Paola Severino scrive a Lettera43

La precisazione della professoressa dopo la pubblicazione dell'articolo "Confindustria, si rompe lo storico asse tra Abete e Marcegaglia".

Caro Direttore, faccio riferimento all’articolo dal titolo: “Confindustria, si rompe lo storico asse tra Abete e Marcegaglia“, per precisare quanto segue: conosco allo stesso modo Carlo Bonomi, Licia Mattioli e Andrea Illy, per averli incontrati in occasione di dibattiti ed eventi pubblici e non ho alcun ruolo in Confindustria che possa giustificare una mia propensione per l’uno o l’altro candidato. Rilevo soltanto che si tratta di candidati tutti di alto profilo e me ne compiaccio, considerando l’importanza del ruolo che dovrà essere svolto.  Nell’invitarla a pubblicare questa mia, la saluto cordialmente. Paola Severino

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Non è una Libia per Putin

Il rifiuto da parte di Haftar della tregua chiesta da Mosca e Ankara dice molto del conflitto. Sicuramente che il Cremlino, sebbene supporti il generale, nel Paese non ha la stessa influenza che ha in Siria. E soprattutto che il vero obiettivo di Egitto, Arabia Saudita ed Emirati è quello di annientare la Fratellanza Musulmana.

Nella logica che ha portato Khalifa Haftar a rifiutare sdegnosamente la tregua dei combattimenti a Tripoli proposta da Vladimir Putin e Recep Tayyp Erdogan si leggono con nettezza tutte le dinamiche della crisi.

Innanzitutto si comprende che la tregua non è stata rifiutata dal leader della Cirenaica, ma dai suoi sponsor dei quali è solo l’obbediente terminale: Egitto, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti

Il Cairo, Riad ed Abu Dhabi non intendono affatto recedere dalla strategia -per loro peraltro già costosissima – intrapresa nell’aprile scorso: controllare tutta la Libia e, nel farlo, distruggere letteralmente i Fratelli Musulmani, che sono il baricentro politico sul quale si regge il governo di Fayez al-Serraj, in una logica che va ben al di là del contesto libico ma che guarda alla egemonia politica in tutta la Umma.

IL VERO OBIETTIVO È ANNIENTARE LA FRATELLANZA MUSULMANA

Sbaglia chi legge nella crisi libica solo uno scontro sul petrolio. Al Sisi, Mohammed bin Salman e l’emiro Khalīfa Āl Nahyān intendono annientare ovunque possono la Fratellanza Musulmana anche e soprattutto per ragioni di politica interna. Per loro è vitale impedire che la Libia segni una sua resurrezione, tanto più dopo il golpe di al Sisi del 2013 che ha spodestato Mohammed Morsi. Il Cairo non può letteralmente sopportare che ai suoi confini governi un esecutivo che attraverso porosissimi confini dia fiato ai Fratelli Musulmani egiziani sconfitti e perseguitati con durezza, ma non domi. Posizione fieramente supportata dai sauditi come dagli emiratini.

PER PUTIN LA LIBIA NON È LA SIRIA

Ma il rifiuto della tregua da parte di Haftar ci spiega anche – come previsto da chi scrive giorni fa – che il peso della Russia e di Putin nella crisi libica non è neanche lontanamente paragonabile con quello consolidato dal Cremlino in Siria. Il generale della Cirenaica può impunemente far fare una pessima figura a Putin, quasi irriderlo, senza timore di pagarne il prezzo, per la semplice ragione che il Cremlino lo appoggia, ma con discrezione, senza esporsi (con l’assenso all’azione dei mercenari della organizzazione Wagner) e quindi non ha armi forti di pressione. Il grosso delle forze militari di Haftar è composto dall’azione della aviazione emiratina e dai 2.000 e più mercenari nordafricani finanziati con le centinaia di milioni di dollari arrivati a Bengasi da Riad e dal Cairo. Questa relativa marginalità di Putin spiega perché sbaglia chi nei giorni scorsi ha ipotizzato uno scenario di divisione delle aree di influenza in Libia tra Mosca ed Ankara. Perché Putin conta poco e Erdogan non conta ancora abbastanza nella partita libica.

L’INCOGNITA TURCA

Infine, ma non per ultimo, il rifiuto della tregua da parte di Haftar ci indica che l’esito della esiziale battaglia per Tripoli dipende ora solo e unicamente dalla rapidità e dalla efficacia dell’arrivo sul terreno della potenza di fuoco e della strategia militare dell’esercito e della aviazione turca. È questa a oggi un’incognita, perché non ci sono precedenti di operazioni militari turche a centinaia di chilometri dai propri confini, ma tutto indica che Erdogan intenda non solo ingaggiarsi con forza nella battaglia di Tripoli, ma anche schierare da subito un contingente che la vinca e vinca l’avventurismo di Haftar. Si deve tenere conto dei numeri, della limitatissima massa critica dei combattenti sul campo: 2-3.000 per ogni fronte. Non è difficile per il contingente turco sbarcare in Libia con un impatto e una massa offensiva sufficienti a contrastare e anche a sbaragliare poche migliaia di avversari.

LEGGI ANCHE: Conte e Di Maio scelgano da che parte stare in Libia

Erdogan infatti ha motivazioni speculari, opposte, a quelle di Riad, del Cairo e di Abu Dhabi. Se gli riuscirà di imporre il salvataggio in extremis del governo di al-Serraj (e quindi il rafforzamento definitivo dei Fratelli Musulmani libici) e di battere militarmente Haftar e i suoi alleati, segnerà una vittoria determinante, pesantissima, per l’egemonia politica nel campo sunnita (1 miliardo di fedeli) in tutto il Mediterraneo, il Medio Oriente e anche l’Asia. Inoltre conseguirebbe un enorme vantaggio – come ben si vede dal suo accordo sulle acque territoriali con al Serraj – nella spartizione degli immensi giacimenti metaniferi del Mediterraneo. Altra, cruciale ragione che rende la battaglia in corso esiziale e non componibile per i due fronti di Paesi musulmani oggi l’un contro l’altro armati. In questo contesto infine, poco sollievo ci viene dal registrare la piena sintonia tra il dilettantismo e le gaffe del governo italiano con quelli della Ue e delle capitali europee.

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Usa: annunciate nuove sanzioni all’Iran dopo l’attacco missilistico

Le misure colpiscono vari settori, tra cui il manifatturiero, il tessile, il minerario, nonché otto dirigenti ritenuti coinvolti nell'attacco. Trump: «Teheran è il principale sponsor mondiale del terrorismo».

Continuano le rappresaglie tra Teheran e Washington. Il 10 gennaio 2020, è infatti arrivata la risposta Usa all’attacco iraniano alle due basi statunitensi in Iraq. Il segretario al Tesoro Steve Mnuchin e il segretario di Stato Mike Pompeo hanno annunciato in una conferenza stampa alla Casa Bianca nuove sanzioni contro Teheran. Le misure colpiscono vari settori, tra cui il manifatturiero, il tessile, il minerario (acciaio e alluminio in particolare), nonché otto dirigenti ritenuti coinvolti nell’attacco. Tra questi ci sono il segretario del Consiglio supremo di sicurezza iraniano Ali Shamkhani e il comandante della milizia Basij Gholamreza Soleimani.

TRUMP: «LE SANZIONI RESTERANNO FINCHÉ L’IRAN NON CAMBIERÀ ATTEGGIAMENTO»

Secondo il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, le nuove sanzioni «avranno un enorme impatto sull’economia dell’Iran» e taglieranno «sostanziali entrate che potrebbero essere usate per sostenere lo sviluppo del programma nucleare e missilistico, il terrorismo e i gruppi terroristici nella regione». Trump ha sottolineato come il regime di Teheran sia «responsabile per gli attacchi contro il personale e gli interessi degli Stati Uniti» e resti «il principale sponsor mondiale del terrorismo». Il presidente ha anche detto che «le sanzioni economiche all’Iran resteranno finché il regime non cambierà atteggiamento. E gli Stati Uniti sono pronti ad abbracciare la pace con tutti coloro che la cercano».

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Green Deal: l’Ue apre ad aiuti per casi come l’Ilva

Una speranza per l’Ilva di Taranto potrebbe arrivare dall’Europa. Più precisamente dal Green Deal. Il nuovo Fondo europeo per la..

Una speranza per l’Ilva di Taranto potrebbe arrivare dall’Europa. Più precisamente dal Green Deal.

Il nuovo Fondo europeo per la transizione verso un’economia verde partirà con un stanziamento di base di 7,5 miliardi e dal 2021 permetterà di finanziare con risorse pubbliche «la modernizzazione» di grandi impianti industriali e «la bonifica di siti contaminati» – e quindi potenzialmente anche Taranto – senza violare le regole Ue sugli aiuti di Stato.

È quanto emerge dalla bozza delle proposte che la Commissione europea presenterà martedì prossimo di cui l’Ansa ha preso visione.

LEGGI ANCHE: Cosa è il Green Deal dell’Unione europea

PER L’UE IN 7 ANNI SI POTRANNO MOBILITARE FINO A 50 MLD

La Commissione Ue propone che il nuovo fondo (Fte) sia accessibile «a tutti gli Stati membri» e rientri all’interno delle politiche di coesione. Il fondo potrà contare su 7,5 miliardi di euro di risorse fresche per il 2021-2027. A questo stanziamento si aggiungeranno i cofinanziamenti nazionali e le risorse che gli Stati dovranno trasferire dai fondi per lo sviluppo regionale (Fesr) e sociale (Fse+). Il meccanismo alla base della proposta prevede che per ogni euro ricevuto dal Fte, i Paesi trasferiscano «da un minimo di 1,5 a un massimo di 3 euro» provenienti dagli altri fondi Ue. Secondo Bruxelles, grazie a questo meccanismo in sette anni potranno essere mobilitati fondi pubblici «fra i 30 e i 50 miliardi». Lo strumento rientrerà in un più ampio Meccanismo per la transizione verde che ambisce ad attirare investimenti pubblici e privati per 100 miliardi. La Commissione chiede che siano i Paesi a «identificare i territori» bisognosi del sostegno del Fte, che in Italia coincideranno con le Province (categorizzate tecnicamente come NUTS 3), e a redigere piani di transizione territoriale ad hoc. Il Fte potrà finanziare anche «investimenti produttivi in aziende diverse dalle Pmi», quando «sono necessari per l’attuazione dei piani di transizione territoriali».

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Cosmofarma: siglato nuovo accordo strategico tra Fofi, Federfarma, Fondazione Cannavò e Utifar

L'obiettivo è rendere Cosmofarma un’opportunità irrinunciabile nel panorama delle fiere internazionali di settore.

Un accordo strategico per dare ulteriore forza a Cosmofarma, la manifestazione leader a livello europeo dedicata al mondo della farmacia. Lo ha annunciato il 10 gennaio 2020 Bos (BolognaFiere Cosmoprof – Senaf), durante una conferenza stampa congiunta, tenutasi a Milano presso l’Ordine dei Farmacisti delle Province di Milano, Lodi e Monza Brianza.

COSMOFARMA: UN’OPPORTUNITÀ IRRINUNCIABILE

Dall’unione tra Fofi (Federazione Ordini farmacisti italiani), Federfarma (Federazione nazionale dei titolari di farmacia italiani), Fondazione Francesco Cannavò e Utifar (Unione tecnica italiana farmacisti) è nata la volontà di rendere Cosmofarma un’opportunità irrinunciabile nel panorama delle fiere internazionali di settore, un’occasione di aggiornamento, confronto e discussione per gli operatori del comparto, in un contesto normativo come quello farmaceutico in costante evoluzione.

Gianfranco Ferilli (Bos)
Gianfranco Ferilli, amministratore delegato di Bos Srl

FERILLI (BOS): «QUESTA PARTNERSHIP HA UN’IMPORTANZA STRATEGICA»

«Questa partnership – ha spiegato Gianfranco Ferilli, amministratore delegato di Bos Srl – assume un’importanza strategica i partner insieme daranno ulteriore sostanza e slancio a una manifestazione che, da sempre, è la vetrina aggiornata di quanto accade nel mondo della farmacia e rappresenta un punto di riferimento per tutti gli operatori di questo settore».

Andrea Mandelli (presidente Fofi)
Andrea Mandelli, presidente Fofi

MANDELLI (FOFI): «VOGLIAMO RIAFFERMARE I VALORI DELLA PROFESSIONE»

È dello stesso avviso anche Andrea Mandelli, presidente di Fofi: «Cosmofarma è da sempre un momento di incontro importante per la farmacia italiana e per i colleghi che operano sul territorio, una manifestazione che suscita interesse in tutto il sistema salute italiano. La partecipazione e il patrocinio, da quest’anno, della Federazione degli Ordini dei farmacisti italiani nascono dalla nostra politica mirata a essere sempre al fianco di tutte le componenti del nostro mondo, per riaffermare i valori della professione, la sua spinta al cambiamento e al confronto con tutti gli attori del comparto. Sono certo che la collaborazione tra Federfarma, Fondazione Cannavò, e Utifar sarà fondamentale per aggiungere nuovi contenuti, al di là dell’aspetto espositivo, a questa manifestazione».

COSSOLO (FEDERFARMA): «OCCORRE OPERARE PER UNA FARMACIA SEMPRE PIÙ LEGATA AL TERRITORIO»

«Sono pienamente soddisfatto di quest’accordo, che segna un momento decisivo nella storia di Cosmofarma – ha detto Marco Cossolo, presidente di Federfarma. Tutte le componenti del settore hanno deciso di unire le forze per imprimere una svolta alla manifestazione che ormai da anni rappresenta un appuntamento irrinunciabile per la Farmacia italiana. Ampliando l’offerta culturale con convegni e incontri mirati, l’evoluzione di Cosmofarma ben si accorda con l’obiettivo di Federfarma, Fofi, Fondazione Cannavò e Utifar di operare congiuntamente per una farmacia sempre più legata al territorio e capace di rispondere efficacemente alle esigenze di salute di una popolazione che sta vivendo un profondo cambiamento».

Marco Cossolo, presidente Federfarma

D’AMBROSIO LETTIERI: «CI IMPEGNEREMO PER ACCRESCERE IL PATRIMONIO DI SAPERI E COMPETENZE»

«La Fondazione Cannavò è convinta partner di Federfarma e UTIFAR nella realizzazione, con il patrocinio della FOFI, di un’iniziativa che rappresenta un consolidato momento di utile confronto – ha spiegato Luigi D’Ambrosio Lettieri, presidente Fondazione Francesco Cannavò – in particolare oggi che la professione e la farmacia italiana, quale presidio sanitario polifunzionale del territorio, sono chiamati a svolgere ruolo e funzioni strategiche per la tutela della salute e la sostenibilità del sistema sanitario, coerentemente con la mission della Fondazione Cannavò, che è nata per valorizzare sotto tutti gli aspetti la nostra professione, ci impegneremo a dare il nostro contributo soprattutto sui temi tecnici e scientifici, per accrescere il patrimonio di saperi e competenze necessari al farmacista per affrontare le sfide sempre più impegnative della nuova governance sanitaria e delle politiche del welfare».

LEOPARDI (UTIFAR): «IL FARMACISTA SI OCCUPERÀ ANCHE DI OFFRIRE SERVIZI»

«La collaborazione tra Utifar, Fofi, Federfarma e Fondazione Cannavò con Cosmofarma, rappresenta un importante valore aggiunto per consolidare il ruolo di rilievo della manifestazione, teatro di idee feconde per il nostro settore – ha detto Eugenio Leopardi, presidente di Utifar – in un momento di grande evoluzione della farmacia, in cui il farmacista, oltre alla dispensazione di farmaci e consigli, si occuperà anche di offrire servizi, la sinergia tra queste importanti sigle della categoria, certamente fornirà il giusto indirizzo, attraverso un appropriato programma scientifico, che accompagnerà la vision delle più importanti novità del settore».

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Il successo di Matera 2019 come esempio per Torino 2033

L’esperienza di Matera Capitale Europea della Cultura 2019 è stata al centro della riunione della V Commissione Consiliare del Comune di Torino svoltasi questa mattina preso il Palazzo Civico.
Nel corso dell’incontro, dedicato al tema della candidatura di Torino a Capitale Europea della Cultura per il 2033, è stato invitato, insieme al Rappresentante del Rettore del Politecnico di Torino, prof. Juan Carlos De Martin, delegato per la Cultura e la comunicazione, anche il Direttore Generale della Fondazione Matera Basilicata 2019, Paolo Verri, che ha illustrato il percorso condotto dalla città lucana.
Erano presenti l'Assessore alla cultura del Comune di Torino, Francesca Paola Leon, e il Presidente della V Commissione, Massimo Giovara.
Verri, in particolare, dopo aver ripercorso la storia delle capitali europee della cultura, si è soffermato sui principali aspetti che hanno caratterizzato la candidatura di Matera e sulle ragioni per cui la città è riuscita a guadagnare questo titolo. Una parte della testimonianza di Verri ha invece riguardato il programma culturale organizzato nel 2019 e il tema dell'eredità che lascia questo anno da capitale. Al termine dell'incontro Verri ha risposto alle domande dei consiglieri comunali presenti.
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Matera 2019, prorogata la grande mostra “Blind Sensorium”

Grazie alla collaborazione con il Comune di Matera e il Polo Museale della Basilicata, è stata prorogata fino all'8 marzo l’ultima delle quattro grandi mostre di Matera Capitale Europea della Cultura 2019 inaugurata il 6 settembre 2019 presso il Museo Archeologico Nazionale Domenico Ridola. Co-prodotta dalla Fondazione Matera Basilicata 2019 e dal Polo Museale della Basilicata, la mostra è il risultato di una ricerca decennale  condotta dal fotografo e filmmaker Armin Linke sull’Antropocene. L’autore indaga l’origine e lo sviluppo della nuova era in cui, per la prima volta, l’uomo diventa un fattore geologico in grado di produrre cambiamenti irreversibili sul pianeta Terra.
Il percorso, articolato tra la ex scuola Volta e la palazzina FIO del Museo Ridola (utilizzata per l’occasione come spazio espositivo), conduce i visitatori in una prima sezione fotografica introduttiva che mostra il lavoro di documentazione e archiviazione condotto da Linke.  Si passa poi a esplorare, entrando nei depositi del museo, gli insediamenti umani che a partire dal Paleolitico arrivano ai giorni nostri,  facendo riflettere sull’origine dell’Antropocene ed il futuro di questa nuova era geologica.
I laboratori, curati da Studio Obelo, da mesi vedono gli studenti di tutte le scuole impegnati attivamente nel rielaborare propri immaginari e riflessioni sui cambiamenti climatici provocati dalle immagini e dai video di  Armin Linke. A partire da sabato 18 gennaio, tutti i fine settimana i  laboratori - preceduti dalle visite guidate - saranno estesi anche alle famiglie e ai visitatori organizzati in gruppi. I laboratori si svolgeranno nelle giornate di sabato e domenica pomeriggio, ore 17:00.
Alla mostra si accede con il Passaporto per Matera 2019 - il titolo di accesso agli eventi del programma ufficiale della Capitale Europea della Cultura 2019 - acquistabile presso l’Infopoint di Via Lucana.
Fino al 31 gennaio, con il Passaporto sarà possibile utilizzare gratuitamente gli autobus urbani e vistare le altre mostre, ancora in corso, del programma di Matera 2019:
• Echi d’Acqua – coprodotta con Loxos Concept, Palombaro Lungo, fino al 19 gennaio (dalle ore 09.30 alle 11.00 e dalle ore 15.00 alle 16.30).
• Padiglioni Invisibili – coprodotta con SouthHeritage, Fondazione SouthHeritage, fino al 19 gennaio (dalle ore 10.00 alle 13.00 e dalle ore 17.00 alle 20.00. Chiuso il lunedì e il martedì).
• Abitare gli archivi: vita, movimento, raccolto e Ripetizione Spaziata – progetto I-DEA, Hangar di Cava Paradiso, fino al 20 gennaio (venerdì-sabato-domenica, dalle ore 10:00 alle 19:00).
• Terrae Motus, Palazzo Acito, fino al 20 gennaio (dalle ore 09.00 alle 13.00 e dalle ore 16.00 alle 20.00).
• Mediterranea - coprodotta con Polo Museale della Basilicata, Museo Ridola, fino al 19 gennaio (tutti i giorni dalle ore 09:00 alle 20:00. Lunedì dalle ore 14:00 alle 20:00)
• Shirin Neshat. Matera 2019. Remembrance / In Trance - coprodotta con Polo Museale della Basilicata, Palazzo Lanfranchi, fino al 12 gennaio (tutti i giorni dalle ore 9:00 alle 20:00. Mercoledì dalle ore 11:00 alle 20:00).
• Numbers / Computed art / Elementi di calcolo trascendentale, progetto “La poetica dei numeri primi” - coprodotta con Polo Museale della Basilicata, Palazzo Acito, fino al 20 gennaio (dalle ore 09.00 alle 13.00 e dalle ore 16.00 alle 20.00).
• Presepio e presepi, progetto “I Cammini” - coprodotto con Parco Culturale Ecclesiale Terre di Luce fino al 10 gennaio (ore 12:00).
Oltre a Blind Sensorium, altre due mostre coprodotte con il Polo Museale della Basilicata saranno visitabili anche dopo il 31 gennaio, utilizzando il biglietto standard acquistabile presso i Musei:
• Riempire il vuoto. Le simmetrie da M.C. Escher ai contemporanei / Numeri nel tempo. Contare, misurare, calcolare trascendentale - progetto “La poetica dei numeri primi”, Museo archeologico nazionale di Metaponto, fino al 28 febbraio (tutti i giorni dalle ore 09:00 alle 20:00. Lunedì dalle ore 14:00 alle 20:00).
• Maria Lai e Antonio Marras, Trama Doppia, Matera, Palazzo Lanfranchi fino all’8 marzo (tutti i giorni dalle ore 09:00 alle 20:00. Mercoledì dalle ore 11:00 alle 20:00).

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Eclissi lunare: le cose da sapere sulla prima del 2020

L'appuntamento è per il 10 gennaio, poco dopo le 18. L'evento durerà circa quattro ore e sarà visibile dall'Italia.

Il 2020 inizia con un fenomeno astronomico spettacolare. Il 10 gennaio, infatti, poco dopo le 18, ci sarà la prima eclissi lunare dell’anno. E sì, sarà visibile dall’Italia. In pratica, questa sera, la Luna sembrerà offuscata da un velo che ne indebolirà la luce, generando un effetto suggestivo. Sarà infatti un’eclissi lunare di penombra, che si verifica quando la Luna passa attraverso la parte più esterna del cono d’ombra che la Terra proietta nello spazio. Il fenomeno astronomico, visibile da Europa, Asia e Africa, durerà circa quattro ore: comincerà alle 18.07, con l’effetto di affievolimento della luce lunare che inizierà sul lato sinistro della Luna, avrà il suo culmine alle 20.10 e terminerà alle 22.10.

SI OFFUSCHERÀ IL 90% DEL DISCO LUNARE

Sarà una delle migliori eclissi lunari di penombra possibili perché al momento massimo dell’evento circa il 90% del disco lunare sembrerà offuscarsi: «Quella è in pratica la percentuale del disco lunare che si troverà all’interno della penombra della Terra», ha detto all’Ansa Paolo Volpini, dell’Unione astrofili italiani (Uai).

LE QUATTRO ECLISSI LUNARI DI PENOMBRA DEL 2020

Quella del 10 gennaio è la prima delle quattro eclissi di penombra previste nel 2020, le altre si verificheranno il 5 giugno, il 5 luglio e il 30 novembre. Quest’anno non ci saranno eclissi lunari parziali o totali che si verificano quando la Luna entra parzialmente o totalmente nel cono d’ombra della Terra.

CHE COS’È L’ECLISSI LUNARE PENOMBRALE

L’eclissi lunare penombrale avviene quando la Luna transita solo ed esclusivamente per la penombra della Terra, senza però essere nascosta dall’ombra. Ci sono due tipi diversi di eclissi lunare penombrale: totale, quando è visibile una piccolissima parte dell’ombra, ma solo se la Luna transita completamente all’interno della penombra; parziale, quando ne viene oscurata solo una parte.

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Eclissi lunare: le cose da sapere sulla prima del 2020

L'appuntamento è per il 10 gennaio, poco dopo le 18. L'evento durerà circa quattro ore e sarà visibile dall'Italia.

Il 2020 inizia con un fenomeno astronomico spettacolare. Il 10 gennaio, infatti, poco dopo le 18, ci sarà la prima eclissi lunare dell’anno. E sì, sarà visibile dall’Italia. In pratica, questa sera, la Luna sembrerà offuscata da un velo che ne indebolirà la luce, generando un effetto suggestivo. Sarà infatti un’eclissi lunare di penombra, che si verifica quando la Luna passa attraverso la parte più esterna del cono d’ombra che la Terra proietta nello spazio. Il fenomeno astronomico, visibile da Europa, Asia e Africa, durerà circa quattro ore: comincerà alle 18.07, con l’effetto di affievolimento della luce lunare che inizierà sul lato sinistro della Luna, avrà il suo culmine alle 20.10 e terminerà alle 22.10.

SI OFFUSCHERÀ IL 90% DEL DISCO LUNARE

Sarà una delle migliori eclissi lunari di penombra possibili perché al momento massimo dell’evento circa il 90% del disco lunare sembrerà offuscarsi: «Quella è in pratica la percentuale del disco lunare che si troverà all’interno della penombra della Terra», ha detto all’Ansa Paolo Volpini, dell’Unione astrofili italiani (Uai).

LE QUATTRO ECLISSI LUNARI DI PENOMBRA DEL 2020

Quella del 10 gennaio è la prima delle quattro eclissi di penombra previste nel 2020, le altre si verificheranno il 5 giugno, il 5 luglio e il 30 novembre. Quest’anno non ci saranno eclissi lunari parziali o totali che si verificano quando la Luna entra parzialmente o totalmente nel cono d’ombra della Terra.

CHE COS’È L’ECLISSI LUNARE PENOMBRALE

L’eclissi lunare penombrale avviene quando la Luna transita solo ed esclusivamente per la penombra della Terra, senza però essere nascosta dall’ombra. Ci sono due tipi diversi di eclissi lunare penombrale: totale, quando è visibile una piccolissima parte dell’ombra, ma solo se la Luna transita completamente all’interno della penombra; parziale, quando ne viene oscurata solo una parte.

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Boeing, «il 737 Max è progettato da clown e controllato da scimmie»

Resi pubblici documenti e mail in cui alcuni dipendenti prendevano in giro le autorità e insabbiavano i difetti di progettazione dell'aereo delle tragedie.

Nuova grana per la Boeing. Dopo le dimissioni il 23 dicembre scorso dell’amministratore delegato Dennis Muilenburg a causa della crisi del 737 Max, sono stati resi pubblici migliaia di email e documenti interni contenenti critiche e prese in giro alle autorità e non solo proprio sul 737 Max, l’aereo ormai a terra da mesi dopo due incidenti mortali che sono costati la vita a 346 persone.

Il 737 Max è stato «progettato da clown e controllato da scimmie», si legge in una delle email dalle quali emerge anche come i dipendenti di Boeing abbiano convinto, anche ricorrendo ad alcuni trucchi, le compagnie aeree e le autorità che non fosse necessario alcun addestramento con simulatori per i piloti del velivolo. Alcuni dipendenti del colosso Usa dunque erano a conoscenza dei difetti di progettazione del Max737. «Non sono ancora stato perdonato da Dio per tutto l’insabbiare che ho dovuto fare l’anno scorso», è scritto in un messaggio del 2018.

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Perché le elezioni a Taiwan preoccupano la Cina

L'isola ribelle al voto, con lo spettro di Hong Kong. Favorita la presidente uscente Tsai Ing-wen sfidata da Han Kuo-yu, leader del Kuomintang filo-Pechino, e dal terzo incomodo James Soong, appoggiato dal patron Foxconn. Le cose da sapere.

Sabato 11 gennaio, quella che per la Cina resta ancora oggi “l’isola ribelle” per antonomasia, Taiwan, andrà al voto per eleggere il presidente della Repubblica.

La Republic of China (ROC, in sigla) – come si auto denominò ai tempi della fuga del “generalissimo” Chang Chai Shek di fronte alle truppe comuniste di Mao Zedong, in contrapposizione all’allora nascente (e vittoriosa) People Republic of China (PRC) che prendeva vita a Pechino – resta ancora oggi la spina nel fianco più dolorosa per il regime cinese

TAIWAN, LA NAZIONE CHE NON C’È

Una nazione che in realtà assomiglia sempre di più, almeno dal punto di vista del diritto internazionale, a una “nazione che non c’è”, grazie al feroce ostracismo di Pechino che ha praticamente imposto con ogni mezzo ai governi del Pianeta di non riconoscerla ufficialmente, se si eccettuano poco più di una quindicina di Paesi, per lo più staterelli dei Caraibi e africani.

LEGGI ANCHE: Le voci degli ultimi di Hong Kong

Anche il Vaticano, che da sempre manteneva salde relazioni diplomatiche con Taipei e non con Pechino, ormai stregato anch’esso dal fascino ammaliante della nuova superpotenza globale, pare si appresti a cambiare presto barricata.

A Taipei, capitale di quella che, ai tempi del dominio spagnolo sull’isola, si chiamava Formosa (da hermosa, bella, in spagnolo appunto), non sembrano preoccuparsene più di tanto, mentre ormai la campagna elettorale è alle ultimissime battute.

I TRE CANDIDATI ALLA PRESIDENZA

I due partiti che ancora una volta si fronteggiano sono il vecchio, pluri-trasformista e ormai apertamente filocinese Kuomintang o Partito nazionalista (Kmt), fondato all’epoca proprio da Chang Chai Shek, con il suo candidato, Han Kuo-yu, e il Partito democratico progressista (Dpp) a vocazione fortemente indipendentista guidato della attuale presidente in carica e candidata, Tsai Ing-wen, data per favorita fino al silenzio pre-elettorale imposto ai sondaggi con l’arrivo del nuovo anno. Una donna combattiva e risoluta che ha sempre messo molta paura e procurato molti fastidi a Pechino nel corso del suo mandato. A fare da terzo incomodo, il piccolo ma agguerrito People First Party (Pfp), con candidato James Soong.

TSAI ING-WEN DATA PER FAVORITA

L’andamento del dibattito pre-elettorale in corso ha fatto emergere la differente situazione in cui si trovano Tsai e Han. La presidente, che fino alla sofferta designazione a candidata da parte del suo partito, il Dpp, era apparsa in serio svantaggio nei sondaggi, oggi viene considerata protagonista di una sensazionale rimonta.

La presidente uscente e candidata del Democratic Progressive Party, Tsai Ing-wen (Getty Images).

Secondo gli ultimi dati disponibili (ricordiamo che dal primo gennaio è scattato appunto il divieto di pubblicazione) Tsai sarebbe sopra in vantaggio su Han di circa 10 punti.

IL PATRON DI FOXCONN SOSTIENE SOONG

A scompigliare le carte di questa campagna elettorale taiwanese già di per sé agguerritissima, c’è poi il convitato di pietra, il potentissimo uomo d’affari Terry Gou, l’uomo più ricco di Taiwan, proprietario del colosso cinese Foxconn, prima azienda al mondo nella produzione di componentistica per apparecchiature elettroniche, che tempo fa ha annunciato il suo supporto al candidato presidente James Soong e al suo People First Party.

Il leader del People First Party, James Soon (Getty).

Una presa di posizione davvero ingombrante, che ha pesato molto nel dibattito elettorale e che Gou ha motivato facendo riferimento alla corruzione e all’incapacità di garantire la sicurezza di Taiwan dei due maggiori partiti in lizza, il Dpp e il Kmt.

L’OMBRA DI HONG KONG E IL PESO GEOPOLITICO DEL VOTO

Queste elezioni a Taipei rivestono un ruolo per nulla marginale sugli equilibri geopolitici del triangolo Taiwan-Pechino-Washington, considerando che, oltre al nuovo presidente, verranno eletti anche i componenti del nuovo parlamento.

LEGGI ANCHE: La Cina si sta comprando anche le università italiane

Si delineerà insomma l’assetto politico di Taiwan per i prossimi quattro anni: un periodo che si prevede cruciale per l’area asiatica, e non solo. Molte cose che avvengono a Taiwan, infatti, disturbano e irritano apertamente la leadership di Pechino, proprio a partire dalla possibilità di svolgere libere elezioni. Il richiamo alla ribelle Hong Kong, che ormai da oltre sei mesi protesta riempendo le strade, proprio per richiedere altrettanta autonomia elettorale e di governo, è fin troppo esplicito, e urticante per Pechino.

Han Kuo-yu, il candidato del filocinese Kuomintang (Getty Images).

INVESTIMENTI ESTERI E LAVORO: LA DOTE DI TSAI

Tra i due candidati principali in lizza, la signora Tsai ha puntato su una situazione economica nel complesso positiva e in crescita, attribuendosene il merito. Gli investimenti esteri a Taiwan sono in forte aumento: i dati forniti dal ministero per gli Affari economici parlano di un +20% su base annua nel periodo gennaio-novembre. Il programma di incentivi per il rientro in patria di aziende che avevano delocalizzato in Cina viene presentato da Tsai come un successo personale: oltre 150 aziende hanno aderito, contribuendo così alla creazione di molti nuovi posti di lavoro. A livello politico, nonostante la perdita di ulteriori alleati diplomatici passati dalla parte della Cina, Taiwan ha visto addirittura rafforzato il sostegno degli Usa a livello politico e militare.

HAN COSTRETTO A DIFENDERE LA SOVRANITÀ DELL’ISOLA

Han, un leader dotato senz’altro di altrettanto – se non persino maggiore, per certi versi – carisma della Tsai, ha assistito invece allo spegnersi inesorabile dei primitivi exploit nei sondaggi della scorsa primavera. A fronte dei successi politici ed economici rivendicati dall’attuale presidente e candidata, nelle ultime settimane si è dovuto piuttosto preoccupare di ribadire come, se eletto, non sarebbe un presidente arrendevole nei confronti della Cina. Nel corso del dibattito elettorale infatti, si è visto più volte costretto ad affermare pubblicamente che la sua priorità sarà quella di difendere la sovranità di Taiwan. La crisi di Hong Kong infatti lo ha messo in seria difficoltà, consentendo a Tsai di ergersi a difensore dell’integrità taiwanese nei confronti della Cina.

PECHINO PER ORA “TOLLERA” LE INTEMPERANZE

In questo scenario il ruolo della potente Cina sembra essere quello, in qualche modo paternalistico, del gigante buono che tollera pazientemente le intemperanze di una provincia ribelle, aspettando il momento in cui le cose – inevitabilmente, secondo i burocrati di Pechino – ritorneranno “al loro stato naturale” e la ribelle Taiwan tornerà nell’abbraccio della madrepatria. Solo il futuro dirà se questa loro convinzione uscirà rafforzata o indebolita dal risultato elettorale a Taipei.

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Area marina protetta Maratea, Rosa incontra sindaco Stoppelli

A seguito del decreto del ministro dell’Ambiente, Sergio Costa, che stanziando un finanziamento dà il concreto avvio all’istituzione dell’Area marina protetta di Maratea, l’assessore regionale all’Ambiente ed Energia, Gianni Rosa, ha incontrato questa mattina il sindaco Daniele Stoppelli, per approfondire la notizia e condividere un percorso anche informativo che coinvolga la cittadinanza.
L’obiettivo – è stato evidenziato durante la riunione – è arrivare a stabilire insieme, attivando una forte sinergia tra Regione e Comune, una strategia indirizzata ad ottenere le migliori ricadute sul territorio.
Se da un lato vi è sicuramente il valore della tutela dell’ambiente, dall’altro – hanno rimarcato Rosa e Stoppelli – bisogna capire come la nascita dell’area protetta possa diventare un’ulteriore occasione di sviluppo per questa meravigliosa parte della Basilicata.
Al termine, è stato concordato che saranno programmati nuovi incontri e iniziative finalizzate all’approfondimento e alla condivisione di ciò che può significare l’’area protetta per la costa di Maratea e l’intera regione.

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Il ringraziamento (a pagamento) dei giornalisti a Mario Draghi

Alcune delle più note firme italiane hanno voluto salutare così l'ex presidente della Banca centrale Europea.

Con una pagina a pagamento su il Sole 24 Ore alcune delle più importanti firme del giornalismo nostrano hanno voluto ringraziare Mario Draghi, ex presidente della Banca centrale Europea, per – come si legge – «la grande disponibilità avuta nei confronti dei giornalisti di tutto il mondo». I ringraziamenti sono stati firmati da Giulio Anselmi, Mario Calabresi, Massimo Gramellini, Paolo Mieli, Gianni, Riotta, Gian Antonio Stella, Stella Aneri e Giancarlo Aneri.

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Taglio dei Parlamentari, raggiunto il numero di firme per referendum in Senato

Sono 71 le sottoscrizioni depositate in Cassazione. Fonti M5s: «A quanto pare, è arrivato "l'aiutino" della Lega».

Al Senato è stato raggiunto e superato il numero minimo di firme per presentare il quesito del referendum contro il taglio dei parlamentari. Sono in totale 71 le sottoscrizioni (ne servivano 64) che Andrea Cangini (FI), Tommaso Nannincini (Pd) e Nazario Pagano (FI), i tre promotori della consultazione, hanno depositato in Cassazione nel pomeriggio. Secondo fonti parlamentari, in mattinata, sarebbe arrivato un sostanzioso appoggio anche da parte di senatori leghisti.

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HANNO FIRMATO 12 “NEW ENTRY”

Dopo la rinuncia di sette senatori a sottoscrivere la richiesta di referendum per il taglio del parlamentari, sono 12 le “new entry” che hanno deciso di aderire, consentendo così la possibilità di depositare il quesito in Cassazione. Hanno aggiunto le loro firme: cinque senatori di Forza Italia (Francesco Battistoni, Dario Damiani, Maria Alessandra Gallone, Marco Siclari e Roberta Toffanin), sei della Lega (Claudio Barbaro, Massimo Candura, William De Vecchis Roberto Marti, Enrico Montani e Pasquale Pepe) e uno di Liberi e uguali (Francesco La Forgia).

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M5S: «È ARRIVATO L’ “AIUTINO” DELLA LEGA»

Come riporta l’Ansa, fonti del Movimento 5 stelle hanno commentato subito l’appoggio dei senatori leghisti alla raccolta firme per il referendum: «Non hanno resistito alla voglia di tenersi strette le poltrone e a quanto pare è arrivato “l’aiutino” della Lega. Non vediamo l’ora di dare il via alla campagna referendaria per spiegare ai cittadini che ci sono parlamentari che vorrebbero bloccare questo taglio, fermando così il risparmio di circa 300mila euro al giorno per gli italiani che produrrebbe l’eliminazione di 345 poltrone».

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MARA CARFAGNA (FI) ATTACCA: «È UN REFERENDUM SALVA-POLTRONE»

«Quello sul taglio dei parlamentari è un referendum salva-poltrone», ha scritto in una nota Mara Carfagna, vicepresidente della Camera e deputata di Forza Italia. «Siamo e saremo sempre all’opposizione di questo governo dannoso, vogliamo andare al voto anche domani, ma vogliamo farlo in totale trasparenza eleggendo da subito un Parlamento più snello. Non abbiamo alcun interesse a sostenere un finto referendum, vogliamo dire la verità agli italiani. Per questo ai colleghi senatori che mi hanno chiesto un parere ho detto: non prestatevi a un giochino di Palazzo che screditerà la politica, squalificherà Forza Italia, resusciterà il populismo», ha proseguito la vicepresidente della Camera nel documento. La Carfagna ha ricordato anche che «la riduzione dei parlamentari è stata approvata con il sì di Forza Italia appena tre mesi fa, dopo quattro letture» e che il partito è «sempre favorevole al taglio delle poltrone» e che il presidente Silvio Berlusconi «è stato tra i primi a volere una riforma costituzionale di questo tipo». Mara Carfagna ha poi concluso: «Chi vuole il referendum per rimandare il taglio dei parlamentari lo dica apertamente, ci metta la faccia e non utilizzi giochi di palazzo».

SUL REFERENDUMStamattina ho ritirato la firma sul referendum confermativo sul taglio dei parlamentari. L'ho ritirata,…

Posted by Mario Michele Giarrusso on Friday, January 10, 2020

CHI HA RITIRATO LA FIRMA PER IL REFERENDUM SUL TAGLIO DEI PARLAMENTARI

C’è anche chi ci ha fatto dietrofront, ritirando la propria firma, come i senatori Mario Michele Giarrusso (M5s), Francesco Verducci (Pd) e Vincenzo D’Arienzo (Pd). «Stamattina ho ritirato la firma sul referendum confermativo sul taglio dei parlamentari. L’ho ritirata, perché la mia posizione è stata strumentalizzata da alcuni e travisata da altri», ha scritto il senatore pentastellato. Al contrario, i dem hanno cambiato idea in conseguenza «di un fatto politico nuovo» e cioè la presentazione di quella proposta di legge elettorale proporzionale, che fin dall’inizio era stata chiesta dal Pd in relazione al taglio dei parlamentari.

LA RACCOLTA FIRME DEI RADICALI

Intanto il Partito radicale ha raccolto 669 firme per promuovere un referendum sulla riforma che taglia il numero dei parlamentari. Peccato che ne sarebbero servite 500 mila. Le sottoscrizioni sono state comunque depositate in Cassazione. «Abbiamo voluto verbalizzare la violenta censura attuata dai media e dal servizio pubblico – ha spiegato Maurizio Turco, il segretario del Partito radicale – ai quali si era rivolto per la prima volta nel discorso di fine anno il Presidente della Repubblica». Turco si è anche detto contrario alla riforma «che prevede la cessione di rappresentanza da parte dei cittadini».

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Le mosse di Putin in Libia e Iran

Dopo essere volato in Siria e in Turchia, il presidente russo ha incontrato Merkel e si prepara a ospitare a Mosca l'incontro tra Haftar e al Serraj. Un iper-attivismo che condivide con Erdogan, nonostante siano spesso su fronti contrapposti. E che è convinto di poter esercitare anche con Teheran.

Dopo aver portato a casa con l’incontro con Recep Tayyip Erdogan il cessate il fuoco in Libia in cambio al non casuale via operativo al gasdotto russo-turco TurkStream, e aver visto Angela Merkel e il suo ministro tedesco degli Esteri Heiko Maas, ora Vladimir Putin si appresta a ospitare a Mosca Khalifa Haftar e Fayez al-Serraj per firmare i termini della tregua.

LO ZAR IN SIRIA POI A ISTANBUL

L’agenda di inizio 2020 del presidente russo è stata fitta: prima dell’incontro con Merkel, il 7 gennaio era volato a sorpresa in Siria, a parlare con il presidente Bashar al Assad, alleato del regime filo-iraniano. L’indomani aveva poi raggiunto Istanbul per mediare con l’omologo turco una spartizione della Libia, sulla falsariga di quanto concordato sulla Siria. Il prezzo dei negoziati politici attraverso l’hub del Cremlino è sempre economico e militare: un’arma di ricatto che i diplomatici degli altri governi e dell’Onu non hanno con gli interlocutori. Perciò sulla Libia come per il conflitto siriano, Erdogan e Putin si sono trovati immediatamente d’accordo, nonostante armino da tempo fronti contrapposti.

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Erdogan e Putin.

IL PATTO LIBICO TRA ERDOGAN E PUTIN

Per attenuare l’appoggio degli islamisti di Tripoli e di Misurata, sotto il cartello della Fratellanza musulmana, il leader turco chiede la garanzia di conservare e allargare l’influenza neo-ottomana in Libia su una fetta accettabile di territori, almeno nella Tripolitania. E, quel che più conta, di bloccare il gasdotto concorrente EastMed con il TurkStream per portare gas russo all’Europa dalla Turchia.

LEGGI ANCHE: Iran e Libia, perché l’Italia rischia la crisi energetica

L’altra pipeline è concepita per far arrivare il gas in Europa (attraverso Grecia e Cipro) dai nuovi giacimenti offshore israeliani. Una parte di mare ricca di risorse inesplorate dove, più a Ovest, opera anche Eni con concessioni di Cipro. E, più a Sud, nel maxi giacimento egiziano di Zohr.

LA CORSA TURCA AL GAS OFFSHORE

Più che qualche pozzo in Libia, il colpo azzardato da Erdogan è sfilare il gas offshore nel Mediterraneo al blocco avversario che arma il generale libico Khalifa Haftar. Arrivato all’offensiva finale contro il governo di Tripoli, Haftar ha dalla sua parte l’aviazione dell’Egitto e degli Emirati Arabi, finanziati dall’Arabia Saudita. Ma da qualche anno è anche la Russia a far avanzare l’ex comandante gheddafiano, sia con materiale bellico sia con mercenari russi della Wagner Group. Certo non prenderà bene una spartizione turco-russa della Libia, ma Haftar dipende anche dalle armi del Cremlino. E a lungo termine il metano dalla Turchia all’Ue vale più delle commesse di armi.

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Vladimir Putin e Hassan Rohani, presidenti di Russia e Iran.

IL POTERE DELLE ARMI DI RUSSIA E TURCHIA

Il potere militare di Putin e di Erdogan in Libia ha reso ininfluenti i summit con Haftar di Giuseppe Conte. Di conseguenza il premier rivale di Tripoli Fayez al-Serraj lo ha disertato. Anche Erdogan, in sfida alla Nato, negli ultimi anni è diventato un acquirente dei sistemi antimissili e di altri armamenti dalla Russia. Ma più in generale Turchia, Russia e Iran sono storici partner commerciali ed economici: non a caso, Putin ed Erdogan si sono ricompattati anche nel condannare lo strike di Donald Trump contro Qassem Soleimani. Ben più di Ankara, Teheran è un alleato dell’asse dei non allineati capeggiato da Mosca. Ma paradossalmente per Putin sarà più dura incidere sulla crisi con l’Iran.

LA DIFFICILE MEDIAZIONE CON L’IRAN

La Repubblica islamica si espande militarmente in Medio Oriente in modo autonomo dal Cremlino, attraverso le forze d’élite all’estero (al Quds) dei Guardiani della rivoluzione che erano guidate da Soleimani. Propaga nella regione un sistema religioso radicalmente diverso dal modello culturale russo. Il punto di contatto con Putin è l’autoritarismo. Quello di distacco un orgoglioso nazionalismo. L’ateismo russo è da sempre profondamente contestato dagli ayatollah sciiti, gelosi della loro sovranità. Ma Putin è convinto di avere margini di mediazione anche con Teheran, mantenendo aperto il canale dell’Iran con l’Ue che vuole evitare l’uscita annunciata dall’accordo internazionale sul nucleare del 2015.

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Biennale, ultima occasione per nominare il sostituto di Baratta

In caso di fumata nera, scatterà la prorogatio del presidente in carica. Non mancano le candidature e le auto-candidature. Da Melandri, Bray e Rutelli fino a Boeri, Christillin e Cicutto.

Ultima riunione venerdì 10 dicembre del Cda della Biennale in carica. Dalla prossima settimana scatta la prorogatio del presidente Paolo Baratta e dei consiglieri, soluzione di ripiego per una politica che non riesce a trovare l’intesa su nulla, dalle nomine Rai (bloccate da mesi) ai vertici delle Autorità della Privacy e Tlc.

Riunione veneziana last minute dunque necessaria per nominare il curatore della Biennale Arte 2021, nomina rimandata da novembre scorso in attesa delle scelte del governo sui vertici di Ca’ Giustinian ma non più rinviabile visti i tempi necessari per selezionare in giro per il mondo gli artisti che esporranno all’Arsenale e ai Giardini.

I PAPABILI: DA MELANDRI A BRAY, FINO A BOERI E CHRISTILLIN

Nel frattempo, pur nelle nebbie partitiche, fioccano le candidature e le auto-candidature alla presidenza. Ex ministri come Giovanna Melandri, Massimo Bray e Francesco Rutelli. Personaggi noti come l’architetto Stefano Boeri e la torinese Evelina Christillin. Esperti come il presidente dell’Istituto Luce Roberto Cicutto. Tutti stanno cercando di convincere il ministro della Cultura Dario Franceschini a rompere il ghiaccio e a procedere con le nomine.

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Agb, l’azienda di Boccia va in concordato

L'azienda grafica campana Agb, controllata dal presidente di Confindustria, si trova infatti in cattive acque. Avviato un piano di ristrutturazione.

Arti Grafiche Boccia alle prese col debito. L’azienda grafica campana controllata dal presidente di Confindustria Vincenzo Boccia si trova infatti in cattive acque. Tanto che a inizio 2020, come riporta il quotidiano Milano Finanza, a Salerno nella sede legale di Agb è stata indetta una riunione del consiglio d’amministrazione presieduta dal presidente Orazio Boccia che di Vincenzo è il padre. All’incontro erano presenti anche i due figli: il già citato presidente di Confindustria e Maurizio.

COSA RIGUARDAVA LA RIUNIONE DI AGB

Durante il meeting si è deciso di, vista la crisi societaria in cui si trova Agb, di depositare in tribunale una domanda ex articolo 182 della legge fallimentare «affinché possa essere concesso dal tribunale competente il divieto per i creditori di iniziare o proseguire azioni cautelari o esecutive e di acquisire titoli di prelazione non concordati». La società ha intanto avviato un percorso di ristrutturazione attraverso un nuovo piano industriale e finanziario. Nel 2017, ultimo bilancio disponibile, l’Agb con una perdita di 3 milioni di euro.

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Agenzia delle Entrate, Gualtieri e Renzi reinsediano Ruffini

Il ministro dell'Economia, in cambio del suo appoggio alla nomina, ottiene il sostegno di Italia viva alla sua candidatura nel collegio Roma 1 per trovare il sostituto di Gentiloni. Elezioni che però si terranno dopo le Regionali. E tutto può ancora succedere.

Luigi Di Maio ha formalmente messo il veto sul ritorno di Ernesto Maria Ruffini alla guida dell’Agenzia delle Entrate. E per questo rischia di perdere ancora una volta a faccia.

Il leader 5 stelle ha fatto sapere per le vie brevi al ministro dell’Economia che è nettamente contrario al rientro di Ruffini nell’Agenzia. E Roberto Gualtieri, sulle prime, non sapeva come uscirne. Poi, tutto è cambiato grazie a uno scambio.

LA COMPENSAZIONE CHIESTA DAL MINISTRO DELL’ECONOMIA

Quale compensazione per spedire Ruffini all’Agenzia delle Entrate, Gualtieri ottiene il sostegno di Italia viva alla sua candidatura nel collegio Roma 1. E le elezioni si terranno il primo marzo prossimo. Serviranno per trovare un sostituto di Paolo Gentiloni spedito a Bruxelles.

Ruffini, infatti, non ha mai fatto mistero della sua amicizia con Matteo Renzi. E forte di questo sostegno ha finora fatto la voce grossa al ministero. Vuole assolutamente tornare sulla poltrona dalla quale è stato cacciato con l’epurazione avviata dal Conte 1. Ora, però, vorrebbe costringere il Conte 2 a rimangiarsi gli atti dell’estate del 2018, vista la circostanza che “Giuseppi” si regge in piedi anche con i voti di Renzi. Sottobanco, però, ha lavorato a favore della candidatura di Gualtieri in sostituzione di Gentiloni. Un’azione, a vantaggio della sua nomina, resa più agevole dalla scelta di Palazzo Chigi di scaricare (solo formalmente) la patata bollente sul Mef.

A complicare le cose, poi, ci s’era messo il veto di Di Maio. A risolvere la questione (in chiave anti Giggino) è arrivato Renzi. Che pur di vedere Ruffini sulla poltrona delle Entrate, e pur di rinsaldare i rapporti con il Pd, ha promesso il suo sostegno a Gualtieri. Nella sostanza si tratta di incassare subito la nomina di Ruffini e di promettere, in futuro, il voto di Italia viva a Gualtieri.

LO SPARTIACQUE DELLE REGIONALI

Calendario alla mano, il voto di Roma 1 arriva dopo il 26 gennaio. E tutto può ancora succedere. Nell’incertezza, le nomine delle agenzie fiscali restano al palo. A cominciare da quella di Alessandra Dal Verme per il Demanio, che spinge non fosse altro per potersi avvicinare a casa, luogo nel quale è solita tornare a metà giornata per un pranzo frugale e un pisolino. Al ministero dell’Economia, come a Palazzo Chigi, sperano di affrontare il tema dopo le elezioni regionali. Come se queste fossero lo spartiacque tra un “prima” e un “dopo”. Tant’è che al Mef, su indicazioni del Pd, sono alla disperata ricerca di iniziative e misure a sostegno dell’Emilia-Romagna, visto che considerano la Calabria ormai persa. Lo stesso Gualtieri si spenderà per la campagna elettorale di Stefano Bonaccini, anche se non si capisce a quale titolo, visto che il governatore uscente ha tolto il simbolo del Pd dai suoi manifesti.

Quello di cui si occupa la rubrica Corridoi lo dice il nome. Una pillola al giorno: notizie, rumors, indiscrezioni, scontri, retroscena su fatti e personaggi del potere.

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Siano le banche a salvare il sistema creditizio, non lo Stato

Se volete evitare il fallimento di una banca aumentate le quote di partecipazione degli istituti al Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi. Perché stare sul mercato è una cosa seria e richiede correttezza, professionalità e onestà.

La Divina Commedia è sempre attuale. Ma gli ultimi capitoli non sono stati scritti da Dante ma dalla storia (e dalla cronaca) e riguardano i nostri banchieri, peccatori condannati, in base alla legge del contrappasso, a scontare una pena simile alla colpa. È quanto sta avvenendo negli ultimi anni per le banche che hanno dovuto aderire obbligatoriamente al Fondo interbancario di Tutela dei Depositi.

Ricordiamo che il Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi (Fitd) è un consorzio di diritto privato, disciplinato dal Decreto Legislativo 24 marzo 2011, n.49, che ha recepito la Direttiva 2009/14/CE, supervisionato dalla Banca d’Italia, cui devono obbligatoriamente aderire tutte le banche italiane aventi come forma societaria la Società per Azioni, e le banche extracomunitarie (che hanno filiali in Italia) che non aderiscano a sistemi di garanzia equivalenti. Non vi devono aderire le banche di Credito Cooperativo, che devono però al Fondo di Garanzia dei Depositanti del Credito Cooperativo, regolato dalla stessa normativa e con funzioni analoghe.

La finalità del Fondo è di tutelare i risparmi (non gli investimenti) dei clienti di banche che dovessero trovarsi in situazioni di insolvenza, quindi depositi in conto corrente, conti di deposito, certificati di deposito nominativi, libretti di risparmio nominativo e assegni circolari, garantiti in caso di fallimento dell’istituto di credito fino a 100 mila euro. Azioni, obbligazioni, pronti conto termine emessi dalla banca in liquidazione coatta, non rientrano nell’oggetto della tutela offerta dal Fitd. Nessuna scelta, nessuna opzione. Se un tuo collega, caro banchiere, ha gestito male (eufemismo) la sua banca, tu sei costretto a pagare le sue inefficienze! Il meccanismo del consorzio prevede infatti che le banche versino i loro contributi soltanto in caso di necessità (“ex post”) a chiamata entro 48 ore. L’impegno oscilla tra lo 0,4% e lo 0,8% dei fondi rimborsabili (la massa totale dei depositi presenti nelle filiali degli istituti italiani) di tutte le consorziate.

IL MERCATO NON DEVE PRIVATIZZARE GLI UTILI E SOCIALIZZARE LE PERDITE

In questi giorni ho sentito i direttori generali di due piccole banche che smadonnavano per dover assicurare la sopravvivenza di Banca Popolare di Bari con un contributo di circa 100 mila euro ciascuno. E si tratta di due piccole banche sane ed efficienti. Immaginate quanto possa pesare nel conto economico di grandi banche in difficoltà il salvataggio di una consorella in default? Milioni di euro che mettono in pericolo la vita della stessa banca soccorrente! E se, tra le varie misure più volte proposte su queste colonne, si pensasse di regolamentare un settore praticamente devastato anche aumentando la quota di partecipazione delle banche al Fondo e riducendo al minimo l’intervento dello Stato?

Se una banca è fuori mercato, allora fatela salvare dalle altre banche. Altrimenti che fallisca!

In tal modo aumenterebbero le pene all’interno del girone dantesco. La legge del contrappasso rappresenterebbe una sorta di “mano invisibile”, grazie alla quale, in una economia liberista, la ricerca egoistica del proprio interesse gioverebbe a se stessi e all’interesse dell’intero settore tentando di riequilibrarlo attraverso organi di controllo ricettivi agli input che vengono da quei manager che oggi bestemmiano turco perché efficienti, liberi, indipendenti e creditori nei confronti di Bankitalia che ha, invece, chiuso più di un occhio, ad esempio nella individuazione dei requisiti di onorabilità, nei confronti della mala gestione della maggior parte dei banchieri.

Ribadiamo che il mercato non deve più essere il luogo dove si privatizzano gli utili e si socializzano le perdite. Se una banca è fuori mercato, allora fatela salvare dalle altre banche. Altrimenti che fallisca! La prossima volta si eviterà di gestirla in maniera scorretta, spavalda e clientelare. Lo Stato non può fare tutto, né può continuare a essere il padre generoso che salva i suoi figli spericolati e scapestrati. È arrivato il momento di far capire che stare sul mercato è una cosa seria e richiede correttezza, professionalità e onestà. Perché poi lo Stato siamo noi che pagheremo le tasse per salvare quelle catapecchie che sono ormai diventate le banche del nostro Paese.

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Liberi, Uguali ma un po’ incazzati

Germanicum. Jobs Act. Articolo 18. Dossier Alitalia e Autostrade. Tutti i mal di pancia della sinistra, socia di minoranza del governo giallorosso.

All’improvviso, l’emergenza più impellente da risolvere in casa giallorossa nei primi giorni del 2020 è diventata trovare una nuova legge elettorale per pensionare il Rosatellum, la norma vigente che ha avuto la sua epifania alle Politiche del 2018 mentre ora viene disconosciuta da tutti, a iniziare dal Pd.

Al fotofinish il Partito democratico e il Movimento 5 stelle sono riusciti a presentare il testo alla Camera prima che la Corte Costituzionale si pronunci sull’ammissibilità del referendum leghista con l’obiettivo di disinnescare una potenzialmente insidiosa consultazione popolare finalizzata a ripristinare il maggioritario.

La bozza, però, non piace a tutti gli alleati: a puntare i piedi è Liberi e uguali, l’alleato finora più fedele e oscurato dalle continue rivendicazioni di Italia viva. Qualcosa, invece, si muove anche alla sinistra del Pd e la legge elettorale potrebbe non essere l’unico fronte che potrebbe aprirsi nel corso dell’anno.

I DUBBI SULLA LEGGE ELETTORALE

La deadline è appunto il 15 gennaio, termine entro cui è prevista la pronuncia della Consulta. Da qui la necessità di anteporre il tema su tutti gli altri che affollano l’agenda di una maggioranza ancora in cerca d’autore. L’anno è iniziato da sole 96 ore e già Luigi Di Maio e Nicola Zingaretti si sono incontrati a Palazzo Chigi proprio per discutere della riforma, già ribattezzata Germanicum. Un vertice di appena 45 minuti senza renziani e senza Leu, utile a comunicare che tra i due principali azionisti del Conte bis c’è la comune volontà di disegnare assieme le future regole del gioco. Regole che rischiano di escludere però Liberi e uguali, che da mesi ribadisce la propria predilezione per un impianto spagnolo (inviso però a Italia viva) e, soprattutto, teme le conseguenze dello sbarramento al 5%.

LEGGI ANCHE: Prescrizione e non solo, il gennaio a ostacoli di Conte

Un timore che lo ha portato ad addurre motivazioni peculiari. La senatrice di Leu Loredana De Petris qualche tempo fa aveva dichiarato: «L’ultima volta, con la soglia al 3%, siamo passati solo noi. Alzandola al 5, in quanti entrerebbero in parlamento? Cinque? Anche Forza Italia sarebbe a rischio…».

LAVORO: RIPRISTINO DELL’ART. 18 E SUPERAMENTO DEL JOBS ACT

Potrebbe essere stata proprio la decisione del Pd di sacrificare Leu sull’altare della speditezza dei lavori a spingere il ministro della Salute Roberto Speranza a riaprire l’annosa questione della regolamentazione del diritto del lavoro. «Al tavolo della verifica dovremo trovare il coraggio di correggere radicalmente gli errori commessi sul mercato del lavoro», ha dichiarato al Corsera.

Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte con il ministro della Salute Roberto Speranza.

L’accondiscendenza dimostrata finora da Leu non paga e Speranza lo dice a chiare lettere: «Renzi chiede di rivedere reddito e Quota 100 e i 5 stelle non sono contenti. Io chiedo di rivedere il Jobs act. Non siamo un governo monocolore». E sono proprio i renziani, artefici della riforma, i più risentiti, come dimostra l’avvertimento arrivato, sempre dalle colonne del Corriere della Sera, dalla ministra dell’Agricoltura, Teresa Bellanova: «La priorità è far ripartire il lavoro e l’economia, non gingillarsi con il Jobs Act che il lavoro lo ha creato. Non servono slogan, servono soluzioni».

MES, L’OLTRANZISMO SOVRANISTA DI FASSINA

C’è poi un altro tema che potrebbe tornare a tenere banco nelle prossime settimane, quando si acuirà lo scontro in vista delle Regionali emiliano-romagnole e calabresi: la nostra eventuale adesione al Meccanismo europeo di stabilità (Mes).  A dicembre la maggioranza aveva solo rinviato all’anno nuovo la decisione se continuare a fare parte o uscire dal Fondo salva-Stati. Decisione che adesso dovrà essere presa: il 20 gennaio prossimo, infatti, dovrebbe tenersi l’Eurogruppo per procedere con la ratifica dei Paesi interessati e non sembrano esserci spazi né per un ulteriore rinvio né per eventuali correzioni. Il presidente dell’organismo, l’economista portoghese Mario Centeno, era stato chiaro: «La decisione era stata presa in giugno. Il testo non si tocca, non c’è motivo per farlo, c’è già l’accordo politico». La firma potrebbe esporre il governo alle facili bordate di Lega e Fratelli d’Italia. E se il M5s potrebbe ingoiare la pillola amara, non è del medesimo avviso Leu, almeno per voce di Stefano Fassina che, è noto, negli ultimi tempi ha lavorato sodo per dare una casa, Movimento patria e costituzione, ai sovranisti di sinistra (ammesso esistano).

Su Twitter l’ex viceministro all’Economia parla di «potenziali gravi conseguenze per i lavoratori» e sostiene che la riforma «renda il default e la ristrutturazione del debito non l’eccezione ma uno strumento ordinario», spronando il Pd a essere «meno subalterno all’Europa».

SU AUTOSTRADE E ALITALIA ASSE LEU E M5S

Ci sono poi altri due possibili punti di frizione tra i dem e Leu che rischiano di avvicinare gli esponenti di Liberi e uguali ai 5 stelle: il dibattito sulla possibile revoca delle concessioni ad Autostrade e quello sul futuro di Alitalia. Quanto al primo, benché lo stesso Giuseppe Conte sembri sposare la proposta del Pd e di Italia viva – una maximulta da fare pagare alla società del gruppo Atlantia controllata dalla famiglia Benetton -, Liberi e uguali non demorde. Sempre Fassina ha definito «immorali» le concessioni vigenti, in quanto «fatte scrivere a garanzia di enormi rendite». Quindi, via Twitter, ha definito la linea, mai così vicina a quella dei pentastellati più oltranzisti: «Avanti tutta con le revoche!».

Situazione simile su Alitalia dove, seppur in formula temporanea (ma in Italia, si sa, non c’è nulla di più permanente di ciò che nasce come provvisorio), Leu batte la strada della nazionalizzazione. Fassina, intervistato da Radio Radicale, ha chiesto di «chiudere l’amministrazione straordinaria e costituire una Newco in cui partecipi allo Stato per procedere entro 24 mesi alla scelta di un partner strategico», ritenendo il piano industriale del consorzio Ferrovie dello Stato, Atlantia e Delta «un “piano biennale di fallimento”, nonostante l’enorme numero di esuberi che prevedrebbe».

I TENTATIVI DI DIALOGO DEL PD

Insomma, le convergenze tra Leu e M5s potrebbero impensierire il Pd che, da parte sua, non ha mancato di fare arrivare segnali di disgelo che non si vedevano dai tempi della fuoriuscita di Bersani & Co dalla Ditta. Come per esempio la recente partecipazione di alcuni dem di spicco (su tutti Graziano Delrio e Andrea Orlando) a un seminario su Stato e mercato organizzato da Alfredo D’Attorre. L’intenzione sembra quella di evitare che Leu si avvicini troppo ai 5 stelle, ricordando all’alleato le origini comuni. E, soprattutto, ricordandogli che ormai Matteo Renzi è uscito dal Partito democratico.

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