trasparente, che espone il pontefice come in una protettiva vetrina semovente, mentre passa e benedice i fedeli. Perché quando si avvicina fisicamente alla gente, tutto è possibile, come accadde a Giovanni Paolo II, che si prese un colpo di pistola in pancia nel 1981 da turco Alì Agca, e venne salvato poi dai chirurghi del Policlinico Gemelli, oppure dalla Madonna stessa, a seconda delle convinzioni religiose.

UN PAPA PARAGONATO A UNA ROCKSTAR

Nella nostra era ultramediatica, il papa – e soprattutto questo papa, Bergoglio – viene giustamente paragonato a una rockstar, che suscita nei fedeli lo stesso tipo di fanatismo che si rivolge ai miti della musica e ai divi del cinema. Molto meno ai personaggi politici. Ed è forse che per questo che un politico scaltro come Matteo Salvini, superando gli elementi dell’idolatria berlusconista, ha fatto propria una gestualità religiosa che allude continuamente a una presunta “vera fede”, in contrapposizione alle aperture misericordiose di Francesco, pontefice di cui i sovranisti diffidano massimamente. Al punto da pubblicare, Salvini, un video stupidissimo, in cui la fidanzata Francesca Verdini figura come la fedele postulante di Piazza San Pietro, mentre lui stesso vi recita il ruolo di “papa buono”, che si libera dolcemente dalla presa della mano e le accarezza il viso, come a correggere il comportamento opinabile del papa, criticato aspramente per un buffetto alle mani dagli stessi sovranisti che tifano per l’affondamento di barconi e migranti in mare.

UNO STRATTONE CHE VA PRESO SUL SERIO

Bergoglio si è poi scusato pubblicamente per aver dato «il cattivo esempio», e ammettendo di aver perso le staffe, come può capitare a chiunque. Dunque il papa è un chiunque, uno di noi, un essere umano fallibile e imperfetto? Certo che sì, personalmente non avevamo dubbi. Ma il danno di immagine è grave, proprio perché consente a personaggi di bassissimo profilo di proporsi credibilmente come detentori di simboli e verità religiose, facendo di se stessi e del proprio corpo un feticcio. Una strategia che trova la sua apoteosi nella pratica dei selfie scattati a raffica coi telefonini insieme ai propri seguaci. Lo fa Salvini e lo fa anche il papa. Forse quello strattone dovrebbe essere preso sul serio in Vaticano. Senza dogmatismi.

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Cosa dice il rapporto immobiliare 2019 dell’Agenzia delle Entrate e del Mef

Secondo i dati riferiti al 2016, il 75,2% delle famiglie ha una casa di proprietà. In un anno perso l'1,8% del valore medio che ora si ferma a 162 mila euro.

Il 75,2% delle famiglie, tre su quattro, risiede in una casa di proprietà. Nel 2016 la superficie media di un’abitazione è pari a 117 metri quadri e il suo valore medio è di circa 162 mila euro (1.385 euro a metro quadro). Il valore complessivo del patrimonio abitativo supera i 6.000 miliardi. Sono alcuni dei dati contenuti nella settima edizione di “Gli Immobili in Italia“, la pubblicazione che fotografa il patrimonio immobiliare italiano realizzata da Agenzia delle Entrate e Mef in collaborazione con Sogei.

OLTRE 6 MILIONI DI CASE IN AFFITTO

Gli immobili dati in locazione sono circa 6 milioni (10%), mentre 6,2 milioni (11%) sono quelli lasciati a disposizione. Infine, ammontano a circa 1,2 milioni, poco più del 2% del totale, gli immobili concessi in uso gratuito a familiari o ad altri comproprietari. Per quanto riguarda la distribuzione per aree territoriali, al Sud sono utilizzate come abitazione principale il 53,5% del totale delle abitazioni delle persone fisiche, al Nord e al Centro la quota è più elevata, rispettivamente 56,8% e 58,5%.

SCENDE IL VALORE MEDIO DELLE ABITAZIONI

Nel 2016, un’abitazione in Italia valeva mediamente 162 mila euro, con un valore unitario di 1.385 euro a metro quadro, in diminuzione dell’1,8% rispetto al 2015. Cali superiori al 3% si osservano nel Lazio, in Liguria e nelle Marche, in Toscana i valori perdono il 2,9% mentre per Veneto e Abruzzo la flessione è del 2,5%. Sotto il 2% il calo nelle restanti regioni. Fanno eccezione solo la Lombardia, in cui il valore delle case è rimasto stabile, e il Trentino-Alto Adige, unica regione a segnare un aumento del valore medio, +0,8%.

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È il giorno del ritorno al Milan di Ibrahimovic

Il campione svedese è sbarcato a Linate in tarda mattinata. Ad attenderlo altre dal CFO del Milan Boban, anche un centinaio di tifosi. Domani la presentazione ufficiale.

Zlatan Ibrahimovic è arrivato a Milano con un volo privato dalla Svezia. Ad attenderlo all’aeroporto di Linate Zvonimir Boban, CFO del Milan. Ibrahimovic si trasferirà subito dopo alla clinica La Madonnina dove svolgerà le visite mediche. Il 3 prevista la presentazione ufficiale a Casa Milan. L’ex Juve e Inter è sceso dall’aereo privato e ha subito rilasciato un’intervista al canale tematico del Milan. Total black per l’attaccante, che indossa una felpa nera col cappuccio e jeans neri. Sorrisi ed emozione per lo svedese che firmerà un contratto di sei mesi. «Sono felice? Molto». È stata la stringata risposta dell’ex Psg scendendo dalla macchina che lo ha portato alla Clinica La Madonnina. L’auto, presa d’assalto dai tifosi, ha fatto una manovra per evitare la folla e Ibrahimovic è entrato da un ingresso secondario.

ACCOLTO DA UN GRUPPO DI TIFOSI

Grande entusiasmo per il suo arrivo a Linate, dove circa un centinaio di tifosi lo hanno atteso per rubare il primo scatto del ritorno dello svedese in casacca rossonera. Al passaggio della macchina con Ibrahimovic a bordo cori e applausi dedicati all’attaccante che ha promesso un cambio di passo nella stagione del Milan. “Assalto” che si è ripetuto anche a La Madonnina per le visite mediche di rito.

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La fuga di Ghosn dal Giappone sta diventando un caso diplomatico

Faro delle autorità turche sul passaggio dell'ex presidente Nissan nel Paese prima dell'arrivo in Libano. Almeno cinque le persone fermate. E la Francia offre asilo. La situazione.

L’arrivo in Libano dell’ex presidente di Nissan Carlos Ghosn sta diventando sempre più un caso diplomatico. I fronti sono almeno tre: quello libanese, quello turco e ultimo in ordine di tempo quello francese.

LO SCENARIO LIBANESE: SMENTITI I CONTATTI COL PRESIDENTE AOUN

Venendo al primo, scrive il Financial Times, le autorità di Beirut avrebbero chiesto il rientro del manager già una settimana prima della fuga vera e propria. Non solo. Secondo al Jazeera Ghosn avrebbe incontrato il presidente libanese Michel Aoun il giorno dopo l’arrivo in Libano. Ipotesi poi smentita dall’ufficio della presidenza libanese: «Non è stato accolto dal presidente e non l’ha mai incontrato», ha fatto sapere un funzionario. Con ogni probabilità potrebbe arrivare qualche chiarimento il prossimo 8 gennaio, quando Ghosn terrà una conferenza stampa.

ARRESTI IN TURCHIA PER LO SCALO DAL GIAPPONE

Intanto si è aperto anche un fronte ad Ankara. La Turchia ha aperto un’indagine sul passaggio dell’ex presidente di Nissan-Renault. Secondo i media turchi, alcune persone sono già state arrestate ed interrogate. Nei giorni immediatamente successivi i media libanesi avevano riferito che Ghosn era atterrato all’aeroporto di Beirut con un jet privato proveniente da uno scalo turco.

LA FRANCIA PROMETTE DI NON ESTRADARLO

Nel complesso scacchiere si è poi inserita anche la variabile francese. Secondo fonti sentite dal canale pubblico Nhk Carlos Ghosn era stato autorizzato dalla giustizia giapponese a mantenere in suo possesso un secondo passaporto francese, con il quale presumibilmente sarebbe entrato in Libano. Il manager, per ragioni che non si conoscono, possedeva due passaporti d’oltralpe, trattenuti entrambi dal suo avvocato, insieme a quello libanese, fino allo scorso mese di maggio, quando riuscì a ottenere la restituzione di uno dei due documenti francesi per ragioni legali. Il documento doveva essere conservato in una cassaforte chiusa a chiave. Intanto da Parigi è arrivato un altro aiuto a Ghosn: il segretario di stato all’economia Agnes Pannier-Runacher ha fatto sapere che la Francia «non estraderà» il manager se arriverà nel Paese.

IN GIAPPONE PROSEGUONO LE INDAGNI

Intanto, le autorità nipponiche hanno perquisito l’abitazione dell’ex tycoon e recuperato le immagini delle telecamere di sorveglianza per studiare l’esecuzione del piano di fuga messo in atto e l’eventuale esistenza di complici. Il 31 dicembre scorso la corte distrettuale di Tokyo ha revocato la libertà vigilata di Ghosn su richiesta del pubblico ministero, ordinando la confisca della cauzione di 1,5 miliardi di yen (12,3 milioni di euro). Il governo di Tokyo non ha firmato un trattato di estradizione con il Libano, rendendo molto difficile la cooperazione giudiziaria con Beirut, che con molta probabilità rifiuterà di consegnare l’ex tycoon alla giustizia nipponica.

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Una proposta agli ex Pci: il 19 gennaio andiamo ad Hammamet

La comunità socialista sarà in Tunisia per ricordare Bettino Craxi. È l'occasione per fare un gesto forte di riconciliazione. E mettere da parte le divisioni, una volta per tutte.

Tra il 17 e il 19 di gennaio la comunità socialista ricorderà ad Hammamet la morte di Bettino Craxi. Sono passati 20 anni, ma per i socialisti è una ferita aperta e per chi socialista non è stato, addirittura ha avversato Craxi, da tempo è iniziato un tentativo di ricostruirne la vicenda politica dando al leader del Psi meriti che in vita gli furono negati, fino al punto che fu lasciato morire in Tunisia malgrado potesse essere curato, e forse salvato, in Italia. Craxi è uno dei “grandi” della politica italiana. I socialisti non devono aversene a male se questo riconoscimento che si va facendo strada spesso non è accompagnato da una generale adesione alle sue scelte, anzi si accompagna ad una critica di alcune sue scelte. Il tema ancora bruciante è, però, il rapporto fra Craxi e la sua memoria e il vasto mondo, ormai disperso, degli ex comunisti, ovvero, più correttamente, degli ex Pci.

SERVE UN GESTO DI RICONCILIAZIONE

Io credo che sia giunto il tempo che un gruppo di ex comunisti, ovvero di ex Pci, partecipi in questa veste al ricordo di Craxi ad Hammamet. Qualcuno potrebbe andarci da solo oppure coinvolto nelle diverse delegazioni che le diverse famiglie socialiste stanno organizzando. Ma il fatto politico, l’evento che potrebbe avviare la definitiva riconciliazione fra ex Pci e ex Psi (che in parte è già avvenuta nella comune militanza a sinistra di questi anni), sarebbe se la partecipazione alla commemorazione vedesse in prima fila (è un modo di dire, si può stare anche in fondo) un gruppo di ex Pci. Il funerale di Craxi 20 anni fa si fece in Tunisia. La famiglia rifiutò l’offerta del premier Massimo D’Alema del funerale di Stato in Italia, Marco Minniti, sottosegretario di quel governo, e Gavino Angius, capogruppo al senato del partito ex comunista, si recarono in Tunisia. Poi negli anni successivi c’è stato molto silenzio e l’acredine reciproca ha creato nuove ferite. Molti socialisti sono passati a destra sostenendo di farlo in nome di Craxi che a destra, viceversa, non sarebbe mai passato. Anche i figli di Craxi hanno avuto atteggiamenti diversi, intransigente la figlia Stefania, partecipe di una comune esperienza politica Bobo, mio caro amico.

Craxi e il craxismo sono rimasti nell’immaginario collettivo sia come simbolo di un ardito riformismo sia, al contrario, come espressione di una eccessiva prepotenza della politica

Ora vedremo se Gianni Amelio, nel film che dicono sia magistralmente interpretato da Favino, saprà dare l’immagine giusta del leader socialista. C’è tuttavia un punto di fondo che a sinistra si deve comprendere. Non è vero che bisogna “scurdarsi o passato”. I grandi fenomeni popolari o di opinione pubblica restano nella memoria. Craxi e il craxismo sono rimasti nell’immaginario collettivo sia come simbolo di un ardito riformismo sia, al contrario, come espressione di una eccessiva prepotenza della politica. Gli ex Pci, che hanno accettato che si facesse strame della propria storia, dovrebbero assumere come regola di vita intellettuale e politica quella di non lasciar marcire la propria memoria e di non lasciare irrisolte le grandi questioni. Il craxismo è stata la più grande questione che la sinistra abbia avuto davanti a sé in anni cruciali, enfatizzata addirittura dal diverso atteggiamento nel caso del rapimento e dell’assassinio di Aldo Moro.

AD HAMMAMET UNA DELEGAZIONE POST PCI CI DEVE ESSERE

Ad Hammamet una delegazione post Pci ci deve essere. Chi deve organizzarla? Ci sono tanti dirigenti di quel partito che fanno ancora politica o che hanno smesso da poco che possono farsi promotori di questa iniziativa. Può farlo una organizzazione culturale, una assemblea. Io sono nessuno, ma se ci fosse questa iniziativa parteciperei volentieri. Il tema da lanciare è la scelta dell’ unilaterale “riconciliazione” con la figura di Craxi. Tempo fa ho usato un verbo che non è piaciuto perché ho scritto che i comunisti devono “riabilitare” Craxi. Riconosco che fu una espressione infelice il cui senso politico era chiarissimo. Oggi dico ai miei che dobbiamo fare un gesto forte di riconciliazione, che scaverà come una talpa buona, fra le nostre radici: andiamo ad Hammamet, chiunque ci sia, anche se lì ci saranno quelli del cappio. Andiamo ad Hammamet con la famiglia socialista, non guardando alle sue divisioni (le nostre sono persino maggiori) ma pensando che nel futuro questo gesto può produrre unità.

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