Chi è Jannik Sinner, vincitore delle Next Gen Finals

Cosa sappiamo del tennista azzurrino che da numero 95 nella Top 100 del ranking ATP ha letteralmente spazzato via il numero 18 del mondo, Alex De Minaur.

La stella di Jannik Sinner per il momento brilla nel cielo di Milano, presto però risplenderà anche nel firmamento del tennis mondiale. Il 18enne nato in provincia di Bolzano (a San Candido), infatti, al termine di un incontro senza storia, ha vinto la terza edizione delle Next Gen Finals disputate nell’Allianz Cloud. Da numero 95 del mondo – ma ancora per poco – l’azzurrino ha letteralmente spazzato via il 20enne australiano e numero 18 del mondo, Alex De Minaur. Di 3-0 il punteggio finale, frutto di un doppio 4-2 e di un secco 4-1, che vale il primo titolo Atp per un ragazzo che farà molto parlare di sé e fa già sognare giustamente il movimento tennistico italiano. L’australiano era un avversario proibitivo in finale, dall’alto dei 3 titoli Atp in stagione (Sydney, Atlanta e Zhuhai), ma Sinner non ne ha tenuto conto, giocando un tennis aggressivo e concreto, brillante e assai preciso. Contro Tiafoe, Ymer, Humber e Kecmanovic era stato bravissimo, ma la sera del 9 novembre si è elevato al ruolo di fuoriclasse con un futuro di altissimo profilo tecnico. Ecco cosa sappiamo su di lui.

È APPASSIONATO DI SCI

Da buon abitante della Val Pusteria è appassionato di sci. Fino al 2013 il tennis era solo un passatempo.

È IL PIÙ GIOVANE TENNISTA ITALIANO ENTRATO NELLA TOP 100 DEL RANKING ATP

Quello che era solo un passatempo è diventato in breve tempo una fonte di soddisfazioni e record: Sinner è infatti il più giovane italiano di sempre ad avere vinto un Challenger e a entrare nella Top 100 del ranking ATP.

NEL 2019 HA GIÀ GUADAGNATO 258 MILA DOLLARI

Risultati che negli anni l’hanno portato a vincite sempre più ricche tanto che nel 2019 ha già guadagnato 258 mila dollari. Cifra che esclude il premio delle Next Gen ATP Finals.

È TESTIMONIAL DELLA NIKE

Ma le entrate di Sinner non sono solo legate ai vari tornei a cui partecipa: a maggio 2019 ha firmato anche un contratto di sponsorizzazione con la Nike per quanto riguarda il suo abbigliamento.

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Milano, un ergastolano in permesso premio accoltella un uomo

L'aggressore è Antonio Cianci che nel 1979 ha ucciso tre carabinieri dopo essere stato fermato ad un posto di blocco. La vittima non è in pericolo di vita.

Un uomo di 79 anni è stato ferito con una coltellata alla gola mentre si trovava nel parcheggio sotterraneo dell’ospedale San Raffaele di Milano. Le sue condizioni sono gravi, ma non sarebbe in pericolo di vita. A ferirlo è stato Antonio Cianci, il pregiudicato di 60 anni che nell’ottobre del 1979 aveva ucciso tre carabinieri a Melzo (Milano). Detenuto nel carcere di Bollate, Cianci aveva ottenuto, da quanto si è saputo, un permesso premio.

LA RICOSTRUZIONE DELL’AGGRESSIONE

L’episodio è avvenuto attorno alle 18 e poco dopo la polizia ha fermato Cianci con un taglierino sporco di sangue ancora in tasca. Secondo la prima ricostruzione fornita dalla polizia, l’uomo avrebbe ferito lo sconosciuto nel corso di una rapina.

CONDANNATO ALL’ERGASTOLO PER L’OMICIDIO DEL 1979

Cianci aveva 20 anni quando nella notte tra l’8 e il 9 ottobre del ’79 uccise tre carabinieri che lo avevano fermato ad un posto di blocco tra Liscate e Melzo, nel Milanese, a bordo di un’auto che risultava rubata. Mentre gli controllavano un documento, il giovane fece fuoco uccidendo il maresciallo Michele Campagnuolo, l’appuntato Pietro Lia e il carabiniere Federico Tempini. Quando venne arrestato Cianci, originario di Cerignola (Foggia), non confessò e disse, anzi, che a sparare ai militari erano stati alcuni sconosciuti a bordo di un’auto. Al processo di primo grado venne condannato all’ergastolo, confermato in appello nel 1983 (processo in cui con una lettera ai giudici finalmente confessò la strage) e poi anche in Cassazione.

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Parlamentari pro-democrazia arrestati a Hong Kong

Accusati di aver ostacolato i lavori parlamentari durante la discussione sulla legge sull'estradizione in Cina, sono stati rilasciati dopo qualche ora su cauzione. Se condannati, rischiano fino a un anno di carcere.

Sei parlamentari pro-democrazia sono stati arrestati ad Hong Kong con l’accusa di aver ostacolato i lavori parlamentari a maggio 2019, quando era discussione la contestata legge sull’estradizione in Cina che ha innescato cinque mesi di proteste e violenze tra polizia e manifestanti nell’ex colonia britannica. Nonostante siano stati rilasciati su cauzione dopo qualche ora, la mossa, all’indomani della morte di uno studente ferito nelle manifestazioni, rischia di far crescere ulteriormente la rabbia nell’attesa dell’11 novembre, giorno in cui i parlamentari dovranno presentarsi in tribunale. Se saranno condannati, rischiano fino ad un anno di carcere.

PREGHIERE, FIORI E CANDELE PER LO STUDENTE MORTO

Il 9 novembre la collera ha lasciato il posto al dolore per Chow Tsz-lok, lo studente di 22 anni morto per le gravi ferite riportate alla testa cadendo da un parcheggio una settimana prima, durante l’ennesima notte di scontri con la polizia. Migliaia di persone si sono riunite in preghiera e hanno lasciato candele, fiori bianchi e gru di carta, diventate uno dei simboli della proteste. «Hong Kong libera», «La gente di Hong Kong vuole vendetta», gridavano i partecipanti tra i quali qualche irriducibile col volto coperto. «La gente di Hong Kong può essere colpita ma mai sconfitta», ha detto uno di questi rivolgendosi alle persone riunite. La veglia, una delle poche autorizzate dalle forze dell’ordine nelle ultime settimane di manifestazioni, si è svolta in modo pacifico nonostante la notizia poche ore prima dell’arresto dei sei parlamentari, rilasciati poche ore dopo su cauzione. Un settimo, Lam Cheuk-ting, è stato invitato a presentarsi in una stazione di polizia ma si è rifiutato. «Se credete che io abbia violato qualche legge, venite a prendermi», ha dichiarato alla stampa accusando la polizia di aver agito ad arte per posporre o cancellare le elezioni per il rinnovo del consiglio distrettuale in programma il 24 novembre, considerato un banco di prova per il governo di Carrie Lam e un messaggio a Pechino. Accusa alla quale ha replicato il ministro di Hong Kong per gli affari costituzionali, Patrick Nip, spiegando come gli arresti siano stati eseguiti sulla base di indagini e non hanno nulla a che vedere col voto.

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Niente multe a chi non installa i seggiolini antiabbandono

La maggioranza sta pensando a una moratoria per dare tempo alle famiglie di adeguarsi fino a marzo o giugno 2020.

Niente multe per chi non installa subito i seggiolini antiabbandono per i bimbi fino a 4 anni. O meglio, è previsto uno slittamento e, forse, anche la possibilità di vedersi restituire quanto pagato per chi, nel frattempo, incappa nella sanzione. Come promesso dal ministro delle Infrastrutture Paola De Micheli, la maggioranza si prepara a varare una moratoria per consentire alle famiglie di adeguarsi al nuovo obbligo sottoforma di emendamento al decreto fiscale collegato alla manovra. Il Pd pensa infatti a mettere in stand by le sanzioni almeno fino a marzo del 2020, mentre il Movimento 5 Stelle propone uno slittamento fino a giugno e, appunto, la possibilità di richiedere indietro i soldi pagati per le multe prese dal 7 novembre fino alla conversione del decreto, quando la moratoria diventerà effettivamente operativa.

EMENDAMENTI FINO ALL’11 NOVEMBRE

Ma quella sui seggiolini anti-abbandono non è l’unica modifica proposta dalla stessa maggioranza al decreto fiscale: per gli emendamenti c’è tempo fino a lunedì 11 novembre 2019 e sul fronte fisco dovrebbero arrivare le correzioni alla stretta sulle ritenute negli appalti, dopo l’allarme lanciato dalle imprese, e qualche ritocco sulle compensazioni (si potrebbero escludere i soggetti in credito d’imposta ‘strutturale’, come ad esempio i professionisti).

SCUDO PENALE PER L’EX ILVA

Ma in ballo, per la parte non strettamente fiscale del provvedimento, c’è anche lo scudo penale per l’ex Ilva, legato però all’evolversi della trattativa con Arcelor Mittal. Per venire incontro ai problemi dell’acciaieria di Taranto il governo sta peraltro pensando a un fondo, da inserire questa volta in manovra, per il sostegno dei lavoratori già in Cassa integrazione (oltre 1.500) e per le opere di bonifica dall’amianto.

VERSO LA CONFERMA DELLA CEDOLARE AL 21% SUGLI AFFITTI

Per avere la lista delle richieste di modifica alla legge di Bilancio bisogna comunque attendere almeno fino a sabato 16 novembre. Salgono, intanto, le chance di una conferma della cedolare secca al 21% sugli affitti commerciali, come negozi e capannoni. La tassazione agevolata è stata introdotta con l’ultima manovra ma vale solo per gli immobili affittati nel 2019 e al momento la legge di Bilancio non prevede una proroga. Ma «ci stiamo lavorando, penso che si farà», ha detto il presidente della commissione Bilancio del Senato, Daniele Pesco, che sta esaminando in prima lettura la manovra, raccogliendo il plauso di Confedilizia che preme per una riconferma della misura.

LA PLASTIC TAX SEMBRA INEVITABILE

Resta aperta, intanto, la partita sulle micro-tasse, dal prelievo di un euro al chilo sulla plastica, all’aumento della tassazione sulle auto aziendali: per azzerare le due misure servirebbe almeno un miliardo e mezzo che sale a 1,7-1,8 miliardi se si volesse eliminare anche la sugar tax, come chiede Italia Viva. I renziani ipotizzano per le coperture un rinvio del taglio del cuneo fiscale a settembre o un intervento su quota 100, entrambi finora esclusi dal resto della maggioranza. Difficile, quindi, che queste tasse possano essere cancellate: si lavora piuttosto a una revisione che potrebbe portare, ad esempio, a uno slittamento a luglio per sugar e plastic tax, che ora scatterebbero a partire da aprile.

NON CI SONO FONDI PER FINCANTIERI

Scoppia intanto anche un ‘caso Fincantieri‘: in manovra ci si aspettava lo stanziamento dei circa 500 milioni necessari per avviare i lavori per ampliare il cantiere navale di Sestri Ponente (il ribaltamento in mare di Fincantieri), e consentire la costruzione di grandi navi da crociera. Fondi che al momento non ci sarebbero ma, assicura il sottosegretario al Mit Roberto Traversi, «c’è un emendamento governativo già pronto».

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Vittoria in rimonta per l’Inter

La squadra di Antonio Conte soffre a Verona, ma alla fine conquista i tre punti e, in attesa di Juve-Milan, la testa della classifica.

Dall’incubo alla festa: nella prima vera giornata di freddo a Milano, l’Inter sconfigge in rimonta il Verona e riscalda i 60 mila di San Siro. Prima il vantaggio degli ospiti su rigore, poi accorcia Vecino e infine il gol partita di Barella che vale la leadership, in attesa di Juventus-Milan. Questione di feeling per i nerazzurri che si battono con tutto il cuore per la maglia, i tifosi e soprattutto per Antonio Conte, tarantolato a bordo campo. 95 lunghissimi minuti per lo show dell’allenatore che sbuffa, si dispera, si sbraccia, urla e incoraggia i suoi giocatori stanchi. Una fatica che viene coronata dal risultato per un’ Inter caparbia e indomita, capace di non mollare mai e di prendersi la vetta sicuramente per una notte.

L’ENTUSIASMO DI ANTONIO CONTE A FINE PARTITA

L’Inter in piena emergenza infortuni si affida ai soliti noti, portando in panchina, a sorpresa, Sensi. Le parole di Conte, dopo la sconfitta di Dortmund, hanno caricato ancora di più la squadra che domina la partita senza però trovare il varco giusto fino a metà del secondo tempo. Il Verona si chiude in difesa, proteggendo il vantaggio guadagnato su rigore al 18′ da Verre. L’Inter reagisce, cerca subito il pari, tanto che la partita si gioca nella metà campo del Verona. Lukaku va vicino al gol in due occasioni: prima è bravo Sivestri opponendosi d’istinto ad una deviazione sottoporta, poi il bomber sfiora il palo con una conclusione defilata di sinistro. Tre minuti dopo, scheggia la traversa Brozovic con un tiro dalla distanza. L’Inter non è fortunata. Al 37′ ci prova De Vrij da fuori area e Silvestri devia in angolo. Allo scadere, il pari sfuma per millimetri: Vecino impatta un cross dalla sinistra, il portiere del Verona trattiene a fatica ma la palla non supera la linea di porta. Ritmo altissimo anche nella ripresa, con l’Inter che prova da ogni posizione e con ogni giocatore a cercare di bucare la rete del Verona che sembra stregata. Conte richiama Biraghi per Candreva, alzando il tasso offensivo. Al 20′ bella apertura di Bastoni per Lazaro che da fondo campo crossa al centro, impatta di testa Vecino che trova l’angolo basso per l’1-1. L’Inter continua l’arrembaggio, anche Bastoni cerca la conclusione neutralizzata in tuffo da Silvestri. Non intercetta di un soffio Lukaku su una palla che scorre nell’area piccola. Ma l’errore più evidente del belga arriva a 10′ dalla fine: leggerezza in disimpegno del Verona. Palla alta, colpita di testa da Lukaku che però la consegna al portiere. A firmare il vantaggio al 38′ è Barella con un gran tiro a giro, accentrandosi dalla sinistra. Incontenibile l’entusiasmo del centrocampista e di San Siro. E soprattutto quello di Conte che a fine partita entra in campo e abbraccia uno ad uno i suoi giocatori. Si scioglie la tensione, si può rifiatare almeno fino alla prossima battaglia.

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Imbrattato a Milano il Giardino dei Giusti

Scritte e vernice rossa contro lo spazio che celebra coloro che hanno lottato in difesa dei diritti umani e contro i genocidi e i totalitarismi. Era stato inaugurato da Liliana Segre.

Scritte e vernice rossa contro il Giardino dei Giusti a Milano, il luogo simbolo nato per celebrare gli uomini e le donne che hanno lottato in difesa dei diritti umani e contro i genocidi e i totalitarismi, che è stato inaugurato a ottobre 2019 dalla senatrice a vita e testimone della Shoah Liliana Segre, sotto scorta per le minacce e gli insulti ricevuti via social. I vandali hanno imbrattato l’illuminazione dell’anfiteatro e scritto sulla segnaletica «Via le ruspe dal Monte Stella». A denunciare l’accaduto è stato, la mattina del 9 novembre 2019, il presidente del Municipio 8, Simone Zambelli, annunciando un esposto contro ignoti.

FRANCESCHINI: «ATTACCO ALLA REPUBBLICA ITALIANA»

Non è la prima volta che nella zona compaiono scritte simili, dato che l’ampliamento del Giardino è stato sempre contestato da una parte dei cittadini del quartiere, ma per Gabriele Nassim, il presidente di Gariwo, l’associazione che lo gestisce, «non è un caso che questa provocazione sia avvenuta il giorno dopo la decisione del Prefetto di affidare una scorta alla senatrice», per mano di «quanti cercano di creare un clima d’odio nel Paese». Di «tempistica sospetta» ha parlato anche il Pd milanese, mentre l’assessore comunale all’Urbanistica Pierfrancesco Maran ha paragonato l’accaduto a un atto di fascismo. Dura anche la reazione del ministro della Cultura Dario Franceschini, secondo cui «ogni violenza, minaccia o atto vandalico contro persone e luoghi che rappresentano la diversità culturale e religiosa nel nostro Paese è un attacco alla Repubblica Italiana e non può essere sottovalutato».

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Taranto accende lo scontro Confindustria-Cgil sugli esuberi

Per Vincenzo Boccia sarebbe un errore tenerli e quindi finanziare la disoccupazione. Parole che secondo Maurizio Landini della Cgil sono senza senso.

Di fronte alla crisi dell’ex Ilva, che il colosso ArcelorMittal non vuole più gestire restituendola ai commissari, il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia ha chiesto di agire con «buon senso e serietà» invitando a non pretendere che di fronte a «crisi congiunturali le imprese debbano mantenere i livelli di occupazione, quindi finanziare disoccupazione. Così facciamo un errore madornale». Una dichiarazione a cui hanno risposto subito i sindacati. A infiammare la polemica è il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, che prima era stato a capo delle tute blu del sindacato di Corso d’Italia.

BOCCIA: «CI SONO GLI AMMORTIZZATORI SOCIALI»

Boccia ne ha parlato ad un convegno di Confindustria presso Ansaldo Energia a Genova commentando i cinquemila esuberi chiesti da ArcelorMittal per rimanere nell’ex Ilva. «Se c’è una crisi congiunturale legata all’acciaio, è inutile far finta che non ci sia. Bisogna capire come gestire questa fase permettendo di ‘costruire’, come accade in tutte le aziende del mondo», ha detto il numero uno degli industriali italiani. Ci sono gli ammortizzatori sociali come la cassa integrazione «che si attivano in momenti negativi delle imprese». Secondo Bocca la soluzione è creare sviluppo in quel territorio, costruire altre occasioni di lavoro, ma non sostitutive, complementari.

LANDINI: «C’È UN ACCORDO DA FAR RISPETTARE»

Di tutt’altro avviso Landini che, durante un convegno a Firenze, ha definito «senza senso» le parole del presidente di Confindustria: «C’è un accordo da far rispettare, firmato nel 2018, che prevede degli impegni». Secondo il leader della Cgil, inoltre, «non sono cali temporanei di mercato che modificano piani strategici che prevedono quattro miliardi di investimenti. Quegli accordi lì vanno fatti rispettare: e anche lui dovrebbe chiedere alla multinazionale di rispettare il nostro Paese, e di rispettare gli accordi. Credo che l’affidabilità nel rispetto degli accordi sia una regola delle parti sociali».

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Cosa sapere delle elezioni in Spagna del 10 novembre

Il 10 novembre il Paese torna al voto. I socialisti di Sanchez in vantaggio sono ancora lontani dalla maggioranza. Occhi puntati sull'estrema destra di Vox che potrebbe diventare la terza forza del Paese cavalcando la crisi catalana. Una guida.

Domenica 10 novembre la Spagna torna al voto per la seconda volta nel 2019 (e per la quarta in 4 anni). Il socialista Pedro Sanchez, vincitore alle elezioni dello scorso aprile, non è infatti riuscito a formare un governo con la coalizione di sinistra Unidas Podemos.

Pedro Sanchez, leader socialista e premier uscente.

I CANDIDATI IN CORSA

A sfidare il premier uscente Pedro Sánchez (Partito socialista), ci sono: Pablo Casado (Partito Popolare), Pablo Iglesias (leader di Podemos), Albert Rivera (che guida i liberali di Ciudadanos) e Santiago Abascal, fondatore del partito di estrema destra Vox.

LA CRESCITA DELL’ESTREMA DESTRA DI VOX NEI SONDAGGI

Secondo i recenti sondaggi di Politico.eu difficilmente dalle urne uscirà una maggioranza chiara. I blocchi di centrodestra e centrosinistra sostanzialmente si equivalgono: i primi veleggiano intorno al 44% e i secondi al 42%. Il Psoe è dato comunque per favorito al 27%, i Popolari sono al 21%, Podemos al 12% e Ciudadanos al 9%. La vera novità di questa tornata elettorale è però rappresentata da Vox che potrebbe passare dal 10% delle scorse elezioni al 14%. Se così fosse scalzerebbe Ciudadanos diventando la terza forza politica del Paese. Dopo una frenata alle Europee, Vox ha ripreso a crescere nei sondaggi con l’inasprirsi, sostengono diversi osservatori, della crisi catalana.

spagna-elezioni-10-novembre-sondaggi

LA CATALOGNA AL CENTRO DEL VOTO

La nuova ondata di proteste indipendentiste, dopo le pesanti condanne ai 12 leader indipendentisti protagonisti dell’insurrezione dell’ottobre 2017, ha catalizzato il dibattito nazionale. E sarà l’ago della bilancia di queste elezioni. Sanchez, rivendicando la linea della fermezza, ha insistito sulla necessità di dialogo. «Abbiamo bisogno di aprire un nuovo capitolo basato sulla coesistenza pacifica in Catalogna attraverso il dialogo nei limiti della legge e della Costituzione spagnola», aveva detto in tivù a metà ottobre. «Nessuno è al di sopra della legge. In Spagna non ci sono prigionieri politici ma piuttosto alcuni politici in prigione per aver violato leggi democratiche». Sul tema Ciudadanos e Vox hanno mostrato i muscoli. Abascal, nell’ultimo confronto tivù, si è spinto oltre: non solo ha chiesto di revocare l’autonomia alla Generalitat ma ha anche accusato Sanchez di appoggiare di fatto un «colpo di Stato permanente» in Catalogna.

La bandiera catalana all’aeroporto di Barcellona durante la manifestazione del 14 ottobre.

Non solo. La recente proposta di Vox di bandire i partiti indipendentisti è stata approvata dall’Assemblea di Madrid con i voti del Partido Popular e di Ciudadanos, in una sorta di patto delle destre che ha fatto scattare più di un allarme in casa socialista. «Cominciamo a essere testimoni di cose preoccupanti», ha commentato il primo ministro in un’intervista a Cadena Ser, definendo la risoluzione una «deriva reazionaria molto pericolosa».

INCOGNITA ASTENSIONISMO

Sanchez deve vedersela anche con un altro concorrente: l’astensionismo, vista l’esasperazione degli elettori dopo il mancato accordo di governo tra Psoe e sinistra. L’affluenza dal 76% di aprile potrebbe così scendere intorno al 70% e a farne maggiormente la spese potrebbe essere proprio il Psoe di Pedro Sanchez.

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Cosa sapere delle elezioni in Spagna del 10 novembre

Il 10 novembre il Paese torna al voto. I socialisti di Sanchez in vantaggio sono ancora lontani dalla maggioranza. Occhi puntati sull'estrema destra di Vox che potrebbe diventare la terza forza del Paese cavalcando la crisi catalana. Una guida.

Domenica 10 novembre la Spagna torna al voto per la seconda volta nel 2019 (e per la quarta in 4 anni). Il socialista Pedro Sanchez, vincitore alle elezioni dello scorso aprile, non è infatti riuscito a formare un governo con la coalizione di sinistra Unidas Podemos.

Pedro Sanchez, leader socialista e premier uscente.

I CANDIDATI IN CORSA

A sfidare il premier uscente Pedro Sánchez (Partito socialista), ci sono: Pablo Casado (Partito Popolare), Pablo Iglesias (leader di Podemos), Albert Rivera (che guida i liberali di Ciudadanos) e Santiago Abascal, fondatore del partito di estrema destra Vox.

LA CRESCITA DELL’ESTREMA DESTRA DI VOX NEI SONDAGGI

Secondo i recenti sondaggi di Politico.eu difficilmente dalle urne uscirà una maggioranza chiara. I blocchi di centrodestra e centrosinistra sostanzialmente si equivalgono: i primi veleggiano intorno al 44% e i secondi al 42%. Il Psoe è dato comunque per favorito al 27%, i Popolari sono al 21%, Podemos al 12% e Ciudadanos al 9%. La vera novità di questa tornata elettorale è però rappresentata da Vox che potrebbe passare dal 10% delle scorse elezioni al 14%. Se così fosse scalzerebbe Ciudadanos diventando la terza forza politica del Paese. Dopo una frenata alle Europee, Vox ha ripreso a crescere nei sondaggi con l’inasprirsi, sostengono diversi osservatori, della crisi catalana.

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LA CATALOGNA AL CENTRO DEL VOTO

La nuova ondata di proteste indipendentiste, dopo le pesanti condanne ai 12 leader indipendentisti protagonisti dell’insurrezione dell’ottobre 2017, ha catalizzato il dibattito nazionale. E sarà l’ago della bilancia di queste elezioni. Sanchez, rivendicando la linea della fermezza, ha insistito sulla necessità di dialogo. «Abbiamo bisogno di aprire un nuovo capitolo basato sulla coesistenza pacifica in Catalogna attraverso il dialogo nei limiti della legge e della Costituzione spagnola», aveva detto in tivù a metà ottobre. «Nessuno è al di sopra della legge. In Spagna non ci sono prigionieri politici ma piuttosto alcuni politici in prigione per aver violato leggi democratiche». Sul tema Ciudadanos e Vox hanno mostrato i muscoli. Abascal, nell’ultimo confronto tivù, si è spinto oltre: non solo ha chiesto di revocare l’autonomia alla Generalitat ma ha anche accusato Sanchez di appoggiare di fatto un «colpo di Stato permanente» in Catalogna.

La bandiera catalana all’aeroporto di Barcellona durante la manifestazione del 14 ottobre.

Non solo. La recente proposta di Vox di bandire i partiti indipendentisti è stata approvata dall’Assemblea di Madrid con i voti del Partido Popular e di Ciudadanos, in una sorta di patto delle destre che ha fatto scattare più di un allarme in casa socialista. «Cominciamo a essere testimoni di cose preoccupanti», ha commentato il primo ministro in un’intervista a Cadena Ser, definendo la risoluzione una «deriva reazionaria molto pericolosa».

INCOGNITA ASTENSIONISMO

Sanchez deve vedersela anche con un altro concorrente: l’astensionismo, vista l’esasperazione degli elettori dopo il mancato accordo di governo tra Psoe e sinistra. L’affluenza dal 76% di aprile potrebbe così scendere intorno al 70% e a farne maggiormente la spese potrebbe essere proprio il Psoe di Pedro Sanchez.

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Conte sull’ex Ilva: «Troveremo una soluzione»

Dopo la visita a Taranto del presidente del Consiglio, il governo potrebbe trattare sugli esuberi secondo quanto riportato dall'HuffingtonPost.

È terminata dopo l’una della notte tra l’8 e il 9 novembre la visita a Taranto del presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Il premier che ha incontrato prima cittadini e portavoce di comitati e movimenti, poi ha avuto un confronto con lavoratori e sindacati nel consiglio di fabbrica dello stabilimento siderurgico ArcelorMittal, quindi si è recato in prefettura e dopo un punto stampa ha incontrato il procuratore, Carlo Maria Capristo, i sindaci dell’area tarantina e gli ambientalisti. Infine, si è recato al rione Tamburi, il più esposto alle emissioni del Siderurgico. Le associazioni hanno consegnato al premier copia del ‘Piano Taranto‘, una piattaforma di rivendicazioni che chiede la chiusura delle fonti inquinanti e la bonifica del territorio con il reimpiego degli stessi operai e lo sviluppo di una economia alternativa.

«Ho visto lavoratori che lavorano ma allo stesso tempo pensano di fare qualcosa di sbagliato e vivono con disagio nella comunità dei parenti che li attacca perché contribuiscono a tener vivo uno stabilimento che altri in famiglia vorrebbero chiudere. Si deve aprire un cantiere e tutti dobbiamo lavorare per portare contenuti», ha detto il presidente del Consiglio. Quando ha terminato la sua visita Conte ha scritto un post su Facebook precisando di aver deciso di incontrare lavoratori e cittadini per rendersi conto personalmente della situazione che vive la comunità tarantina.

Sono venuto a Taranto per rendermi conto personalmente e vedere con i miei occhi. Ho visitato lo stabilimento, ho ascoltato gli operai, i cittadini, gli esponenti di associazioni e di comitati, gli amministratori locali. Ho voluto questo confronto per capire meglio, per ascoltare le ragioni di tutti. Mi sono confrontato con il dolore di chi piange la perdita dei familiari, con l’angoscia di chi sente di vivere in un ambiente insalubre, con la sfiducia di chi ha perso un lavoro, con l’incertezza di chi ha il lavoro ma non è certo di conservarlo domani. Non sono venuto con una soluzione pronta in tasca, non ho la bacchetta magica, non sono un supereroe. Quello che posso dirvi è che il Governo c’è e con l’aiuto e la collaborazione di tutti, dell’intero “sistema-Paese”, farà di tutto per trovare una soluzione. Di tutto.Sto rientrando adesso a Roma. Ma tornerò presto a Taranto.

Posted by Giuseppe Conte on Friday, November 8, 2019

«Ho visitato lo stabilimento, ho ascoltato gli operai, i cittadini, gli esponenti di associazioni e di comitati, gli amministratori locali. Ho voluto questo confronto per capire meglio, per ascoltare le ragioni di tutti. Mi sono confrontato con il dolore di chi piange la perdita dei familiari, con l’angoscia di chi sente di vivere in un ambiente insalubre, con la sfiducia di chi ha perso un lavoro, con l’incertezza di chi ha il lavoro ma non è certo di conservarlo domani. Non sono venuto con una soluzione pronta in tasca, non ho la bacchetta magica, non sono un supereroe», si legge nel post. «Quello che posso dirvi è che il Governo c’è e con l’aiuto e la collaborazione di tutti, dell’intero ‘sistema-Paese’, farà di tutto per trovare una soluzione. Di tutto». Per poi assicurare: «Tornerò presto a Taranto».

IL GOVERNO PRONTO A TRATTARE SUGLI ESUBERI

Qualche ora dopo, nella mattinata del 9 novembre, una fonte di governo di primo livello avrebbe detto all’HuffingtonPost: «Stiamo lavorando, non c’è ancora una proposta definitiva, ma è evidente che la strada che abbiamo deciso di intraprendere è quella di trattare anche sugli esuberi». Un segnale che potrebbe sbloccare la trattativa con ArcelorMittal dopo che l’ultimatum di 48 ore lanciato il 6 novembre da Giuseppe Conte al colosso franco-indiano dell’acciaio è caduto nel vuoto. 

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Centenario Governo Nitti e biennio 1919-20, presente Mattarella

Alla presenza del Capo dello Stato, Sergio Mattarella, la presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellatiha aperto i lavori presso la Sala Capitolare della Biblioteca ed Archivio storico del Senato con ampia rievocazione della biografia di Nitti e il presidente del Comitato per il centenario,
Giuliano Amato, ha svolta la relazione interpretativa dedicata alla complessità e alle criticità di quel particolare biennio 1919-1920 in cui Nitti ha guidato il suo governo di coalizione.
Con una attenta rievocazione biografica - si legge in una nota diffusa della Fondazione Nitti -  la presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati ha evidenziato la figura di Nitti quale statista, studioso, europeista che guardava avanti, oltre le contingenze, tanto da abbandonare l’aula per non votare la fiducia, nel 1922, al Governo Mussolini e da mettere in guardia, Cassandra inascoltata, durante la Conferenza di Parigi che mise fine alla prima guerra mondiale, contro la miope vessazione delle altissime riparazioni di guerra alla Germania, perché, come lo statista lucano previde, instillarono nel popolo tedesco una insofferenza che si sostanziò, pochi anni dopo, nel successo di Hitler e nel riarmo della Germania.
Il presidente Giuliano Amato, nella sua meditata prolusione, ha sottolineato come Nitti si trovò di fronte a un’Italia, quella del primo dopoguerra, sempre più attraversata da umori e sempre meno da idee, una costante nella nostra storia. Per superare questo handicap, da Presidente del Consiglio, aveva in animo, con l’azione del suo Governo, di costruire un metaforico ponte che collegasse il Paese alla modernità, attraverso la complessa convergenza fra liberali, cattolici e riformisti. Un disegno – al tempo stesso sociale e di modernizzazione – che lo posizionava come rappresentante di un’Italia che ancora non c’era, ma che in futuro ci sarebbe stata, anche se mai completamente. Nel contributo di Giuliano Amato anche l’approfondita analisi della difficile situazione in cui si trovò Nitti in quell’anno di Governo, assediato da scioperi che scuotevano il Paese, dalle suggestioni dannunziane che si riverberavano sulla politica e sul popolo e dal fragile equilibrio delle forze che lo appoggiavano e se ne
dissociavano. Ha concluso ricordando che, nella riforma elettorale del 1919, fu Nitti a pensare al voto alle donne, istanza che venne disattesa per alcuni decenni. Durante la discussione in Parlamento, vi fu chi espresse contrarietà alla concessione del voto al potenziale elettorato femminile, che sarebbe stato costituito anche da contadine analfabete del Sud; e Nitti, docente universitario di fama internazionale ma anche figlio di una contadina analfabeta del Sud, rispose che certamente il voto di costoro sarebbe stato “più intelligente, più sereno, più equanime di quello delle grandi dame”.
“L’eredità di Francesco Saverio Nitti è oggi una sorta di civismo patriottico progressista grato a chi ha consentito all’Italia di intraprendere un cammino di modernizzazione e di sviluppo e impegnato di valorizzarne l’attualità di pensiero”, ha sostenuto, nella sessione di apertura, il presidente della
Fondazione Nitti, Stefano Rolando, raccontando il programma annuale delle celebrazioni. Francesco Saverio Nitti, nato a Melfi nel 1868 e morto a Roma nel 1953, presidente del Consiglio e più volte ministro, ha un posto peculiare nel pantheon degli statisti che – come è stato detto – hanno consentito all’Italia di svolgere un ruolo di paese davvero interlocutore dei destini della comunità internazionale ed ha operato nella complessa prima parte del ‘900 per il consolidamento dell’unità d’Italia e del processo di difesa della democrazia italiana.
Ha anche aggiunto altri temi tra cui un importante contributo all’unificazione nazionale di una componente propositiva e orgogliosa del meridionalismo italiano, nonché un pionieristico impegno per la formazione delle nuove classi dirigenti della Pubblica Amministrazione.Ebbe, altresì, da studioso e da statista, una posizione di alto respiro europeista e una responsabile intuizione circa le sorti della pace maturata e sostenuta nel quadro di avviamento della Conferenza di Parigidopo la prima guerra mondiale. Da qui la validità di obiettivi tuttora perseguibili, tra cui l’importanza di studiare e raccontare la sua difesa dei contenuti e dei significati valoriali della democrazia liberale,che Nitti fece – ha detto il presidente della Fondazione -“in anni di insorgenza del populismo e poi del fascismo”, sì da subire il pesante esilio personale e di tutta la famiglia per venti anni; una famiglia costituita da figure con diverso ma nitido rilievo civile. Ritornando dall’esilio di Parigi, abbattuto il fascismo, Nitti, colpito ma non piegato da pesanti lutti familiari, ebbe il coraggio e la forza di ritornare nell’agone politico, partecipando autorevolmente al dibattito e alle deliberazioni dell’Assemblea Costituente.
Ha chiuso la parte introduttiva il sen. Gianni Marilotti – presidente della Commissione per la Biblioteca e l’Archivio storico del Senato – che in occasione dell’evento ha portato in evidenza interessanti documenti di quell’Archivio dedicati al ruolo parlamentare di Francesco Saverio Nitti.
Il convegno è poi proseguito con una seconda sessione, introdotta dal prof. Luigi Mascilli Migliorini (Università Orientale di Napoli e presidente del Comitato scientifico della Fondazione Nitti) particolarmente dedicato a tratteggiare i caratteri sociali, economici e politici del biennio 1919-1920, a cui hanno portato contributi i professori di storia contemporanea Fulvio Cammarano (Università di Bologna) sul difficile crinale tra la vecchia politica post-risorgimentale e le insorgenze dei nuovi partiti del ‘900; Piero Craveri(Università Suor Orsola Benincasa di Napoli)particolarmente centrato sull’originalità di Nitti come innovatore del sistema pubblico e vero e proprio inventore dell’economia pubblico-privata; Simonetta Soldani(Università di Firenze) sulla “drammaticità” di un governo che doveva tener conto dell’esplosione del malcontento sociale senza disporre di una vera e propria maggioranza politica coesa.Ha tratto le conclusioni la professoressa Aurelia Sole, rettrice dell’Università della Basilicata e vicepresidente della Fondazione Nitti, che ha richiamato l’importanza per il Mezzogiorno e per la Basilicata in particolare di nuovi investimenti e nuove sollecitazioni nel
campo della cultura e della conoscenza, con importante ruolo del sistema universitario e delle Fondazioni di scopo più rappresentative.
Presenti alla cerimonia numerosi parlamentari (tra cui in prima fila la sen. Emma Boninoe l’on. Giuseppe Moles) ed ex-parlamentari,rappresentanti di istituzioni (tra cui il presidente della Consob prof. Paolo Savona, che rappresentò il governo all’avvio degli eventi del centenario), i sindaci dei comuni “nittiani” (Livio Valvano, Melfi e Daniele Stoppelli, Maratea), l’assessore alla cultura di Matera Giampaolo D’Andrea, studiosi della cultura liberaldemocratica (come il prof. Massimo Teodori) e una ampia presenza della famiglia Nitti, tra cui i nipoti diretti Mariano Dolci, Maria
Luisa Nitti e Patrizia Nitti. 

Centenario Governo Nitti e biennio 1919-20, presente Mattarella

Alla presenza del Capo dello Stato, Sergio Mattarella, la presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellatiha aperto i lavori presso la Sala Capitolare della Biblioteca ed Archivio storico del Senato con ampia rievocazione della biografia di Nitti e il presidente del Comitato per il centenario,
Giuliano Amato, ha svolta la relazione interpretativa dedicata alla complessità e alle criticità di quel particolare biennio 1919-1920 in cui Nitti ha guidato il suo governo di coalizione.
Con una attenta rievocazione biografica - si legge in una nota diffusa della Fondazione Nitti -  la presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati ha evidenziato la figura di Nitti quale statista, studioso, europeista che guardava avanti, oltre le contingenze, tanto da abbandonare l’aula per non votare la fiducia, nel 1922, al Governo Mussolini e da mettere in guardia, Cassandra inascoltata, durante la Conferenza di Parigi che mise fine alla prima guerra mondiale, contro la miope vessazione delle altissime riparazioni di guerra alla Germania, perché, come lo statista lucano previde, instillarono nel popolo tedesco una insofferenza che si sostanziò, pochi anni dopo, nel successo di Hitler e nel riarmo della Germania.
Il presidente Giuliano Amato, nella sua meditata prolusione, ha sottolineato come Nitti si trovò di fronte a un’Italia, quella del primo dopoguerra, sempre più attraversata da umori e sempre meno da idee, una costante nella nostra storia. Per superare questo handicap, da Presidente del Consiglio, aveva in animo, con l’azione del suo Governo, di costruire un metaforico ponte che collegasse il Paese alla modernità, attraverso la complessa convergenza fra liberali, cattolici e riformisti. Un disegno – al tempo stesso sociale e di modernizzazione – che lo posizionava come rappresentante di un’Italia che ancora non c’era, ma che in futuro ci sarebbe stata, anche se mai completamente. Nel contributo di Giuliano Amato anche l’approfondita analisi della difficile situazione in cui si trovò Nitti in quell’anno di Governo, assediato da scioperi che scuotevano il Paese, dalle suggestioni dannunziane che si riverberavano sulla politica e sul popolo e dal fragile equilibrio delle forze che lo appoggiavano e se ne
dissociavano. Ha concluso ricordando che, nella riforma elettorale del 1919, fu Nitti a pensare al voto alle donne, istanza che venne disattesa per alcuni decenni. Durante la discussione in Parlamento, vi fu chi espresse contrarietà alla concessione del voto al potenziale elettorato femminile, che sarebbe stato costituito anche da contadine analfabete del Sud; e Nitti, docente universitario di fama internazionale ma anche figlio di una contadina analfabeta del Sud, rispose che certamente il voto di costoro sarebbe stato “più intelligente, più sereno, più equanime di quello delle grandi dame”.
“L’eredità di Francesco Saverio Nitti è oggi una sorta di civismo patriottico progressista grato a chi ha consentito all’Italia di intraprendere un cammino di modernizzazione e di sviluppo e impegnato di valorizzarne l’attualità di pensiero”, ha sostenuto, nella sessione di apertura, il presidente della
Fondazione Nitti, Stefano Rolando, raccontando il programma annuale delle celebrazioni. Francesco Saverio Nitti, nato a Melfi nel 1868 e morto a Roma nel 1953, presidente del Consiglio e più volte ministro, ha un posto peculiare nel pantheon degli statisti che – come è stato detto – hanno consentito all’Italia di svolgere un ruolo di paese davvero interlocutore dei destini della comunità internazionale ed ha operato nella complessa prima parte del ‘900 per il consolidamento dell’unità d’Italia e del processo di difesa della democrazia italiana.
Ha anche aggiunto altri temi tra cui un importante contributo all’unificazione nazionale di una componente propositiva e orgogliosa del meridionalismo italiano, nonché un pionieristico impegno per la formazione delle nuove classi dirigenti della Pubblica Amministrazione.Ebbe, altresì, da studioso e da statista, una posizione di alto respiro europeista e una responsabile intuizione circa le sorti della pace maturata e sostenuta nel quadro di avviamento della Conferenza di Parigidopo la prima guerra mondiale. Da qui la validità di obiettivi tuttora perseguibili, tra cui l’importanza di studiare e raccontare la sua difesa dei contenuti e dei significati valoriali della democrazia liberale,che Nitti fece – ha detto il presidente della Fondazione -“in anni di insorgenza del populismo e poi del fascismo”, sì da subire il pesante esilio personale e di tutta la famiglia per venti anni; una famiglia costituita da figure con diverso ma nitido rilievo civile. Ritornando dall’esilio di Parigi, abbattuto il fascismo, Nitti, colpito ma non piegato da pesanti lutti familiari, ebbe il coraggio e la forza di ritornare nell’agone politico, partecipando autorevolmente al dibattito e alle deliberazioni dell’Assemblea Costituente.
Ha chiuso la parte introduttiva il sen. Gianni Marilotti – presidente della Commissione per la Biblioteca e l’Archivio storico del Senato – che in occasione dell’evento ha portato in evidenza interessanti documenti di quell’Archivio dedicati al ruolo parlamentare di Francesco Saverio Nitti.
Il convegno è poi proseguito con una seconda sessione, introdotta dal prof. Luigi Mascilli Migliorini (Università Orientale di Napoli e presidente del Comitato scientifico della Fondazione Nitti) particolarmente dedicato a tratteggiare i caratteri sociali, economici e politici del biennio 1919-1920, a cui hanno portato contributi i professori di storia contemporanea Fulvio Cammarano (Università di Bologna) sul difficile crinale tra la vecchia politica post-risorgimentale e le insorgenze dei nuovi partiti del ‘900; Piero Craveri(Università Suor Orsola Benincasa di Napoli)particolarmente centrato sull’originalità di Nitti come innovatore del sistema pubblico e vero e proprio inventore dell’economia pubblico-privata; Simonetta Soldani(Università di Firenze) sulla “drammaticità” di un governo che doveva tener conto dell’esplosione del malcontento sociale senza disporre di una vera e propria maggioranza politica coesa.Ha tratto le conclusioni la professoressa Aurelia Sole, rettrice dell’Università della Basilicata e vicepresidente della Fondazione Nitti, che ha richiamato l’importanza per il Mezzogiorno e per la Basilicata in particolare di nuovi investimenti e nuove sollecitazioni nel
campo della cultura e della conoscenza, con importante ruolo del sistema universitario e delle Fondazioni di scopo più rappresentative.
Presenti alla cerimonia numerosi parlamentari (tra cui in prima fila la sen. Emma Boninoe l’on. Giuseppe Moles) ed ex-parlamentari,rappresentanti di istituzioni (tra cui il presidente della Consob prof. Paolo Savona, che rappresentò il governo all’avvio degli eventi del centenario), i sindaci dei comuni “nittiani” (Livio Valvano, Melfi e Daniele Stoppelli, Maratea), l’assessore alla cultura di Matera Giampaolo D’Andrea, studiosi della cultura liberaldemocratica (come il prof. Massimo Teodori) e una ampia presenza della famiglia Nitti, tra cui i nipoti diretti Mariano Dolci, Maria
Luisa Nitti e Patrizia Nitti. 

Le parole di Renzi al Festival de Linkiesta

Il leader di Italia Viva allontana il voto e auspica che il governo vada avanti. Poi si rivolge a Mara Carfagna: «Porte aperte per tutti, è solo questione di tempo».

Il governo non deve morire. Perché «andare a votare ora significa consegnare il Paese a Salvini, si chiama masochismo». Ad affermarlo è stato Matteo Renzi, leader di Italia Viva, dal palco di Linkiesta Festival. «Se il Pd e il M5s scelgono di andare a votare oggi di fatto disintegrano la propria rappresentanza in parlamento», ha aggiunto. «Spero che il governo non crolli, lavoro perché vada avanti. Se ci sarà una crisi di governo seguiremo la Costituzione ma ora dobbiamo pensare a risolvere i problemi».

«ITALIA VIVA, UN GRANDE CAMBIAMENTO»

Renzi ha rivendicato il ruolo svolto dal suo partito nel portare «un grande cambiamento nella politica italiana». Italia Viva, ha detto, «sta provocando scossoni più profondi di quello che sembra. Quando sarà chiaro cosa accadrà a febbraio e marzo, sarà sempre più evidente che è in corso un riposizionamento anche nella destra». Persino «Salvini, che ha fatto i conti, sa perfettamente che non si va a votare. Noi cresceremo molto, ed è il motivo per cui sono molto preoccupati». E «siccome si aprirà, Italia Viva emulerà ciò che ha fatto Macron negli anni scorsi, indipendentemente da me. Lo ha capito Salvini e non l’ha capito qualche mio ex compagno di partito…».

PORTE APERTE ALLA CARFAGNA

L’idea di allargare Italia Viva non esclude nessuno: «Porte aperte a chi vorrà venire a far parte del progetto non come ospite ma come dirigente», ha detto Renzi, «vale per Mara Carfagna e altri dirigenti, ma non tiriamo la giacchetta. Italia Viva è l’approdo naturale per tutti, è questione di tempo». Le parole di Renzi sono arrivate poco dopo quelle di Mara Carfagna: «Se Renzi dichiarasse di non voler sostenere più il governo di sinistra ma di avere altre ambizioni, Forza Italia Viva potrebbe essere una suggestione. Oggi io e Renzi siamo in due metà campo diverse. Non so cosa accadrà nei prossimi giorni, ma molti dopo 25 anni non si sentono a proprio agio in Forza Italia, oggi si sentono a casa d’altri».

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Com’è andata la vendemmia 2019: in viaggio per i vigneti italiani

Come previsto, berremo meno del 2018, la gradazione alcolica sarà più bassa ma la qualità comunque eccellente. Il bilancio di tre produttori del Südtirol/Alto Adige, delle Marche e della Calabria.

Vi avevamo già anticipato che quest’anno si sarebbe bevuto di meno, ma meglio. Secondo le previsioni vendemmiali di settembre, infatti, l’andamento produttivo delle vigne italiane avrebbe avuto un calo rispetto al 2018, ma la qualità sarebbe stata variabile tra il buono e l’eccellente. Ora che la vendemmia è finita, si possono finalmente tirare le somme per capire se queste stime rispecchiano effettivamente i dati reali.

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ALTO ADIGE: VINI ACIDI E LONGEVI CON GRADAZIONE ALCOLICA BASSA

Per verificarlo Lettera43.it ha sentito i vignaioli dello Stivale, da Nord a Sud.
Partiamo dalla Valle Isarco, in Alto Adige/Südtirol. Qui il clima è atipico per un territorio alpino: la notevole escursione termica tra giorno e notte, le precipitazioni ridotte e le numerose ore di sole favoriscono soprattutto i vitigni a bacca bianca. Manni Nössing produce cinque bianchi e il Kerner è il suo biglietto da visita. Si dice soddisfatto della vendemmia appena finita. «Quest’anno è stata diversa, di solito a settembre era tutto concluso. Ma va bene così perché un bianco, se vive un po’ di guerra, diventa importante. E per guerra mi riferisco a condizioni climatiche ballerine». Sul finale, aggiunge, l’annata è stata elegante, importante e «avremo sicuramente vini acidi e longevi con una gradazione alcolica bassa. Vini che piacciono».

La vendemmia 2019 ha mantenuto le aspettative: quantità inferiore ma qualità eccellente.

MARCHE: QUALITÀ DAVVERO ECCELLENTE

Lasciamo il Südtirol e ci spostiamo in Centro Italia. L’azienda agricola Maria Pia Castelli nasce nel 1999 a Monte Urano, in provincia di Fermo, nelle Marche. Otto ettari sotto il Conero in cui su producono vini di alta qualità con metodi biodinamici. Il clima mite e i terreni di natura argillosa, ricchi di minerali, contribuiscono alla maturazione di uve sane e gustose. «Abbiamo finito la vendemmia la settimana scorsa e siamo molto soddisfatti», dice Alessandro, figlio della titolare Maria Pia. «Il 2019 è stata un’ottima annata: il clima ha reso le uve sane e anche a livello quantitativo non abbiamo perso nulla rispetto allo scorso anno. Ora è difficile dire quali vini sono venuti meglio perché devono ancora finire le fermentazioni, ma la qualità di tutte le uve è eccellente».

Il clima ballerino ha ritardato la vendemmia.

CALABRIA: BUONE ASPETTATIVE PER MALVASIA E BIFORA ROSSO

Finiamo il nostro tour nel Nord della Calabria, a San Marco Argentano, alla masseria Perugini, una delle più longeve realtà agricole della provincia di Cosenza. Ubicata geograficamente tra il Parco Nazionale della Sila e quello del Pollino, la masseria è una fucina di biodiversità, tanto da essere partner dell’Università della Calabria. Tra i 200 e i 400 metri di altitudine la micro-ventilazione dei vigneti è costante e diventa essenziale per la qualità dell’uva. L’azienda oggi è nelle mani di Giampiero Ventura, Pasquale Perugini e Daniela De Marco che hanno fatto della certificazione biologica e dell’ecosostenibilità le loro parole d’ordine.

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«Quest’anno abbiamo avuto una vendemmia tardiva con una maturazione dell’uva che non ha raggiunto un sufficiente livello zuccherino. Questo significa che il grado alcolico sarà più basso», dice Ventura. Un esempio? «La Malvasia, che di solito è sui 14,5 gradi, sarà di 10. Dovremo compensare con una lunga macerazione per arrivare almeno a 12,5». Come qualità, aggiunge il titolare, «l’annata non è stata male, ha espresso il territorio piuttosto bene, ma come quantità abbiamo una resa di meno del 40%. Oltre alla Malvasia, promette bene il Bifora rosso (uve Magliocco, Guarnaccia Nera, Greco Nero, Malvasia Bianca da vigne vecchie, ndr) che rappresenta al meglio la nostra idea di vino».
Ora, per capire se questo 2019 sia stato o no propizio per Bacco, non resta che passare all’assaggio in calice.


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Salvini: «Ho ricevuto un altro proiettile»

Il leader della Lega rivela nuove minacce a chi gli chiede se sia più a rischio lui o Liliana Segre. E smentisce di aver incontrato la senatrice.

L’incontro con Liliana Segre? A quanto pare non c’è stato. In compenso Matteo Salvini non sembra avere alcuna intenzione di abbassare i toni del dibattito e pur confermando la proprio solidarietà alla senatrice messa sotto scorta dopo la denuncia delle centinaia di minacce e insulti antisemiti ricevute, informa di essere lui stesso esposto all’odio: «A me è appena arrivato un altro proiettile, non piango», ha detto Salvini al suo arrivo a Eicma a chi gli chiedeva se fosse più a rischio lui o la senatrice sopravvissuta ai campi di sterminio, «in un Paese civile non dovremmo rischiare né io né la Segre».

INCONTRO NON CONFERMATO

Il leader della Lega non ha confermato l’incontro dell’8 novembre a Milano con la senatrice: «Io gli incontri che ho li comunico. Gli incontri che non comunico io, per quanto mi riguarda, non ci sono», ha detto l’ex ministro dell’Interno. «L’incontro con la Segre l’avrò più avanti. Lo chiedo io. Quando avverrà? Presto», ha aggiunto. A chi gli ha chiesto quali saranno i temi che affronterà con Segre, Salvini ha risposto: «Io ascolto ascolto, è una donna estremamente intelligente. Sono giovane, ho voglia di capire, di imparare e di ascoltare». Quanto alla presidenza della commissione contro l’odio, la senatrice «farà le sue scelte a prescindere da quello che suggerisce Salvini. Ritengo che sia una donna estremamente intelligente quindi non ha assolutamente bisogno dei miei consigli».

LEGA IN PIAZZA IL 10 DICEMBRE

La Lega sarà comunque presente in piazza a Milano il 10 dicembre per la manifestazione dei sindaci in sostegno a Segre: «Sì», ha confermato Salvini, «quando c’è qualcosa di democratico che riguarda il futuro lo sosteniamo». Ma «il dibattito tra fascismo e comunismo che sono sepolti dal passato, non mi appassiona» e se Forza nuova e CasaPound si candidano alle elezioni «vuol dire che rispettano la legge e la Costituzione».

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Per lo Stato è meglio morire di dolore che curarsi con la cannabis

Walter De Benedetto fa uso di farmaci derivati dalla marijuana ma in Italia il prodotto scarseggia, costringendolo a coltivare in casa. E ora rischia il carcere.

«Rischio il carcere per curarmi». Questa è la dichiarazione, molto forte, di Walter De Benedetto. Aretino, 48 anni, Walter è affetto da artrite reumatoide, una patologia infiammatoria cronica autoimmune che colpisce le articolazioni.

Dall’esordio della malattia Walter convive ogni giorno con dolori cronici devastanti che purtroppo nessun farmaco tradizionale è stato finora in grado di alleviare. L’unico rimedio veramente efficace per lenire parzialmente le sue sofferenze è l’uso di cannabis terapeutica.

L’utilizzo di questa sostanza per finalità terapeutiche in Italia è consentito da circa 12 anni: dal 2007 infatti il nostro Paese consente la prescrivibilità dei prodotti a base di cannabis per curare certi tipi di patologie e a determinate condizioni.

SENZA FARMACI UN MALATO VIENE COSTRETTO A COLTIVARE DA SOLO LA CANNABIS

Dodici anni non sono pochi e a mio parere sarebbero anche potuti bastare ai nostri rappresentanti politici per acquisire familiarità con questa tipologia di cura anche in uno Stato tradizionalista e bigotto come il nostro. Walter, al pari di molti altri malati, non dovrebbe avere quindi problemi nel curarsi e invece purtroppo non è così. Infatti il quantitativo di farmaci che gli fornisce la Asl di Arezzo non basta a garantirgli una qualità di vita che potremmo definire umana e dignitosa malgrado la regione Toscana sia stata la prima in Italia a prevedere i rimborsi del costo dei vari preparati prodotti nel nostro Paese o importati da altre nazioni.

In Italia l’unico luogo autorizzato a produrre cannabis a scopo terapeutico è lo Stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze

Non poter assumere quantità di sostanza adatte a soddisfare le sue esigenze mediche lo ha costretto a coltivare illegalmente una piccola piantagione grazie all’aiuto di un amico che entro fine novembre dovrà subire un processo. Naturalmente le nove piantine che gli servivano per sopportare meglio il dolore gli sono state sequestrate. In Italia l’unico luogo autorizzato a produrre cannabis a scopo terapeutico è lo Stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze. Il resto del prodotto viene importato dall’estero. Tuttavia la produzione nostrana e le importazioni attuali non riescono a soddisfare il fabbisogno nazionale e il problema non riguarda solo Walter: la distribuzione di cannabis terapeutica avviene in modo lacunoso, con conseguente scarsa reperibilità di farmaci nelle farmacie.

LA PROPOSTA DI LEGGE SULLA LEGALIZZAZIONE FERMA IN PARLAMENTO

Ma gli ostacoli per chi necessita di curarsi con prodotti a base di Thc o Cbd, i principi attivi utilizzati, non finiscono qui: periodicamente i farmaci disponibili in commercio cambiano costringendo i pazienti a modificare la cura (la cannabis è la sostanza attiva ma ciascuna varietà è diversa dalle altre e quindi ha un’azione differente) alla carenza di una corretta informazione dei medici e dei farmacisti che di certo non ne facilita la prescrizione da parte dei primi né l’approvvigionamento da parte dei secondi.

Marco Perduca, dirigente dell’associazione Luca Coscioni, spiega che anche fare ricerca scientifica in questo campo in Italia è ostico sia a causa della scarsità del prodotto, sia per via delle lungaggini burocratiche previste per il trasporto e lo stoccaggio. Esiste una proposta di legge di iniziativa popolare per la legalizzazione della cannabis fortemente voluta da associazione Luca Coscioni e Radicali italiani e firmata da oltre 68 mila cittadini che è stata depositata in parlamento nel 2016 e attende di essere vagliata. Ma la disponibilità di cure che garantiscano a chi soffre una vita degna di questo nome non può più essere procrastinata perché quello di Walter, esattamente al pari di molti altri, è “un dolore che non aspetta”.

LA RISCHIESTA DI UN EMENDAMENTO “WALTER DE BENEDETTO” IN MANOVRA

Appoggiato dall’associazione Luca Coscioni Walter ha chiamato in causa la politica, dapprima con un appello al presidente del Consiglio Giuseppe Conte e agli altri parlamentari, poi incontrando personalmente il presidente della Camera Roberto Fico. Ha chiesto che nella finanziaria venga incluso un emendamento “Walter De Benedetto” che raddoppi le risorse previste per la produzione e l’importazione di prodotti a base di cannabis terapeutica e perché si giunga alla legalizzazione della pianta per tutti i fini. Walter l’ha fatto per sé ma anche per molti altri malati che come lui soffrono di patologie fortemente dolorose e invalidanti.

Che livello di priorità ha per i nostri parlamentari il diritto alla salute e a cure dignitose?

Questa per loro è un’emergenza. Ci sono persone la cui vita è legata all’approvazione di una legge più giusta e c’è una proposta di legge che sta facendo le ragnatele in parlamento Che livello di priorità ha per i nostri parlamentari il diritto alla salute e a cure dignitose? Dove si colloca nella loro agenda la discussione della proposta di legge sulla legalizzazione della cannabis che migliorerebbe la qualità di vita di tante persone alle prese con il dolore cronico e quotidiano causato dalla loro patologia? Grazie alla mobilitazione di Walter ha iniziato a ricomporsi l’intergruppo per la legalizzazione della cannabis ma la strada per avere una norma a riguardo è ancora lunga e il problema dell’approvvigionamento rimane.

INVECE DI PENSARE ALLE CURE, SI FA PROPAGANDA SULLA CANNABIS LIGHT

Non ci è dato sapere quando i nostri politici metteranno la testa e il cuore sulla questione e magari una bella mano sulla loro coscienza. Forse perché finora non hanno mai dovuto convivere con il dolore fisico e non riflettono sul fatto che, sorte non voglia, a tutti nella vita potrebbe succedere. Sembra che la cannabis, terapeutica o meno, non rientri tra le loro priorità. Ad eccezione di Matteo Salvini che questa primavera invece di pensare alla salute di molte persone con disabilità (e non), ha ritenuto più opportuno dare la caccia ai negozi di cannabis light per meri scopi propagandistici.

Di fatto oggi per curarsi davvero uno rischia la galera e questo oltre ad essere ingiusto è profondamente inumano. Walter ha avuto coraggio a portare le sue sofferenze e le sue istanza davanti alla politica e alla società civile. Mi auguro che la sua determinazione abbia avuto l’effetto di un farmaco potente in grado di curare gli occhi e le orecchie, finora resi ciechi e sorde da moralismi ipocriti, di molti dei nostri governanti perché il dolore di tante persone non può davvero più aspettare.

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Le parole di Merkel nei 30 anni della caduta del Muro di Berlino

La cancelliera tedesca parla davanti al Memoriale: «Non dimentichiamo le vittime della Ddr. La democrazia non è scontata».

Le rose infilate in una fessura orizzontale del Memoriale del Muro di Berlino dal presidente tedesco Frank-Walter Steinmeier e dai capi di Stato di Polonia, Ungheria, Repubblica ceca e Slovacchia hanno aperto le cerimonie per i 30 anni dalla caduta della barriera di cemento che separò la Germania dell’Ovest da quella dell’Est, il mondo occidentale da quello comunista. Il gesto è stato imitato dagli altri partecipanti alla cerimonia, tra cui la cancelliera Angela Merkel, il presidente del parlamento tedesco Wolfgang Schaeuble e molti giovani. Il Memoriale conserva impianti di confine con tutte le loro installazioni, compresa la striscia della morte, oltre a 212 metri della barriera di cemento che divise Berlino e il mondo per 28 anni.

«UN GIORNO FATIDICO DELLA NOSTRA STORIA»

«Il 9 novembre è un giorno fatidico della storia tedesca», ha detto la cancelliera Angela Merkel durante il suo discorso, «oggi ricordiamo anche le vittime dei pogrom di novembre dell’anno 1938, i crimini che furono perpetrati nella notte tra il 9 e il 10 novembre» ai danni «di persone ebree e quello che seguì fu il crimine contro l’umanità e il crollo della civiltà rappresentato dalla Shoah». Parlando nella Cappella della riconciliazione annessa al Memoriale, la cancelliera ha aggiunto che «il 9 novembre, in cui in maniera particolare si riflettono i momenti terribili e quelli felici della nostra Storia, ci ammonisce che dobbiamo contrastare in modo deciso odio, razzismo e antisemitismo. Ci esorta a fare tutto quello che è in nostro potere per difendere dignità umana e stato di diritto».

«NON DIMENTICHIAMO I CRIMINI DELLA DDR»

In particolare, la cancelliera si è soffermata sui crimini del Comunismo: «Troppe persone furono vittima della dittatura della Sed», ha detto riferendosi al partito comunista della Ddr, e «non le dimenticheremo mai. Ricordo le persone che furono uccise su questo Muro perché cercavano la libertà» e «i 75 mila esseri umani che furono incarcerati per ‘fuga dalla Repubblica’», ha aggiunto. «Ricordo le persone» che furono vittima di «repressione perché loro parenti erano fuggiti» all’Ovest, ha detto ancora Merkel volgendo un pensiero anche a chi «fu sorvegliato e denunciato», o «furono oppressi e dovettero seppellire i loro sogni e speranze perché non si volevano piegare all’arbitrio statale». Dopo la caduta del Muro, «il richiamo della libertà creò nuove democrazie nell’Europa centrale ed orientale. La Germania e l’Europa poterono finalmente crescere insieme», ha proseguito ancora la cancelliera nel suo discorso. «Tuttavia i valori su cui si fonda l’Europa, uguaglianza, democrazia, libertà, stato di diritto», difesa dei «diritti umani, sono tutt’altro che scontati, devono essere sempre vissuti e difesi di nuovo».

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Messo all’asta ciò che resta di Rigopiano

In vendita ciò che resta dell'hotel che nel gennaio 2017 fu travolto da una valanga in cui morirono 29 persone. Acquistati i vini della cantina.

Ciò che resta dell’Hotel Rigopiano di Farindola, che il 18 gennaio 2017 divenne tomba per 29 persone rimaste imprigionate da una valanga sul Gran Sasso, è stato messo all’asta. Le bottiglie della cantina, la vasca idromassaggio, i lettini della Spa, i mobili, quadri, sculture, specchi e cornici. Quindici lotti che vanno da un valore di 700 euro fino ai 6 mila del gruppo elettrogeno sono stati messi in vendita dal curatore fallimentare, suscitando indignazione in chi ha subito quel lutto.

LO CHOC DELLE FAMIGLIE

«Un annuncio ha sconvolto le famiglie delle vittime dopo che il 30 ottobre, a Pescara, si è tenuta un’asta delle bottiglie di vino pregiato che si trovavano nell’hotel e che si sono salvate dalla valanga», ha reso noto l’avvocato Romolo Reboa che, insieme ai legali Gabriele Germano, Massimo Reboa, Silvia Rodaro, Maurizio Sangermano e Roberta Verginelli assiste le famiglie di quattro vittime della tragedia dell’Hotel Rigopiano di Farindola (Pescara). «Le ha messe in vendita il curatore del Fallimento 70/2010, Del Rosso srl, mentre non è conosciuto chi farà il macabro brindisi al prezzo di aggiudicazione di 1.800 euro e ha partecipato per rilanciare, dato che il prezzo base era di 700 euro. L’annuncio è apparso sul sito Aste Giudiziarie».

«UNA MACABRA ASTA»

Reboa ha sottolineato che «ciò che ha sconvolto i miei assistiti è che vi è stata una macabra asta che ha visto più persone competere per assicurarsi le bottiglie della cantina della morte», aggiungendo come «esca oggi un soggetto nuovo, il Fallimento 70/2010 Del Rosso srl, che risulta proprietario dei mobili dell’Hotel Rigopiano e che, certamente con l’autorizzazione del Giudice Delegato, li ha messi in vendita. Vi è un soggetto nuovo, un curatore fallimentare, mai ascoltato nell’inchiesta penale, che potrebbe rivelare informazioni preziose sullo stato dei luoghi, sulle autorizzazioni e che mi riservo di convocare per una audizione in sede di indagini difensive».

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Italia leader in Europa per il settore delle due ruote

In questi giorni a Milano, presso Rho Fiera, è nel vivo del suo svolgimento EICMA 2019, l’Esposizione Internazionale del Ciclo..

In questi giorni a Milano, presso Rho Fiera, è nel vivo del suo svolgimento EICMA 2019, l’Esposizione Internazionale del Ciclo e Motociclo che per quest’anno arriva alla sua 77esima edizione. Un evento di natura fieristica di caratura mondiale che detiene la leadership nel settore delle due ruote. Con la presenza di oltre 1.200 espositori e l’intento di valorizzare e promuovere le realtà produttive che operano nella filiera industriale del settore ciclo, motociclo e accessori, attrae ogni anno centinaia di migliaia di visitatori.

Un settore quello delle due ruote che non solo attrae fortemente ma che, in Italia e in Europa, vola con numeri di produzione e di fatturato davvero importanti. Bici, moto, ciclomotori, scooter, componenti e accessori affascinano il pubblico italiano che ama le due ruote, le studia, le compra e le usa abitualmente. Tutto questo si riversa sul settore delle produttività e del business, vera miniera per il Bel Paese che per l’industria della due ruote si conferma, secondo i dati di Confindustria ANCMA (Associazione Nazionale Ciclo, Motociclo e Accessori), il punto di riferimento in Europa.

I NUMERI DELL’INDUSTRIA MADE IN ITALY A DUE RUOTE

L’industria delle due ruote impiega circa 20.000 dipendenti diretti e fattura oltre 5 miliardi di euro. La produzione italiana di motocicli (350mila unità) e di biciclette (2,4 milioni unità) occupa saldamente il primo posto a livello europeo. In Italia il settore conta complessivamente più di 5.000 punti vendita: il commercio di bici, moto, ciclomotori, scooter, componenti e accessori, con il loro indotto, dà lavoro a circa 60.000 persone.

+ 6,4% PER IL MERCATO ITALIANO DELLE DUE RUOTE A MOTORE

Che il mercato delle due ruote in Italia funziona lo dicono chiaramente i dati. Nei primi nove mesi di quest’anno le immatricolazioni hanno fatto segnare un + 6,4% rispetto al 2018. Un risultato che deriva da una accelerazione delle moto (+ 8,6%) che ricoprono il 44% del mercato, e da un incremento degli scooter (+ 4,8%) che ne rappresentare il 56%. A perdere volumi sono, invece i “cinquantini”, – 4,2%. Sono 213.500 i pezzi venduti nel mercato due ruote da gennaio a settembre 2019 e le previsioni per l’anno stimano un totale di circa 250.000 veicoli.

IL MERCATO DELLE DUE RUOTE NON A MOTORE RESISTE E FUNZIONA

Non deludono anche i dati dedicati alle due ruote non a motore, con specifiche sull’elettrico e selle bici, comprese anche quelle più moderne come le e-bike. Nel 2018, infatti, in Europa sono stati immatricolati 47.179 motoveicoli elettrici (+ 36% su 2017), corrispondenti al 3,7% del mercato endotermico (1.277.708 unità). Il nostro Paese, con 3.600 veicoli venduti nel 2018 (+ 44% su 2017), raccoglie il 7,6% del mercato europeo. Continua a tenere anche il mercato delle biciclette. Ben 1.595.000 quelle vendute nel 2018 mettendo comunque in conto la straordinaria crescita di bikesharing a postazione fissa e free floating (+ 147% solo nel 2017 e una flotta di circa 40mila mezzi sul territorio). Buoni risultati anche per l’e-bike. Confindustria ANCMA stima una vendita di 173.000 pezzi, pari a +16,8% rispetto al 2017. Va bene anche l’export delle bici a pedalata assistita, che nel 2018 raggiunge un valore di 42 milioni di euro, + 300% sull’anno precedente.

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Turisti per fiction

Non ci sono solo gli itinerari siciliani di Montalbano. Le serie tivù nostrane sono un volano per l'economia dei luoghi che ospitano i set: da Matera con Imma Tataranni alla Pienza dei Medici. Arrivando alla cupa Aosta del vicequestore Rocco Schiavone.

Sarà il fascino del ciak. Perché, non appena compaiono in una serie televisiva, angoli barocchi, spiagge, vallate, palazzi rinascimentali e resti romani richiamano appassionati, curiosi e turisti. E regalano visibilità a province defilate e centri cittadini. Se è diventato un classico il circuito nella Sicilia di Montalbano, che nell’arco di 20 anni ha generato un vero e proprio business, altre location non sono da meno. Qualche esempio? Si va dai Sassi di Matera in cui si muove Imma Tataranni alla Liguria di Rosy Abate, passando per le valli valdostane in cui si muove Rocco Schiavone e la Pienza che ricorre ne I Medici.

Sul set del Commissario Montalbano.

ALLA RICERCA DI VIGATA

Sono ormai entrati nell’immaginario collettivo i luoghi di Montalbano, il commissario uscito dalla penna di Andrea Camilleri. Il percorso sulle tracce del poliziotto parte da Ibla, nel cuore di Ragusa, con le scalinate e i palazzi barocchi tutelati dall’Unesco che danno corpo alla letteraria Vigàta, per poi toccare l’Eremo della Giubiliana, un convento fortificato del 500, e la questura di Montelusa che ha sede a Palazzo Iacono a Scicli (Rg), dove si trova anche la famosa “mannara”.

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Il richiamo della fiction firmata da Alberto Sironi è talmente forte che a Ragusa e provincia le presenze sono passate da 669.677 nel 1999 (primo anno della messa in onda) a 1.126.954 del 2018, secondi i dati dell’Ufficio statistica del Libero Consorzio comunale di Ragusa. E i passeggeri degli aeroporti di Catania e Comiso sono saliti dai 5 milioni del 2014 ai 6,4 milioni del 2017 (Assaeroporti). I fan del commissario possono consultare il portale www.visitvigata.com o decidere di soggiornare nel B&B in cui è stata trasformata la casa sulla spiaggia di Montalbano, a un’estremità di Punta Secca, frazione di Santa Croce Camerina.

IL FASCINO DEI SASSI DI MATERA INSEGUENDO IMMA TATARANNI

La tradizione cinematografica di Matera parte da lontano, con Il Vangelo secondo Matteo di Pier Paolo Pasolini del 1964. Quarant’anni dopo Mel Gibson ha scelto per La passione di Cristo i Sassi tutelati dall’Unesco, dove lo scorso settembre sono state girate pure le scene dell’ultimo 007, No time do die, che sarà nelle sale di tutto il mondo nel 2020, con Daniel Craig di nuovo nei panni di James Bond.

Imma Tataranni (Vanessa Scalera) in una scena.

Di recente però, la Capitale europea della cultura 2019 è stata anche un set televisivo. Prima con Sorelle, trasmessa nella primavera di due anni fa, per la regia di Cinzia Th Torrini, e poi con Imma Tataranni, serie ispirata ai libri di Mariolina Venezia.

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Falcata decisa, abiti vistosi, il sostituto procuratore vive a Matera e si muove fra grotte, vicoli, abitazioni scavate nella roccia e scorci di una bellezza atavica. Stando a quanto risulta all’Apt Basilicata, gli appassionati arrivano per visitare location precise ma il fenomeno è difficile da quantificare, perché da quando nel 2014 la città è stata proclamata Capitale europea della Cultura, arrivi e presenze sono in crescita costante, tanto che l’anno scorso hanno registrato rispetto al 2017 entrambi un +22% (dati Apt Basilicata).

Una panoramica di Matera dove è ambientata Imma Tataranni (Crediti Apt Basilicata).

LA CUPA VAL D’AOSTA DI ROCCO SCHIAVONE

Mobilita patiti degli intrighi anche il vicequestore creato da Antonio Manzini e interpretato da Marco Giallini, che è ormai di casa ad Aosta, tanto da aver ricevuto la cittadinanza onoraria. Romano trasferito in una Val d’Aosta fredda e cupa, Rocco Schiavone, l’investigatore in loden e Clarke sugli schermi per la terza stagione, si muove spesso fra la sua abitazione, sopra allo stemma del secentesco Palazzo Ansermin, e il porticato del Municipio, affacciato su piazza Chanoux con il suo Caffè Nazionale. Ma nella serie ricorrono altri angoli della città come il teatro romano, l’arco di Augusto, il chiostro della collegiata di Sant’Orso, il cimitero intitolato allo stesso santo e il commissariato, ricostruito a sud della città, nell’area dismessa dell’acciaieria Cogne.

Marco Giallini nei panni di Rocco Schiavone con Fabrizio Coniglio (Crediti: Pré-Saint-Didier / L. Perrod).

Queste tappe rientrano in un itinerario organizzato da un gruppo di guide turistiche che propone visite con soste anche nel resto della Regione, in Val d’Ayas, al villaggio di Cunéaz, al Dente del Gigante, alle terme e alla passerella panoramica di Pré-Saint-Didier, o al Ponte sul torrente Buthier nei pressi di Valpelline che nella fiction fa da cornice a un incidente mortale.

I MEDICI TRA LE QUINTE RINASCIMENTALI DI PIENZA

Ha fatto da set a produzioni internazionali come Il paziente inglese e Il gladiatore, ma anche alle tre stagioni del serial tivù I Medici. Parliamo di Pienza (Siena), la cittadina ideale del Rinascimento, ridisegnata secondo i principi dell’umanista Enea Silvio Piccolomini che quando salì al soglio papale come Pio II volle cambiare volto al suo villaggio d’origine.

Una scena de I Medici (Twitter).

Fra gli scorci progettati da Bernardo Rossellino, sotto la guida di Leon Battista Alberti, sono state ambientate le scene della fiction Rai che racconta segreti, amori, vizi, intrecci, congiure della Firenze rinascimentale.

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Sullo sfondo della cattedrale, della residenza pontificia, della piazza solenne con il “pozzo dei cani”, che domina le colline dolci della val d’Orcia, hanno recitato, fra gli altri, Daniel Sharman, nei panni di Lorenzo il Magnifico, Alessandra Mastronardi, Neri Marcorè, Sarah Parish, Bradley James. Per gli episodi della terza serie, in onda quest’autunno, hanno lavorato l’anno scorso circa 100 persone del cast, più tecnici e operatori, fra ottobre e novembre, in un periodo tradizionalmente poco gettonato per il turismo. E Pienza, affollata da comparse e curiosi richiamati proprio dalle riprese, ha avuto l’opportunità di destagionalizzare il flusso turistico, allungandolo di almeno un mese (per info: www.ufficioturisticodipienza.it).

ROSY ABATE, DALLE COSTE LIGURI ALLA SICILIA

Si è chiuso venerdì 11 ottobre il secondo anno di Rosy Abate, spin off di Squadra antimafia, con Giulia Michelini nei panni della “regina di Palermo”, che ha registrato un crescendo di ascolti su Canale5, raggiungendo con l’ultima puntata il 18,5% di share. Girata in parte in Liguria, la serie ha location che sono già meta turistica, a partire da Varigotti, a Finale Ligure (Savona), dove si trova la casa di Rosy, fra gli edifici squadrati che si affacciano sulla spiaggia nei colori caldi che vanno dal giallo al rosa.

A Varigotti è ambientata Rosy Abate (foto archivio Agenzia Regionale in Liguria).

Sempre nel Savonese è stata ambientata la prima puntata, con i pontili e l’ingresso allo Yatch club e altri scorci della Marina di Loano, mentre quando Rosy affronta per la prima volta il clan dei Marsigliesi sta giocando al Casinò di Sanremo. La protagonista si sposta quindi verso Sud per seguire il figlio Leonardino: le riprese sono state effettuate nel quartiere romano dell’Olgiata, dove vive il bambino, e al luna park dell’Eur, che ha fatto da sfondo all’episodio del tiro a segno. Infine in Sicilia, al castello degli Schiavi, nei pressi di Catania, c’è la roccaforte del mafioso Santagata.

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