Schlein rifiuta il presunto invito di Meloni ad Atreju: «Confronto si fa in parlamento»

Secondo alcuni quotidiani la premier Giorgia Meloni avrebbe invitato la segretaria del Pd Elly Schlein ad Atreju, la festa di Fratelli d’Italia che si terrà dal 14 al 17 dicembre. Al momento non sono arrivati inviti formali ma, in base a quanto si apprende, al Nazareno non sarebbero comunque favorevoli all’idea di una partecipazione della segretaria dem. «Con FdI ci confrontiamo e discutiamo in parlamento, a partire dalla Manovra di bilancio», tagliano corto.

Donzelli: «Sto gestendo io gli inviti, e mi sembra prematuro».

Anche se, secondo quanto riporta La Stampa, il responsabile organizzazione di FdI, Giovanni Donzelli, ha smentito l’invito spiegando di averlo «letto dai giornali» e che comunque «sembra tutto un po’ prematuro». Nel corso della trasmissione Agorà su Rai3, anche il ministro per i Rapporti con il parlamento, Luca Ciriani, ha glissato alla domanda sul presunto invito a Elly Schlein a partecipare alla kermesse: «È una nostra tradizione quella di invitare tutti gli avversari politici. Invitammo anche Conte ai tempi, Letta e tutti i rappresentanti delle opposizioni, ma allora le parti erano invertite, per dire che secondo noi il terreno di scontro è il parlamento ma non ci deve essere né ghettizzazione né criminalizzazione dell’avversario. Noi le abbiamo subite e non le facciamo. Sarebbe bello che il Pd di Schlein sapesse cogliere la sfida che la premier Meloni ha lanciato, cioè quella di cambiare l’Italia insieme». Proprio qualche giorno fa, Ciriani aveva lanciato un appello alle due leader a collaborare per cambiare il Paese.

Balneari, l’Ue invia a Roma la lettera d’infrazione

La Commissione Ue ha inviato all’Italia la lettera con il parere motivato riguardo alla procedura d’infrazione per la questione delle concessioni balneari. Il mancato adeguamento del Paese alla direttive Bolkenstein preoccupa Bruxelles da mesi. Un portavoce della Commissione, durante l’incontro quotidiano con la stampa, ha affermato: «Abbiamo inviato un parare motivato. Questo dà ora al governo italiano due mesi per fornire risposte e allora decideremo sui prossimi passi». E ha spiegato che le trattative in corso non si fermeranno: «La nostra preferenza è sempre di trovare un accordo con gli Stati membri, piuttosto che andare in giudizio. È un parere motivato e non pregiudica le trattative continue che avremo con le autorità italiane».

La mappatura un nodo centrale

Nel febbraio 2023, dopo la bozza del decreto Milleproroghe, la Commissione europea aveva parlato di «sviluppi preoccupanti», analizzando le norme previste dall’Italia che prevedevano la possibile proroga delle concessioni balneari. Queste scadrebbero nel 2023 secondo il Consiglio di Stato, ma nel 2024 per il Milleproroghe. E intanto l’Italia ha anche avviato la mappatura delle coste e a ottobre è stata conclusa. Si è giunti alla conclusione che non si tratta di una risorsa «scarsa», come spiega Repubblica, poiché soltanto un terzo dell’intero territorio mappato è occupato dagli stabilimenti balneari. Per l’Europa, però, la mappatura non va effettuata soltanto sul litorale, ma a livello nazionale, con un focus poi sulle coste, così da poterne determinare il valore economico reale.

Balneari, l'Ue invia a Roma la lettera d'infrazione
Diversi stabilimenti balneari lungo la costa ionica della Sicilia orientale, in provincia di Catania (Getty Images).

Dossier balneari al palo

Intanto nemmeno nel decreto Omnibus il governo ha inserito nuove regole per i balneari. Il 2023 volge al termine ma le eventuali gare per le concessioni demaniali marittime non sono nemmeno vicine. Soltanto la trattativa con l’Ue potrà risolvere la situazione. Intanto, però, la procedura d’infrazione prosegue.

Schlein: «Ha ragione Cortellesi, su violenza di genere io e Meloni dobbiamo lavorare insieme»

Magari non sarà Atreju il momento di confronto per farlo, ma Elly Schlein ha accolto l’appello della regista di C’è ancora domani, Paola Cortellesi, affinché la segretaria dem e la premier Giorgia Meloni mettendo da parte le differenze per lavorare insieme nel contrasto alla violenza di genere.

Schlein a Meloni: «Mettiamo da parte l’aspra dialettica»

Ai microfoni di Fanpage.it, Schlein ha detto: «Ha ragione Cortellesi. E io ci sto. Da qualche tempo rivolgo un appello alla presidente Meloni affinché almeno sul contrasto alla violenza di genere possiamo mettere da parte l’aspra dialettica tra maggioranza e opposizione e far fare passi avanti al Paese, non solo sulla repressione ma anche sulla prevenzione». La segretaria ha così risposto all’invito di Paola Cortellesi, che in un’intervista a Vanity Fair aveva chiesto al governo di essere più incisivo nella lotta alla violenza di genere. Aggiungendo che «per la prima volta a capo del governo e a capo dell’opposizione due donne: è evidente che non basta alla causa, a meno che questa concomitanza di circostanze non porti a tendersi una mano». Al momento Giorgia Meloni non ha ancora commentato le dichiarazioni dell’attrice e regista.

Mattarella firma i ddl su premierato e piano Mattei

Secondo quanto riportato da una nota del Quirinale, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella mercoledì 15 novembre 2023 ha autorizzato la presentazione alle Camere del disegno di legge costituzionale recante “Disposizioni per l’elezione diretta del Presidente del Consiglio dei Ministri, il rafforzamento della stabilità del Governo e l’abolizione della nomina dei senatori a vita da parte del Presidente della Repubblica”. Si tratta di un passaggio necessario per procedere alla discussione della proposta. Nelle ore precedenti la premier aveva detto che l’esecutivo lavorerà «in Parlamento perché possa avere il più ampio consenso possibile e possa raggiungere la maggioranza dei due terzi».  E sull’ipotesi referendum, la presidente del Consiglio non si è detta per nulla preoccupata, perché gli italiani «coglieranno l’occasione storica di accompagnare il Paese nella Terza Repubblica».

Renzi contro Grillo: «Tornato in tv perché i soldi del M5s non bastavano più»

Matteo Renzi su X e sulla sua E-News ha parlato del ritorno in tv di Beppe Grillo, sottolineando soprattutto il «bel gettone di presenza» ricevuto. L’ex premier e attuale leader di Italia Viva ha scritto: «Venendo a cose meno serie: Beppe Grillo. È tornato in TV perché i soldi garantiti dal Movimento 5 stelle non bastavano più».

Renzi: «Avete seminato odio»

Renzi ha poi proseguito parlando anche dei contenuti dell’intervista rilasciata da Grillo a Fabio Fazio. «Ha detto anche cose giuste», ha spiegato il leader di Italia Viva, «tipo che lui ha fallito e rovinato l’Italia (una sana autocritica, finalmente) e che quando parla Conte nessuno capisce. Poi però Grillo ha detto una frase che mi sconvolge: “Se il mondo entra nella tua famiglia, te la sfascia la famiglia”. Io dico: ma con quale faccia Beppe Grillo può dire in TV una cosa del genere dopo essere stato il più grande distruttore di famiglie altrui? Perché Fazio non gli ha chiesto conto di questa contraddizione? Ma non c’è nessuno nel Movimento Cinque Stelle che avverta il bisogno di prendere le distanze dalla violenza verbale e social di questi anni? Ma vi rendete conto che vita di inferno avete fatto passare agli altri? Capite quanto odio avete seminato?»

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Conte: «Italia codarda su Gaza, fermare le forniture di armi a Israele»

«Sospendete immediatamente le forniture di armi a Israele. Il mio governo lo ha fatto con alcuni Paesi. Per farlo serve solo una cosa che vi manca: il coraggio». Lo ha detto nell’Aula della Camera il leader di Movimento 5 stelle Giuseppe Conte in replica al question time, rivolgendosi al ministro degli Esteri Antonio Tajani. Davanti alla crisi di Gaza, ha aggiunto l’ex premier, «la risposta della politica non può essere nel segno della pavidità» che il governo ha avete adottato il 27 ottobre. «Vi siete pilatescamente astenuti all’Onu su una risoluzione per una tregua umanitaria. Un atteggiamento codardo che allontana l’Italia dal tradizionale ruolo di protagonista di dialogo nel Medio oriente», ha aggiunto il presidente del M5s. La replica di Tajani a stretto giro: «Noi chiediamo pause umanitarie più lunghe, i codardi non stanno certamente sui banchi di questo governo, onorevole Conte».

Conte: «Italia codarda su Gaza, fermare le forniture di armi a Israele». La replica del ministro degli Esteri Tajani.
Giuseppe Conte e Antonio Tajani nel 2019 (Imagoeconomica).

Nella giornata anche la telefonata Meloni-Erdogan: la Turchia si aspetta che l’Italia sostenga un cessate il fuoco

Le parole di Conte giungono nel corso di una giornata che ha visto anche il colloquio telefonico tra la premier italiana Giorgia Meloni e il presidente turco Recep Tayyip Erdogan. Ankara, ha detto il Sultano, si aspetta che l’Italia sostenga un cessate il fuoco nella Striscia di Gaza. «Le atrocità contro la terra palestinese si stanno intensificando e stanno aumentando ogni minuto le morti dei civili», ha detto Erdogan a Meloni, come riporta la presidenza della Repubblica turca, aggiungendo che il Paese adotterà iniziative per portare Israele, «che ha commesso crimini di guerra», davanti ai tribunali internazionali.

Cutro, lo Stato non vuole risarcire le famiglie delle vittime

L’Italia non vuole concedere alcun risarcimento alle famiglie delle vittime del naufragio di Cutro. Questo è quanto è emerso nell’aula del tribunale di Crotone, durante il processo contro i presunti scafisti. A spiegarlo è stata l’avvocata Giulia Bongiorno, che rappresenta che rappresenta la Consap, la concessionaria servizi assicurativi pubblici a cui fa capo il fondo di garanzia dello Stato per il risarcimento delle vittime di incidenti in strada o in mare.

Cutro, lo Stato non vuole risarcire le famiglie delle vittime
Alcuni residenti a Cutro durante una delle proteste contro il governo (Getty Images).

Bongiorno: «Lasciateci fuori dal processo»

La legale ha spiegato che il governo non ritiene di dover risarcire nessuno. E questo perché la barca naufragata non può essere considerata «un’imbarcazione adibita al trasporto e dunque assoggettabile al codice delle assicurazioni». Bongiorno ha dichiarato: «Noi chiediamo di essere lasciati fuori da questo processo». Il tribunale di Crotone, nella precedente udienza, aveva accolto la richiesta dei rappresentanti dei sopravvissuti e delle famiglie delle vittime e per questo è stata chiamata in causa la Consap.

Gli avvocati: «Comportamento sbalorditivo»

L’avvocato Francesco Verri, uno dei legali delle famiglie, ha spiegato: «Eravamo riusciti ad ottenere dal tribunale il diritto di far intervenire nel processo la Consap perché risarcisca i danni in caso di condanna. E invece lo Stato dice “non contate su di me, non risarcisco nulla”. E dunque, non solo lo Stato quella notte si è lavato le mani, non solo ha lasciato morire le vittime di questo naufragio, non solo non ha neppure pensato di intervenire con un’operazione di polizia, non solo ha lasciato navigare un’imbarcazione non assicurata ma oggi dice “io non intendo prendermi cura neanche delle vittime ne risarcire loro i danni”. Dunque il comportamento dello Stato, appellandosi ad un cavillo, è sbalorditivo e non intende assumersi nessuna responsabilità neanche nei confronti dei superstiti e dei familiari delle vittime».

Migranti, le opposizioni contro il governo sull’accordo con l’Albania: «Va sottoposto al Parlamento»

I partiti d’opposizione hanno scritto al presidente della Camera Lorenzo Fontana per chiedergli di far esaminare all’Aula l’accordo stretto dal governo con l’Albania sul tema migranti. A quasi dieci giorni dall’annuncio della premier Giorgia Meloni e del primo ministro albanese Edi Rama, il testo del documento non è stato mai trasmesso ai parlamentari. A firmare la richiesta sono stati +Europa, Pd, Avs, Azione e Movimento 5 stelle. Poche ore dopo la stretta di mano tra i due Paesi, anche l’Unione Europea ha chiesto spiegazioni al governo sul protocollo d’intesa.

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Migranti, le opposizioni contro il governo sull'accordo con l'Albania «Va sottoposto al Parlamento»
Lorenzo Fontana (Imagoeconomica).

Le opposizioni: «Serve la ratifica del Parlamento»

I partiti hanno scritto a Fontana chiedendogli di «compiere tutti i passaggi necessari affinché l’accordo tra Italia e Albania sia trasmesso alle Camere». Hanno sottolineato inoltre che «le prerogative del Parlamento siano compiutamente rispettate». Nel documento si legge: «L’articolo 80 della Costituzione prescrive, infatti, che gli accordi internazionali che sono di natura politica, o prevedono arbitrati o regolamenti giudiziari» siano «sottoposti alla ratifica del Parlamento» per un «doveroso controllo da parte della rappresentanza popolare». E ancora: «È inoltre necessario che tutti i membri del Parlamento siano messi in condizione di conoscere in modo completo il testo dell’accordo» per «verificare in che misura esso abbia le caratteristiche richieste dal citato articolo 80 per la sua sottoposizione all’iter legislativo di ratifica».

Il governo non considera l’accordo un trattato internazionale

In attesa della risposta di Fontana, il ministro dei Rapporti col Parlamento, Luca Ciriani, ha spiegato lunedì che il governo non considera l’accordo con l’Albania un trattato internazionale. Come spiega Repubblica, secondo questa tesi non servirebbe alcuna ratifica. Palazzo Chigi ha aperto soltanto alla possibilità di un confronto con il ministro degli Esteri Antonio Tajani, in programma per martedì 21 novembre. Secondo il segretario di +Europa Riccardo Magi, invece, il protocollo necessita sia della ratifica delle Camere sia di una modifica alla legge sull’immigrazione per poter entrare in vigore.

Migranti, le opposizioni contro il governo sull'accordo con l'Albania «Va sottoposto al Parlamento»
Riccardo Magi (Imagoeconomica).

Governo e maggioranza nel caos: dal caso Santanchè al Mes

Il livello di tensione nel governo ha raggiunto i livelli di guardia, tanto da far paventare scenari impensabili fino a pochi giorni fa. A meno di un anno dalle Politiche del 2022 torna addirittura ad aleggiare, seppure come extrema ratio, l’ipotesi delle elezioni anticipate. Giorgia Meloni, come scrive Repubblica, avrebbe addirittura “minacciato” Matteo Salvini di portare il Paese alle urne, in una sorta di Papeete in salsa Fratelli d’Italia, pur di ottenere una posizione di maggiore forza. Si tratta di un’esagerazione, si dirà: difficile immaginare un’altra estate in campagna elettorale. Intanto la notizia non è stata nemmeno smentita. E le parole della presidente del Consiglio sono un valido indicatore delle incomprensioni nella coalizione di centrodestra. Del resto la settimana che sta finendo ha portato con sé piccoli quanto significativi incidenti parlamentari: dall’assenza dei senatori azzurri Claudio Lotito e Dario Damiani al voto in commissione fino al ko del governo su un emendamento del ddl Province. Senza dimenticare l’ulteriore slittamento della nomina del commissario per l’alluvione in Emilia-Romagna, oggetto della contesa tra Meloni e Salvini. Come se non bastasse il caso Santanchè sta agitando Fdi mentre l’arresto dell’ex leghista Gianluca Pini getta un’ombra sul Carroccio.

Governo e maggioranza nel caos: dal caso Santanchè al Mes
Daniela Santanché e Ignazio La Russa (Imagoeconomica).

Il dossier Mes spacca la Lega 

I dossier bollenti sul tavolo dunque non mancano, e creano divisioni a più livelli: sia all’interno partiti della maggioranza sia nella dialettica tra alleati. Un bel rompicapo. Il Mes è il nodo più complicato. La presa di posizione del ministero dell’Economia, guidato dal leghista Giancarlo Giorgetti, ha rappresentato un punto di rottura. Il leader del partito, Matteo Salvini, ha subito confermato la contrarietà all’approvazione della ratifica del fondo salva-Stati, facendo ripetere in stereofonia il concetto ai suoi fedelissimi. «Non ci metteremo in mano ai fondi stranieri», ha scandito ancora oggi il ministro delle Infrastrutture, sconfessando il Mef. «Gli italiani hanno votato un governo politico, non tecnico», ha ribadito. Insomma, non vuole mostrare cedimenti e aveva finanche pensato di votare contro in commissione, facendo infuriare la premier Meloni, consapevole che ilproblema resta e che bisogna muoversi con prudenza: il governo è pressato dall’Unione europea, che chiede una risposta – positiva – entro l’anno. E il parere tecnico di via XX Settembre ha sottratto qualsiasi argomentazione alla propaganda sovranista. Così nella Lega si sta consolidando l’ala più pragmatica, allineata a Giorgetti, con il presidente della Regione Friuli-Venezia-Giulia, Massimiliano Fedriga, uscito allo scoperto: «Spero che la valutazione, in un senso o nell’altro, venga fatta scevra di connotazioni ideologiche. In Italia stiamo ideologizzando qualsiasi cosa», ha ammesso in un’intervista a La Stampa. Ad appesantire il clima c’è stato poi l’arresto di Gianluca Pini nell’ambito dell’inchiesta che ha portato ai domiciliari Marcello Minenna. Un brutto colpo per Giorgetti, visto che l’ex deputato leghista era molto vicino alle sue posizioni. Nonostante il ministro dell’Economia sia totalmente estraneo alle indagini, è indubbio che la notizia crei un problema di immagine a tutta la Lega, non solo a un suo vicesegretario.

Governo e maggioranza nel caos: dal caso Santanchè al Mes
Giancarlo Giorgetti (Imagoeconomica).

Forza Italia cerca un equilibrio e Ronzulli ha già incassato il ridimensionamento di Fascina

Sul fronte Mes, tra gli azzurri orfani di Silvio Berlusconi, monta la convinzione di dover battere un colpo e lanciare un segnale al Ppe. «Siamo liberali ed europeisti. Il parere tecnico fornito dal Mef ha confermato che il Mes non è un problema. Perché dovremmo aderire alla battaglia ideologica degli altri partiti?», si chiede, a microfoni spenti, un deputato azzurro, immaginando uno smarcamento dagli alleati. I vertici forzisti sono posizionati sulla linea di non alimentare nervosismi. Uno scontro nello scontro in un partito che deve cercare la propria fisionomia. Superata lentamente l’onda emotiva per la morte del fondatore, il cammino verso la normalizzazione non è affatto semplice: il coordinatore Antonio Tajani sta già facendo i conti con le richieste della minoranza capeggiata dalla capogruppo al Senato, Licia Ronzulli, che sta già incassando il ridimensionamento di Marta Fascina, che ancora deve tornare a Montecitorio. Ed è solo l’inizio.

Governo e maggioranza nel caos: dal caso Santanchè al Mes
Licia Ronzulli e Antonio Tajani (Imagoeconomica).

L’affaire Santanchè e le preoccupazioni del Colle 

L’aria più pesante si respira però dalle parti di Fratelli d’Italia. L’inchiesta di Report sugli affari di Daniela Santanchè imbarazza e non poco Meloni. Un eventuale coinvolgimento del presidente del Senato Ignazio La Russa preoccupa il Colle. Insomma la crisi potrebbe diventare istituzionale e le dimissioni della ministra del Turismo potrebbero presto non essere più un tabù. La presidente del Consiglio ha capito che la questione può rivelarsi scivolosa ed evita di esporsi. Il compito di dettare la linea ufficiale è stato affidato al capogruppo alla Camera Tommaso Foti: «La sinistra chiede le dimissioni di un altro ministro», ha detto polemizzando con gli avversari. Solo che il collega della Lega, il presidente del gruppo Riccardo Molinari, è molto più tiepido su Santanchè: «Aspettiamo che il ministro spieghi le sue ragioni in Aula». Non proprio una difesa sulla fiducia.

Mattarella teme che il caso Santanchè travolga La Russa

Il caso Santanchè rischia di superare i confini del governo. E arrivare fino ai vertici delle istituzioni, dove il presidente della Repubblica Sergio Mattarella è seriamente preoccupato che la vicenda possa avere strascichi pericolosi. Se l’inchiesta giornalistica sulle società della ministra del Turismo dovesse allargarsi ulteriormente, con nuove rivelazioni, il timore del Colle è che riesca a travolgere anche la figura della seconda carica dello Stato: il presidente del Senato Ignazio La Russa, collega di partito della Pitonessa in Fratelli d’Italia e già sfiorato dalle torbide vicende aziendali documentate da Report.

Mattarella teme che il caso Santanchè travolga La Russa
Giorgia Meloni, Ignazio La Russa e Sergio Mattarella (Imagoeconomica).

Dai fornitori non pagati al fondo di Dubai, cosa non torna

La storia è diventata un caso politico dalla sera di lunedì 19 giugno, quando la trasmissione tivù di Rai3 condotta da Sigfrido Ranucci ha scoperchiato una gestione poco oculata (eufemismo) delle società di Santanchè, in particolare Visibilia e Ki Group. Le accuse nei confronti della ministra sono di non aver pagato i fornitori, di aver licenziato i dipendenti senza il versamento del tfr né dei contributi previdenziali, di essere andata in televisione ai tempi del Covid a dire che per i suoi lavoratori aveva attivato la cassa integrazione, quando invece non era vero. Per non parlare dell’intricato giro di società svuotate e di un prestito poco trasparente da un fondo di Dubai, per far fronte a una carenza di liquidità.

Santanchè però va al contrattacco e minaccia querele

Santanchè per ora tira dritto e anzi contrattacca, minacciando querele e parlando di «notizie prive di corrispondenza con la verità storica». Secondo la ministra insomma i fatti sono stati rappresentati «in forma del tutto suggestiva e unilaterale per fornire una ricostruzione che risulta radicalmente non corrispondente al vero, ispirata esclusivamente dalla finalità di screditare l’immagine e la reputazione della sottoscritta presso l’opinione pubblica». E quindi è pronta a difendersi: «I responsabili della trasmissione televisiva erano stati preventivamente invitati a evitare di diffondere notizie non veritiere, purtroppo invano. Per questi motivi ho dato mandato ai legali di fiducia per le necessarie iniziative nelle opportune sedi giudiziarie».

Mattarella teme che il caso Santanchè travolga La Russa
Daniela Santanchè e Ignazio La Russa (Imagoeconomica).

La testa della ministra per salvarne un’altra: quella di La Russa

L’irritazione della premier Giorgia Meloni però non si è placata, tanto che da ore si rincorrono le voci di possibili dimissioni di Santanchè, con l’ipotesi di deleghe prese ad interim dalla stessa presidente del Consiglio. Adesso però il passo indietro, chiesto ovviamente anche dalle opposizioni, potrebbe assumere pure un altro significato: dare “in pasto” all’opinione pubblica una testa e salvarne un’altra più importante, cioè quella di La Russa.

Mattarella teme che il caso Santanchè travolga La Russa
Ignazio La Russa e Sergio Mattarella (Imagoeconomica).

La firma del presidente del Senato in due diffide

Ma in che modo è invischiato nella storia anche l’ex militante del Movimento sociale italiano, eletto presidente del Senato il 13 ottobre 2022 alla prima votazione con 116 voti? Nel raccontare in particolare il flusso di denaro – 3 milioni di euro – dal già citato fondo di Dubai a Visibilia, Report ha mostrato come in una diffida inviata al giornale online MilanoToday – che da tempo indaga sulla vicenda – da parte di quel fondo degli Emirati, Negma, di cui non si conoscono gli investitori, la firma in calce è proprio dell’avvocato Ignazio Benito Maria La Russa. Che tra l’altro aveva spedito allo stesso giornale una precedente diffida, questa volta però per conto di Visibilia. Come cioè se fosse consulente per entrambe le parti. Lui al Corriere ha detto di non c’entrare più nulla: «Allo studio, che non è più mio, ma di mio figlio e dei miei collaboratori, si appoggia Daniela Santanchè per altre questioni sue, non abbiamo mai seguito le società ed escludo di essermene occupato anche perché non faccio più l’avvocato da quanto sono presidente». Ma le due minacce di querela e i verbali di Visibilia sembrano andare in un’altra direzione.

Alle richieste di chiarimento del giornalista di Report, La Russa ha risposto in maniera scontrosa e poco istituzionale: «Dai, adesso levati!». La verità è che forse sarebbe meglio per lui che a “levarsi” di torno fosse proprio l’amica Santanchè, con un passo indietro dal governo che darebbe un minimo di respiro a Fratelli d’Italia e alla maggioranza di destra-centro, incalzati dalle ripercussioni che sta avendo l’inchiesta. Evitando così che lo “scandalo” arrivi fino ai piani superiori. Uno scenario che il Quirinale per primo vuole evitare.

La parabola di Minenna, da prof M5s all’arresto per corruzione

I suoi avvocati ora evidenziano che a lui «viene contestato» soltanto «un episodio nel marzo 2020: essersi adoperato in favore di un imprenditore vicino alla Lega per sbloccare una sua fornitura di mascherine ferme alla dogana di Milano in cambio di una entratura nel partito». Fatto sta che l’inchiesta di Forlì – quel «pactum sceleris» con l’ex leghista Gianluca Pini per essere accreditato nel Carroccio e assicurarsi la conferma alla guida dell’Agenzia – e gli arresti domiciliari sono, almeno per il momento, una brutta tegola sulla testa di Marcello Minenna, la cui parabola politica e istituzionale si fa sempre più travagliata. Il suo ultimo incarico, dal quale è stato adesso sospeso in via automatica, è quello di assessore regionale all’Ambiente, alle Partecipate, alla Programmazione unitaria e ai Progetti strategici nella Giunta calabrese di centrodestra guidata dal forzista Roberto Occhiuto. Il presidente azzurro lo ha subito difeso: «I fatti che gli vengono contestati dalla Procura di Forlì riguardano il periodo nel quale Minenna è stato direttore dell’Agenzia delle Dogane: sono certo che dimostrerà la sua estraneità».

La parabola di Minenna, da prof M5s all'arresto per corruzione
Marcello Minenna (Imagoeconomica).

Gli ‘incidenti’ di percorso all’Agenzia delle Dogane 

Tuttavia, ora viene messa a dura prova la sua capacità di reinventarsi come uno Zelig istituzionale per cavare il meglio dalle diverse stagioni politiche. Dopo essere stato uno degli alfieri dell’intellighenzia (economico-finanziaria) dell’area M5s, era riuscito a salvarsi anche durante il governo Draghi e poi aveva saltato il fossato per entrare nelle grazie del centrodestra. Anzi, si vociferava che aspirasse a un ruolo di rilievo in Cassa depositi e prestiti in quota Lega. Ambizioni che adesso rischiano di finire in frantumi, al netto della dovuta presunzione di innocenza fino a sentenza passata in giudicato. E così sembrano quasi bazzecole gli “incidenti di percorso” durante il suo mandato da direttore dell’Agenzia delle Dogane: come il caso delle auto sequestrate ai criminali e assegnate in modo discrezionale a politici, vip e manager senza bandi né aste pubbliche. Una pratica stigmatizzata dal Mef che poi dispose le restituzioni. E che dire della promozione a dirigente, svelata dal Foglio, con tanto di stipendio da 110 mila euro l’anno, per l’ingegner Lorenzo Monti, fratello di Nina Monti, editor del blog di Beppe Grillo e spin doctor del fondatore M5s?

L’anti-Vegas della Consob

Nato a Bari, 51 anni, Minenna è economista, commercialista, revisore dei conti, esperto di mercati finanziari e obbligazionari. Ha studiato alla Bocconi ed è stato professore nello stesso ateneo milanese e alla London Graduate School of Mathematical Finance, oltre a insegnare alla Sapienza e alla San Raffaele di Roma. Master alla Columbia University di New York, vanta anche trascorsi da editorialista del Sole24Ore, Wall Street Journal e Financial Times, oltre a fregiarsi spesso di essere stato allievo di Carlo Azeglio Ciampi. Dopo un avvio di carriera in Procter&Gamble, nel 1996 vince un concorso, entra in Consob e viene collocato all’Ufficio ispettorato. Con i progressi di carriera nell’authority di vigilanza dei mercati crescono anche le rogne: dal 2007 è responsabile dell’Ufficio analisi quantitative e pian piano si costruisce l’immagine di fustigatore che denuncia le scelte della Consob da lui bollate come anomale o comunque al servizio dei poteri finanziari vigilati. Diventa l’eroe delle associazioni dei consumatori e dei piccoli investitori. E al tempo stesso la spina nel fianco dell’allora presidente Giuseppe Vegas, già esponente di spicco di Forza Italia. Attorno a Minenna iniziano a pullulare voci maligne, indiscrezioni velenose, anche esposti in procura. Qualcuno lo definisce “la talpa” in Consob, per i suoi difensori si tratta invece di una enorme macchina del fango messa in moto a protezione dei soliti poteri forti e Milena Gabanelli lo considera addirittura «mobbizzato».

Consigliori del M5s sui temi economico-finanziari

È così che l’ex direttore delle Dogane diventa un punto di riferimento per il Movimento 5 stelle appena entrato in parlamento. Il partito di Grillo vede in lui il paladino dei piccoli investitori in Borsa contro i potentati che sono il bersaglio perfetto del M5s barricadero nell’età aurea del renzismo. Minenna assurge al ruolo di prezioso consigliori dei cinque stelle sui temi economici e finanziari, suggeritore della strategia sul Fiscal compact e per la creazione di una Banca pubblica degli investimenti. Ma veste i panni di chioccia pure nella battaglia grillina sulle perdite riferite ai derivati di Stato, crociata che consente al Movimento di chiamare in causa addirittura Mario Draghi in relazione ai tempi in cui era direttore generale del Tesoro. Senza scordare gli scandali della fusione Unipol-Fonsai e di Banca Etruria, rispetto ai quali la competenza tecnica di Minenna è pienamente al servizio della narrazione pentastellata contro i sancta sanctorum del presunto “inciucio” tra politica e alta finanza.

La parabola di Minenna, da prof M5s all'arresto per corruzione
Minenna con il generale Francesco Paolo Figliuolo (Imagoeconomica).

La chiamata nella Giunta Raggi e la rottura con la sindaca

Il personaggio divide, non piace a tutti: risultano poco apprezzati soprattutto certi eccessi egotistici e un fare azzimato e impettito, per quanto usualmente cortese e brillante. Ma il cinquestelle ha bisogno di saperi economici e tutto sommato non dispiace nemmeno la storica vicinanza di Minenna alla Cgil. Il padre dell’economista pugliese era stato un funzionario Anas e girava voce che fosse addirittura il riferimento di Massimo D’Alema nel colosso pubblico delle strade. Così, quando il M5s vince alle Amministrative del 2016, è Luigi Di Maio in persona a corteggiare e a volere Minenna nella Giunta del Campidoglio, accanto a Virginia Raggi. Anche perché l’ex Consob conosce già la macchina, essendo stato membro della segreteria tecnica del prefetto-commissario, Francesco Paolo Tronca. Inizialmente l’economista si ritrae, poi cede e prende la delega cruciale di assessore al Bilancio e alle Partecipate. Ma con la sindaca il feeling non scatta mai e dopo poche settimane, nell’estate 2016, Minenna lascia per divergenze sulla gestione delle aziende capitoline e per i veleni attorno al cosiddetto “raggio magico” e alla figura di Raffaele Marra. Le voci di palazzo hanno sempre favoleggiato di una sua cura maniacale per l’estetica e la forma fisica. Tanto che, si dice, anche nell’ufficio in Campidoglio Minenna non mancasse di fare regolarmente flessioni ed esercizi a corpo libero per tenersi tonico.

La parabola di Minenna, da prof M5s all'arresto per corruzione
Minenna con Virginia Raggi (Imagoeconomica).

Le tensioni all’interno dell’Agenzia delle Dogane

Il periodo alla guida delle Dogane, nominato dal secondo governo Conte nel 2020, è comunque quello più tribolato fino all’arresto di ieri. Oltre agli scivoloni già ricordati, Minenna è incappato infatti in un’indagine per abuso d’ufficio della procura di Roma. Stando a un esposto depositato in tribunale e alla Guardia di finanza, l’ex dirigente Alessandro Canali sarebbe stato licenziato per aver denunciato presunte irregolarità relative alle spese per viaggi e missioni istituzionali di Minenna, accompagnato dalla dipendente Patrizia Bosco. L’Agenzia aveva fatto sapere che l’ex dirigente era stato rimosso in ragione di una riorganizzazione già comunicata da tempo, ma Canali ha fatto ricorso d’urgenza alla sezione lavoro del tribunale di Roma contro la cancellazione del posto di vicedirettore che avrebbe determinato l’interruzione anticipata del suo incarico. Ricorso successivamente respinto. Il nome di Canali si intreccia anche ai difficili rapporti di Minenna con un altro dipendente delle Dogane. La procura di Roma, il 31 gennaio scorso, ha mandato all’ex direttore un avviso di conclusione delle indagini pure per minaccia e calunnia nei confronti dell’allora funzionario dell’ufficio antifrode Miguel Martina. Anche qui fanno capolino la pandemia e le mascherine anti-Covid: Martina, infatti, aveva compiuto diversi accessi alle banche dati perché stava indagando, su precisa delega dell’autorità giudiziaria, circa la regolarità delle forniture dei dispositivi approvvigionati dalla Protezione civile per somme molto ingenti. Quando Minenna seppe dell’attività di Martina, secondo l’ipotesi accusatoria, avrebbe iniziato a minacciarlo per fargli rivelare notizie coperte da segreto istruttorio. Anzi, il funzionario fu sottoposto a procedimento disciplinare e denunciato alla procura stessa per accesso abusivo alle banche dati istituzionali. Il Tribunale di Roma, però, ha poi accolto la richiesta di archiviazione dei pm. Inoltre, non ottenendo risultati per via diretta, Minenna avrebbe provato a rivolgersi ad altri dipendenti – come l’allora diretto superiore di Martina, Gianfranco Brosco – che comunque non avrebbero ottemperato alle sue richieste. Alla fine, il numero uno delle Dogane sarebbe in ogni caso riuscito nell’intento di ritirare le password di accesso, rimuovendo Martina e trasferendolo all’Ufficio giochi dell’agenzia. Adesso l’ultima tegola, con gli anni duri della pandemia e le mascherine che tornano alla ribalta. E l’ex presidente dell’Anm, Luca Palamara, che in un’intervista a L’Identità dice sibillino: «Mutato il contesto politico di riferimento, viene meno quella iniziale rete di protezione che forse aveva consentito di indirizzare queste vicende sul classico binario morto. Penso che ora tante altre verità potranno venire a galla».

Sondaggi politici, Forza Italia supera la Lega

Dopo la morte di Silvio Berlusconi, l’ascesa di Forza Italia nei sondaggi in cui si rilevano le intenzioni di voto degli italiani appare senza sosta. Il partito del Cavaliere cresce ancora, per la seconda settimana consecutiva, e stavolta il dato è ancora più eclatante perché gli azzurri superano la Lega di Matteo Salvini. Secondo l’ultima rilevazione della Supermedia Agi/Youtrend, infatti, Forza Italia guadagna quasi due punti, l’1,8 per cento, e si assesta a quota 8,8. Contemporaneamente tutti gli altri partiti di centrodestra frenano o registrano flessioni: Fratelli d’Italia, partito della premier Giorgia Meloni, perde lo 0,3 per cento e scende al 28,8; la Lega perde la stessa percentuale e si ferma all’8,6, subendo superata sebbene di poco da Fi.

Forza Italia cresce ancora nel gradimento della popolazione e supera la Lega di Salvini
Salvini, Berlusconi e Meloni insieme sul palco dopo il successo alle elezioni del settembre 2022 (Getty).

In calo anche Pd e M5s

Fratelli d’Italia resta però nettamente in testa al 28,8 per cento, staccando sensibilmente anche il Pd di Elly Schlein, sceso al 20,4 e in calo dello 0,2, e il Movimento 5 stelle di Giuseppe Conte, che perde lo 0,4 per cento fermandosi a quota 15,5. Resta da capire quanto durerà l’effetto generato dalla morte del leader politico: Forza Italia continuerà a correre anche dopo la riorganizzazione del partito?

Forza Italia cresce ancora nel gradimento della popolazione e supera la Lega di Salvini
La segretaria del Pd, Elly Schlein (Imagoeconomica).

Gli altri partiti: sale solo Verdi/Sinistra italiana

Stazionari o in fase calante anche gli altri partiti di opposizione. Azione di Carlo Calenda, scivola al 3,5 per cento (-0,3) ed è tallonato da Verdi e Sinistra italiana, unico altro gruppo in risalita oltre a Forza Italia. La sinistra ha guadagnato lo 0,2 per cento, salendo al 3,2 e allungando le distanze da Italia Viva data al 2,7 per cento (-0,3). Infine +Europa resta stabile al 2,3, mentre Italexit cala all’1,9 (-0,3). Tra le coalizioni, il centrodestra guadagna l’1,1 e vola a quota 47,2 per cento, nettamente avanti al centrosinistra, ora al 25,9 per cento.

I potenti al tempo di Giorgia, la censura da Arcore con lo zampino di Fascina

Una sigla, dal significato a tutta prima incomprensibile, messa sui fogli con la lista degli ospiti dei talk show politici che vengono approvati dalla direzione generale dell’informazione Mediaset, da anni dominio incontrastato di Mauro Crippa, manager di lunga data del Biscione: VSM. Che mai vorrà dire? L’arcano non regge molto: VSM è infatti l’acronimo di Villa San Martino, ossia la magione di Arcore dove, negli ultimi anni con la compagna Marta Fascina, ha vissuto Silvio Berlusconi, tanto da diventare un luogo simbolico del suo potere.

I potenti al tempo di Giorgia, la censura da Arcore con lo zampino di Fascina
Mauro Crippa, direttore generale dell’informazione Mediaset (Imagoeconomica).

Le partecipazioni a Stasera Italia e Quarta Repubblica erano fissate

Ma facciamo un passo indietro. Il 30 maggio esce I potenti al tempo di Giorgia, il libro di Luigi Bisignani e Paolo Madron (direttore di questo giornale) edito da Chiarelettere. Giornali e tivù ne parlano diffusamente, e a Mediaset non vogliono essere da meno. Così la casa editrice aveva concordato con la produzione di Stasera Italia, il programma condotto da Barbara Palombelli che va in onda su Rete 4 dal lunedì al venerdì, l’esclusiva della prima uscita televisiva del libro: gli accordi con Chiarelettere prevedono un’intervista faccia a faccia con la giornalista della durata di 12 minuti. Nel contempo un altro talk politico di punta della rete si fa avanti. Così che Quarta Repubblica, la trasmissione del lunedì sera condotta da Nicola Porro, invita Bisignani, per altro più volte ospite del programma, nella puntata di lunedì 12 giugno. Tutto deciso dunque.

I potenti al tempo di Giorgia, la censura da Arcore con lo zampino di Fascina
Luigi Bisignani (Imagoeconomica).

Poi la doppia cancellazione arrivata per ordini aziendali 

Quand’ecco una prima sorpresa: il 5 giugno la produzione di Stasera Italia chiama Bisignani e a malincuore gli dice di essere costretta per ordini aziendali a cancellare la sua partecipazione. Qualche giorno dopo stesso copione per Quarta Repubblica, dopo che domenica 11 Bisignani, come da accordi intercorsi con la produzione, aveva ricevuto un sms che gli dava le coordinate, ora e luogo (22.40 agli studi del Palatino) chiedendogli addirittura la targa dell’auto per predisporre il pass d’ingresso agli studi. Videonews, la testata cui fanno riferimento tutti i programmi di approfondimento giornalistico sempre alle dipendenze di Crippa, poi avrebbe completamente sconvolto la scaletta del suo e di tutti i programmi delle reti per la morte del Cavaliere, avvenuta proprio la mattina del 12 giugno.

Niet implacabile da Videonews: sarà anche perché nel libro si rivelano dei retroscena sul ruolo di Andrea Giambruno, lanciatissimo conduttore del Biscione nonché compagno di Giorgia Meloni?

La produzione di Quarta Repubblica comunque avvisava Bisignani di voler provare a inserire la sua partecipazione nelle ultime due puntate prima della pausa estiva. Proposito però frustrato dall’ennesimo niet implacabilmente arrivato da Videonews: di quel libro non si deve parlare. Sarà perché rivela per la prima volta i dettagli del patto tra Giorgia Meloni e Marina Berlusconi per garantire l’appoggio delle televisioni e la fine della fronda di Forza Italia al governo? Sarà perché il libro racconta nel dettaglio l’irresistibile ascesa di Marta Fascina da meteorina a finta moglie di Silvio? Sarà perché si rivelano dei retroscena sul ruolo di Andrea Giambruno, lanciatissimo conduttore del Biscione nonché compagno della presidente del Consiglio?

I potenti al tempo di Giorgia, la censura da Arcore con lo zampino di Fascina
Marta Fascina, Silvio e Marina Berlusconi (Imagoeconomica).

Una grave e pesante censura, anche controproducente

Ma qualunque sia la motivazione, resta il caso di pesante e grave censura da parte di un gruppo il cui fondatore si è professato fino all’ultimo paladino di libertà e tolleranza. Un libro messo all’indice come nei più nefasti regimi dittatoriali dove la libertà di pensiero e di opinione fanno paura. Oltretutto una decisione controproducente, perché a Mediaset nel momento in cui l’hanno presa avranno immaginato anche che la cosa sarebbe diventata pubblica. Infatti ne ha scritto Carmelo Caruso sul Foglio del 21 giugno. L’ordine di cancellare le due partecipazioni porta un marchio d’autore, VMS, Villa San Martino, e viene direttamente da Arcore. Non da Berlusconi, che stava male e che non avrebbe mai preso una simile iniziativa, ma dalla sua quasi moglie Marta Fascina.

I potenti al tempo di Giorgia, la censura da Arcore con lo zampino di Fascina
Fedele Confalonieri e Pier Silvio Berlusconi (Imagoeconomica).

Pier Silvio Berlusconi e Fedele Confalonieri sono stati informati?

Mediaset si è adeguata, perché sulla perversa dialettica tra partito e azienda ha prevalso il partito, ossia Fascina, la donna che in quel momento l’aveva in pugno tanto che aveva già cominciato a ridisegnarne gli organigrammi mettendo dei suoi fedelissimi nelle posizioni di comando. Ubi maior, devono aver pensato a Videonews Crippa e i suoi fedelissimi vicedirettori (ma hanno informato Pier Silvio e Fedele Confalonieri?): di quel libro non s’ha da parlare. Una scelta che, pur forzata dall’obbedienza a un diktat della donna del capo, certo non fa onore all’azienda di Cologno Monzese. E non rende un buon servizio nemmeno alla memoria del suo fondatore, perché Berlusconi da liberale qual era, sicuramente non l’avrebbe mai presa.

Dl Lavoro, la maggioranza senza FI va sotto in commissione: Pd e M5s all’attacco

Il centrodestra è scivolato sul dl Lavoro. I partiti di maggioranza non sono riusciti a far votare positivamente il pacchetto di emendamenti presentato in mattinata in commissione Bilancio al Senato. Tutta colpa dell’assenza degli esponenti di Forza Italia, che hanno fatto scendere quindi a 10 il numero di senatori dell’area di centrodestra, contro altri 10 di opposizione. E così il voto si è concluso con una parità che di fatto blocca i lavori: seduta sospesa e polemiche da parte di Pd e M5s, che ne hanno subito approfittato per attaccare gli avversari politici. Ora bisognerà decidere come proseguire in conferenza dei capigruppo, per sbloccare l’iter e portare il dl Lavoro all’esame in Aula al Senato.

Patuanelli all’attacco: «Lo stato comatoso continua»

Tra i primi ad attaccare la maggioranza c’è stato il capogruppo del Movimento 5 stelle, Stefano Patuanelli. Su Twitter scrive: «Sul loro provvedimento simbolo, il decreto Precariato, che chiamano decreto Lavoro, la maggioranza va sotto in commissione Bilancio. Lo stato comatoso continua…». Dal canto suo, Fratelli d’Italia risponde con la relatrice del dl Lavoro, Paola Mancini: «È stato un incidente che non doveva accadere, ma rimediamo pure a questo». Adesso sarà richiesto un nuovo parere al Mef, da porre in votazione in commissione nei prossimi giorni.

Il voto sugli emendamenti al Dl Lavoro non passa a causa dell'assenza di Forza Italia
Il capogruppo del M5s Stefano Patuanelli (Imagoeconomica).

Il Pd: «Maggioranza schiantata al muro»

Critiche anche dal Pd. Il capogruppo dem a Palazzo Madama, Francesco Boccia, parla di centrodestra «nel caos. Non si può fare finta di niente. Non esiste il voto pari, un emendamento è respinto se non c’è voto in più e quindi oggi la Commissione ha bocciato gli emendanti». E insiste: «Il risultato è sotto gli occhi di tutti: oggi sono stati bocciati tutti gli emendamenti presentati dalla maggioranza, non è possibile riproporli e non è più possibile tollerare il regolamento à la carte». Il responsabile economico Antonio Misiani parla invece di «maggioranza divisa e schiantata contro un muro. Decisiva l’assenza dei senatori di Forza Italia. Aula bloccata. Dilettanti allo sbaraglio».

Il voto sugli emendamenti al Dl Lavoro non passa a causa dell'assenza di Forza Italia
Francesco Boccia, capogruppo del Pd a Palazzo Madama (Imagoeconomica).

Nomine: lo stallo del governo su Istat, Covip e non solo

Niente di nuovo sul fronte nomine. Il governo Meloni non è ancora riuscito a trovare una quadra definitiva sulle presidenze Istat e Covip (la Commissione di vigilanza sui fondi pensione). Il presidente dell’Istituto nazionale di statistica infatti è ancora pro tempore. Francesco Maria Chelli indicato come reggente dell’Istituto dopo la scadenza, lo scorso 22 marzo, del mandato di Gian Carlo Blangiardo, il 9 maggio è stato nominato con un decreto della Presidenza del Consiglio come “facente funzione”. Insomma, è presidente ma senza prospettive, visto che l’esecutivo ha altre intenzioni. Il problema è che in parlamento non si riescono a trovare i numeri per riportare Blangiardo su quella poltrona. E la stessa situazione rischia di riproporsi alla Covip dove al momento siede una presidente supplente.

Nomine, lo stallo del governo su Istat, Covip e non solo
Francesco Maria Chelli (Imagoeconomica).

Lo stallo sull’Istat: il centrodestra non ha i numeri per riconfemare Blangiardo

Il caso dell’Istat è emblematico, perché va avanti da ormai tre mesi senza che si intraveda uno sbocco. La presidenza è ostaggio di una forzatura politica, una sorte di ossessione, mentre al comando si è accomodato Chelli che rischia di diventare un “facente funzioni” a tempo indeterminato. Palazzo Chigi è intenzionato a riconfermare Blangiardo, fortemente voluto dal vicepremier Matteo Salvini, che lo aveva già indicato già ai tempi del governo gialloverde, il primo di Giuseppe Conte. In questo modo il leader leghista sa di poter contare su un profilo amico in una casella importante, l’Istituto che fotografa il Paese. E che, soprattutto, è allineato alla destra sulla battaglia per l’incremento demografico. Per rieleggerlo serve però il passaggio nelle commissioni Affari costituzionali di Camera e Senato, chiamate a esprimere il proprio parere con una votazione vincolante. E al governo hanno fatto i conti senza l’oste: per avallare la nomina è necessaria la maggioranza qualificata dei due terzi, significa 20 voti su 30 nella commissione a Montecitorio e 14 su 21 a Palazzo Madama. Nonostante i numeri schiaccianti in entrambi i rami del Parlamento, il centrodestra non può farcela da solo. Da qui è iniziato il lungo braccio di ferro con le opposizioni che, almeno una volta, si sono trovate compatte nel respingere la proposta. Nemmeno la mano del Terzo polo sarebbe sufficiente e per questo è stata intavolata una trattativa con Movimento 5 stelle e Partito democratico, provando sotto traccia a inserire una contropartita con le presidenze delle altre commissioni. Un tentativo naufragato e che ha provocato lo stallo per settimane. Le opposizioni hanno dato la disponibilità a votare un tecnico voluto dalla destra, a patto che non sia Blangiardo, anche perché non è sopita l’irritazione per il modus operandi della maggioranza che inizialmente ha pensato di tirare dritto. Fatto sta che all’ordine del giorno delle commissioni è sparito il parere sulla presidenza dell’Istat. Secondo fonti interpellate da Lettera43, l’unica soluzione sarebbe la rinuncia del presidente uscente. Inevitabilmente Chelli è stato investito della presidenza, nelle vesti del facente funzione, in attesa di trovare una soluzione.

Nomine, lo stallo del governo su Istat, Covip e non solo
Gian Carlo Blangiardo (Imagoeconomica).

Il lungo braccio di ferro su Inps e Inail e i tentennamenti sulla presidenza Covip

Il caso-Istat segue la lunga querelle su Inps e Inail: con un decreto, il governo aveva azzerato la vecchia governance, ma poi ha impiegato un mese e mezzo per indicare i commissari. La scelta, quasi per sfinimento, è caduta su Micaela Gelera per l’ente di previdenza e Fabrizio D’Ascenzo per l’istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni. Lo stesso film si sta per ripetere sulla presidenza Covip: Mario Padula ha concluso a marzo il mandato di presidenza. Da allora è subentrata, sempre come facente funzione, l’ex vice sindaca di Milano (giunta Pisapia), Francesca Balzani, che nel frattempo ha illustrato in parlamento la relazione sullo stato della previdenza complementare. Aveva tutti i titoli per farlo, certo, ma anche in questo caso, senza l’assegnazione ufficiale dell’incarico da parte del governo, manca una prospettiva a lungo termine. Si prospettano tempi non proprio brevi: occorre trovare l’accordo politico per individuare il profilo adatto da sottoporre poi al vaglio delle commissioni parlamentari competenti.

Nomine, lo stallo del governo su Istat, Covip e non solo
Francesca Balzani, presidente supplente Covip (Imagoeconomica).

Il commissario per l’alluvione in Emilia-Romagna? Può attendere

Sul fronte delle nomine in stand-by c’è inoltre quella a più elevato impatto mediatico: l’indicazione del commissario per l’alluvione in Emilia-Romagna. Il niet sul nome del presidente della Regione Stefano Bonaccini da parte di Meloni e Salvini è irremovibile. Così, in linea con la propria strategia, si va avanti a tentoni. Anzi a facente funzioni.

Grillo, il tacito rinnovo del contratto con il M5s e le frecciatine a Conte

Tra maggio e giugno ben tre volte nella Capitale. Per Beppe Grillo, che a lungo era rimasto defilato, si tratta di un vero e proprio ritorno sulla scena politica. Ma è fuori strada chi pensa che questo attivismo sia figlio della querelle sul contratto di consulenza per la comunicazione siglato ad aprile 2022 e scaduto a maggio tra il garante e il M5s. Sì perché, a quanto apprende Lettera43, non c’è nessun accordo da chiudere e il motivo è molto semplice: la precedente intesa è stata stipulata con la clausola del “tacito rinnovo”. Il che significa anche, però, che non esiste neppure alcun termine temporale. Potrebbe protrarsi ad libitum? Non proprio, in realtà. Al nostro giornale viene infatti spiegato che «come ogni contratto, si regge sul consenso di entrambe le parti». Per il momento, comunque, il fondatore del Movimento può dormire sonni tranquilli, visto che neppure l’entità economica ha subito o subirà ritocchi. Una cifra che dovrebbe aggirarsi intorno ai 300 mila euro, sebbene non abbia mai trovato chiare conferme dal partito di Giuseppe Conte. Grillo dunque continuerà a essere il testimonial del M5s, il che prevede, come da accordi, la promozione di campagne e «strategie digitali», oltre alla produzione di contenuti audio e video. Ma anche l’organizzazione di eventi e iniziative politiche. Sia in Italia sia all’estero dove è prevista la partecipazione a convegni, tavole rotonde e «a incontri con personalità scientifiche e istituzionali».

Grillo, il tacito rinnovo del contratto con il M5s e le frecciatine a Conte
Beppe Grillo sul palco della manifestazione romana del 17 giugno (Imagoeconomica).

La polemica sulle «brigate di cittadinanza»

Non è stata dunque di “ansia da rinnovo” a dettare le ultime uscite del comico genovese alla manifestazione Cinque stelle organizzata sabato 17 giugno a Roma contro la precarietà del lavoro. Semmai ansia da prestazione. Anche se le polemiche, con l’Elevato che si è ripreso la scena, non accennano a placarsi. Tanto che si è dovuto piegare, non una ma ben due volte, a correggere il tiro. Segno dei tempi visto che il blog di Beppe in questi anni ha sempre fatto proseliti pure per i suoi post spesso sibillini e aperti a molteplici interpretazioni. Dopo l’appello alle «brigate di cittadinanza» con tanto di «passamontagna», infatti, il garante M5s ha prima postato una foto su Instagram di un uomo mascherato e t-shirt griffata Movimento e corredata da commenti per circoscrivere il senso delle sue parole in piazza («Brigata ‘Riparazione panchine’» e «Restiamo in attesa delle brigate dei tombini e dei marciapiedi») e poi ha diffuso un video con l’invito, seppure ironico, a fermarsi tutti: «Era una boutade», ha spiegato Grillo. «È possibile che prendiate tutto sul serio?».

Grillo torna a lanciare frecciate a Conte: cambio di leadership all’orizzonte?

Questa volta però il tema non è tanto prendere sul serio o meno Grillo, anche perché il comico ligure non è nuovo a sparate, quanto interrogarsi sulla ratio di queste sortite. Escluse le ragioni economiche, come detto, restano quelle più politiche che rimandano ai rapporti sempre altalenanti tra Beppe e il presidente pentastellato Giuseppe Conte, tema collegato, secondo alcuni, persino a un futuribile cambio di leadership. Una prospettiva che, in caso di flop alle Europee, lo stesso Elevato potrebbe in cuor suo auspicare. Il retropensiero si fa largo soprattutto tra i contiani di ferro. In diversi non hanno difficoltà, seppure off the record, a masticare amaro di fronte «all’ennesimo tentativo di gettare ombre su Conte» andato in scena sabato scorso. E il riferimento neanche tanto velato è a quella stoccata – «Raccogliete i progetti e mandateli a Conte. Conte prima o poi li capirà» – da parte del fondatore della chiesa dell’Altrove. Qualcuno non esclude che Grillo stia «preparando il terreno per spianare la strada a una leadership diversa, soprattutto se dopo le Amministrative pure il risultato delle Europee sarà deludente». E i nomi più gettonati sono quelli delle due ex sindache: «Raggi e Appendino, si sa», ragionano, «hanno sempre avuto il pieno sostegno del garante. Senza contare che sono grilline della prima ora e che potrebbero raddrizzare la barra». Una tesi che però tra i Cinque stelle che conoscono bene il fondatore si tende a escludere: «Non c’è nessuno più lontano di Beppe dalle strategie di palazzo. Non è proprio nella sua natura», replicano a Lettera43. Salvo poi aggiungere: «Potrebbero essere tesi messe in circolazione perché fanno comodo a qualcuno». A chi, al momento, non è dato saperlo. Ma si tratta comunque di affermazioni che aprono uno squarcio rispetto all’immagine di granitica compattezza che l’ex premier ha voluto e vuole assolutamente dare del Movimento, soprattutto dopo l’addio dei dimaiani e la fine del quotidiano controcanto al leader ai tempi del governo Draghi. Ma questo è un altro capitolo e, come è noto, nel M5s ogni giorno ha la sua pena.

Salvini e le contraddizioni sul codice stradale, tra velocità e tolleranza zero

Molti slogan “di pancia”, sulla scia dell’ultima tragedia della strada, qualche misura annunciata e rimangiata, in generale parecchia confusione. Non si capisce bene quale sia la linea politica del ministro dei Trasporti Matteo Salvini in tema di sicurezza stradale. Il leader della Lega aveva appena parlato di inasprimento del codice della strada, con pene esemplari per chi guida in stato d’ebrezza e regole ferree per i neo-patentati. Anche perché non poteva certo farsi scappare la possibilità di commentare, sull’onda emotiva dello sdegno generale, l’incidente mortale che ha visto coinvolti gli youtuber TheBordeLine a Casal Palocco. Ma intanto il Capitano ha aperto anche all’idea che il limite di 130 chilometri orari possa essere eliminato, su alcune tipologie di strade. Nonostante l’eccesso di velocità sia, secondo uno studio Aci/Istat, la terza causa di incidenti dopo le distrazioni alla guida e il mancato rispetto di una precedenza o di un semaforo. E soprattutto è il principale responsabile dei sinistri più gravi, spesso fatali. Secondo i dati della polizia stradale, dei 70.554 incidenti del 2022, 1.362 sono stati mortali, con 1.489 vittime, 28.914 persone con lesioni e 42.300 feriti. Numeri in aumento rispetto al 2021. Non è la prima delle contraddizioni di Salvini, che sul tema è già scivolato altre volte.

Matteo Salvini ha annunciato di voler alzare il limite di 130 km/h
Matteo Salvini presente ai funerali di Silvio Berlusconi (Getty).

Salvini vuole regole rigide, ma anche aumentare il limite di velocità

In un’intervista su Radio24, Salvini ha affermato di essere «convinto che su alcune tratte italiane a tasso di incidentalità prossimo allo zero, in alcuni orari, laddove ci sono tre, quattro o addirittura cinque corsie un superamento controllato degli attuali 130 chilometri orari come negli altri Paesi europei possa essere preso in considerazione». Al di là del riferimenti all’Europa, dove soltanto Bulgaria e Polonia hanno limiti in alcuni casi fissati a 140 km/h, l’idea pare cozzare con quanto detto più volte e ribadito, poche ore dopo, anche al Tg1: «Serve educazione stradale, ma serve anche tolleranza zero per chi sbaglia. Quindi revoca della patente per chi è recidivo, guidando drogato o ubriaco. E per i neopatentati l’impossibilità di guidare auto di grossa cilindrata per i primi tre anni e la sospensione della patente per chi viene trovato alla guida mentre usa il telefonino».

Salvini nel 2013 twittava: «Assenzio, limoncello e ora… sereni al volante»

E proprio sulla revoca della patente per chi viene trovato alla guida in stato d’ebrezza si registra un altro scivolone. Salvini nel 2013 twittava, dopo una «gran serata coi Fratelli Leghisti», qualcosa che lasciava intendere come lui stesso si fosse messo alla guida dopo aver bevuto: «Ginepro, assenzio, limoncello e ora… sereni al volante con Vasco! Liberi liberi siamo Noi!!!». Un tweet che oggi, dopo 10 anni, risulta incoerente con le posizioni prese, come gli è stato contestato già nel novembre 2022. In quell’occasione Salvini ha annunciato di essere «al lavoro sui codici» per cambiare le regole dopo la strage avvenuta in Emilia-Romagna, quando in un incidente automobilistico morirono tre bambini e una giovane donna di 22 anni. 

Il caso delle targhe alle biciclette: prima l’annuncio, poi il dietrofront

Ma non è finita, perché in tema di viabilità e sicurezza, Salvini ha recentemente annunciato alla Camera di voler presentare un «pacchetto che interverrà anche sulla mobilità dolce, sulle due ruote, prevedendo casco, assicurazione, targa e freccia obbligatorie per monopattini e biciclette». Poi, dopo 48 ore di polemiche e allarmi lanciati dalle varie associazioni, lui stesso ha smentito sul giornale Libero, dicendo che «qualcuno ha giocato a fare confusione». Salvini ha spiegato che «targhe, frecce, casco, assicurazioni e limiti di velocità sono per i monopattini, non per le biciclette». Un dietrofront in piena regola. E pensare che nel 2015, con un altro tweet, definiva «matti!» i membri del Partito democratico, dopo che «un senatore ha proposto di mettere targa, e di far pagare il bollo, anche a proprietari di BICICLETTA».

Matteo Salvini ha annunciato di voler alzare il limite di 130 km/h
Matteo Salvini durante Assarmatori 2023 (Imagoeconomica).

Il futuro di Mario Draghi tra politica e ruoli di alto profilo

Non c’è modo migliore che far sentire una presenza se ci si dedica a coltivare la propria assenza. Sembra diventata questa la regola cui obbedisce Mario Draghi, uno che anche quando da presidente del Consiglio era sotto i riflettori cercava di spegnerli. E non c’è modo migliore che far sapere di essere fuori dalla vita pubblica per creare le condizioni per potervi ritornare. Da quando non è più a Palazzo Chigi, l’ex premier e governatore della Banca centrale europea ha limitato uscite pubbliche e interventi. Fa eccezione la doppia apparizione, doverosa, ai funerali di Silvio Berlusconi e Flavia Franzoni, moglie di Romano Prodi che però, come in precedenza alle esequie romane di Benedetto XVI, non è stata accompagnata da esternazioni. Solo che a volte il silenzio dice più delle parole, come proprio lo stesso Draghi ha dimostrato dopo l’uscita dalla Bce. Cui seguì un lungo silenzio rotto in rare occasioni, come la celebre lettera al Financial Times del marzo 2020 sulla «guerra» al Covid-19, che letta col senno di poi fu la premessa della sua chiamata alla guida del governo.

Dei fedelissimi, solo Cingolani allineato con Meloni

Ma l’averlo visto se pur silente di nuovo in pubblico ha rinfocolato gli interrogativi: cosa ha in mente oggi Draghi? Davvero ha detto basta a politica e ruoli istituzionali o invece lui e i suoi lavorano al grande ritorno? L’inner circle che tra il 2021 e il 2022 ha blindato governo e apparati di Palazzo Chigi ha preso strade diverse: lo si trova in banche, aziende, ruoli nella pubblica amministrazione. Pochi di loro, primo fra tutti il neo amministratore delegato di Leonardo, Roberto Cingolani, in sinergia col governo Meloni. La maggior parte in aperta divergenza, a testimoniare la presenza di uno Stato profondo legato agli apparati di potere che trovano in Draghi un punto di riferimento, che non ha certo legittimato il “destra-centro” conservatore e con venature sovraniste.

Il futuro di Mario Draghi tra politica e ruoli di alto profilo
Roberto Cingolani (Imagoeconomica).

Giavazzi fulmina Giorgia sullo scaricabarile del Pnrr

A volte i Draghi boys esternano, e si intuisce che esprimono una posizione ampiamente condivisa con il loro ispiratore. Aveva iniziato a marzo 2023 Francesco Giavazzi, ex super consulente economico di Palazzo Chigi, oggi dominus della Scuola di amministrazione della Bocconi, fulminando Meloni e i suoi per lo scaricabarile sui ritardi sulla messa a terra del Piano nazionale di ripresa e resilienza: «Chi parla di ritardi del Pnrr non sa come funziona», ha tagliato corto il professore, per altro rimbrottato su Repubblica dal duo BoeriPerotti, ossia due suoi colleghi bocconiani.

Il futuro di Mario Draghi tra politica e ruoli di alto profilo
Francesco Giavazzi (Imagoeconomica).

Funiciello e il manifesto che è un’antitesi del melonismo

Ha proseguito, velatamente, Antonio Funiciello, neo Identity manager di Eni dopo esser stato capo di gabinetto di Draghi, pubblicando la dotta requisitoria sulla leadership “Leader per forza”, fondata sulla narrazione di una visione del potere capace di anticipare i cambiamenti per governarli, fautrice di pragmatismo e scelte anti-conflittuali. Un manifesto che da Mosè ad Angela Merkel propone esempi vicini e lontani, letto come un’antitesi all’attuale melonismo di governo.

Il futuro di Mario Draghi tra politica e ruoli di alto profilo
Antonio Funiciello (Imagoeconomica).

Garofoli, che bocciatura alla riforma della giustizia

Last but not least, è sceso in campo Roberto Garofoli, ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio e figlio del partito dei grand commis del Consiglio di Stato, di cui è presidente di Sezione. Sua la decisione di bocciare la madre di tutte le riforme proposte da Meloni, quella che in materia di giustizia abroga di fatto il reato di abuso d’ufficio.

Il futuro di Mario Draghi tra politica e ruoli di alto profilo
Roberto Garofoli (Imagoeconomica).

Anche Giugliano nel “partito draghiano” che si muove

Un fuoco di fila che mostra come i protagonisti della stagione draghiana non intendano garantire analoga e simmetrica lealtà a Meloni, che per un anno e mezzo è stata brava e disciplinata scolara dall’opposizione. Salvo poi giocare allo scaricabarile sul suo predecessore. Cosa che ha irritato non poco Draghi e i suoi. Civis Draghianus Sum è la parola d’ordine con cui i protagonisti del fu governo d’unità nazionale stanno tornando in pista ai più alti livelli della società civile e dell’impresa. Ultimo ad aggiungersi a questa lista è Ferdinando Giugliano, già portavoce a livello internazionale, speech writer e consigliere di Draghi, di recente approdato in Unicredit come responsabile delle attività di advocacy e public affairs. Insomma, se non è un “partito” draghiano – termine che l’ex governatore della Bce, forse pensando all’infausta esperienza di Mario Monti con Scelta civica, ha sempre disdegnato – poco ci manca.

Il futuro di Mario Draghi tra politica e ruoli di alto profilo
Ferdinando Giugliano (Imagoeconomica).

L’ambizioso discorso al Massachusetts Institute of Technology

E se c’è un manifesto del “Draghi-pensiero” per il post Palazzo Chigi lo si ritrova nel discorso tenuto il 7 giugno al Massachusetts Institute of Technology, in occasione del conseguimento del Premio Miriam Pozen. Un discorso definito da molti kissingeriano, di schietto realismo, di riconoscimento delle tare e dei limiti del sistema globalizzato, di esibita aderenza politica euro-atlantica. Un discorso-manifesto che pone di fatto come prioritaria per il Paese la necessità di un’autorevole e profonda visione su scala internazionale. Oltre, chiaramente, a evidenziare in filigrana quali possano essere le grandi ambizioni dell’ex premier e governatore che, nel breve periodo, non possono avere a che fare con incarichi nel settore privato o ambizioni nell’agone politico nostrano. Draghi ha deciso di volare alto. Problemi globali, di sfide a tutto campo: Intelligenza artificiale, inflazione, transizione energetica, sfida delle autocrazie. Nella consapevolezza che «i singoli Paesi europei, per quanto forti siano, sono troppo piccoli per padroneggiare queste sfide da soli. E più queste sfide sono grandi, più il cammino verso un’unica entità politica, economica e sociale, seppur lungo e difficile, diventa inevitabile. Il nostro viaggio che è iniziato molti anni fa, ed è accelerato con la creazione dell’euro, sta continuando».

Il futuro di Mario Draghi tra politica e ruoli di alto profilo
Mario Draghi (Imagoeconomica).

Un futuro da conferenziere ed editorialista, ma non solo

Draghi ha contezza dei «nostri tempi difficili. Ma i tempi non sono mai stati facili. Sono arrivato qui nell’agosto del 1972. Mentre ero uno studente, abbiamo avuto la guerra del Kippur, diversi shock petroliferi, il crollo del sistema monetario internazionale, il terrorismo imperversava in tutto il mondo e l’inflazione era fuori controllo, solo per citare alcuni eventi di quel tempo e naturalmente eravamo nella Guerra fredda». Da qui può esserci la fine del ciclo del Draghi di potere e l’inizio di quello del Draghi teorico di virtù e miserie dell’economia globalizzata? Forse. Dunque ci si può aspettare nel futuro prossimo un Draghi conferenziere, editorialista, narratore dei grandi scenari di sistema. Interprete insieme del posizionamento dell’Italia sulla scena internazionale e di ciò che i suoi alleati occidentali le chiedono.

Colle, Commissione Ue, Nato: le partite che interessano a Super Mario

Ciò non toglie che la politica sia un capitolo chiuso. L’ex premier è abile nel non chiedere mai ciò che vorrebbe, ma di farselo offrire. Vedi la vicenda Quirinale, che però ha visto frustrate, anche per suoi errori di strategia, le sue aspettative di insediarsi al Colle. Il 2024 sarà l’anno del rinnovo della Commissione europea e della segreteria della Nato. Emmanuel Macron, Joe Biden, Olaf Scholz e gli altri big dell’Occidente non possono che pensare con favore a un ritorno in pista di Super Mario. E il banchiere divenuto premier è nome spendibile per entrambi i ruoli. In quest’ottica, la logica di schierare il suo “partito” trasversalmente costringerebbe Meloni, con cui i rapporti sono attualmente molto freddi per non dire inesistenti, a prendere in considerazione la sua figura, di cui però potrebbe aver bisogno come sorta di testimonial nella sua campagna tesa a spostare gli assetti politici dell’Unione europea. Che poi Draghi accarezzi ancora l’idea del Quirinale non v’è dubbio, ma la rielezione di Sergio Mattarella colloca l’ipotesi molto avanti nel tempo.

Elezioni Regionali Molise 2023: data, candidati, liste e come si vota

I cittadini del Molise sono chiamati alle urne per eleggere il nuovo presidente della Regione più i 20 consiglieri regionali. Tre i candidati alle elezioni regionali: Francesco Roberti (centrodestra); Roberto Gravina (centrosinistra) e, infine, Emilio Lizzo, candidato indipendente. La lista della Democrazia Cristiana, con alla carica di governatore l’ex ministro Elisabetta Trenta, era stata esclusa dalla corsa alla candidatura per decisione del Consiglio di Stato, che ha respinto il ricorso presentato dal partito dopo una prima bocciatura arrivata dal Tar Molise. Saranno in totale 15 le liste in campo e ben 284 i candidati alla carica di consigliere per Palazzo D’Aimmo.

Nelle giornate di domenica 25 e lunedì 26 giugno, i cittadini del Molise voteranno per eleggere il presidente regionale e i venti consiglieri.
Schede elettoriali (Getty Images).

Le liste dei candidati alle elezioni regionali 2023 in Molise

Tre candidati, tre sfidanti per le elezioni del presidente del Molise: il candidato del centrodestra, Francesco Roberti, ingegnere e docente di Elettronica presso l’I.I.S.S. Ettore Majorana di Termoli, si presenta con la lista Roberti presidente per il Molise. A sostenerlo politicamente vi saranno Lega Salvini premier, Unione di centro, Fratelli d’Italia, Forza Italia, Popolari per l’Italia, il Molise che Vogliamo e Il Molise in buone mani-Noi moderati. Per il centrosinistra, Roberto Gravina, avvocato e sindaco di Campobasso dal 2019, si candida con la lista Gravina Presidente 2023, risultato di un’intesa tra il M5S, Costruire democrazia, Molise democratico e socialista, Alleanza verdi-sinistra italiana, Partito democratico e Gravina presidente Progresso Molise. Emilio Izzo, attivista, è invece il terzo candidato indipendente con la lista Movimento politico di salvezza pubblica «Io non voto… (i soliti noti)».

Come si vota alle regionali in Molise

I seggi per l’elezione del presidente della Regione del Molise e dei venti consiglieri resteranno aperti dalle 7 alle 23 di domenica 25 giugno e dalle 7 alle 15 di lunedì 26 giugno. Non è ammesso il voto disgiunto né il ricorso al ballottaggio. La coalizione del presidente eletto avrà diritto ad almeno 12 seggi. In materia di soglie di sbarramento, saranno escluse dalla ripartizione dei seggi, la o le liste collegate a un candidato presidente con meno dell’8 per cento dei voti e le liste in coalizione che abbiano ottenuto meno del 3 per cento dei voti.

Beppe Grillo ironizza sulle polemiche: «Hanno visto un uomo aggiustare tombini in passamontagna»

Beppe Grillo torna sulle brigate di cittadinanza, dopo le polemiche del fine settimana scorso e le parole pronunciate sabato sul palco di Roma, durante la manifestazione del Movimento 5 stelle. Con il consueto sarcasmo, il comico e cofondatore del partito, ha invitato tutti alla calma: «Per favore, fermatevi. Era una boutade. Ma è possibile che prendete tutto sul serio?». Il riferimento è alla frase che ha scatenato le critiche: «Volete il leader, ma siate i leader di voi stessi. Fate le brigate di cittadinanza, mettete il passamontagna e di nascosto andate a fare i lavoretti, mettete a posto marciapiedi, aiuole, tombini. Fate il lavoro e scappate. Reagite!». Parole che i suoi avversari politici, tanto dall’area di centrodestra quanto dal Terzo polo, hanno utilizzato per attaccarlo.

Beppe Grillo ha parlato di «brigate di cittadinanza» sabato 17 giugno 2023
Beppe Grillo si rivolge alla folla durante la manifestazione del 17 giugno 2023 (Imagoeconomica).

Grillo ironizza: «Visto un idraulico pensionato che aggiustava i tombini»

Grillo, che attualmente ha il ruolo di Garante all’interno del Movimento 5 stelle, ha risposto alle critiche scherzando: «Voglio dire: fermatevi, perché mi sono arrivate delle notizie drammatiche veramente. È stato avvistato un pensionato di 74 anni, un idraulico che stava aggiustando sei tombini di notte con un passamontagna. Fermatevi! Un albanese di 64 anni con cazzuola ha messo a posto otto marciapiedi durante la notte con il passamontagna. Non si può andare avanti così. Fermatevi. Ci vuole anche una legge: il governo deve reagire. Deve fare una legge. Abolire l’abuso d’ufficio e mettere l’abuso di lavori socialmente utili. Finitela, siate coerenti con voi stessi, con il governo e con la politica. Smettetela perché sennò scoppia veramente un casino ottimale».

Conte lo ha difeso: «Le sue parole strumentalizzate»

Nelle scorse ore, anche il leader del Movimento 5 stelle, l’ex premier Giuseppe Conte, ha commentato la vicenda difendendo Grillo: «I media mainstream hanno provato a ignorare la piazza di Roma, strumentalizzando una frase del discorso tenuto da Beppe Grillo sul palco di chiusura. Una frase estrapolata dal suo contesto e criminalizzata perché, accarezzando il gusto del paradosso, incitava i presenti a indossare il passamontagna per compiere non già azioni violente, bensì pacifiche e utili per la propria comunità».

Beppe Grillo ha parlato di «brigate di cittadinanza» sabato 17 giugno 2023
Giuseppe Conte e Beppe Grillo durante la manifestazione (Imagoeconomica).